Si sollevò in punta di piedi, cercando tra la fiumana di passeggeri un varco per potersi avvicinare al treno. Se rimaneva lì c'era il rischio che Gwen non la vedesse, nascosta come era tra teste più alte della sua. Venne urtata più di una volta, ma non vi prestò attenzione, intenta com'era nella ricerca di una figura che, infine, riuscì a individuare.
Il volto si illuminò in un sorriso istintivo che accolse lo sguardo dell'altra. Non era cambiata di una virgola, pensò mentre ancora gli sconosciuti le impedivano di muoversi se non a singhiozzi. Forse il suo viso era più maturo, ora che si erano lasciate l'adolescenza alle spalle, ma ciò che vi leggeva corrispondeva perfettamente alla Gwen che aveva conosciuto per tanti anni. E quando l'ex Grifondoro tracciò con decisione la propria strada verso Jolene, quest'ultima non poté fare a meno di osservare quanto quella corsa improvvisata fosse perfetta per il suo carattere.
Lei stessa avanzò di alcuni passi, prima di allargare le braccia ed essere travolta dal calore della vecchia amica. Ricambiò l'abbraccio con il medesimo affetto, nascondendo tra i riccioli dell'altra un sorriso che non cessava di ammorbidirle i tratti. Aveva nutrito, nei giorni precedenti, il timore che quell'incontro avrebbe lasciato entrambe deluse. Non sarebbe stata la prima volta che due vecchie conoscenze non hanno più nulla da condividere dopo un periodo di assenza, faceva parte del normale corso delle cose. In quell'istante, però, sentì distintamente le parole accavallarsi sulla punta della lingua: domande, osservazioni, ricordi, progetti, tutti spingevano con l'impazienza di ciò che è stato trattenuto troppo a lungo. C'erano state le lettere, certo, ma per quanto tendesse a vergare le prime parole che le venivano in mente, come nella naturalezza di una conversazione, il fatto stesso di dover scrivere descriveva una distanza incolmabile, tanto nello spazio quanto nel tempo. Una distanza che ora era stata annullata.
«Sono contenta di rivederti, mi sei mancata», rispose sinceramente una volta che si furono staccate. Sentire il soprannome che lei le aveva dato le fece tornare in mente più che mai gli anni della scuola, avvolti in una nebbia di dolce malinconia.
«Come è stato il viaggio? Spero che tu non abbia preso uno spuntino, perché a casa ci aspettano pasticcini assortiti per un intero reggimento.» Era stata premura di Virginia, madre di Jolene, predisporre un intero banchetto in occasione dell'arrivo di Gwen.
«Vuoi una mano con la valigia?», domandò, in procinto di avviarsi verso l'uscita. La stazione era decisamente troppo rumorosa e affollata per parlare in pace.
«Ancora non ci credo che resterai davvero qui», le confidò, lo sguardo brillante e la voce risuonante di allegria. Sarebbe stato bello averla lì, poterle parlare del più e del meno così come dei pensieri che ancora stentava a condividere con anima viva. La verità era che, a dispetto del suo carattere solare e aperto, Jolene manteneva sempre una certa distanza dal suo interlocutore. Aveva un'idea precisa di cosa ci si aspettava da lei, e la responsabilità di mantenere credibile quel ruolo le costava parte della sincerità. In Gwen riponeva la propria fiducia come in pochi altri, così la sua compagnia diventava doppiamente preziosa.
«Come l'hanno presa gli altri? Non deve essere stato facile salutarli, ma credimi, ti piacerà moltissimo qui. Londra è...» Esitò, incerta su come condensare in un'unica parola il dedalo di possibilità che era la capitale, così caotica ed accogliente allo stesso tempo.
«...immensa.» Non dubitava che Gwen vi avrebbe ritagliato uno spazio tutto suo, una realtà che avrebbe riempito al meglio delle proprie capacità. Anche Jolene, a modo suo, era a casa in quel mondo. Il suo spazio era piccolo, circoscritto al suo appartamento e ai pochi affetti su cui poteva contare, e talvolta se ne sentiva soffocata; ma non ci pensò in quel momento, quando tutto ciò che voleva vedere - e trasmettere all'altra, al meglio delle sue possibilità - era il lato illuminato della medaglia.