ELOISE LYNCH △ PREFETTO TASSOROSSO △ 17 ANNI
Poche cose dovevano interessare la pantegana di passaggio meno del dente d’oro del caro estinto. Si guardò attorno con aria perplessa, puntò su Joe uno sguardo vacuo e languido, e subito si rimise a pancia a terra, trasportando il suo sudiciume verso altri lidi. Era evidente che l’oro non fosse una moneta pregiata nel sottobosco fognario londinese, dove si prediligevano cadaveri animali, pesci chimicamente modificati ed esperimenti nucleari. Scomparì così, la coda rosa e carnosa che guizzava sull'argine, e un istante dopo non c’era più nulla.
Comprendeva quel che Maurizio intendeva quando le parlava dei ricordi tangibili, e per quanto le sembrasse bizzarro girare con un dente in tasca era lei stessa una collezionista di esperienze. La freccia della missione di Atene nel vecchio Messico era appesa con orgoglio nel suo antro del terzo piano di Hogwarts, la piuma di nonna CIndy le oscillava al collo e il calderone recuperato a Cadair Idris ancora attendeva che i suoi misteri venissero svelati. Al di là dell’effettivo valore che possedevano, erano oggetti che si portavano dietro racconti e volti, e avevano una funzione preziosa: sapevano rendere tangibili i ricordi e le persone perdute.
Proseguiva il suo cammino da gambero compiacendosi dell’atmosfera tranquilla che la Londra notturna le regalava. Ciuffi di capelli le danzavano intorno al viso, e il suo sguardo vispo si soffermava sul fiume, sulla passeggiata e su Joe, approfittando delle fessure intermittenti che quell’oscillazione le concedeva. Ci fu un rumore distante, ma Eloise era così focalizzata sulle parole del giovane che non fu altro che un sottofondo secondario, uno sfondo fuori fuoco. Tornò a camminare dritta, accogliendo con un brivido la brezza serale sul volto.
«Mai più di un anno...» L’idea di poter cambiare luogo e abitazione ogni anno la affascinava. Il fatto stesso che il Joe diciassettenne di qualche anno prima avesse già accumulato una varietà così vasta di luoghi ed esperienze le dava l’impressione di essersi persa un promemoria fondamentale per strada. Era una foglia in balia del vento, Eloise, ma quando si metteva a fare la conta dei suoi luoghi del cuore, la lista sottile dimostrava quanto le sue radici fossero salde e profonde.
«E io a malapena sono andata oltre la Manica!» Salvo la speciale gita scolastica a Snow Fields, ma quella era tutta un’altra storia.
«Cosa ti manca più di ogni cosa, dell’Italia?» Già se lo figurava, immerso in quel contesto tutto pizze e preconcetti, a stringere in abbracci i suoi affetti e addentare una bruschetta, magari allungando la mano per strimpellare il mandolino, immancabile cliché. Come doveva essere crescere in Italia, o in qualsiasi altro luogo al mondo? Come influenzava la visione sulla vita, il modo di porsi nei confronti degli altri, le chiavi di lettura su contesti e situazioni? Come ci si doveva sentire quando si veniva allontanati dalla propria terra?
Fantasticare su luoghi distanti e viaggi avventurosi le riempiva i polmoni di un’aria inebriante, di prospettive da vertigine. Se fino ad allora era stata stabile e sedentaria era stato perché in lei non era mai germogliato la necessità di andar via. La volontà di mettere il naso fuori dalla porta era rimasta sopita dal travolgente ritmo della vita locale, ma sentiva che un minuscolo seme era stato gettato. Aveva diciassette anni, era grande abbastanza da spalancare la porta al mondo, e presto sarebbe arrivato il momento per farlo.
FIno ad allora, sembrava che la vita le avrebbe dimostrato che poteva essere emozionante anche da vicino. Quei rumori che poco prima avevano fatto da sottofondo alla scena si stavano progressivamente trasformando da brusii distanti a protagonisti. C’era un vociare irrequieto, fatto di espressioni colorite affidate al vento, il cui significato era appena percettibile. C’era un ticchettio ritmato sull’asfalto, un ta-ta, ta-ta in due tempi, e lo sfregamento di un oggetto metallico. Eloise, che anticipava Maurizio di qualche passo, dovette sporgersi oltre la sua figura imponente per individuare la sorgente.
Una donna in abito paillettato e cappotto li stava avvicinando con urgenza, i suoi tacchetti che anticipavano la sua apparizione sul loro personale palcoscenico. Era esausta e avanzava a fatica, pur senza perdere il ritmo, ma a ogni passo si incurvava di più sotto la pena da cui stava fuggendo. Stringeva al fianco una borsetta minuscola, che - a giudicare da come oscillava - sembrava pesantissima. Mano a mano che la donna si approssimava a loro faceva bella mostra di un trucco grossolano e ormai sbavato, di lineamenti avvenenti ma affaticati da una vita impietosa. Ciò che colpiva di più, in quella commistione di mascara e ombretto, era lo sguardo terrorizzato illuminato da un luccichio di speranza.
Era a pochi passi da loro quando inciampò e cadde, abbandonandosi alla terra, quasi ai piedi di Joe.
«A-aiuta-mi… Ti prego. Mi insegue.» Fece un cenno vago alle sue spalle, indicando un pericolo imminente, e si abbandonò alla piena fiducia degli unici potenziali benefattori di tutto il lungofiume.
In the place that's safe from harm I had been blessed with a wilder mind