Boiler Room, Privata.

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LabirinthusLondra 23 Luglio
Confusione. Tutto intorno sembrava ruotare come un turbine. Tutto c'era e non c'era, ma applicava una certa pressione sulle sue orecchie. Qualcosa continuava a battere a intervalli regolari, come il rumore delle rotaie del treno, e ogni tanto la sua perfetta pulsazione veniva corrotta dai restanti tasselli del turbine, piccole macchie sonore di grida, parole e qualcosa in movimento. In quell'istante non riuscì a comprendere cosa fosse, ma non le importava, così come la puzza di sudore e certi spintoni che a tratti riceveva a destra e a sinistra da corpi estranei.
Persino il compito delle mani, che continuavano a stringere e a percorrere la pelle morbida, poi il cuoio capelluto insinuandosi fra le ciocche scure, aveva perso importanza. I palmi godevano di ben poca sensibilità, i polpastrelli delle dita avevano perso la consapevolezza della loro stessa forza, e si infilzavano nella carne come artigli per ancorarsi e scaricare il furore.
Il vero focus dell'attenzione era sulla sua bocca. Il gioco impostato dalle labbra richiedeva tutta la sua concentrazione. Necessitava energia, prontezza dei riflessi e, come una danza improvvisata da due professionisti su un palco, più si protraeva nel tempo più generava adrenalina e si spingeva in avanti.
La musica continuava ad attraversarle la testa come se questa fosse fatta d'aria, ma lei la percepiva appena. Era comico, anche se non ne capiva il motivo. Dove si trovava? Che ora era? Cosa accadeva attorno a lei? e soprattutto, da quanto tempo era avvinghiata a quelle labbra? Si distaccò all'improvviso e una risata sancì la fine di quel momento. Finalmente aprì gli occhi e così la confusione ebbe finalmente dei colori.
La luce continuava a cambiare sfumatura - rossa, gialla, blu, verde -, ma se il chiaro delle superfici era instabile, le ombre erano una certezza, come lo erano gli occhi del ragazzo che le stava davanti. Le sembrarono due grossi fori in mezzo al tutto e che sbucavano sul niente, così rise di nuovo portandosi una mano alla bocca ancora umida.
Si voltò verso sinistra. C'era una superficie liscia, stretta, lunga e luminosa e poi un bicchiere riempito a metà di uno strano liquido blu. Allungò la mano per prenderlo e berne un sorso, ma se ne versò un po' addosso e anche sulla maglietta dell'altro riempiendo entrambi di chiazze bluastre. Rise ancora, ponendogli il bicchiere. Il gusto forte della bevanda le pizzicò naso e gola e contrasse tutti i muscoli del volto in una smorfia esagerata. Così, spostando lo sguardo dal suo compagno di bevuta all'ambiente circostante, riuscì a dare un contorno e un corpo a tutti i tasselli di quel caos, osservandoli a bocca aperta. Vi era tanta gente: saltava, si dimenava, si avvinghiava ad altra gente proprio come lei prima all'altro. Non si poteva dire che danzassero, ma sotto quelle luci pulsanti, nella densa miscela di bassi, ritmi e melodie distorte, visti dal suo sgabello i loro movimenti sembravano il ribollire dell'acqua con le sue bollicine dentro un calderone. Questa cosa la divertì molto, tanto che le discontinue risate si trasformarono in un attacco di ridarella acuta, e per non cadere dal suo sgabello si dovette aggrappare a lui. Col viso nascosto fra il suo collo e la sua spalla ne sentì il profumo, zuccherino e acidulo allo stesso tempo, e con un altro bacio - questa volta sulla pelle del collo - riuscì finalmente a calmarsi e a decidersi a restare in equilibrio. Gli posò dolcemente una mano sulla guancia fissandosi nei suoi occhi con aria inebetita e si approntò a ricadere nel turbine, infilando le dita fra i suoi capelli, poggiando le labbra sulle sue e stringendolo ancora a sé. Non le importava nulla del resto, né di perché fosse lì, né perché tutta quella gente continuasse a saltare e a spintonarli.
 
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view post Posted on 19/8/2019, 20:49
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CodiceLa danza delle luci colorate che si riflettevano sul viso di Casey rubò qualche istante di concentrazione al suo fidanzato. Lui osservava le sue guance colorarsi di amaranto, turchese, poi di pervinca, mentre una spolverata di puntini mandarino le si agitava intorno alle labbra, scendeva sul collo e si dissolveva timidamente oltre una spalla. Dentro al petto si faceva largo un'esplosione di calore, un respiro vitale che al ritmo dei colpi di cassa aveva ridestato il corpo assonnato dell’olandese. Lei era così bella. Le sfumature che i fari regalavano alla sua figura mettevano in risalto i particolari del suo viso. Abituato com’era a vederla tra le mura grigie del castello o sotto i raggi di sole all’aperto, fu per lui impossibile rimanere indifferente al fascino di quello spettacolo. Trovava che l’illuminazione artificiale le donasse, che il dinamismo e l’esuberanza di quell’ambiente si connettessero armoniosamente con la sua personalità e con il suo corpo. Era lì che la signorina Bell trovava il proprio posto, come il più vivace e dettagliato dei graffiti, solitario su una parete di mattoni consumati.
La baciò. Il sapore dolce delle sue labbra richiamava il gusto della bevanda che lei aveva sorseggiato, ma non ci fece caso. Non subito. Casey era riuscita a trascinarlo ben oltre la sua zona di comfort, facendogli provare un’esperienza di vita che da solo non avrebbe mai cercato. Le era grato, si stava divertendo ed era merito suo se riusciva a sentirsi a suo agio anche in mezzo alla calca. Ignorava gli spintoni. Ignorava le grida e le risate dei presenti. Ignorava l’odore dei corpi sudati, il profumo zuccherino della macchina del fumo e gli schizzi di ciò che traboccava dai calici. Non gli importava. Tutte le sue attenzioni erano rivolte verso la ragazza che stringeva tra le braccia, che accarezzava lentamente, in netto contrasto con il ritmo della musica che animava il locale. Amava sentire le sue dita esili passargli tra i capelli, la morbidezza delle sue labbra e la delicatezza della sua pelle. Del resto era giovane ed era innamorato, il contatto fisico era uno dei metodi più adeguati per esprimere i sentimenti che nutriva nei confronti della sua dolce metà; al tempo stesso lei lo faceva sentire amato e non chiedeva niente di più dalla vita.
La mano destra sfiorò il collo di Casey, mentre la sinistra si saldava sul fianco di lei. Sobbalzò lievemente quando la fanciulla decise di interrompere il contatto e dovette prendersi un paio di secondi per ritrovare la ragione, per rendersi conto di cosa gli stesse succedendo intorno. Gli occhi vispi della Grifondoro lo osservavano, mentre questa sfoggiava un sorriso che lasciava trasparire l’euforia del momento. Lui la fissava inebetito, con un’espressione di facile lettura: raccontava quanto fosse felice di essere lì con lei e quanto fosse intenso il desiderio di prenderla ancora una volta per baciarla. Si dovette trattenere, ma la seguì con lo sguardo. Studiava il moto di quella manina che andava a raccogliere il bicchiere lasciato sul bancone, che lo portava alla bocca e che goffamente ne lasciava strabordare un po’ del contenuto. Il liquido azzurro li annaffiò entrambi e per Camillo fu naturale riderne. Quando gli venne offerto glielo prese dalle mani e a sua volta lo assaggiò, notando con dispiacere che la bevanda non rispecchiasse appieno le sue preferenze. Era un po’ troppo dolce, cosa che gli fece desiderare fortemente un amaro. Lasciò perdere l’intruglio.
Casey aveva nascosto il viso tra il collo e la spalla, esponendosi ad un bacio sulla guancia. Camillo, nella momentanea quiete che lei gli aveva offerto, si era lasciato andare al flusso dei ricordi che lo stavano travolgendo. Si era ripromesso di tenerle il broncio, di farle pesare il modo in cui si erano salutati al loro ultimo incontro. L’aveva accompagnata in quel locale perché sapeva quanto ci tenesse, perché sapeva quanto adorasse il genere di musica che vibrava tra quelle pareti. Il concetto di Boiler Room non l’aveva mai affascinato e nemmeno si era preso la briga di informarsi sul Labyrinth, ma a cose fatte non si era pentito della scelta di seguirla nella più audace delle avventure vissute insieme. La guardava di sottecchi. Il trucco sul suo viso per guadagnare qualche anno d’età era appariscente, ma non per questo esagerato. Era raro che si truccasse e lo stupore provocato da quella sua decisione aveva lasciato il Tassorosso senza parole quando se l’era ritrovata davanti; anche se le occasioni in cui l’aveva vista con il make-up erano poche, aveva fatto un buon lavoro. Dava il merito alla sua pignoleria: quando voleva essere perfetta, nulla poteva sfuggire al suo controllo. Non c’era carenza di pratica che potesse reggere come scusante. Ma lui l’apprezzava davvero così, ed al tempo spesso l’avrebbe struccata con le proprie mani, perché del suo faccino in fin dei conti gli piaceva di più al naturale. Fatto sta che era riuscita ad ingannare il buttafuori e a lui era bastato poco per convincerlo a lasciarli passare.
Un bacio sul collo spezzò il filo dei suoi pensieri proprio mentre si interrogava sul da farsi. Non ci pensò, si limitò a godersi la piacevole sensazione delle labbra della signorina Bell a contatto con la propria pelle. Sorrise, mentalmente interdetto, osservandola mentre si ricomponeva davanti a lui solo per dargli un altro bacio, che ricambiò. Che fosse per ciò che aveva sorseggiato, per i sensi di colpa o l’euforia di trovarsi a quella festa, si stava dimostrando molto più affettuosa del solito. La ragione, messa in disparte, non sindacava su ciò che stava accadendo, per questo Breendbergh si lasciò trasportare dal suo entusiasmo e la assecondò. Si separò dalle sue labbra per fiondarsi sul collo ed imprimere l’ennesima manifestazione d’amore della serata, fingendo un morso alla base del collo. Non premette sulla carne con i denti, ma strinse quel tanto che bastava per solleticarle la pelle. La destra aveva preso la mano di Casey per bloccarla. Quando staccò le zanne dalla zona più sensibile, appoggiò il palmo della Grifondoro contro la propria guancia, stampandoci un ennesimo bacio. Con la testa un po’ inclinata in avanti e un sorrisetto colpevole, nascosto per metà dalle sue dita sottili, puntò uno sguardo sfacciato nelle sue pupille. Aveva voglia di giocare.
Balliamo?

 
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view post Posted on 1/10/2019, 18:46
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LabirinthusLondra 23 Luglio
Ballare. Oh sì, adesso ricordava. Erano lì per ballare, e quello era il posto giusto per farlo. Labirinthus, labirinto. Vaghe rimembranze percorreva la sua linea di pensieri, così sfumata e ritorta, impossibile da afferrare. Ma la sua pelle aveva un buon odore, un buon sapore, e il suo richiamo aveva soppiantato l'esigenza di svolgere la matassa fino a quel momento. Dunque gli aveva sorriso, annuito, aveva sorseggiato ancora una volta quella schifezza bluastra e si era gettata con lui in avanti, nella mischia.

La vita è assordante, proprio come la musica in quella discoteca. Si era resa conto del suo volume una volta catapultata in mezzo alla massa che saltava a ritmo, e la compressione a tal punto non fu solo corporea.
Si muoveva in maniera scomposta, sorridente, e il sudore le scendeva sulla pelle sotto i vestiti. La cute era bagnata, e una certa frenesia le impediva di stare ferma. Lui, dal suo canto, era un pilastro. In qualche modo lei pendeva dalle sue labbra, e tutto ciò che stava facendo e vivendo era per lui. Era per compiacerlo, forse. Gli sguardi scaturiti da quell'inclinazione degli occhi, le mani che salivano lungo la sua nuca, i baci a fior di labbra, erano tutti per lui. E anche per lei, perché era fonte di sicurezza. Sarà la vanità di una ragazzina di quattordici anni, che per una volta ha l'occasione di sentirsi grande; oppure la necessità di adempiere al suo dovere di fidanzata, o una commistione dei due. Tanto non ragionava, e poca importanza aveva.
Però la compressione aveva cominciato a farsi strada sotto la pelle. Adesso penetrava il suo corpo, le picchettava il cervello dall'esterno e dall'interno. C'era troppa confusione lì, la musica era troppo alta, il respiro troppo affannoso. Sentiva il dolore sopra le tempie e chiuse gli occhi, e istintivamente, come un cane da fiuto, si mise a cercare con la poca lucidità rimastale una risposta. Perché sto così? Perché non sto bene? Dovrei stare bene, dovrei essere felice.
Erano andati al Labirinthus per suo volere, perché c'era la musica che le piaceva, perché era una situazione che la intrigava. Camillo era lì per lei, ma qualcosa stonava, qualcosa rovinava tutto, e sapeva cos'era ma non se lo ricordava. C'era un vuoto, probabilmente dovuto a quell'orribile liquido blu, poi benessere, poi di nuovo malessere. Si aggrappò a lui e gli sorrise per tranquillizzarlo, ma di più per tranquillizzare se stessa.
Era tutto per perfetto. Perché, perché, perché devi sempre rovinare tutto? Era colpa sua evidentemente, e fu la prima cosa che pensò.
«Tu stai bene, vero? Sei felice? Non è troppo per te?» gli chiese. Almeno per un istante si era sentita meglio nel farlo, si era sentita corretta finalmente. Barcollò col serio rischio di cadere, e poi si portò le mani alla testa dolente.
«Io devo andare un attimo in bagno. Tu sta fermo, immobile, immobile, arrivo, arrivo. Shto bene.» Lo guardò con gli occhi sgranati e la fronte contratta trattenuta fra le mani, seria, e si distaccò da lui goffa e con lentezza per stare in equilibrio.
 
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view post Posted on 16/10/2019, 19:26
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CodiceLa transizione tra due brani regalò un’istante di serenità ai timpani dell’olandese, che poté ragionare lucidamente su ciò che stava accadendo. Dal bancone, lui e Casey si erano spostati verso la pista, lasciandosi nuovamente circondare dalla calca di persone che avevano invaso il Labyrinth. Ironia della sorte, nel momento esatto in cui aveva avanzato la richiesta di ballare, il DJ si era disfatto della vivacità delle proprie melodie, dei suoi bassi martellanti e di quei picchi squillanti che con essi si alternavano. Le casse sibilavano, ipnotiche, riacquisendo intensità e vigore fin troppo lentamente, mentre una morsa di imbarazzo gli premeva sul viso, stringendo guance e nuca. Non ci voleva, così pensò; si sentiva tradito dall’artefice di quel gran baccano, che per il resto della serata non aveva fatto altro che dar prova della propria insistenza. Proprio nel momento in cui aveva più bisogno di lui, questo l'aveva lasciato in balia dei suoi pensieri.
Un boato diede nuovamente il via alle danze, seguito a ruota libera da una serie di altri virtuosismi digitali. La folla scoppiò, saltando verso l'alto in modo confuso, disordinato, dando l'impressione al tassorosso di trovarsi nel bel mezzo di uno spettacolo pirotecnico. Si vide costretto a schivare le gomitate dei propri vicini, i pestoni che li riagganciavano al suolo nel momento dell'atterraggio. Lui, imitandoli, provava a fare lo stesso, lasciando trasparire una naturale timidezza. Si sentiva un pesce fuor d'acqua, ma non per questo si dimostrava impermeabile al divertimento. In effetti, si limitava ad esprimerlo con un atteggiamento più contenuto; sempre folle, per i suoi standard, ma più contenuto. Di tanto in tanto si fermava, baciava la sua ragazza, le sfiorava i fianchi con la punta delle dita, lentamente, approfittando della sua presenza per calmarsi. Nel mezzo di quel vortice di follia, lei era il suo rifugio.
Casey. Quello che normalmente sarebbe stato un sussurro, si rivelò un grido per sovrastare le urla dei presenti. Conosceva bene la sua donna, sapeva con quale facilità si lasciasse sopraffare dalle proprie angosce. Se fino a quel momento gli aveva dimostrato di essere uno spirito in festa, non aveva dato per scontato che tale stato d'animo sopravvivesse per tutta la serata. In fin dei conti ci aveva fatto il callo, sapeva come prenderla: infilò un po' di spazio tra loro e le prese la mano, rinunciando all'impulso di prenderla per il collo così da poterla strangolare una volta per tutte.
Io sto bene. Mentì senza la minima esitazione guardandola dritta negli occhi. Gli pizzicava il naso da dieci minuti abbondanti e ancora non si era grattato, aveva voglia di bersi una coca-cola, si era preso due ginocchiate ad altezza Peter Dinklage e qualcuno - non Casey ‐ gli aveva leccato un orecchio. In più avvertiva l'insensato desiderio di crepare a trent'anni, come se ciò avesse potuto in qualche modo avere una relazione diretta con l'esperienza che stava vivendo, quando era palese non fosse così. Colpa dell'alcol, si disse.
Sono felice. Fu sincero. La serenità che provava non poteva certamente vacillare per via di una serata trascorsa a saltellare in un ambiente angusto e chiassoso, né per via dei fatti di quella mattina. Era un sentimento profondo, ben radicato, inamovibile. Per bilanciare la natura instabile di Casey, Camillo si impegnava ad essere una certezza nella sua vita. Maturando, pian piano, si era reso conto che ogni sventura era soltanto di passaggio, ma ciò che contava davvero era quello che potevano realizzare insieme. La prospettiva lo rendeva felice, senza se e senza ma.
Non pensarci. L'espressione distesa che si era plasmata sul suo volto divenne tutto d'un tratto più severa. Paragonata ad altre sue storie di vita vissuta, la serata nella Boiler Room era cosa di poco conto. Tirando le somme, come già detto, il divertimento non mancava. L'esperienza era una novità e tutto andava provato almeno una volta.
Camillo accarezzava il palmo della mano di Casey con il pollice di quella che la tratteneva, con un moto circolare, senza esercitare troppa pressione. Si trattava di un gesto fortemente influenzato dall'abitudine, un moto quasi inconscio che prendeva vita se avvertiva la necessità di confortarla. Ormai lei lo leggeva come un libro aperto e conosceva il significato di quel suo comportamento, ma per una serie di ovvie ragioni non pretendeva ricollegasse subito azioni e pensieri. Lo sguardo esitante, puntato su quella manina tanto piccola e fragile, trasportava nel mondo reale l'essenza di una mente assorta nei propri pensieri. Il tassorosso non trovava le parole giuste da dire per esprimere quanto avrebbe voluto, ma ci provò.
Io… E senza nemmeno il tempo di continuare, l'olandese lasciò la mano della sua ragazza, osservandola con un abbozzo di preoccupazione per il modo in cui era barcollata subito dopo. Iniziò a spendere qualche pensiero per l'intruglio azzurro che aveva sorseggiato, probabilmente un po' troppo forte per i suoi standard. Si attivò per aiutarla a trovare l'equilibrio, ma le sue parole lo trattennero. Giurava di star bene, ma non serviva Doctor House per capire che l'autodiagnosi era quanto più lontana possibile dalla realtà.
Ti accompagno alla porta e resto lì, altrimenti col caspita che ci ripeschiamo. Così fece, intavolando una scusa per non ferire il suo orgoglio. Se non fosse stato strettamente necessario non l'avrebbe aiutata a farsi spazio tra la folla, ma restò vigile, pronto ad intervenire. Cinque minuti era quanto le avrebbe concesso, poi avrebbe iniziato a bussare per avere sue notizie. Iniziò a contare.

 
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view post Posted on 7/5/2020, 12:29
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LabirinthusLondra 23 Luglio
Si distaccò ufficialmente da Camillo vacillando come una foglia rinsecchita esposta al vento invernale, e gli voltò le spalle prendendo uno slancio così poco equilibrato da rischiare di compiere un'intera piroetta. Ma nonostante l'ilarità della scena, l'urgenza di lasciare la mischia per dirigersi verso un luogo meno caotico le rendeva ancor più pressanti i pensieri e confusi i movimenti.
Muoversi. Muoversi fu parecchio difficile lì in mezzo, e non solo per la folla e gli spintoni. I suoi piedi tentarono di portarla avanti in linea retta con scarso successo. Per aiutarsi mantenne la testa china e gli occhi fissi sui suoi passi, per quanto i ciuffi di capelli sudaticci le ostacolassero la vista. Non che questa fosse di suo nitidissima, fra la miopia lasciata a se stessa e l'incapacità mentale di concretizzare che se effettivamente un corpo si frapponeva a lei e la sua meta era realmente tangibile. Andò a sbattere più e più volte contro delle persone, rivolgendo una smorfia sorridente nascosta dai capelli qui e un mugugno là. Si sentiva la testa come avvolta in un panno umido che filtrava tutto ciò che proveniva dall'esterno, come era già accaduto con le parole di Camillo.
Le luci al neon che indicavano l'entrata del bagno furono distinte a fatica dal resto delle illuminazioni stroboscopiche che navigavano sui muri e sulle teste della gente. Al passaggio di Casey, così piccola e minuta dentro i suoi shorts e impasticciata di trucco che colava dai bordi degli occhi per il sudore, i presenti si scambiarono certi sguardi divertiti, che volevano dirsi qualcosa come: "ecco un altro teenager che ci ha dato troppo dentro con la sambuca".
Aprì una porticina scura che a stento si distingueva dal muro per tutti i graffiti che vi erano stati disegnati sopra, e respirò una zaffata di odori pungenti che le fece percepire un conato. Ci si intrufolò dentro nonostante tutto. La luce gialla delle lampadine del bagno le colpì le pupille senza alcuna pietà, che si restrinsero doloranti fra un capogiro e un altro. La testa ciondolava sballottando da un lato a un altro, mentre l'idea salvifica di poggiarsi a una parete o a una qualsiasi superficie sfumava sempre più, assieme a tutto il resto.
«Stai bene?»
La sua testa si alzò solo dopo una decina di secondi dal momento in cui captò la domanda, arco di tempo in cui le fu necessario elaborare che si trattasse di una frase di senso compiuto diretta proprio a lei. Quando lo fece, vide davanti a sé due ragazze sulla ventina con dei bastoncini dalla punta rossa in bocca, appollaiate sul lavandino per dirigire più facilmente delle strane nebbioline grigiastre verso la finestrella sulla strada.
«Sono in bagno?»
Il dubbio fuoriuscì dalla sua bocca con innocenza. La coppia di ragazze non riuscì a trattenere lo scoppio di risa rispondendole di sì, cosa che l'avrebbe parecchio infastidita se non fosse stata immersa fino alla punta dei capelli nell'angoscia. Gli occhi, schiacciati dentro due palpebre gonfie, vacillarono sul pavimento e lo percorsero, rivelandole la presenza di un cesso e di alcune pozze di quella che nel caso più fortunato era acqua del sifone. Sì, era in bagno.

Casa Breendbergh, qualche settimana prima

Erano le sette di sera quando arrivarono a casa Breendbergh - libera dalla presenza di genitori e simili - da King's Cross. Non si erano detti una parola per tutto il tragitto confessando così, a suon di silenzio, quanto avessero da dirsi. Fare finta di nulla a volte può apparire la soluzione migliore per evitare di distruggere tutto.
Come da accordo si erano messi a guardare l'ultima stagione del Trono di Spade, dal primo episodio all'ultimo, e non mancarono momenti di distensione. Il desiderio di poter condividere qualcosa con l'altro a tratti sembrava più forte di quello di tenersi il broncio, e così ci passarono sopra senza alcuna esitazione già a metà del terzo episodio.
La nottata dunque - era stata una maratona ben poco indulgente - trascorse sempre più serena, finché KC non si ritrovò a sonnecchiare fra le braccia del suo fidanzato, mentre questo le faceva i grattini sulla nuca per ricordarle di restare sveglia. Alla fine di tutti gli episodi proprio quando la stanchezza avrebbe dovuto farli crollare in un sonno profondo, erano ritti sullo schermo del televisore, con gli occhi arrossati e spalancati, e balbettavano frasi senza alcun senso, sconvolti dal finale.
«Ma allora… ma perché… no, dai, sto male… Morgana putt-»
Ormai l'eccitazione della battaglia finale e degli stravolgimenti di trama le aveva infuso nel corpo la forza di rimanere sveglia per altre ventiquattro ore. Stava girando per la stanzetta di Camillo in maniera confusa, finché, allo scontro mentale con l'ennesimo buco di trama non si gettò a peso morto sul letto, imprecando sul nome di Jon Snow.
Al di là del Trono di Spade e della sua storia crocifissa dai fandom, la maggioranza dei pensieri sembrava essersi dissolta. Era stato un po' come se distraendosi con la serie avessero lasciato scivolare quel grosso grumo di polvere sotto un enorme tappeto, per guardarsi tranquilli la tv, ma dopo esserci rimasti seduti per così tanto tempo la superficie bitorzoluta prima o poi avrebbe cominciato a fargli dolere il sedere.
Casey non aveva dimestichezza con queste cose. Cercava di non pensare al fatto di sentirsi come in una specie di trappola, le cui sbarre erano composte dal senso di colpa per quel ballo e l'orgoglio. Il disagio provato alla festa in effetti non l'aveva provato solo nei confronti di Camillo, ma anche in quelli di tutti gli amici che le aveva presentato, solo che col fatto che non li avrebbe più incrociati fino al primo di settembre quel problema non si era posto nell'mmediato, andando a finire nella zona più fitta sotto il tappeto. Con Millo si era sempre trovata a suo agio, ragion per cui la giornata era trascorsa più tranquilla, e i suoi pensieri avevano smesso di accavallarsi fra loro con l'avvicinarsi della stanchezza.
Avevano un ottimo rapporto loro due, ne era consapevole. Lo era di meno delle ragioni per cui era così, e del motivo per cui provava sempre l'irrefrenabile desiderio di stargli addosso beccandosi i suoi baci. Spesso si era ritrovata a riflettere su quanto fosse accaduto velocemente fra loro, spinti l'uno all'altra con la stessa violenza con cui un bolide si abbatte sui cacciatori delle squadre di Quidditch. Era bastato un ballo, il trovarsi carini vicendevolmente, l'offesa scatenata da un leggero inganno, e ogni emozione si era moltiplicata all'infinito rendendo tutto così unico e bello da condensare le giornate dei primi mesi attorno al pensiero di lui. Ovviamente non era solo quello: si divertivano un mondo insieme, sia quando stavano attaccati come una cozza al suo scoglio che non. Fra tutti - e soprattutto fra tutte le assenze che il periodo le aveva affibbiato, da Caleb a Drinky - lui era la migliore ancora di salvezza per i suoi momenti più grigi. Ragion per cui, nonostante l'orgoglio, era andata da lui senza ribatter nulla della precedente discussione, e si era lasciata sprofondare nel suo abbraccio durante la visione della serie.
«Spero sul serio che non faranno uno spin-off su Arya. Credo che farei saltare in aria la sede dell'HBO.»


 
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view post Posted on 4/6/2020, 22:17
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CodiceOccupato?
Breendbergh era appoggiato al muro con una spalla mentre attendeva irrequieto che Casey uscisse dal bagno. Due ragazze si erano avvicinate ed una aveva posto la fatidica domanda, mettendolo un pizzico a disagio. Lui non era il buttafuori delle latrine, né si era messo in fila per utilizzare i servizi e, per quanto seccato, cercò di essere garbato nel fornir loro una risposta, o almeno ci provò. Con un cenno affermativo della testa, quasi scambiato per uno sfogo ritmico al drop della canzone pompata in cassa, le aveva suggerito che era meglio mettersi in fila ed aspettare. L’alternativa che aveva in mente non sarebbe stata altrettanto cortese. Per di più, in mezzo a quel casino, anche solo pensare di avere una conversazione era una vera e propria follia.
Il Tassorosso inspirò dalle narici, inalando un mix della quantità esagerata di profumo del tizio accanto e del vapore dolciastro che permeava l'aria. Una nota alcolica aveva inasprito il tutto e non gli fu difficile ricollegarla alla quantità esagerata che ne era stata inavvertitamente versata sul pavimento della Boiler Room dai suoi ospiti. Ce n'era così tanto a terra che il suolo sembrava ricoperto da una poltiglia appiccicosa. Ogni volta che muoveva un passo lì dentro, gli pareva di staccare nastro adesivo dalle suole delle scarpe. La baraonda umana, il frastuono costante e le pessime condizioni igieniche del locale gli avevano fatto rimpiangere quella piccola follia. In più Casey si era spaccata di brutto, situazione che per quanto ilare lo preoccupava notevolmente. Quanto ci avrebbe messo ancora per uscire? Bussò con forza, i cinque minuti che le aveva dato, ad occhio e croce, dovevano essere scaduti.

Casa Breendbergh
Erano le sette di sera quando arrivarono a casa Breendbergh. I genitori fuori dalle scatole e la televisione a loro completa disposizione aveva alimentato un desiderio che da tempo si era trasformato in un pensiero costante. L’ultima stagione del Trono di Spade era uscita da un pezzo, ma causa allontanamento forzato dalla tecnologia, avevano dovuto attendere ulteriormente prima di conoscere le sorti dei sette regni. Fino al momento in cui si erano spaparanzati sul divano, Camillo e Casey non si erano detti granché, confermandosi vicendevolmente quanto avvertissero il peso delle questioni irrisolte. La sera prima, quella precedente all’arrivo, non si era conclusa nel migliore dei modi. Dapprima il rifiuto della Grifondoro ad accompagnare il suo fidanzato al ballo di fine anno lo aveva profondamente irritato. Una volta incontrati alla festa lei l’aveva bellamente ignorato, mettendolo in imbarazzo davanti ai suoi amici, a cui inutilmente aveva cercato di presentarla. Soffriva molto quel modo di fare, l’instabilità insita nel loro rapporto ed il non poter mai fare affidamento sull’altra quando voleva passare una serata immerso nella più totale spensieratezza. Succedeva, alle volte, ma era un evento raro. Spesso si ritrovava a non comprendere appieno le ragioni per cui l’altra gli desse contro ed era arrivato quasi a pensare avesse voluto punirlo per qualcosa - un battibecco legato alla realizzazione del vestito, forse - e che forse non valeva davvero la pena di andare avanti. Insomma, si sentiva flagellato per una piccolezza e ne aveva le tasche piene; quello che gli mancava davvero era il coraggio di decidersi: continuare a sopportare senza lamentarsi in attesa di tempi migliori o piantarla in asso una volta per tutte e porre fine a quell’eterno gioco mentale coronato di ripicche. Era arrabbiato, impulsivo e l’inquietudine ragionava al posto suo. Decise di prendersi del tempo per rifletterci, così si abbandonò pacificamente alla breve tregua che avevano tacitamente deciso di concedersi.
Così erano finiti sul divano, l’uno abbracciato all’altra e, come i veri mostri che erano, divoravano un episodio per volta in un’interminabile maratona, senza pause. Un po’ perché stanco per il viaggio, un po’ perché addolcito dalla compagnia della sua bella e dal perpetuo flusso di coccole che li aveva coinvolti nei momenti di massima tensione, alla fine si mise il cuore in pace, sopprimendo nell’inconscio i sentimenti tetri che aveva elaborato e sfogando la propria rabbia contro il buon Martin. Delle otto stagioni che si era dovuto sorbire, l’ultima era a mani basse la peggiore, ragion per cui non mancò di insultarlo. Una sorte comune era toccata agli sceneggiatori, così come alla regia, specialmente per quell’episodio - il terzo, a memoria - in cui non si vedeva proprio un tubo. Forse le aspettative erano un po’ troppo montate.
Breendbergh osservò Casey lanciarsi sul materasso, mentre questa insultava la povera anima di Morgana e minacciava senza timore alcuno la HBO. Se non altro non era stato l’unico a prendersi così male. Lui si era semplicemente limitato a balbettare cose incomprensibili, che avevano un vago sapore rancoroso.
Camillo salì sul letto, gattonando fino a raggiungere la signorina Bell, che fissò per qualche istante senza dire una parola. Le sfiorò entrambe le braccia simmetricamente, accarezzandole pigramente con la punta dei polpastrelli in tutta la loro lunghezza - si fa per dire - fino a raggiungerne le estremità, dove finì per intrecciare le dita a quelle di lei. Bloccò quindi il dorso delle mani contro la superficie morbida su cui era sdraiata, così che non potesse sfuggirgli, e si sporse per posarle un bacio sulla fronte.
Ti odio. Quell’affermazione giunse in un sussurro esasperato, che annunciò l’avvenuto distacco tra le labbra e la pelle morbida della ragazza. La guardava con un’espressione vispa impressa sul volto, rinforzata da un sorrisetto divertito, tradendo il concetto appena espresso. E mi dispiace per te, ma non puoi farci proprio nulla.
L’aveva assoggettata fisicamente, come aveva voluto rimarcare stringendo giocosamente la presa sulle mani, rendendole quindi impossibile liberarsi. Ovviamente scherzava, era palese, ma c’era un fondo di verità in quella piccola bugia. P i n z i p o c c h i a


TXLI5/4


Edited by Camomillo - 10/6/2020, 15:58
 
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LabirinthusLondra 23 Luglio
Ti odio.
Un gemito le si strozzò in gola, rompendo la quiete. I suoi muscoli si erano tesi in risposta alla pressione esercitata da Camillo su di lei, con le sue mani e con le sue parole. Aveva risalito le lenzuola, poi il suo corpo solleticandolo con un po' di malizia. Le era sembrato che volesse giocare, mantenere il disimpegno della nottata trascorsa, quando invece si era posto sopra di lei per imprigionarla contro il materasso e per farsi ascoltare.
Camillo era fatto così: scherzava e non scherzava. Quanto detto non raggiungeva l'interlocutore tramite mezzi termini, e anche se si trattava di una burla non riusciva e non voleva nascondere la verità. Anche se Casey era una ragazzetta da quattro soldi, anche se ancora non aveva realizzato che vivere non consistesse in un solipsismo esasperato, aveva intuito le dinamiche di Breendbergh, e ne rimaneva sempre stupita. Non stupita del fatto che egli esprimesse le sue emozioni, ma di riuscire a farlo in maniera così delicata nei suoi confronti, nonostante ella possedesse la grazia di un Erumpent nella stagione degli amori quando si sfiorava l'argomento. In una maniera così delicata e scherzosa anche se si trattava dell'odio che provava nei suoi confronti.
«Non ti biasimo» disse rivolgendogli un lieve sorriso. «Io invece ti voglio un gran bene.» Il tono era volontariamente civettuolo e cercava di introdursi nella scia di ilarità e provocazione generata dall'altro. Nel suo sguardo però si poteva avvertire l'improvviso dirottamento dei suoi pensieri, ora caoticamente fissi sull'idea che Camillo la odiasse sul serio.
In momenti simili, messa con le spalle al muro, Casey non era in grado di visualizzare il fulcro della situazione, nemmeno quando l'altro richiedeva leggerezza. Casey non era leggera, non era in grado di lasciar andare, ed era e si percepiva gravosa come un masso. Ora la dichiarazione suonava come una provocazione, ora come uno scherzo, ora come l'incipit di un litigio. Le domande non erano "perché" e "come possiamo risolvere il tutto" ma "per quale cazzo di motivo stai ancora con me" e "perché ancora non te ne sei andato all'Inferno". Buttava male da quelle parti, ma in fondo sapeva: Millo era stufo marcio del suo continuo rivangare certi problemi, delle sue lamentele, dei suoi strani metodi di approccio alla gente, del fatto che fosse pesante come un macigno.
Però non riusciva a crederci, non riusciva a volerlo in tutto e per tutto. Adesso che lui manifestava il suo disagio lo voleva più vicino, e la resistenza che oppose, benché fosse una risposta naturale della sua indole, rifletteva l'esigenza di condividere un abbraccio, che lui le desse il suo abbraccio.
Mantenere il controllo sempre e comunque, per te e per gli altri. Non avrebbe dovuto più sbagliare, avrebbe dovuto solo farsi amare. Essere leggera, essere un bel dettaglio di quella vita già bella di per sé fatta di videogames e una famiglia unita.
Gli sorrise ponendo un cerotto sulla ferita anche se non era stata ancora disinfettata. Gli occhi erano scuri ma non il suo volto. Risalì il suo corpo con le gambe e lo cinse nell'unico modo che le veniva permessa dalla prigionia. Poi si portò avanti per baciarlo.


***

Ti odio.


«Così, brava. Butta tutto fuori.»
Dopo l'ennesima ondata di vomito, Casey alzò la testa dal water lasciandosi aiutare e direzionare dalla ragazza. Questa non le lasciava toccare nessuna superficie, le portava i ciuffi di capelli sudati all'indietro e tirava lo sciacquone ma, anche se si poteva ritenere una gentilezza, Casey avrebbe preferito fare da sola per non sentirsi addosso l'odoraccio pungente della roba che stava fumando prima che lei entrasse in bagno.
Finalmente si rialzò e si passò un fazzoletto sulla bocca. Il sapore acido dei succhi gastrici aveva raggiunto livelli di disgustosità terrificanti fondendosi al kebab che aveva mangiato prima di arrivare al Labyrinthus. Lo stomaco diceva la sua bruciando e dandole la sensazione di aver ingerito solo sassi per giorni.
«Lavati la faccia adesso. Devi prenderti una bottiglietta d'acqua e mangiare qualcosa, meglio di zuccherato»
Casey mugolò in tutta risposta. Non aveva né la forza né la voglia di parlarle. La vergogna non mancava ma a parer suo quella tipa con gli occhi arrossati che sfoggiava le proprie conoscenze su tutti i rimedi post-sbornia era troppo saccente. Non poteva sapere, non poteva capire e non poteva immaginare.
«Sery, Jo ci aspetta. Muoviti» disse una voce dietro la porta, vicino ai lavandini.
«Arrivo, Ali!» rispose la ragazza con una certa dose di scocciatura. Poi si rivolse di nuovo a Casey: «C'è qualcuno qui con te che può accompagnarti?»
Ricevuto un "sì" piuttosto dolorante e sommesso scomparve dalla saletta lasciando dietro di sé quella scia pungente di fumo.

Casey si poggiò al muro e chiuse gli occhi per tamponare i pensieri. Si sentiva sporca, e non perché aveva vomitato. Conato dopo conato parte di quella lucidità che aveva rifuggito le era ricaduta addosso strappandole di netto e senza pietà il cerotto dalla ferita.

Ti odio.

Barcollava e si doveva tenere poggiata alle pareti per star dritta. Il dolore era acuto e le emozioni dilatate. Le sentì esplodere nella pancia e negli occhi. Ora la vista si era offuscata nuovamente per il pianto, e fra singhiozzi e fitte dovette piegarsi per attutire il tutto e controllare il respiro. Era sola, fottutamente sola, e per non rischiare di esserlo doveva mentire. Per non scalfire quella vita perfetta fatta di videogames e dell'amore di una famiglia unita.
La porta si aprì di scatto e si richiuse lasciando che i boati dell'esterno inondassero la saletta. Lei alzò lo sguardo annebbiato e lo riconobbe, e prima che egli potesse dire o fare qualsiasi cosa mugolò la sua preghiera.
«Per favore, andiamo via da qui, Millo. Ti prego, ti prego...» La frase suonò strozzata alla fine, dissolvendosi per dar spazio alla fuoriuscita delle emozioni.
 
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Casa Breendbergh
Piccolina mia. Camillo aveva ricambiato il bacio di Casey, allentando la presa sulle mani quel tanto che bastava per permetterle di liberarsi, se avesse voluto. La stanchezza emotiva di una bella serie tv rovinata sul finale, di giorni di tensione e silenzio, di un rapporto che non trovava un metodo efficace per consolidarsi e un po’, per questo, se ne rimaneva cocciuto nel suo limbo di incertezza, avevano da tempo iniziato a farsi sentire. Non era giusto seppellire tutto nell’inconscio. Non era nemmeno giusto liquidare la faccenda con una frecciatina, così da potersi svagare senza elaborare la cosa. A volte, parafrasando il proverbio, era meglio darsi da fare prima di concedersi qualche piccolo piacere.
Io e te siamo una squadra. La buttò lì, un po’ perché non era mai stato bravo a fare discorsi seri, cosa che lo portava a parlare per metafore, un po’ perché era difficile non lasciarsi distrarre in una situazione come quella. Specialmente quando l’invito di qualche coccola prima della nanna -e della nanna stessa, per estensione- si faceva sempre più irresistibile. Quello che voglio dire è che… adesso basta, va tutto bene. Ci sono qua io per te, voglio che tu ci sia per me. “E’ ora che la smettiamo di sabotarci a vicenda. Basta con le riserve, con il rancore e con le ripicche. Voglio che tu ti senta amata e voglio che tu mi ami in egual misura”.
Il Tassorosso non si riferiva all’istante di tregua che si erano concessi, è superfluo chiarirlo. Parlava del loro rapporto in modo più ampio, ripercorrendo ciò che era accaduto all’interno della coppia da quando si erano messi insieme. Lui non conosceva i trascorsi della signorina Bell, la sua condizione di orfana, di cui comunque sospettava -non gli aveva mai parlato della famiglia-, nè sapeva del suo rapporto con la professoressa Anser. Non conosceva il senso di abbandono che la Grifondoro provava o il sogno di una stabilità che mai in vita sua aveva sperimentato. Nemmeno le aveva giurato amore eterno; le persone andavano e venivano, bisognava farsene una ragione. Le aveva solo promesso, seppur implicitamente, di fare del suo meglio per starle accanto sia nel momento del bisogno che in quello del cazzeggio. Affinché ciò fosse possibile era necessario che lei lo lasciasse entrare nella sua vita, perché già ne aveva piene le tasche di restarsene sull’uscio. Niente di più, niente di meno.
Camillo aveva cercato di esprimersi al meglio, infondendole una piccola dose di sicurezza attraverso il suo atteggiamento rilassato e deciso. Forse la scelta delle parole non era stata la migliore, se n’era immediatamente reso conto. D’altro canto lui non era Elisabetta II e non avvertiva l’urgenza di proclamare il discorsone di fine anno. Provò a compensare con il linguaggio del corpo. Le mani avevano lasciato quelle della sua amata ed erano lentamente scivolate verso le sue gambe, che lo cingevano in un abbraccio, così da permettergli di dispensare qualche grattino giocoso. Poi le aveva posato delicatamente un bacio sulle labbra prima di rimettersi in ginocchio sul materasso, osservandola con uno sguardo serio e carico di speranza. Attendeva un responso sincero da Casey, in modo da potersi regolare. A quel punto le alternative erano poche: dirsi vicendevolmente come stavano le cose, batterla come un quarto di manzo o andarsene a dormire in divano per poi cacciarla di casa il mattino seguente.

Boiler Room
Altroché, ma tieniti pronta ad espellere anche l’anima. Terapia d’urto. Il tempo concesso a Casey per ripigliarsi era scaduto, in concomitanza con l’uscita dal bagno di due tipe un po’ troppo losche per i suoi gusti. Camillo non andava molto d’accordo con i fricchettoni, ma era riuscito a sopravvivere ad un rapido scambio di battute. L’avevano visto preoccupato e gli avevano chiesto se fosse lui l’accompagnatore di quella che stava lasciando lo stomaco nel bagno della discoteca. Un cenno affermativo della testa e se ne sbarazzò, lasciando che nella fretta si trascinassero via con loro l’odore pungente di un delitto commesso. Breendbergh era quindi entrato in una stanza vuota, eccezion fatta per la sua fidanzata, in condizioni non propriamente ottimali.
Assistere allo stato in cui verteva non fu piacevole. Nel corso della serata si era reso conto di quanto la ragazza avesse bevuto, ma non immaginava di vederla al tappeto così presto. Lui, metti per l’adrenalina, metti perché a conti fatti aveva preso soltanto un paio di sorsi dalla sua bevanda, stava decisamente meglio. Pensò che fosse il caso di dare il colpo di grazia alla sostanza che la stava intossicando, rendendo facile alla piccoletta il compito di gettare gli ultimi rimasugli. Così, una volta accertatosi di non avere spettatori indiscreti -guai a violare lo statuto di segretezza- si armò della bacchetta e con la mano libera tirò su Casey, per poterla sorreggere. Poi, ricordandosi delle tre D della materializzazione, trasportò la signorina Bell con sé.

Si era concentrato non poco affinché tutto andasse per il verso giusto. Conosceva alla perfezione le dimensioni del proprio corpo e così era abituato anche all’esile figura della Grifondoro. Per quanto scontato, quello era un dettaglio di importanza vitale quando si eseguiva una manovra tanto pratica, quanto pericolosa, come nel caso della materializzazione congiunta. Poi, per il resto decisione e determinazione erano supportati dall’esperienza. Non era la prima volta che utilizzava quel mezzo per spostarsi, né la prima volta che lo usava per raggiungere la destinazione designata. Si trattava del tetto di un magazzino poco distante, di proprietà di un amico di famiglia. Un posticino tranquillo, dove non andava mai nessuno -accedervi con altri metodi non era poi tanto semplice- e non c’erano telecamere di sorveglianza, dove l’aria fresca abbondava e la vista su quel quartiere della capitale poteva anche regalare qualche piacere. Ammesso che non si soffrisse di vertigini. L’ideale per prendersi del tempo lontano dalla civiltà, magari per coltivare piantine outdoor. Non che lui ne sapesse qualcosa.
Una rotazione, un sonorosissimo crack e furono lì. Se qualcuno non li avesse visti uscire dal bagno e si fosse insospettito, avrebbe anche potuto pensare fossero scappati dalla finestrella. Immaginava che producesse un rumore non tanto dissimile alla chiusura, ma non ci pensò. In fin dei conti, come già ribadito, non c’erano testimoni.
Tutto bene? Camillo si assicurò che Casey fosse tutta intera, che fossero soli anche raggiunta la nuova posizione, poi le domandò, ponendosi in modo tale da non essere colpito da eventuali getti di vomito, pur supportando il suo peso. Se fosse stata la sua prima volta, come accadde a lui ai tempi del rilascio della patente, dava per scontato l’esito di un viaggio tanto turbolento. Lontani dal perimetro della struttura, non c’era pericolo di cadere, solo un’immensa area grigia da ridipingere.
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LabyrinthusLondra 23 Luglio
Rispose di sì, annuendo e lasciandosi sfuggire un gemito. Lo abbracciò, lo baciò e si abbandonò con lui al silenzio dell'alba in casa Breenbergh, quando ancora nessuno lì dentro e nella via si era ancora svegliato.
Il ricordo di quel momento fu più vivido che mai nei giorni a venire e le trapanò la scatola cranica a tratti nei vari momenti della giornata, puntuale come una sveglia, per non farle dimenticare quel voto.
Siamo una squadra. Io ci sono per lui, lui c'è per me. Semplice come concetto, facile da ricordare. Doveva essere così e lo sarebbe dovuto essere anche prima, ma in cuor suo sapeva che la frase ripetutale dal Tassorosso implicava che egli ne sentiva la mancanza da parte di lei. Difficile da accettare, complicato credere di aver anteposto l'ego alla felicità del suo ragazzo.
Il totale mutismo fu l'arma di quei giorni. Si scrissero messaggi, uscirono insieme, ma lei si lasciò trascinare dal desiderio di lui di essere felice e tentò di essere leggera. Nessun "ma", nessun "no", nessun "io", mettendo da parte il sobbollire della sua parte di problemi irrisolti, perché anche solo rievocandoli avrebbe potuto scalfire quella quiete ritrovata, l'accordo di reciproca partecipazione alla gioia dell'altro.
Tenersi tutto dentro porta ad implodere quando non si desidera ferire l'altro e non si possiedono le giuste parole per farlo. Il Labyrinthus le mise a disposizione i mezzi giusti per una degna autodistruzione, come sedativo del malessere o persino di questo io tanto discusso. Ma solo in un primo momento.

***

Il vortice della smaterializzazione diede il colpo di grazia alla sua nausea e al suo stomaco. Atterrò, già in allarme alla prima giravolta delle molecole sparpagliate, e si gettò a capofitto dietro una pila di container arrugginiti del tetto mollando la mano di Camillo.
Ci diede dentro e si liberò dei residui più grossi di quei macigni. Lo stomaco e la gola arsero, la lingua pizzicò, l'odore nauseabondo stimolò altra nausea. Camillo attese con pazienza che terminasse, probabilmente le tirò su anche i capelli dalla fronte per aiutarla, e poi il silenzio divorò ogni possibile discorso. Casey infine si sollevò solo per ridistendersi altrove, sulla nuda pietra di quel posto che non aveva ancora identificato. Poggiò le spalle a un altro container, le gambe davanti a sé coi piedi penzolanti di lato e lo sguardo perso nel vuoto che piano piano collegava il presente incerto ai passi fatti poco prima, acquisendo lucidità.
La prima cosa fu piangere. Le lacrime scorsero sul suo volto, con la testa floscia su di una spalla. Non aveva mai pianto per il senso di sconfitta di fronte a qualcuno, si era sempre riservata l'autocommiserazione per se stessa fra le tende del baldacchino in dormitorio. Le lacrime di rabbia sfuggivano di tanto in tanto, ma potevano essere camuffate per bene con un atto di forza o una prevaricazione. Qui si trattava di sconfitta, una sconfitta bella e buona, culminata con un conato di vomito.
«Mi dispiace» disse. Suonò un po' come un urlo soffocato dai singhiozzi, generato dallo sforzo di far uscire la voce in mezzo al pianto e dall'ubriacatura. «Per tutto. Mi dispiace per tutto.»
Confusione di visioni, di frasi, di concetti. Tutto ciò che la sua piccola mente aveva elaborato nel tempo, dalle emozioni sedate alle intuizioni meno piacevoli messe da parte, si erano raggrumate con l'alcol in un'unica enorme palla indigeribile, e il senso di colpa, la coscienza di quanto detto e fatto che prima per orgoglio non era stato valutato alla stessa maniera, la tradusse in micidiale sconfitta.
«Sono una fidanzata di merda.» Si portò una mano al volto, non per asciugarsi le lacrime che avevano fatto diventare le luci della città un insieme di macchie colorate sui suoi occhi, ma per coprirsi. «I-io non posso stare con nessuno» continuò, singhiozzando. «Non posso. Non ce la faccio, non ce la faccio. Sempre, sempre così.» Si raggomitolò e schiacciò le cosce contro il ventre dolente. «Sempre, sempre così. Io non posso avere nessuno, tutti mi odiano quando mi conoscono. Tu mi odi, Drinky mi odia, i Grifondoro mi odiano, le suore mi odiano, e anche Midnight, perché faccio schifo e faccio male le cose. Non so fare niente, non so fare stare bene nessuno, non so dare a nessuno ciò che vuole e non so fare nemmeno le magie perché ho troppa paura di non riuscire a farle.» Biascicava, singhiozzava, ripeteva le stesse parole e gli stessi concetti. Si allontanava da lui col corpo, spingendosi contro il container e dal lato opposto. Né voleva farsi vedere in volto, tanto debole e sconfitta. L'unica briciola di orgoglio che si permise, poiché il resto se lo strappò di dosso. A quel punto glielo doveva.
 
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view post Posted on 8/4/2021, 17:11
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Non ti preoccupare. Camillo si rivelava un vero e proprio incompetente quando arrivava il momento di rassicurare le persone in difficoltà. Se in ballo c’era il futuro della sua relazione con Casey, poi, proprio non ce la faceva a liberarsi del peso che la propria disabilità gli smollava sulle spalle. Consigliare a qualcuno di non preoccuparsi quando era preoccupato generalmente causava l’effetto contrario. Consigliarlo a qualcuno ubriaco era ancor più controproducente. Erano le basi. Ma in fin dei conti, quando si parlava di emozioni e di empatia, le linee guida avevano ben poco da imporre, per ovvie ragioni. Ognuno a modo suo era diverso; con ognuno lui aveva un rapporto di diversa natura; nel tempo aveva imparato come trattare con Casey, quando il mondo per lei diventava un posto ostile e le prospettive che le si spiegavano davanti divenivano via via più deprimenti, un singhiozzo dopo l’altro ed una lacrima alla volta.
Tu non sei una fidanzata di merda. Sei una buona fidanzata. Provò a spiegarle con calma, parlandole come si fa con i bambini, mentre si sedeva vicino a lei, senza però confortarla con abbracci e carezze. Comprendeva avesse bisogno dei suoi spazi e non gli piaceva l’idea di essere respinto. E’ che siamo all’inizio e abbiamo bisogno di tempo per poterci sintonizzare. Ma se alla prima incomprensione senti di voler gettare tutto all’aria, non c’è speranza di maturare come coppia.
Breendbergh cercò di esprimersi al meglio delle sue possibilità. A differenza dell’altra lui non aveva bevuto abbastanza da perdere la propria lucidità, ma i pensieri erano comunque offuscati dal terrore di essere abbandonato. Anche per quella ragione scelse il modo più incisivo per comunicarle il suo punto di vista, a costo di risultare severo, nella speranza che Casey gli prestasse attenzione e potesse elaborare ciò che giungeva alle sue orecchie. Ubriaca o no, in qualche modo sarebbe riuscita a dare un’interpretazione a quel discorso, ne era certo.
L’olandese si grattò la punta del naso con la nocca dell’indice destro, cercando di esorcizzare la visione di Casey che vomitava. Un brivido gli percorse la schiena, dal basso verso l’alto, dall’osso sacro alle vertebre cervicali, friggendogli per un istante il cervello, per poi essere scaricato da una vigorosa scrollata di spalle. Si era domandato come un corpo così piccolo avesse potuto espellere una tale quantità di cibo ed alcol digeriti a metà, ma poi gli era tornato in mente quel drink osceno che avevano ordinato. Bingo, pensò.
Senti, stai facendo del tuo meglio, ma prima di star bene con qualcuno forse dovresti imparare a star bene con te stessa. Riferì un po’ distratto, mentre con gli occhi andava in cerca di qualcosa da poter trasfigurare. Escluse a priori tutto ciò che permetteva all’impianto di areazione di funzionare e fece lo stesso con qualunque elemento fondamentale per tenere in piedi la baracca. Poi lo sguardo si adagiò su un grosso blocco di cemento staccato da terra e stimò potesse andar bene, tutto sommato. Imparare a fregartene intendo, come gli altri se ne fregano di te. Continuò alzandosi. Si avvicinò al blocco di cemento e puntò la bacchetta, creandosi l’immagine mentale di un divanetto senza pretese estetiche, ma abbastanza ampio per poter accogliere entrambi comodamente. In fin dei conti l’oggetto di partenza era abbastanza voluminoso da poter fare al caso suo. Si concentrò sulla morbidezza dell’imbottitura del divano ideale, che cozzava un po’ con la rigidezza del parallelepipedo grigio, ma si impegnò quanto più possibile per ovviare al problema. Poi pronunciò sottovoce la formula “Cùbile”, marcando l’accento sulla u. Ottenne così un posticino a sedere per due, più o meno confortevole e pratico, anche se peccava nella sua estetica.
Raggiunse Casey, si abbassò per poterle ficcare un braccio a forza dietro la piega del ginocchio, l’altro a sorreggerle la schiena. Scommetto che nemmeno a te piace stare rannicchiata per terra, non è così pepita? Tagliò il discorso precedentemente iniziato con quell’innesto ironico, così da lasciare un po’ di tregua alla sua ragazza, mentre volente o nolente la sollevava da terra per poterla spalmare sulla sua ultima e grandiosa creazione. Era fin troppo leggera per i suoi gusti, pianificò di farla ingrassare a tempo debito.
Tipo, cosa vuoi che gliene freghi a Dorian di te? Sei una studentessa come tante altre, poi immagino abbia i cazzi suoi a cui pensare. Cercava di farla ragionare e cercava di non farla traballare troppo, onde evitare inconvenienti di natura vomitosa. Non so cosa francamente, probabilmente tra una lezione e l’altra gestisce un paio di palestre dove le streghe anziane vanno a fare pilates per non perdere quel poco che resta loro delle anche. Sai quanto si lamentano quelle? Avrà un diavolo per capello.
Poi si sedette lentamente, stendendo Casey così che potesse stendere le gambe sulle sue. A quanto pareva il divanetto non era poi tanto morbido quanto pensava, ma se non altro i cuscini donavano un po’ di sollievo alle sue chiappe stressate.
I Grifondoro ti vogliono bene. Sei il loro prefetto e non mi sembri tutta sta gran rompipalle. Noi vogliamo bene ai nostri prefetti, al di là di qualche battibecco, che per carità diddio ci sta, ma sarebbe strano non ce ne fossero.
Poi si prese un attimo per riflettere, cercando di non trasmettere alla sua amata il proprio disagio interiore. Finalmente Casey aveva parlato delle suore, donandogli un indizio sulla sua condizione. Camillo era il tipo che si lamentava spesso dei propri genitori, così come ogni ragazzo adolescente. L’altra, al contrario, tendeva ad essere molto riservata sulle questioni che riguardavano la propria famiglia, tanto da aver destato qualche sospetto in passato; un’idea se l’era già fatta. Del resto il tassino, pur non essendo un genio, non era mica sordo e cieco.
Io non ti odio. Non posso dire lo stesso di Drinky e delle suore, visto che non me ne hai mai parlato. So solo che nessuno nasce perché deve compiacere gli altri, per conformarsi ad uno standard, per essere ammirato e desiderato. Alcuni lo fanno perché scelgono di farlo, ma sappiamo entrambi che non è la cosa migliore per te. Tu hai solo bisogno di essere te stessa e di esserlo senza sentirti eternamente in colpa. Al netto di ciò, chi decide di starti vicino ha tanto da guadagnarci e agli altri dovresti dire vaffanculo.

 
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