Metà mago e metà uomo., Concorso a Tema: Giugno 2019

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view post Posted on 29/6/2019, 16:51
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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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Camillo BreendberghCodice


*È uno scherzo!*
-A cosa ti riferisci?-
*Alla mia vita.*
La suoneria del Galaxy squarciò la quiete mattutina, infilandosi nei timpani dell'olandese come la lama di un pugnale affilato. Prima in uno e poi nell'altro. L'orecchio ancora affondato nel cuscino, protetto dalla morbidezza isolante del composto in memory, aveva racimolato il tempo per prepararsi ad incassare la stilettata, scampando al fastidioso e persistente ronzio che lo shock acustico solitamente gli procurava. All'altro non era stato riservato lo stesso privilegio. Capriccioso e spietato, l'impatto aveva preteso dal corpo un lieve sussulto, un battito mancato a spezzare il ritmo cardiaco. Era seguito un rantolo indecifrabile, il più grave degli insulti andatogli di traverso, censurato dal torpore delle corde vocali ancora assonnate. Tributo doveroso: chi pagava le tasse non lo faceva mai senza lamentarsi; con l'ultimo pegno anatomico saldato, altro non restava che da protestare.
Gli occhi di Camillo ancora erano serrati dietro le palpebre, al riparo da un sole che picchiava di sbieco e che a sorpresa lo deliziava con la sua accecante presenza. Era la pigrizia insita nel suo modus operandi a stabilire l'incognita, del resto la persiana della sua camera non si abbassava da sola! Se la sera prima si scordava di allentare il peso dalla corda a muro, al suo risveglio gli toccava fare i conti con delle pupille contratte, irradiate dalla prepotenza dell'astro più sfavillante. Riacquisire il dono della vista, in quell'occasione, costituiva un rischio che era certo di non voler correre: non si fidava della meticolosità di cui la sua routine notturna tendeva a peccare. Faceva tesoro delle esperienze vissute. Al contrario, per recuperare ciò che gli serviva, trovò fosse più saggio affidarsi agli altri sensi. Per dirne uno, il tatto non lo aveva mai tradito. Tutto pur di sgattaiolare fuori dal suo personalissimo girone infernale.
La mano destra corse a lato, scivolando sulle lenzuola fino a raggiungere la superficie del ripiano affianco al letto. I polpastrelli tastavano furiosamente la caotica distesa di oggetti adagiata su di esso, alla disperata ricerca dello smartphone, così da poter presto disattivare l’allarme che ancora saturava energicamente l’aria. La punta delle dita sfiorò dell’alluminio. Era liscio, tanto fresco da restituire una sensazione piacevole alla pelle nell’afoso epilogo di un agosto gettato alle ortiche. Camillo cedette una carezza al bordo di quella che sapeva essere una lattina di coca-cola, leccandosi le labbra asciutte e pregustando il momento in cui avrebbe sorseggiato la bevanda per idratare la gola assetata. Orientandosi con quel riferimento, passò oltre di una spanna. Le unghie ticchettavano sul pannello di noce, qualità scelta per fabbricare il mobile, passando poi dal noce al salice. Era lei. L’aveva trovata pur non cercandola. La bacchetta, ballerina e chiassosa per via delle vibrazioni emesse del cellulare, l’aveva accolta nel palmo socchiuso. Per qualche istante, nella testa del Tassorosso, balenò l'idea di scagliare un Silencio per zittire la sveglia, così da sbrigare la pratica senza ulteriori indugi, ma si costrinse a non agire: magia e tecnologia non andavano d'accordo. Rischiava di far esplodere l'aggeggio. Rischiava – scenario peggiore – di ritrovarsi dopo dieci minuti ad alzare compulsivamente il volume, già al massimo, per ascoltare il singolo trap fresco di mercato che per forza di cose non si sarebbe avviato, complice la sua memoria da pesce rosso. Di conseguenza avrebbe mandato il Samsung in assistenza, vittima dello sconforto, allertando ingegneri e programmatori dell'azienda coreana che l'aveva prodotto e, ciliegina sul frappè, il tutto avrebbe portato alla scoperta del mondo della magia per la comunità babbana. Forse non era il caso. Tanto, si disse, se aveva raggiunto il catalizzatore lo smartphone non doveva essere distante. Bacchetta e cellulare erano soliti giacere fianco a fianco, senza toccarsi, come una coppia di coniugi che, temprata dalle mille notti trascorse in compagnia l'una dell'altro, non avevano bisogno di dormire abbracciati per coronare il loro rapporto di odio e amore. Pochi tocchi e fu suo.
Camillo afferrò l’oggetto tra le sue grinfie, brandendolo come una frombola per il cavo che lo teneva in carica. Lo portò vicino al viso, rimodellò la presa così da poterlo ghermire in sicurezza – odiava quando gli piombava sul naso – poi schiuse lentamente le palpebre, proiettando un’occhiata collerica alla ripugnante schermata con la sveglia. Una striscia con il pollice contro il vetro ed il rumore cessò. La quiete fu lenitiva per i suoi neuroni, per i suoi timpani massacrati, ora pronti a crogiolarsi in uno spiraglio di tregua. Concedendo riposo alle orecchie, lo studente in vacanza poté finalmente controllare le notifiche. I social quella notte erano esplosi, così come i vari gruppi Whatsapp e Telegram. Un ennesimo contatto del polpastrello contro il pannello aveva scoperto il menù a tendina, mostrandogli quanto l'icona dell'aeroplanino di carta aveva voluto rivelargli. Seicentocinquantasette. Breendbergh ripeté quel numero un paio di volte nei suoi pensieri, prestando attenzione a non pronunciarlo ad alta voce, come se facendolo avesse potuto renderlo reale a tutti gli effetti. Purtroppo era così, i messaggi esistevano davvero e dell'intenzione di scoperchiare il vaso di pandora non scrutava nemmeno la più sfocata delle sagome in lontananza. Tentato invano dalle false promesse della sua curiosità, rimase impassibile.
*Non ce la faccio...*
Diede retta all’istinto, prima che quei giuramenti lusinghieri potessero convincerlo a compiere un gesto di cui era certo si sarebbe pentito, ed alzandosi gettò via il diabolico marchingegno, che scivolò sotto il cuscino. Una volta riconquistata la vetta della propria statura, con il legno di salice ancora adagiato comodamente nella mano destra, Camillo aveva tentato di stiracchiarsi maldestramente braccia e gambe, speranzoso di poter dare una svegliata al corpo. Le giunture, a ribattere, avevano scrocchiato sonoramente, esibendosi in un macabro concerto di bruschi crepitii, che lasciavano intendere avesse nuovamente passato la notte attorcigliato su se stesso. Brutto vizio, il suo. Recuperata la sensibilità degli arti, l’olandese distese il braccio, volgendolo alla cieca nella presunta direzione della sedia su cui era solito ammassare i propri vestiti. La punta della bacchetta era stata calibrata per stanare un indumento specifico.

Accio braghette, un sussurro risoluto seppur sonnacchioso precedette il volo della stoffa attraverso la camera da letto. Le braghe - termine che ormai solo lui utilizzava - gli erano subito piombate in faccia, con un’arroganza degna dell'intelletto umano, soffocando il principio di uno sbadiglio. Era riuscito a trattenere un'imprecazione solo perché ormai l'abitudine lo aveva anestetizzato, ma una nota di disappunto gli increspò la mimica del viso. Indossate, raggiunse la tapparella.
CodiceDue colpi secchi alla corda di nylon e luce fu. Quando le due fessure guaste ed impossibili da congiungere scomparvero nel rullo insieme alle altre stanghette, cuocendo la camera al sole mattutino, Camillo fu testimone della devastazione che era solito crearsi intorno. Era quasi tragico osservare come la stanza che al suo ritorno la madre gli faceva trovare linda ed ordinata, quasi maniacalmente, si trasfigurasse in un ecocentro nel giro di pochi giorni. Un paio di settimane, questo era il periodo di tempo che l'olandese aveva impiegato per farsi beffe del senso del decoro di chi lo aveva messo al mondo, infierendo ulteriormente durante quelle a venire. Praticamente ovunque erano disseminati i rottami generati dalla disastrosa collisione delle due vite tra le quali il giovane si destreggiava. Il suo sguardo avanzò vagabondo, teso dalla malinconia, incrociando al suolo, ai piedi del letto, un paio di bottiglie di plastica stropicciate. Una era vuota, l'altra riempita d’acqua a metà. Affianco ad essere giaceva il telescopio acquistato da Mondomago. L'olandese si domandò per quale ragione lo avesse estratto dalla valigia e come ci fosse finito a terra, cercando di ripercorrere i grani del rosario d'idee che gli avevano fatto avvertire la necessità di utilizzarlo. Certo non erano d'aiuto né lo stordimento mattutino, né il dispettoso ronzio che consumava il timpano destro! Nonostante la lentezza cognitiva, alla fine l'agognata soluzione lo aveva fulminato come un elettroshock. Un paio di sere prima, navigando in rete, si era imbattuto in un articolo di astronomia per principianti; una guida dettagliata, scritta in modo semplice, per inquadrare e riconoscere gli astri nel cielo. Pareva una di quelle opportunità da cogliere al volo. Da lì si era rapidamente accesa la scintilla di scrutare la volta celeste, di fare un po' di pratica, così da poter partire avvantaggiato se avesse deciso di affrontare il corso della professoressa McLinder. Appostato alla finestra con l'attrezzatura del caso alla mano – telescopio ed app per identificare le costellazioni – si era immediatamente dovuto arrendere dinanzi all'imponente barriera che l'inquinamento luminoso della capitale inglese costituiva. Ritrovarsi con i buoni propositi schiacciati sotto al peso dell'impronta umana gli era bastato ed avanzato per piantare in asso il progetto.
Breendbergh aveva lasciato che le gambe cedessero sotto il peso del corpo, sbilanciandosi per atterrare con le chiappe sul materasso. Il tonfo, ammortizzato dalla soffice superficie, propagò un assordante fruscio nell'aria. Ancora frastornato, lasciava che il suo sguardo spaziasse qua e là, facendosi guidare dai dettagli più appariscenti che costernavano il suo habitat disastrato. Il libro di storia della magia del secondo anno – che ancora non si era deciso di dare alle fiamme – si era trasformato nel piedistallo perfetto per il suo Funko Pop di Gandalf. L'ironia della sorte sagomò un sorriso beffardo sulle labbra del Tassino. Tra le pagine di quel volume si narravano le vicende di Merlino, una figura chiave del passato per maghi e streghe di tutto il mondo. Camillo immaginava non sarebbe stato contento di sapere che un'opera di approfondimento storico che lo citava era finita col diventare il sostegno per esporre uno dei sottoprodotti della cultura di massa babbana. In compenso, non si poteva dire che anche lo stregone delle opere di Tolkien non avesse il suo fascino. Insomma, poteva andargli peggio. Gli occhietti neri della statuina in vinile scrutavano lo studente con un cipiglio intransigente e di rimando, quelli appesantiti dalle borse scure del marmocchio, si socchiudevano sotto la pressione delle sue personalissime preoccupazioni. Campare in bilico tra le sue due esistenze non era semplice e quando queste collidevano, creando il subbuglio di cui era appena stato testimone, il disordine assumeva una connotazione psicologica oltre che materiale. Gli andava in pappa il cervello. Si ritrovava spesso a domandarsi cosa volesse fare del proprio futuro, se avesse senso continuare il suo percorso al Castello – da tempo faticava a stare al passo con i compagni – o se fosse meglio piantare tutti in asso per dedicarsi ad un'esistenza che invece sentiva appartenergli totalmente.
Il baule vuoto e spalancato, accostato al muro di fianco alla porta, richiamava il senno del Tassorosso in attesa di un verdetto. Le vacanze erano ormai giunte al termine e all’indomani, trascinandoselo appresso, sarebbe dovuto salire a bordo dell’espresso per Hogwarts. Vorace, sembrava pregustare il momento in cui avrebbe inghiottito tutto ciò che il suo proprietario aveva di più prezioso. Eppure per quanto promettente fosse la sua fame, non era abbastanza spazioso per contenere l'intera metà della vita che Camillo desiderava portarsi via per davvero.
L'armadio aperto esponeva il proprio contenuto ad un attento esame. Qualche indumento, lavato e stirato, pendeva dagli attaccapanni, dando origine ad un’interessante combinazioni di colori sgargianti, che si mescolavano a quelli più sobri dei capi più classici e delle divise. Nella sinistra il mezzosangue impugnava la lattina di cola, prelevata dal comodino, nella destra il salice. Le labbra avevano sfiorato il bordo di alluminio, mentre il gomito si era placidamente sollevato per permettergli di scolare il fondo rimasto. Il liquido sgasato, dolciastro, aveva immediatamente idratato le fauci secche dello studente, che si era concesso un istante per godersi quella piacevole degustazione. Dipendente com’era dall’analcolico, era certo gli sarebbe mancato durante la sua permanenza scolastica; accadeva ogni anno e non c’era burrobirra artigianale che potesse curare la sua astinenza. Con il corretto pH della morte in bocca ripristinato, con la punta di caffeina a ringalluzzirgli i neuroni, Breendbergh si decise ad agire. Puntò la bacchetta verso una delle felpe nel suo guardaroba, esclamando con acquiescenza la formula per innescare il sortilegio:
Bagàglius. Il catalizzatore seguì l’indumento, che ripiegandosi accuratamente in volo venne condotto e riposto all’interno del baule. La procedura venne ripetuta più e più volte, lasciando spoglio il mobile. Sul fondo della cassa i vestiti pesanti, autunnali ed invernali, al centro quelli stagionali - t-shirt, camicie e pantaloni corti - poi in cima la biancheria e ciò che andava a costituire l’uniforme scolastica, così che fosse a portata di mano. Sulla destra aveva lasciato lo spazio vuoto per gli accessori, i millemila cappelli e cinturoni che in giornata si era messo di ripescare dalla distesa di macerie in camera sua. Tutto in regola, come l’abitudine comandava.
-Visto? Fai tanto il fesso, ma alla comodità non rinunci.-
*Quest’anno è l’ultimo, poi se non riesco a farcela mollo tutto e mi iscrivo ad una scuola serale.*
-Dici così ogni volta.-
Camillo si era finalmente deciso a schiodarsi dal letto, promettendo a se stesso di fare il possibile per prendere una posizione netta, inequivocabile, definire ciò che avrebbe fatto del suo futuro. Spostandosi di qualche passo in avanti, prestando attenzione a non inciampare sull'amata Firebolt o sulla presa del pc, aveva così raggiunto la sua scrivania, impegnato nel dare l’ultimo saluto a ciò che aveva di più caro. Le dita della mancina, libera dall’impiccio della bevanda, si mossero sulla superficie della playstation, imprimendo una carezza alla sua texture in plastica nera. La raccolta di videogames pareva implorarlo di avventurarsi nell’ennesima maratona; resistere all’espressione malandrina e furibonda di Geralt di Rivia, al sorrisetto citrullo di Crash Bandicoot, fu un’ardua impresa. Allo stesso modo fu doloroso rinunciare ad un rapido ripasso dei suoi volumi preferiti nella collezione di fumetti. L'arredamento, espressione tangibile del suo patrimonio culturale, gli aveva ricordato quanto fosse importante per lui avere uno spazio privato in cui potesse riconoscersi. L'aveva costruito in anni di vita vissuta, pezzo per pezzo, e tutto ciò che vi era al suo interno poteva considerarlo fieramente come una manifestazione della sua identità. A partire dal computer, che non era proprio un suppellettile fine al senso estetico, bensì un vero e proprio portale per un'altra realtà: internet. Quello i maghi non ce l'avevano, nemmeno potevano sognarsi un'interconnessione su scala globale di tale portata e mai avrebbero capito le potenzialità che quel mezzo offriva, se usato nel modo corretto. Shopping online a ritmo sfrenato, libero accesso alle maggiori piattaforme di intrattenimento, ai social media, ai siti per adulti ed alle discussioni di carattere politico, nelle quali Camillo dava il meglio di sé. Nonappena qualcuno si affacciava all'opinionismo in rete con un approccio anche solo vagamente serio, il troll che abitava il suo cuore babbano emergeva, prendendo il sopravvento sulla sua sanità mentale per regalargli degli istanti di assoluto diletto. Tutto ciò senza alzare il sedere dalla sedia, senza allontanarsi dalla sua postazione. Viaggiare alla deriva, sospinto dalle correnti sul web, gli sarebbe mancato da morire, più di ogni altra cosa. Avrebbe svuotato il suo conto alla Gringotts se ciò fosse servito a fornirgli una connessione anche solo decente, lì dove studiava magia e stregoneria, ma per una lunga serie di ragioni sarebbe stato come pretendere di far passare un’acromantula nel buco della serratura. Impossibile.
D’altro canto ogni arrivederci un po’ lo soffocava. Così come avrebbe avvertito la mancanza di tutta la sua robaccia, una volta raggiunto il Castello, poche ore dal suo rientro a casa bastavano e avanzavano per percepire quella dei legami che aveva costruito tra le mura di Hogwarts. La compagnia dei suoi amici era qualcosa di irrinunciabile, così come il continuo riecheggiare nei corridoi di alcuni tormentoni magici: cioccorana, spara schiocco e “professor Midnight, la prego, metta via quella frusta” tra i più in voga. Per non parlare del ritmo delle lezioni, delle giornate intere spese a mescolare intrugli diabolici di dubbia utilità o di quelle annegate nel nervosismo, causato dal susseguirsi di lunghe serie di tentativi fallimentari alla conquista di un nuovo sortilegio. Infine l’immensa soddisfazione di ogni traguardo raggiunto, di ogni corso superato, pozione mediocremente realizzata ed incantesimo appreso con successo. E anche se non si trattava di nulla di speciale per chi con la magia c’era nato, a lui tanto bastava per sentirsi mago, almeno in parte. Solo pensandoci, l’agonia già iniziava a scemare, lasciando un calore confortevole a scaldargli il petto. La sua vita era anche quello.
In fin dei conti, quando si immedesimava in una delle due porzioni di sé, era l’altra a ricordargli ci fosse molto di più di quanto avrebbe potuto desiderare da una singola metà. Forse – ci ragionò – non aveva veramente bisogno di scegliere chi essere una volta per tutte, ma di bilanciare il peso delle due influenze che stravolgevano la sua esistenza. Solo allora si sarebbe sentito finalmente in armonia con se stesso e con il proprio avvenire.

-Dai, su col morale e pensa a diplomarti.-
*Un altro anno, ho detto…*
-E poi?-
*Poi si vedrà.*

 
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