Armonia, il NaufragioL'acqua della vasca aveva perso ogni tepore iniziale, il vapore aleggiava lentamente come l'ultimo tra i sopravvissuti e quando prima l'uno e poi l'altro bagnante salirono in superficie, perfino la scintilla di un incanto romantico si era disciolta al pari di una perla di sapone rappreso. Si ritrovarono insieme, a sostegno comune, mentre la calma dei loro corpi veniva a mancare: come un brivido di freddo sulla pelle scoperta, come l'accappatoio troppo distante, come la confusione fra i detriti di un tetto in cedimento. Seguì lo sguardo verso l'alto, la struttura dell'appartamento vibrava di un'onda d'urto che non aveva mai sperimentato fino a quel giorno; di pari passo giunsero le prime voci, le grida tuttora ovattate, e il pericolo scivolò nella stanzetta da bagno come il peggiore tra gli invitati.
«Resta vicino.» Il commento in un sussurro, il proprietario del monolocale già guardava tutto intorno; cercava il sentore di origine, l'oltraggio al suo incontro più atteso, e in fretta le pareti rivelavano alla sua attenzione una ragnatela di crepe fin sotto il cemento smacchiato. Si piegò leggermente in avanti, superò la vasca da bagno ancora colma di schiuma e di petali in fiore, e quando l'indice sfiorò il muro frontale, si accorse di come l'increspatura fosse reale a tutti gli effetti.
«Non so cosa diamine stia accadendo, ma dobbiamo andare via.» Colpì con la bacchetta il proprio petto, asciugandosi all'istante e attirando a sé i primi abiti; stava per compiere lo stesso nei riguardi dell'altro ragazzo, quando le sue mani furono strette convulsamente. L'espressione di sorpresa del proprio volto fu immediata e a dispetto del dramma che si stava concretizzando, il Mago perse ogni cognizione alla consapevolezza finale di aver ottenuto un primo gesto spontaneo da parte dell'amante.
«Stringimi.» Ascoltò la voce del ragazzo, la bocca si increspò in un sorriso prezioso, e quando i loro corpi si ritrovarono, lasciò che il palazzo cedesse su se stesso pezzo dopo pezzo: perché lui, con il volto poggiato sulla spalla della persona più cara, non chiedeva altro. Mentre il pavimento scuoteva le fondamenta dell'appartamento, i suoi occhi si chiusero delicatamente per un solo lungo andare, e la vista del narciso tatuato sulla pelle del suo ragazzo divenne l'ultimo tra i ricordi più belli.
Santuario, l'ArcanoGiaceva disteso a terra in una pozza di sangue: la testa reclinata di lato, gli occhi spalancati e fissi sul vuoto, la pelle scottata in più punti. Scomposto, come una bambola di porcellana pienamente infranta, il primo dei tre intrusi annullava se stesso e si lasciava andare lentamente all'oblio più sicuro. A pochi passi indietro, gli altri due Stregoni stringevano le bacchette magiche fino a vedersi le nocche sbiancare; un ampio scudo perlaceo attingeva alle loro energie come autentica barriera e tuttora si chiedevano, agli sguardi comuni, come avessero potuto intaccare in un errore così da principiante. Abbandonarono il corpo dell'amico alle loro spalle, avanzando cautamente. Continuarono in silenzio, il tempo di gridare si era appena dissolto, e il timore di cadere vittime delle trappole di quel misero appartamento pulsava nel petto come la più infida sensazione. L'esplosione delle finestre, il boato di una miccia, il tetto ancor più in alto di tutti loro, ogni cosa diventava meschina nel suo insieme; la confusione, invece, cresceva di pari intensità. Conoscevano Aminia fin dal primo giorno, e già all'incontro di un accordo tenuto in segreto avevano imparato a non sottovalutarlo: più si spostavano nel suo appartamento, più avevano certezza di come quasi ogni angolo tra quelle pareti fosse stato compromesso con protezioni, scudi e insidie magiche. Ovunque era un tappeto di detriti, frammenti di vetro e cera disciolta, e le candele - alcune accese, altre tuttora spente - circondavano ogni più piccolo movimento. Il Mago sulla destra si arrestò improvvisamente e strinse il braccio del vicino; l'ultima stanza di quel luogo avrebbe dovuto mostrare il bagno e quando la serratura scattò all'avvicinarsi della bacchetta dello Stregone, la porta scomparve su se stessa in uno scricchiolio appena percettibile. Al suo posto, una sola imponente parete, a cancellare ogni precedente ingresso.
«Maledetto bastardo.» Il secondo Mago si liberò dalla presa del compagno e sferzò l'aria con la bacchetta.
«Reducto»Il pavimento tremò, il tetto cominciò a cedere a sua volta, e le grida all'esterno - lungo tutto il piano - arrivarono anche in quel punto. Il muro di fronte, come previsto, si sgretolò su se stesso e al suo posto apparve una soglia a condurre ad uno stanzino pari ad un laboratorio. L'odore di cera si consumava alle restanti fiammelle, sembrava di primo acchito fra tutte le sue candele un altare di una religione profana, ma ad un fascio di luce dalla bacchetta dei Maghi fu chiaro ad entrambi che quel posto fosse tutt'altro che una cantina. La cera scivolava in ogni punto, fino a ricoprire lo stesso pavimento. La luce soffusa, al velo leggiadro di incantesimi degli intrusi e dei moccoli tutto intorno, rischiarava un ambiente di per sé sinistro, stretto e sorprendente: scaffali pieni di ogni forma di candela, poca mobilia, un tavolo da lavoro al centro; un baule dai ricami dorati in superficie attirò l'attenzione dei Maghi. Trattennero entrambi il fiato, puntarono la bacchetta verso la struttura, ma si accorsero repentinamente di come fosse loro impossibile attirarla con la magia.
«L'abbiamo trovato.»«A costo di distruggere tutto, quella torna con noi.»Il primo Mago strofinò con l'indice un anello che aveva alla mano, dopo un'occhiata con il collega. Si affrettarono così verso la scatola. Poco più dietro, nessuno dei due aveva ancora notato un corpo disteso, in penombra: un ragazzo di aspetto giovanissimo, con un abito scuro lungo tutto il corpo, gli occhi chiusi, la mano destra scoperta; sulla stessa, una candela bruciava la sua cera in un folgore stregato.
Nebbia, il Richiamo[Maurizio, Trevis, Kim]Le volute di fumo si propagavano ormai a vista d'occhio, si stringevano l'una all'altra come amanti in dissolutezza e lentamente salivano al soffitto, scivolavano sulle pareti, spiravano ovunque. Era un soffio persistente, dal baluginio biancastro e poi grigio, mentre altri detriti si staccavano lungo le mura e il palazzo invitava insistentemente alla fuga. Maurizio (
M) riuscì a teletrasportare se stesso in un punto ben più in alto - e distante - di quanto fosse stato possibile considerare senza l'ausilio della magia: quando rinnovò il proprio equilibrio, scoprì che gli altri due colleghi della pattuglia di Auror e Antimaghi avevano seguito il suo esempio. Alle loro spalle, una parte della parete rovinò su se stessa, spinta da una scossa tanto vivida da scuotere le fondamenta; non era il caso di restare in quel luogo più di quanto non fosse strettamente necessario e mentre il fumo dell'esplosione ripetuta giungeva dai piani superiori ad inondare tutto il pianerottolo raggiunto, i Maghi avrebbero potuto notare di essere ormai in prossimità di nuove porte: la più vicina era già spalancata, affacciava su un salotto tappezzato di fiori dove non sembrava che ci fosse più qualcuno. Sulla sinistra, di lato opposto, un'altra porta era già aperta e un corridoio al buio era tutto quello che si vedeva di primo acchito. Si stagliava infatti una riflessione ancora involontariamente tenuta in disparte rispetto al resto: il palazzo era a tutti gli effetti
abitato. Ad un movimento di bacchetta da parte di Trevis (
A1), si ripristinò così una migliore visibilità e il fumo cominciò a ritirarsi su se stesso: rivelò i contorni più prossimi dei gradini delle scale al centro esatto della struttura e subito dopo le restanti abitazioni lungo il pianerottolo sulla destra e quello sulla sinistra; tra l'uno e l'altro si contavano ben più di cinque porte, ad occhio e croce, ma sembravano tuttora in silenzio. Il fumo dei piani superiori si stava ancor più ritirando, ben presto la visuale sarebbe stata ottimale, e già dalle scale più in alto si intravedeva una figura piegata su se stessa: il braccio sollevato a copertura di bocca e naso, si vide presto essere un ragazzo piuttosto giovane. Un passo fuori da ogni controllo, il corpo scosso dai colpi di tosse e di scatto rovinò sulle scale, perdendo conoscenza. Quasi come se il fumo avesse ovattato le voci restanti, finalmente i suoni cominciarono a distinguersi al calare dell'esplosione e dei detriti in dissolvenza, e il palazzo cominciò a scuotersi - questa volta - di grida di aiuto: dai piani superiori, perlopiù, si sentivano passi di corsa. Kim (
A3) portò lo sguardo verso l'alto e nell'esatto momento un odore acre, asettico e così simile al gas cominciò a scivolare lungo tutto l'ambiente. Dall'ultimo appartamento sulla sinistra di quello stesso piano, invece, un'esplosione attirò immediata attenzione.
Ofide, il Tradito[Killian, Aiden, Mìreen, Magalli, Sirius] [tutti]La cupola intrisa di magia difensiva fu vinta da un ultimo bagliore e lentamente, portandosi all'estremo di ogni potenziale, governò la minaccia peggiore in pioggia dai cieli: le prime macerie si dissolsero come al soffio del vento, i detriti più piccoli scivolarono sull'insieme di scudi fino ad eclissarsi al vuoto, e i blocchi più grandi ne intaccarono la superficie istante dopo istante. Si spezzò in uno scatto fulmineo, e tuttavia così atteso: il peso era eccessivo anche per tutti loro, per l'uno e l'altro Stregone in adempimento costante, e quando l'esplosione parve acquietarsi dalla cima del palazzo frontale, lo stesso discorso non giunse in valore per la folla più in basso. La piazzetta tremò su se stessa, fino alle fondamenta, mentre le pietre cedevano e cozzavano tra di loro, l'una verso l'altra in una corsa frenetica sempre più nitida. I primi sortilegi si adagiarono come soluzioni altrettanto immediate e quando le macerie si arrestarono in cielo (
K; A), in parte scomparvero (
an3), mutarono in farfalle (
L) destinate ad un primo e ultimo volo, altrove scivolarono in una cascata improvvisata (
S), finalmente l'ambiente circostante parve trarre sollievo vero e proprio. Le ultime ferite da parte delle macerie non riuscirono a scalfire - sui corpi già scossi dei liberatori - la certezza di aver salvato più di una vita: qualcuno era stato colpito in pieno, altri di poco, in generale i passanti al centro del Villaggio stavano finalmente diminuendo. Il campo improvvisato per feriti sul limitare della piazza, il via vai di fuga veloce, infine il pronto soccorso di molti tra i presenti, i negozi con le porte aperte, tutto continuava a favorire una vera e propria sicurezza. Poco più indietro dal punto in cui la cupola protettiva aveva saputo reggere fino a quel momento, un'ulteriore esplosione attirò l'attenzione dei molti: un carretto veniva divelto su se stesso, i petali di narcisi abbandonati alla rinfusa. Ma prima ancora di poter prendere provvedimenti e cercare di capirvi qualcosa, il palazzo si pose nuovamente in risalto: il fumo si disperdeva sempre più e favoriva una visuale migliore fino ai piani più in alto; tra gli ultimi detriti in caduta, dalle finestre - distrutte o meno che fossero - si affacciarono i primi volti. Apparvero come spiriti abbandonati, perfino da quella distanza già nitidamente pallidi, la paura come filo d'insieme assoluto: si sporgevano oltre, stringevano le mani al davanzale delle loro stesse abitazioni, qualcuno si affacciava perfino più del dovuto.
«Aiuto» gridava il primo.
«Aiutateci, per favore» suggellava il secondo.
«Siamo qui, vi prego.»Invocavano soccorso immediato, qualcuno già correva verso le scale e qualcuno, intrappolato sui gradini più compromessi, si accorgeva di come la strada principale fosse stata compromessa. La magia avrebbe potuto essere soluzione per tutti loro, ma la paura diveniva costrizione vivida. Il pianto di un bambino, e di un altro, e di un altro ancora; il pianto si disperse come l'anticipo di una tragedia. Ma il palazzo, al suo interno, esigeva controllo: più di una promessa era stata compiuta.
Pensiero, il Gomitolo[Daddy, Betterson]Apparve come una geometria d'incastri, le macchie di colore desertiche, il giallo a rimirare il ricordo di un sole in pieno potere: i narcisi furono i primi a volare dalle braccia del suo venditore, poi toccò alle delie e infine alle fresie più accese; quando il profumo intenso - dolciastro e amaro di pari percezione -pizzicò il naso dell'ambulante lì di corsa, l'ultimo suo pensiero andò ad una bambina dagli occhi dello stesso colore del mare, i boccoli d'oro lucente, la bocca rossa e piena.
«Piccola mia» fu tutto quello che salì in gola, e le parole morirono lì, proprio sul nascere. L'esplosione (
D) giunse come inaspettata, fuori da ogni controllo - il palazzo, già pensava qualcuno, era da tutt'altra parte. Quando il carretto andò in pezzi, il legno bruciò sotto l'onda d'urto della magia più combattiva e il sangue si propagò a vista lungo il petto del venditore. Perse i sensi, capitombolando al suolo insieme ai suoi fiori, e c'era del sorprendente in quell'ultima scena. Qualcuno nei dintorni ne rimase colpito a sua volta, qualcuno già ferito, mentre rapidamente le voci gridavano al pericolo perfino in quel punto, non troppo distante dalle porte di Zonko. Così si poneva una prima domanda: Daddy aveva agito d'istinto o di riflessione? Si ritrovò al centro di una folla, sotto gli occhi di molti, e quando il primo sortilegio giunse di spalle - come il più meschino tra gli attacchi -, una serie di catene si strinse velocemente alle gambe, al petto e alle braccia, fino a spingerlo a terra. Senza preavviso, senza chiarimenti, la sua azione era stata tanto tempestiva quanto fuori controllo: alla mercé del palazzo compromesso, l'allerta era cresciuta nel giro di pochi istanti. Betterson (
A2), infatti, aveva abbandonato di scatto la postazione poco più avanti e puntava tuttora la bacchetta contro il Caposcuola Corvonero.
«Cosa ti prende?» fu tutto quello che chiese, osservando il venditore gravemente ferito. Ma la domanda dell'Auror giunse come da lontano, quasi ad un fil di voce; al suo posto, un tono familiare tra i pensieri del Legilimens. Risultò come un discorso spezzato, in principio: «
...distribuire» fu l'unica chiara parola.
«
...prima che ci scoprano tutti... entro io... tocca a voi»
Più di una parola avrebbe fatto la differenza. E in effetti, era poi stato così in errore? Oppure c'era più di una spiegazione?
La vocazione attingeva al suo volere, questo da sempre,
mentre le catene strisciavano al petto.
Carnefice, l'Invocato[Jolene, Medimaghi, Raves]La conferma di prendere parte ai salvataggi parve tanto irrisoria quanto passeggera, per l'una e l'altro già all'opera; nella frenesia della fuga in corso, mentre più di un passante si stringeva al vicino e mentre le prime ricerche dei dispersi riprendevano nell'infinita confusione, la coppia di Medimaghi (
mx1; mx2) si era già portata oltre, il cenno di assenso della collega era stato sufficiente.
Da parte propria, Jolene (
J) aveva saputo trovare una via libera fra le figure che la circondavano e lentamente, sempre più a fatica, avanzava verso la promessa dei campi allestiti sui limitare della piazzetta del Villaggio. La bacchetta si poneva a guida propria e del ferito al suo fianco, ma quando le macerie alle sue spalle violarono in parte la protezione di scudi, apparve chiaro per molti tra i presenti che il più imponente tra i massi avrebbe presto guadagnato nuove vittime. Il blocco di pietra - rettangolare, smussato, una parte di tetto con ogni probabilità - era una lastra così spessa da raggiungere i tre metri di larghezza: ad un attimo dal proprio impatto al suolo, fu involontario - del tutto istintivo - l'azionarsi di un manufatto della stessa Infermiera di Hogwarts. Si realizzò nell'espressione di un sortilegio incauto, in espansione costante, al pari di un reticolo appena percettibile: l'Anello Difensivo agiva di per sé, a sfidare il pericolo prossimo. Il cemento rovinò su se stesso, comprimendosi e ritirandosi fino ad un ultimo scintillio di polvere e detriti. Poco più avanti, Jolene si imbatté a quel punto in un gruppetto di Maghi in camice: il verde chiaro, lo stemma ricucito sulla divisa, le mani velate da guanti, le bacchette impugnate come bisturi: la pattuglia di Medimaghi - tre, quattro, se ne contarono infine sei in tutto per il momento - era infine arrivata.
Una donna poco più avanti (
an2) chiamò in fretta.
«Da questa parte, da questa parte, la prego»Un Medimago seguiva l'Antimago di rientro dal San Mungo - l'ordine dell'Ispettore Resween era stato così ultimato - e ad un cenno rapido cominciò ad occuparsi del ferito trasportato da Jolene: apparve come una scena strana, tutto sommato, fin quando pochi passi più avanti fu chiaro che
quel paziente non fosse così grave. La schiera di Medici era alle prese, infatti, con feriti ben più complessi: distesi su brandine improvvisate, ancora al centro della piazzetta, si vedevano due donne, tre uomini e due bambine, tutti privi di sensi. Un velo bianco andò a coprire l'ultima delle due e così il Fato cominciò il conto delle sue vittime.
«Serve aiuto!» Il grido di un Medimago incontrò l'attenzione di Jolene. Ai suoi piedi, pezzi di un carretto distrutto; tra le sue braccia, invece, un ragazzo completamente insanguinato, il petto squarciato da un'asta di legno, il corpo in convulsioni continue.
Mortifero, il Solo[Issho, Memory, Gwen]Priscilla, in tutta risposta alla gentilezza del Mago (
I) si strinse con più forza al corpo dell'altro; non piangeva più, il volto era una maschera di terrore e si era spinta con tutta se stessa tra i vestiti del Ministeriale: aveva il respiro difficoltoso, tremava tuttora. Sembrava dire qualcosa, l'una e l'altra parola in ripetizione costante, e quando fu chiaro il discorso che stava compiendo, la sola frase parve stabilizzarsi come un motivetto di una canzone senza fascino.
«Non aprire gli occhi, non aprire gli occhi, non aprire gli occhi» recitava la piccola, e di pari modo premeva il viso sul corpo di Issho. Non aprire gli occhi, così spiegava sempre suo fratello: e se funzionava per il buio, avrebbe potuto valere anche per tutto quello che stava accadendo, ne era convinta. Non aprire gli occhi, diceva.
«Priscilla!»Un grido, un suono, una voce più forte di ogni detrito, di ogni materia, di ogni esplosione: il sostegno delle due Tassine (
G; Y) risultò necessario in quei momenti, e quando il gruppetto si uniformò per raggiungere il più in fretta possibile le tende in sicurezza, il nome della bambina fu chiamato ancora e ancora una volta. Tra la folla, ora che tutti loro si erano spostati maggiormente, si scorgeva un corpo di un giovane disteso tra i passanti. Una donna cercava di tirarlo verso l'alto, ma il ragazzo era fin troppo compromesso per riuscirvi. Aveva allungato così una mano e con le ultime forze - colpito dalle macerie, insanguinato e spossato - attirava attenzione della bambina.
«Priscilla, Priscilla!»Non aprire gli occhi, ripeteva la bambina. Quando la voce raggiunse anche lei, si staccò di scatto da Issho e si guardò attorno con l'espressione più preoccupata. Aprì gli occhi, questa volta, e ritrovò tra la folla a qualche metro di distanza la figura del ragazzo.
«Jamie» gridò a sua volta. Si strinse il vestitino che indossava quel giorno e guardò con insistenza Issho, Memory e Gwen.
«Mio fratello, è mio fratello!»Non c'era più tempo e si delineava così una scelta evidente: procedere dritti verso i campi allestiti oppure virare di lato, a proprio rischio e pericolo. Il palazzo non era ancora al sicuro.
Andava fatto, si era ripetuta. Non era seguace di nessuno se non di se stessa e il Fato aveva comunicato il suo verdetto già prima dei tempi. Cassandra lo sapeva. Cassandra vedeva. E tanto bastava per rendere meno pesante quel fardello che portava con sé,
a scorticare anima e corpo.
Vestiva di rosso, eccentrica, sibillina, lei che era profanatrice di vite.
Ma le donne non erano innocenti, quelle donne non erano vittime.
E vinte che furono, per Cassandra non ci sarebbe stato motivo di riepilogo, non una revisione dei conti. Avanzò, con gli strascichi di sortilegi e malefici che ancora avvinghiavano la sua esile figura.
Mancava poco, mancava relativamente poco.
Mormorò una formula che si stagliò, netta e dolce, al pari di una litania, mentre le dita della mano destra sfioravano il petto.
Estratto, il PassatoCorteccia, il Fondamento[Oliver, Jerkins, Rowena]L'Antimago (
an1) aveva ricevuto un compito ben preciso: proteggere il ragazzo, stare al suo fianco a dispetto di ogni cosa, non perderlo di vista. Il suo Ispettore era stato chiaro e fino a quel momento, mentre il palazzo implodeva nei suoi piani superiori, l'onda d'urto non aveva effettivamente colpito lì dove si ritrovavano: scorgere il Veggente tra la folla non era stato difficile, la pattuglia ne era al corrente e il corso aveva posto i suoi incontri. Alle parole insistenti del ragazzo (
O), tuttavia, per Jerkins fu chiaro di dover prendere una decisione da sé, nell'immediato: l'istinto iniziale lo obbligava al controllo assoluto, a porsi come un ostacolo vero e proprio, dirigendosi - come da programma - verso il campo dei feriti; ma c'era una parte di sé che aveva timore e rispetto di un potere che non aveva modo di comprendere e quando si guardò attorno, alla folla in dissolvenza crescente, la risposta di diniego morì in gola. Strinse il braccio del ragazzo e ad un cenno del capo cominciò a camminare in tutt'altra direzione: poco più avanti, il negozio di Mielandia accoglieva l'ultimo dei passanti con uno scampanellio delle porte così atipico in quella situazione.
«Stammi vicino, per qualsiasi ragione al mondo. E spiegami meglio.»C'era un filo da tirare, un altro da stilare, infine l'ultimo da tagliare di netto; un filo superiore, un ordine insistente, l'uno e l'altro a richiamare quanto ormai in corso. Il palazzo, lì vicino, finalmente apparve più silenzioso, le esplosioni erano finite, i crolli pure; raggiunta Mielandia, non c'era altro che una folla affacciata alle vetrine dall'interno, l'uno stretto all'altro. Era un posto sicuro, protetto magicamente, e il signor Ambrosius - il proprietario - ne era al corrente. Il profumo dolce del cioccolato parve altrettanto fuorviante in quei momenti e Jerkins cominciò a guardarsi attorno, come alla ricerca di una spiegazione. Non c'era nulla, tutto sommato, né per l'Antimago né per il Caposcuola. Dalla vetrina, una serie di facce seguì i loro movimenti, qualcuno già chiedeva di aprire le porte per far entrare nuovi passanti alla ricerca di riparo. Mentre una signora si spostava all'interno del locale, un'altra la superava di poco e si portava alle vetrina: capelli lunghi e di un rosso vivido, stretti da una corona di rametti e bacche di tempra vivida; un abito lungo e scarlatto le cingeva la figura minuta, le braccia erano scoperte ad eccezione di qualche bracciale dorato, e quando sollevò lo sguardo sulla coppia di maghi al di fuori del negozietto, la mano destra salì a sfiorare la vetrina.
Li stava aspettando.
«Erecto»Un colpo di bacchetta, la magia così gonfiava una tenda dopo l'altra, e il campo per i feriti si realizzava sempre più velocemente; le brandine erano ormai di numero sufficiente, i Medimaghi erano già all'opera verso le prime postazioni, e con loro arrivavano in volo anche maghi e streghe colpiti dalle macerie di poco prima. Rowena (
R) poteva avanzare liberamente, scivolare tra l'uno e l'altro nei dintorni, la disillusione la rendeva impercettibile - per il momento - nella confusione crescente; tuttora non erano chiare le sue intenzioni, ma se fosse stata alla ricerca o meno di qualcosa, la strada allora era già più solitaria nel suo caso: c'era bisogno di aiuto, lo si vedeva, a maggior ragione con il palazzo tornato stabile sul fondo della piazzetta. Ai suoi piedi, ovunque spingesse lo sguardo nei dintorni più vicini, la Strega avrebbe potuto vedere tanti fiori - perlopiù narcisi gialli - dispersi senza ordine apparente: il passaggio del venditore aveva ottenuto un punto d'arresto poco più avanti. I narcisi erano già stati calpestati più volte e il loro profumo si era disperso all'aria, ma c'era qualcosa che attirava l'attenzione: i petali custodivano una lucentezza tutta propria, erano di un'ocra sempre più intenso e parve per un attimo che brillassero appena.
[tutti]Mentre più di un'azione avveniva allo stesso tempo, il palazzo si spegneva su se stesso e tornava ad essere un blocco di terra e cemento; i visitatori del Villaggio si erano ormai quasi tutti ritirati, ne restavano pochi, i feriti continuavano ad essere portati al sicuro. L'aiuto era stato favorito da un intervento tempestivo dei più e c'era del sorprendente per quel minuto gruppetto di soccorritori: se non fosse stato per un olezzo fastidioso, crescente, sempre più forte a pizzicare le narici dei più, ci sarebbe stato quasi da festeggiare. Ma ogni cosa era in divenire, il Futuro intrecciava e liberava le sue trame, infine già scriveva se stesso: chi di dovuto, avrebbe capito; chi aveva ascoltato quelle parole, chi aveva vissuto la Profezia,
sapeva. L'odore di gas si propagò in fretta: all'interno del palazzo era sempre più intenso, fuori l'ingresso cominciava appena a percepirsi, sul limitare della piazzetta non era ancora arrivato. Il nastro si riavvolgeva e la terra già insanguinata tremò su se stessa alla scossa di un terremoto senza ragione: l'asfalto cominciò a vibrare fino a rivelarsi nelle sue prime crepe, senza un apparente punto d'origine; alcuni cadevano, altri resistevano, era un terremoto che coinvolgeva l'intera piazzetta, estremo ancor più al suo nodo centrale. Non era possibile, non era previsto. I primi a sprofondare furono i bambini, le mani così piccole scioglievano l'intreccio con quelle degli adulti; seguirono gli altri, il disordine raggiungeva perfino i confini più distanti.
Fino a quanto, sembravano chiedersi.
Non aprire gli occhi, sussurrava qualcuno.
«Prima del fischio del Treno in arrivo, la Cera esigerà il pegno di un patto;
tra le dolcezze del vecchio Sobborgo, ciò che è pagato resterà pagato,
così il solo Edificio dai cinque e più piani sarà preso d'assalto,
di pietra viva sarà profanato, e di cenere a fondo rivestirà i suoi abitanti.