Tenere a freno le emozioni. Di tutte le parole pronunciate da suo nonno, quelle erano le più difficili da digerire. Non si era mai considerata una sentimentale né una debole di cuore; ciononostante, crescendo Thalia aveva imparato a proprie spese quanto fosse tremendo tenere per sé la paura, l’incertezza e l’amarezza, cominciando piano piano ad esternare ciò che il suo cuore aveva sino a quel momento mantenuto celato. C’era stata una sorta di resa da parte sua, come se tutti quegli anni passati a nascondere segreti, sviare gli argomenti più spinosi e cercare soluzioni inverosimili a problemi ben più grossi della dodicenne che era stata fosse stata tutta un’opera vana. La vicinanza di Nieve, le sue insicurezze mal celate e il suo bisogno di essere compresa a fondo, avevano aperto una breccia nello strato più esterno della sua corazza personale, fatta di preconcetti e dettami che a nessuno mai - nemmeno sotto tortura - avrebbe permesso di cambiare. Eppure, si era lasciata mutare dal tempo, dalle circostanze e dalle persone. Soprattutto dalle persone. Perché - e Thalia lo sapeva bene - nulla restava immutato nel tempo e nello spazio, per quanto ella potesse desiderarlo. Si era mostrata riluttante ad accettare un Destino diverso da quello immaginato per sé e, con ogni fibra del proprio essere, lottava ogni giorno per sovvertire le leggi che le avrebbero imposto di seguire un percorso in apparenza già stabilito; ogni giorno era divenuto una scommessa contro se stessa, nell'accettare ciò che non poteva cambiare - per quanto provasse o per quanto volesse.
Non era ancora scesa del tutto a patti con la sua abilità di Legilimens: che fosse una dote di famiglia, ormai, era assodato. Sapersi così simile alla sua ascendenza, però, la disturbava fortemente. Esisteva un legame con ogni Moran vissuto prima di lei e quel filo rosso correva nel suo sangue, nella magia che le aveva permesso di arrivare sin qui. Se da bambina avrebbe anche potuto gioire di una simile onorificenza - essere una Moran a tutti gli effetti -, ora Thalia ragionava diversamente, ponendosi un problema ben più grande dell'amor proprio. Che tipo di Legilimens sarebbe diventata? Avrebbe rispettato la riservatezza altrui? Fino a quel momento i risultati in tal senso erano stati a dir poco vani, ma con Aiden - nonostante le avesse servito la propria mente su un piatto d'argento - non era riuscita a cedere all'impulso di curiosare. Non capiva, forse non l'avrebbe mai fatto, e quella confusione attanagliava lo stomaco dell'irlandese con una stretta poderosa tale da provocarle vere e proprie fitte di dolore al solo pensiero. Capiva perfettamente che cosa avesse voluto dirle Connor con quelle brevi e compassate rassicurazioni: chiunque sarebbe potuto
inciampare per caso - o volutamente - nella sua mente e trarne, perfino, un beneficio. Lei non sarebbe stata quel genere di Legilimens. Avrebbe rispettato i confini, ma per quanto osasse sperare di ricevere la stessa cortesia, Thalia sapeva nel profondo di non potersi permettere un lusso simile. Per se stessa, la sua famiglia e il suo futuro, avrebbe dovuto seguire Connor, ancora una volta, ed essere fedele alla regola stabilita tacitamente tra loro - la regola secondo la quale avrebbe dato il meglio di sé, sempre e comunque, secondo le proprie possibilità. L'Occlumanzia era la sua forza, il suo rifugio sicuro: lì avrebbe trovato il coraggio di difendersi e non nuocere, quest'ultimo forse l'unico dei suoi preziosi dettami ad essere rimasto saldo nel tempo.
Thalia non disse alcunché, ma si limitò ad annuire impercettibilmente - lo sguardo riflesso in quello dell’anziano mago. L'uomo davanti a lei, col tocco leggero della mano sulla sua spalla, non era alla ricerca di conferme. Con quel cenno minimo, Thalia gli permise di cominciare.
*
Calore. Sulla pelle candida del viso e sulle palpebre chiuse.
Aria. Brezza mite e leggera tra i capelli e profumo di salsedine.
In lontananza, lo stridìo dei gabbiani.
«Fallo ancora!» la voce di Iris, limpida e cristallina come quel giorno di qualche settimana prima, la costrinse ad aprire gli occhi. I capelli castani sospinti dal venticello impertinente sugli zigomi pronunciati della ragazzina e lo sguardo vispo rivolto ad un mulinello d’acqua salata. Quando aprì gli occhi, Iris aspettava con impazienza che facesse qualcosa, una seconda volta - o forse una terza.
«Non mi riesce a comando.» aveva risposto, sorridendo appena. La divertiva sapere di avere ancora un certo ascendente su di lei, ma ancor di più le piaceva l’idea che Iris pensasse di avere il comando. Un gabbiano gettò un’ombra scura su entrambe, volando sopra di loro e diretto ad uno sperone roccioso a poca distanza dalla riva. Non si scompose alla loro vista, sbattendo le ali prima di ripiegarle sul corpo dalle piume candide. Iris le fece cenno col capo di infastidirlo in qualche modo, ma lei negò.
«Non ci penso nemmeno.» rincarò la dose, prima che Iris potesse pensare di poter ribattere in qualunque modo.
«Dai, che ti costa?» la implorava come la bambina viziata che era stata, come se il tono sconsolato della voce potesse sortire un qualche effetto su di lei. Eppure, Thalia era sempre stata l’unica a cui Iris non avesse mai osato imporre il proprio giogo. Non avrebbe potuto. Thalia non gliel’aveva mai permesso.
«Di' un po'... a te farebbe piacere se ti facessi la stessa cosa?»
La tredicenne aveva raccolto le gambe al petto e le aveva circondate con le braccia; mai come in quel momento Thalia si rese conto di quanto fosse giovane e di quanto lei, alla sua età, avesse già visto e vissuto. Non era giusto, non per la bambina che era stata. Assistere a qualche litigio era una cosa, ma assistere a vere e proprie atrocità su esseri indifesi... quello sì che l'aveva cambiata davvero nel profondo. E a pensarci bene, non era nemmeno tutto ciò che sapeva sul mondo e le sue (non) regole. A quel pensiero lo sguardo si era rabbuiato, oscurato dallo spettro di quanto il suo cuore nascondeva. Avrebbe dovuto parlarne, spiegarsi, cercare aiuto; per quanto lo volesse - non affrontare tutto da sola - Thalia non desiderava coinvolgere Iris e Fiona, ma soprattutto l’intera famiglia. Lasciare attorno a sé briciole di pane - domande senza risposta, indagini apparentemente casuali al maniero e via di seguito - tutto serviva ad attirare l’attenzione di chi tra loro avrebbe potuto darle qualche risposta su come agire, sul momento perfetto per svelare ogni cosa. Nessuno, tuttavia, avrebbe mai saputo. All’esterno - ma anche dentro di sé - Thalia manifestava una preoccupazione latente per qualcosa di imprecisato e persino in quel momento, su una spiaggia irlandese, il peso di quel segreto avrebbe offuscato la mente, lasciandola scivolare tra le braccia di una Rabbia crescente e cieca. Il suo sguardo assente, proiettato sul gabbiano e sul mare placido attorno a lui, fu solamente il preludio di qualcosa che Iris aveva atteso per lunghi interminabili minuti: un nuovo mulinello - questa volta più grande del precedente - aveva cominciato a crearsi attorno alla roccia, attirando l’attenzione del gabbiano, che osservava la scena con l’espressione inebetita di chi non abbia idea di che cosa stia accadendo attorno a lui. Poi, il vortice mutò e l’acqua si sollevò - una ventina di centimetri o poco più - infastidendo il gabbiano che spalancò le ali e volò via, prima di essere inghiottito dall'onda. Solo il pizzico di Iris sulla pelle nuda delle sue gambe la riportò alla realtà e quando i loro sguardi s’incrociarono lei le sorrise.
«Lo vedi che non sei poi così male?»*
Era successo qualche settimana prima, dopo il suo ritorno dall’Italia.
Un raro momento di vicinanza ad Iris, uno di quelli che a stento sarebbero ricapitati una volta che la più giovane delle sue sorelle fosse tornata ad Hogwarts. Iris era mutevole come il tempo, un attimo soltanto e la tempesta perfetta si sarebbe potuta scatenare sul mondo intero, se quello avesse deciso di girare diversamente da quanto stabilito dalla Serpeverde. Lei, invece, restava sempre la stessa.
Fedele a se stessa. Fedele alla famiglia che aveva giurato di non tradire mai.
Quel giorno sulla spiaggia avrebbe potuto svelare a Connor molto più di quanto Thalia non avrebbe voluto concedere e pregò, pregò di essere capace di sottrarsi a lui e a quell’indagine che senz’altro l’avrebbe costretta a svelare ogni cosa. Immaginare di immergersi nell’Acqua - che era il suo Elemento - e isolarsi dal mondo, coi suoni da esso provenienti del tutto ovattati e indistinguibili, non sarebbe bastato. Non stavolta. Aveva percepito la sua presenza, l’aveva sentito. Se gliel’avessero chiesto, Thalia non avrebbe saputo spiegare il modo in cui si fosse resa conto di Connor, del suo passeggiare lento e costante nella sua testa affollata di ricordi. Eppure lo sapeva.
Lui era stato lì... con loro.
Erigere muri invisibili non avrebbe sortito alcun effetto: già la prima volta Thalia ci aveva provato ed aveva fallito miseramente. Aveva trovato nell’acqua il perfetto alleato per un isolamento efficace, ma affatto sufficiente. Doveva fare di più, molto di più, e non soltanto perché Connor se lo aspettava, ma perché lei stessa confidava di poter avanzare e conquistare una nuova frontiera. Non aveva saputo di essere pronta fino a quell’istante, quando il ricordo della rabbia per un’infanzia deturpata da un incubo in carne ed ossa aveva invaso il ricordo, permeandolo a fondo. Aveva ceduto all’emozione, non aveva potuto farne a meno. Aveva vissuto nuovamente la sensazione di essere strappata dalla propria ingenua quotidianità e si era sentita tradita, ancora una volta.
Forse il tentativo sarebbe andato a vuoto - c’era un’ottima probabilità che sarebbe stato così -, ma la resa non era nel suo carattere. La caparbietà, almeno quella, non era ancora scesa a compromessi di alcun genere. Fu su quella che Thalia fece forza, con lo scopo di virare l’attenzione di Connor non alle emozioni, bensì ai giochi d’acqua. Forse avrebbe fatto domande, ma a quel punto il comando sarebbe tornato a lei. Avrebbe cercato di celare il suo malumore, rivivendo il momento in cui il gabbiano aveva spiccato il volo l’ultima volta. Si sarebbe lasciata andare allo stupore di quanto visto - l’acqua placida a prender vita come oggetto di magia pura - per poi lasciare che il ricordo si sfaldasse piano piano come la nebbia d’inverno.
Non poteva dirsi un vero tentativo di chiusura, non avrebbe potuto esserlo davvero. Aveva ceduto troppo di sé a quell’uomo, suo nonno e mentore, per scacciarlo ora. Se avesse voluto vedere al di là del suo trucco, Connor avrebbe visto ogni cosa.