Closure, Occlumanzia - Pt. II

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You can take the darkness out of the man, but you can't force him to step into the light.

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“Stop giving other people the power to control your mind.
If you don't take control of yourself, someone else is bound to try.”

Il vicolo ingombro di cassonetti e sacchi neri della spazzatura comparve ai suoi occhi, così come il tanfo e il degrado raggiunsero le sue narici. Non era esattamente quello il punto in cui sarebbe voluta finire, ma non poteva certo comparire nel bel mezzo di Charing Cross Road e tanto meno sulla soglia di Zarathustra, tra Babbani curiosi e con l'aria stralunata.
Da qualche tempo a quella parte aveva scoperto quel vicoletto - solitamente più pulito - e l’aveva eletto a luogo ideale per una Materializzazione semplice e veloce, lontana da occhi indiscreti: nessuna finestra sui muri affacciati nella viuzza e una serie di cassonetti ostruiva la vista dalla via principale. E se anche non fosse stata così ben nascosta, Thalia dubitava fortemente che qualcuno osasse avvicinarsi a quel covo di topi grandi quanto gatti domestici. Rabbrividì all’idea di quanto si fosse trovata vicina ad uno di quei cosi prima del suo ultimo turno e si avviò stringendosi nel cappotto color amaranto, mescolandosi ai londinesi in libera uscita in un weekend insolitamente mite.
Era un sabato come molti altri, il traffico scorreva quieto sulla via asfaltata di nuovo - un regalo da parte dell’amministrazione apprezzato dai residenti - e nessuno pareva accorgersi di quella ragazza, sbucata fuori all’improvviso da un vicolo anonimo come se fosse sempre stata lì. Svoltò a destra ed ecco l'edificio chiuso al pubblico comune che attendeva soltanto lei per essere aperto ai visitatori. Varcata la soglia del suo negozio, Thalia cominciò a togliersi il cappotto ancor prima di arrivare al bancone, appoggiando la borsa ai piedi dell’espositore dei gioielli e dandosi un’occhiata in giro.
Adorava il silenzio di quel posto, la pace che regnava specialmente nel primo pomeriggio. Non c’era pericolo d’essere disturbata e, con le dita svelte, intrecciò i capelli scarmigliati con un elastico. Osservò il proprio riflesso su uno specchio appeso nel retro del negozio, accettando di sembrare un essere umano affidabile nonostante un ciuffo ribelle che proprio non voleva saperne di restare nel posto in cui lei l’aveva relegato. Gironzolò per un po' tra le corsie e gli espositori, sistemando i cappelli e spiegando le vesti stropicciate sui manichini. Voltato il cartellino che indicava l’apertura del negozio entro la mezz’ora successiva, tornò ad occupare il suo posto dietro al bancone, issandosi sul suo fidato sgabello. Non ci mise molto a disporre ordinatamente gli opuscoli del Ministero che sua madre le aveva inviato per posta qualche giorno prima: con un sospiro, Thalia si disse che era venuto decisamente il momento di scegliere la strada più appropriata per il suo futuro. Aveva preferito non pensare al suo lavoro dei sogni, poiché farlo avrebbe significato perdersi in congetture ed aspettative che forse non avrebbero mai visto la luce. Guardandosi intorno, poi, si disse che non sarebbe stato così male continuare a lavorare lì; la confidenza con la clientela abituale, l'inventario e il rapporto di amore e odio col proprietario, tutto ormai faceva parte della sua routine. Era una vita quieta - se non si considerava tutto il resto - e solo Merlino sapeva quanto Thalia avesse bisogno di normalità. Eppure, nonostante la calma di un'esistenza scandita dai turni da Zarathustra non la emozionava poi così tanto: bramava l'avventura e il rischio, si disponeva di buon grado ad accettare nuove responsabilità. E seppur non fosse tutto rose e fiori, Thalia sapeva esattamente quali fossero i suoi limiti.
Istintivamente scartò tutto ciò che avesse a che fare con i Babbani, così come - a malincuore - gli Uffici deputati alla regolamentazione degli Sport Magici. La sola idea di lavorare con zia Sheila e suo padre - neo assunto dopo una carriera da giocatore - la faceva inorridire: quei due non riuscivano a restare seri nemmeno nei momenti di crisi, figurarsi se avrebbero mai potuto mantenere una parvenza di contegno sul posto di lavoro. Già se li immaginava a incantare fogli di pergamena e promemoria affinché colpissero l’altro quando meno se l’aspettava!
Scuotendo il capo con un sorrisetto divertito appena accennato, Thalia rimase in silenzio ad osservare i depliant rimasti: Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale, l’Ufficio per l'Applicazione della Legge sulla Magia e il famoso quanto criptico Ufficio Misteri. Se il primo non accoglieva il suo favore per la presenza della madre, Thalia sentiva di appartenere al secondo, mentre la curiosità sul terzo le solleticava la mente. China sugli opuscoli con l’espressione corrucciata di chi pensa troppo senza arrivare ad una conclusione soddisfacente, cominciò a mordicchiarsi il labbro, udendo distrattamente la porta d’ingresso cigolare sui cardini, seguita dallo scampanellio di avvertimento così ben noto al suo udito.
«Buongiorno, sarò da lei in un momento.» mormorò meccanicamente, senza degnare d’uno sguardo il nuovo venuto. Il suo passo era leggero come quello di un gatto, calmo e misurato, e quando Thalia osò finalmente sollevare gli occhi su di lui, riconobbe la folta chioma canuta e l’espressione austera sul suo viso, in netto contrasto con la scarsa illuminazione del locale. Boccheggiando per la sorpresa, rimise ordine sul bancone in fretta e, deglutendo a fatica, finalmente lo salutò. «Ciao, nonno.»

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Thalia Moran era sua nipote; nel bene e nel male.

Niente avrebbe reciso lo stato di sangue che la legava a lui, neppure la scissione interna perpetrata da Leanne. Trasferirsi, muovere una famiglia tanto numerosa al solo scopo di impedirgli di avere un rapporto costruttivo con i suoi nipoti, non era stata una mossa vincente - a suo dire - perché il discorso lasciato in sospeso con la sua Thalia non avrebbe visto confini regionali o familiari. Tempo, il vecchio Moran aveva permesso al tempo di scorrere, ai suoi preziosi orologi da collezione di ticchettare a vuoto in un maniero cavo e scavato dall'interno. Rintocchi lenti dai più grandi e scattanti dai più piccini, si erano susseguiti per settimane e poi per mesi, prima che il capostipite prendesse una decisione rivoluzionaria. Era stato messo alle strette da una nuora forte come il ferro battuto e resistente come le montagne più ostiche, ed ora la mossa spettava a lui. Non avrebbe profanato con le scarpe lucide i luoghi cari a Leanne ma, uno ad uno, avrebbe fatto visita ai suoi cari, che alla Ministeriale piacesse o meno. D'altro canto, non poteva impedirgli di far loro visita, se non c'era un gufo ad annunciare che l'avrebbe fatto. Il galateo poteva attendere, mentre la lezione che doveva impartire alla nipote arrivava già con troppi giorni di ritardo sulla tabella di marcia. Elegante nel cappotto nero e lungo, Connor Moran si distingueva per portamento e sicurezza, nonostante l'età avanzata. I capelli argentei assumevano sempre di più una sfumatura candida, in contrasto con l'intensità di uno sguardo che non lasciava scampo; ora totalmente riservato alla nipote.

«Thalia» l'accolse con il suo nome di battesimo, solo quello. Niente "Jane" e niente "Moran". Il primo era un vezzo, il secondo... un dato di fatto. Ineluttabile, il momento dei rincontro era giunto e - c'era da aspettarselo - l'orologio da taschino palesò la puntualità del vecchio. Selettivi, gli occhi di Connor, prima ancora di investigare la bottega in cui la nipote si rinchiudeva per svolgere la mansione della commessa, si posarono sull'adolescente. Alta, risoluta e forte come la ricordava, ad eccezione di qualche preoccupazione che egli percepiva grazie al suo essere un nonno, prima che un potente Legilimens. Il modo in cui Leanne aveva scoperto di quel pomeriggio nel suo studio, non aveva importanza di fronte ad una crescita di Thalia che non poteva essere impedita. Lui non aveva nipoti deboli, né aveva nipoti indegni. Intrapresa la via non v'era modo di interrompere un percorso in crescendo che andava invece incoraggiato. E lui era lì per quello; incoraggiare. Caldamente. «Sei cresciuta» Affermò.

Ottimo Thalia, la tua quest ha inizio.
 
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Il loro ultimo incontro aveva il sapore dell’estate, della brezza mite sulla pelle e il profumo di un dolce per la colazione appena sfornato. Aveva rimesso piede al maniero per la prima volta dopo anni - solo due, ma erano sembrati un’eternità - ed aveva ritrovato quella stessa aria di casa, di famiglia, che non era mai riuscita a dimenticare nel profondo. Un’assenza, la sua, sulla quale Connor aveva sorvolato abilmente, perfino teneramente. Le aveva permesso di restare con quel suo sguardo severo a mascherare l’amore che quell’uomo, provato fino allo stremo dalla vita, riusciva a trasmettere ad ogni suo discendente. Era trascorso un altro anno da quel giorno, ma la differenza questa volta era stata data dalle missive che i due - di nascosto da Leanne, Fiona o Iris - si scambiavano a cadenza regolare. Una lettera al mese, non una di più e di certo non una di meno. Si era convinta che fosse il modo più semplice per mantenere un rapporto col suo mentore, l’unico uomo che le aveva insegnato a non aver paura dell’oscurità e di quale fosse il modo migliore per farne uno scudo. Le aveva impartito lezioni magistrali, non soltanto come uomo, ma soprattutto come mago; Connor Finn Moran era per lei un punto fermo che nessuno mai avrebbe potuto nascondere, cambiare o cancellare. Erano legati dal sangue, ma questo Leanne poteva capirlo solamente in parte.
Annuì con fermezza alle parole dell’anziano, abbassando lo sguardo sugli opuscoli rimasti ben visibili sul bancone. Non era riuscita a nasconderli, forse non aveva intimamente voluto farlo, ed ora si aspettava una domanda che sapeva non sarebbe arrivata. Connor aveva i suoi metodi per carpire informazioni, ma era un attento osservatore e nulla sfuggiva al suo occhio vigile. Lo aveva appreso a proprio discapito da bambina e avrebbe continuato a farlo nel momento in cui avesse lasciato l’adolescenza alle spalle. C’era una sottile differenza tra lui e suo padre: Seamus non osava chiedere, ma osservava il mondo allo stesso modo; era una caratteristica comune ai tre Moran quella di concedersi uno sguardo abbastanza accurato per cogliere dettagli che nessuno avrebbe ritenuto importanti. Questo, molto più delle parole di Connor, le suggerì che il suo corpo stesse rivelando ben più di quanto osasse ammettere a voce alta: quegli opuscoli non erano solo il preludio di una scelta importante; avrebbero segnato irrimediabilmente il loro rapporto, ciò che lui le aveva voluto insegnare e trasmettere. Non c’era motivo di credere che fosse giunto a Londra per capriccio o casualità: nei suoi passi, nelle parole attente e nel contegno dell’ex Auror c’era tutta una vita di calcoli, decisioni oculate e una pianificazione quasi maniacale. Avrebbe voluto chiedere a suo nonno qual buon vento l’avesse condotto in quel distretto di Londra, ma qualcosa in quel “Sei cresciuta” le suggeriva che la risposta fosse proprio lì, davanti ai suoi occhi. Tra gli scaffali e gli espositori, poi, era stato posizionato di recente uno specchio ad uso dei clienti e quello le restituì il suo riflesso, con l’incarnato pallido e le lentiggini del volto ben visibili persino a quella distanza. Era convinta di non essere cambiata, ma - inconsapevolmente - l’aveva fatto eccome. Aveva imparato a chiudersi in se stessa, a nascondere dettagli e persino a mentire. Non lo faceva con l’intenzione di ferire: il suo unico desiderio era e sarebbe rimasto per sempre quello di proteggere chi le stava intorno. Anche quello, dopotutto, era un segno distintivo dei Moran. Forse non di tutti, ma questo non sarebbe stato un problema suo. «E’ vero. Mi sono esercitata a lungo. E ho imparato cose nuove.» affermò a propria volta, il tono rilassato di chi si senta davvero - e finalmente - al sicuro. La differenza tra Bene e Male, la capacità di discernere il momento migliore per lottare e quello per ritirarsi, conoscere a fondo i propri limiti per poter sopravvivere. Questo e molto altro era merito di Connor e Thalia non gli sarebbe mai stata grata abbastanza per ciò che aveva voluto condividere con lei nel corso di quegli anni. Meritava di sapere che sua nipote avesse seguito i suoi consigli, che gli incubi erano cessati - ma non le preoccupazioni - e che aveva appreso la stessa arte con cui lui conviveva da una vita intera. Legilimanzia e Occlumanzia convivevano in lei come le due facce di una stessa medaglia. Poteva nascondere e cercare, ma la strada per riuscirvi era ancora lontana. Si chiese allora se non fosse giunto lì proprio per questo e lo guardò intensamente, senza dire una parola, nella speranza di suscitare in lui l'istinto di rivelarsi fino in fondo, come forse non aveva mai fatto. Nel silenzio di Zarathustra, Thalia trovò la quiete necessaria per aspettare.

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Non v'era parola che Connor pronunciasse a sproposito. Se non aveva nulla da dire, non diceva. Se aveva lezioni da impartire, le impartiva. Era raro che intavolasse discorsi volti al nulla, ed anche se non tutti i significati delle sfumature di tono venivano colti subito, alla fine egli trovava il modo di farsi intendere. Abilità analitiche ed oratorie erano cresciute con lui, accompagnandolo attraverso un percorso di vita ricco di impedimenti ed avventure, ed ora erano cucite come un abito di ottima fattura sul corpo del vecchio Moran. Mai se ne privava e mai l'avrebbe fatto. I tessuti intrecciati del cappotto scuro ben si sposavano con l'ambiente di Zarathustra, e non tradivano l'eleganza del mago, un dono che egli stesso aveva fatto tramandando i propri geni. Ma non era giunto fin lì solo ed unicamente per controllare in quale ambiente si aggirasse così spesso la nipote e - sebbene vi fosse e desiderio per qualche chiacchiera di circostanza - la cosa sarebbe divenuta presto palese. Una qualità su cui non transigeva riguardava la consapevolezza di sé, una capacità di giudicare se stessi ed il proprio operato che trascende i giudizi e le insinuazioni altrui. Non aveva modo di credere che la nipote l'avesse perduta, ma sperava in cuor suo che innescando la miccia con due semplici parole, questa sbocciasse... e così era accaduto. Non avrebbe accettato una menzogna o un diniego, poiché ben sapeva come un solo anno potesse cambiare una persona. In realtà a volte bastava anche solo un istante, più che un giorno, per cambiare, per smuovere un ingranaggio che con la dovuta tempistica muove la macchina in una direzione diversa dalla precedente. Un solo istante anche per incepparsi e fermare tutto. «Questo è un bene» disse quindi, sottolineando con un certo orgoglio, come il migliorarsi fosse la chiave di tutto. Non bisognava mai fermarsi ad un primo risultato, se già si poteva ambire al successivo, e Thalia poteva ambire a molto più di quanto segnato in quegli opuscoli sul bancone. Ma c'era un tempo per ogni cosa e non era il momento di indagare il futuro tanto intensamente.«Un uomo fermo è, per molti versi, un uomo morto» sebbene greve, il discorso non aveva niente a che vedere con la morte vera e propria, non c'era alcun bisogno di specificarlo. Oltre le rughe che evidenziavano l'inclemenza del tempo, si aprì un sorriso cortese riservato solo ai suoi cari. «Hai più avuto modo di riflettere su quanto accaduto prima che tua madre prendesse le... proprie decisioni?» l'episodio a cui faceva riferimento era il punto nodale, in verità, delle decisioni di Leanne, che d'altro canto non riusciva totalmente a biasimare. Non distolse lo sguardo eloquente da Thalia, ma tese le orecchie, così da capire se si trattasse del luogo migliore per intavolare quel particolare discorso. Avrebbe certamente valutato alternative, se la nipote ne avesse avute da proporre.

 
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Leanne e le sue decisioni avevano mutato drasticamente la sua vita: l’abbandono del luogo in cui era nata - per la seconda volta in dieci anni -, il senso di colpa immotivato per aver ceduto a ciò che sentiva di poter fare con o senza Connor - che sua madre l’approvasse o meno - e l’oppressione cagionata dalle reazioni delle sue sorelle. Leanne aveva cambiato ogni cosa poiché non era riuscita ad averne il pieno controllo. Poco importava se, nel processo, le persone amate attorno a lei avessero sofferto delle peggiori pene possibili: ciò che contava veramente era il soddisfacimento di un bisogno patologico, quasi, di controllare tutto. Forse non ne sarebbe mai stata pienamente cosciente, ma anche lei - proprio come sua madre - bramava alla supremazia sullo spazio che la circondava e sugli eventi in cui incorreva, volente o nolente, ed era proprio quella necessità a spingerla a volersi proteggere, ergendo un muro che nessuno avrebbe mai potuto valicare: per questo motivo l’Occlumanzia era diventata per lei una seconda pelle, il modo migliore di ambire al raggiungimento di quello scopo ben più che logico. Potersi spingere al di là dei confini dettati dalla propria mente senza cedere nulla a chiunque avesse voluto fare altrettanto con lei. Era questo che Connor le aveva insegnato il giorno in cui, di ritorno per le vacanze estive, avevano parlato dei suoi successi, delle sue aspirazioni e del ventaglio di possibilità a sua disposizione. Era una strega dotata - o così suo nonno credeva - e i voti c’entravano poco o nulla con quella mera valutazione di fatto. Se solo il patriarca avesse saputo che sua nipote, quasi una donna fatta e finita, che lui aveva accolto in casa propria per insegnarle un’arte difficile da padroneggiare in giovane età, ora riusciva persino a compiere il processo contrario a quello che lui le aveva trasmesso con tanta dedizione… forse quell’idea di una strega abile e sicura di sé sarebbe migliorata, gonfiandogli il cuore d’orgoglio. Per quanto ne sapeva, ovviamente, nessuno in famiglia aveva saputo gestire tanto egregiamente due abilità tanto diverse e complementari e nessuno mai si era permesso di osare tanto quanto lei. C’era ambizione e superbia nel voler padroneggiare simili pratiche magiche, eppure si trattava di aspetti mitigati da uno scopo ben preciso e impresso a fuoco nella sua mente. Cordelia aveva avuto modo d’insinuarsi nella sua mente troppe volte, di turbare le sue notti e manipolare i suoi sogni, ma Thalia non gliel’avrebbe più permesso. Non le avrebbe consentito di infilarsi sottopelle, di distruggere il suo mondo e le sue certezze insinuandole il dubbio che nulla sarebbe stato possibile per contrastarla. C’era molto di cui parlare, troppo ancora da scoprire. E per farlo doveva assolutamente perfezionare ciò che era stato solamente abbozzato al Maniero in una calda e assolata giornata estiva di qualche anno prima.
«Naturalmente.» affermò, sicura di sé come non era mai stata. Desiderava chiedere da tempo a quell’uomo, suo nonno, di continuare ciò che avevano iniziato quasi clandestinamente. Ciò che aveva separato la loro famiglia. Quello che Leanne non aveva capito. «E penso di non voler essere un uomo morto.» aggiunse immediatamente, curvando furbescamente le labbra in un sorriso sornione.
Da anni vigeva tra loro un rapporto speciale, uno di quelli indistruttibili e capaci di unire la mente più che lo spirito, in modo che i pensieri di entrambi corressero lungo il medesimo tracciato. Ciò che Thalia pensava, Connor l’aveva previsto, e viceversa. Si era giunti, complice l’età del Prefetto e una maggior consapevolezza di se stessa, ad un punto in cui nessuno dei due avrebbe potuto e dovuto dubitare della lealtà e della sagacia dell’altro. Così, senza indugio, Thalia uscì dalla propria postazione, dirigendosi alla porta del negozio. Guardò all’esterno della porta a vetri, controllando che nessun avventore fosse in procinto di avvicinarsi; poi, con perfetta noncuranza, le sue dita sfiorarono il cartellino con la scritta “Chiuso” e, voltandosi ad osservare la reazione di Connor, sorrise nuovamente. Questa volta non v’era ombra di malizia né quell’aria furbesca che tanto la faceva somigliare a Fiona. «Speravo proprio di poterti chiedere di approfondire la questione.» disse, avvicinandosi al vecchio Auror. Il passo deciso, ma quieto, come di chi sappia esattamente che cosa stia per accadere, l’avrebbe resa completamente alla mercé dell’anziano. Suo nonno era l’unico essere umano di cui si fidasse ciecamente e per tale ragione scelse d’incalzarlo. «Scommetto che non sei venuto qui per acquistare qualche ninnolo e aumentare il mio patrimonio. Non è così?»
Incrociò le braccia al petto, penetrando gli occhi azzurri del vecchio con il proprio sguardo freddo e deciso. Non avrebbe accettato un diniego nemmeno sotto tortura ed era sicura che Connor avrebbe fatto altrettanto, che avesse voluto condurla a quel preciso istante, in un dato modo, soltanto per vedere se - in fondo - ardesse ancora in lei la stessa voglia di essere migliore e preparata ch'egli aveva acceso.

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L'approvazione di Connor era qualcosa a cui in molti aspiravano, ma che a pochi veniva concessa. Checché ne pensasse il mondo (Leanne compresa), egli amava i suoi familiari e le loro peculiari diversità, ma questo non gli impediva di metterli alla prova quando necessario. Certo ne prediligeva taluni rispetto ad altri, ma come capostipite era nel suo più vivo interesse mantenerli tutti sulla rotta più confacente alla tradizione ed alla loro stessa natura. «Nessun Moran dovrà mai essere un uomo morto» rimarcò con amorevole fierezza. Non aveva mai nascosto quanto alta fosse l'asticella a cui i suoi discendenti dovevano aspirare, ma non da meno amava anche chi non riusciva a rapportarcisi così bene. Thalia però era indubbiamente la nipote che più si dimostrava affine ai suoi ideali e indirizzata verso quella consapevolezza che altri fortemente negavano. «Stavolta no, ma se mai apparisse tra gli scaffali un orologio di rara fattura, potrei cambiare idea... Se però tu avessi bisogno di qualcosa, sai che non devi far altro che chiedere» No, l'uomo non era lì per acquistare gli oggi messi in vendita da Zarathustra, ma non v'era bisogno di esplicitarlo se non con un sorriso mesto di conferma. La preoccupazione economica invece non poteva passare così in secondo piano. I Moran non erano poveri, seppur nemmeno ricchi sfondati, ma Connor stesso aveva provveduto a sollevare più di un parente dal collasso e se la giovane avesse avuto bisogno di un prestito, o un aiuto, non avrebbe dovuto far altro che chiederlo... sul serio. Lo stesso sorriso che assunse connotati tali da trasformarlo in un complice, quando il negozio chiuse i battenti. Fu in quel momento, quando lo sguardo serio dell'anziano incontrò la determinazione della nipote, che un moto d'orgoglio travolse il vecchio come un fiume in piena. Quella ragazza era la stessa bambina che, da brava sorella maggiore, si era occupata negli anni di guidare le sorelle minori lungo i sentieri più disparati ed a volte - con suo disappunto - aveva assunto in pillole le veci di una madre tanto assente. Lui non poteva davvero recriminare nulla a Leanne, conscio di quanto egli stesso aveva fatto in passato e delle volte in cui per intere settimane non aveva potuto rivedere la sua famiglia e constatare la crescita dei suoi stessi figli. Niente però poteva frenare l'affetto che sentiva prevalere per quella particolare nipote. «Mi fa piacere sentirtelo dire. I tempi sono maturi.» Lo sguardo marmoreo di Connor non vacillò e non mostrò neppure l'ombra di un dubbio, quand'egli estrasse la bacchetta e la direzionò rapidamente verso le vetrate; oscurandole con una sola oscillazione del legnetto indurito. Le precauzioni non erano mai troppe, ed i guardoni erano in assoluto le persone che più detestava al mondo; impiccioni senza fegato. Come prevedibile, l'uomo aveva pianificato ogni cosa nel dettaglio, pur lasciando un breve spiraglio alle improvvisazioni necessarie di Thalia, dunque non dismise lo sguardo d'approvazione, mentre con gesti precisi si toglieva il cappotto e lo ripiegava con precisione sul braccio. Il vestiario austero degli Auror non aveva mai abbandonato il vecchio, tant'è che anche quel giorno indossava abiti prevalentemente sui toni del grigio e che seguissero senza sbavature la figura magra del mago. «Questa volta sarà più complicato, ora che sappiamo che hai una vocazione dobbiamo capire come rendere al meglio questa tua dote. So che puoi fare molto di più di quanto abbiamo fatto finora, e sono qui per guidarti e illuminare i percorsi che forse ancora non conosci. Non mi risparmierò se non sarà strettamente necessario.» Appoggiò il cappotto sull'appendiabiti prima di sistemarsi in piedi vicino al bancone. «Dimmi, c'è qualcosa in dettaglio che vorresti sapere prima di cominciare? Dubbi insorti nel tempo?» era lì per lei, come sempre.

 
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Suo nonno e la sua mania per il Tempo. Le era sempre sembrata una specie di maledizione inferta per provocare sofferenza e fascinazione in un uomo che, per quel che ne sapeva, aveva sempre avuto tutte le risposte. Non aveva bisogno di chiedere per sapere, ma lo faceva comunque, a discapito di quell’abilità che lo aveva reso utile tra le fila degli Auror di Londra. Il Tempo abbatteva tutte le leggi di quel vivere giorno dopo giorno, secondo la natura pacata e misurata che Connor aveva scelto più o meno consapevolmente di adottare e poco importava se rimaneva per ore in silenzio - come aveva sempre fatto - ad ammirare il vuoto dinanzi a sé, seduto sul suo scranno nello studiolo inaccessibile a chiunque. I suoi pensieri correvano nella mente dell’anziano mago seguiti passo dopo passo dal ticchettio degli orologi e dallo scorrere della sabbia bianca di alcune clessidre incantate per ruotare su se stesse ad ogni ciclo concluso. Si era convinta che quel modo di fare e di essere avesse radici profonde, che Connor non facesse mai nulla per caso e che un giorno o l’altro avrebbe scoperto la ragione per cui fosse tanto ossessionato da quell’argomento controverso.
«Sarai il primo a saperlo, nonno.» annuì, sorvolando sul desiderio del patriarca della famiglia di voler per forza sostentare i suoi discendenti; per deformazione caratteriale, Thalia non sopportava l’idea di essere un peso per chiunque, tanto meno per quel vecchio a cui la vita aveva rubato così tanto fin dal suo primo vagito. Era sicura di voler compiere il proprio percorso in autonomia, senza scappatoie o vie preferenziali, senza avere il beneficio di scegliere la strada più comoda o agiata. Aveva vissuto circondata dal benessere per tutta la sua vita e non aveva mai pensato di aver meritato un solo Zellino per diritto di nascita, perciò Connor avrebbe dovuto sapere - pur avendo pronunciato spontaneamente quel pensiero - che la sua risposta sarebbe stata sempre negativa.
La professionalità che negli anni l’aveva contraddistinto dai colleghi, l’autorevolezza con cui aveva saputo guidare la famiglia nel corso delle traversie e la rigidità che l’aveva reso un mago abile, trasparirono tutte nelle sue successive parole e, in quell’istante, l’ammirazione per Connor crebbe più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Era come se, tutt’un tratto, Thalia avesse visto lo stesso uomo che le aveva insegnato senza indugio a padroneggiare un’abilità complessa ma calzante a pennello su quella mente che li rendeva così simili. Si chiese, allora, se Connor non meritasse di conoscere un altro pezzo della storia, la sua, nel quale l’Occlumanzia aveva cominciato ad abbracciare la Legilimanzia, sostituendola ed intervallandosi a lei in una danza i cui passi le erano ancora sconosciuti. «Sono cambiate parecchie cose...» commentò, inarcando le sopracciglia castano-rossicce «Nemmeno sei mesi dopo aver imparato ad escludere tutto dalla mente, ho imparato anche a superare la soglia delle menti altrui. Proprio come te.» Era fatta. Aveva ammesso ad alta voce ciò che Winston Querril le aveva insegnato ed era la prima volta da che quell’incontro aveva segnato la sua esistenza in modo tanto evidente.
La distrazione per quelle voci di sottofondo, l’incapacità di trattenersi al cospetto del contatto visivo di un’anima inconsapevole e la fatica di isolare se stessa… da quel sé impiccione e incontrollato riemersero tutte nell'unico interrogativo - ad eccezione di Cordelia - capace di rubarle il sonno nell'ultimo periodo.
«Mi chiedo se questo non interferirà su ciò che faremo d’ora in poi.»
Ed eccolo lì, il dubbio che l’aveva tormentata per settimane e mesi, costringendola a ricerche infruttuose nella biblioteca scolastica. Improvvisamente, realizzò di essere un passo avanti rispetto all’ex Auror e che forse, dopotutto, Connor potesse non avere la risposta che tanto disperatamente cercava. Le dita tamburellarono sul bancone di vetro, in silente attesa di una risposta che forse non sarebbe arrivata o che, d'altro canto, avrebbe potuto non soddisfare pienamente le sue richieste.

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Le articolazioni del polso erano strette in due fasce oscure, un'aggiunta necessaria alle camice pulite, memoria delle vecchie polsiere da Auror indossate per decine e decine di anni. Nella mente del vecchio, oggetto spesso e volentieri delle fantasie di nipoti e parenti, albergavano pensieri e preoccupazioni che non avrebbe voluto condividere con l'adolescente che aveva a pochi passi, eppure egli sapeva anche troppo bene che la capacità di leggere oltre le pietre opache dei suoi occhi era innata in Thalia Moran, così come lo era stato nel tempo per suo figlio. Senza nascondere un mezzo sorriso di conferma, il nonno accolse il rifiuto dolce della nipote, più che consapevole che - anche nella difficoltà - la tempra di Thalia l'avrebbe portata a combattere con ogni fibra di sé, prima di sottostare alle comodità di un salvagente. Ma niente in ogni caso gli avrebbe mai vietato di proporsi come tale. Se gli fosse pervenuta una richiesta di aiuto, Connor avrebbe fatto ogni cosa possibile per soddisfarla. La fissità di cui l'uomo era capace, quando qualcosa gli interessava, era nota alla ragazza ma nello sguardo che lui le rivolse dopo aver appreso della Legilimanzia, vi era ancora di più; una sorta di brillio d'approvazione aveva illuminato prima un'iride e poi l'altra. O forse era stato solo un gioco di luci, ma convincersene non sarebbe stato un gran male. «Molto bene» proferì infine, evitando di mettere nuovamente in luce come non si aspettasse nulla di meno da una ragazza sveglia e diligente del suo calibro. «Il Mondo per te ha più cose da offrire di quante avrei potuto immaginarne...» sospese quel giudizio in un battito di ciglia candide. Non averlo intuito non era del tutto una sconfitta, però la rivelazione l'aveva lasciato piacevolmente in accordo con i propri pensieri; il potenziale della giovane era tutt'altro che esaurito! La domanda legittima che venne espressa poco dopo, attivò ancora di più il meccanismo che vedeva in Connor un istruttore sapiente prima che un nonno. Un cambio di registro naturale e prevedibile, fece quindi mutare l'indirizzo delle rughe di espressione. In verità il vecchio avrebbe desiderato capire "come" Thalia era giunta a quella scoperta, ma si riservava quella ricerca per tutt'altre vie. «E' possibile che accada, in realtà.» Iniziò a dire, soppesando i propri movimenti come fosse di vitale importanza compierne il meno possibile, seppur con la bacchetta ormai in mano. «Dipenderà molto da te, ma non dovrai considerarlo un ostacolo; quanto più una sfida maggiore. A volte - sebbene io abbia visto con i miei occhi solo un caso simile - è anche possibile rispondere all'una con l'altra e di nuovo con la prima, rimbalzando l'indagine subita e rimandandola al mittente con più intensità. Questo certo richiede molto più allenamento, ed un controllo perfetto» gentile e fermo, non smise di guardare la nipote negli occhi, trasmettendo attraverso quei contatti visivi tutta la sicurezza di cui era capace. Aveva un debole, e pur faticando ad ammetterlo, negli anni si era ammorbidito prendendo tanto sul serio anche il suo compito di "nonno". Ma Thalia aveva bisogno, in quel momento più che mai, di un maestro e lui lo sarebbe stato al massimo delle sue forze. «Oggi vorrei che arrivassi a respingere un'intrusione più profonda e radicata. Dobbiamo temprare la tua capacità e renderla più stabile, sicché tu possa chiudere la mente anche a maghi più abili.» Si premurò di assumere un tono avvolgente quando aggiunse: «Come per la prima volta, ogni cosa accadrà qui, rimarrà qui. Non temere le debolezze che incontreremo, perché siamo qui per rinforzare le tue difese.»

 
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Se Thalia aveva mai davvero temuto il giudizio di qualcuno - e allo stesso tempo se ne sentiva rassicurata - quel qualcuno era proprio Connor. Suo nonno possedeva la quiete e la pacatezza dei suoi quasi ottant’anni e ne faceva sapiente uso senza mai eccedere nella ridondanza di una calma snervante.
Spesso, Thalia si era interrogata sul modo in cui egli vi riuscisse con tanta ed evidente abilità e la risposta, altrettanto frequentemente, svaniva come la bruma del mattino sotto i raggi di un tiepido sole invernale. Era la Legilimanzia a farlo marciare speditamente nella vita con quello sguardo proiettato ad una piena conoscenza dello spazio in cui si muoveva e delle persone che lo circondavano? Era questo, dunque, ciò a cui si riferiva non troppo velatamente e a cui lei stessa avrebbe dovuto aspirare? La nipote gli invidiava la sicurezza nel portamento, il modo in cui nulla - nemmeno il più sordido dei malintesi - riuscisse a tangerlo minimamente; nemmeno dopo aver sperimentato l'abbandono nelle sue multiformi sfaccettature. Neanche dopo che suo padre, Seamus, aveva preferito la moglie e le figlie a Connor, quest’ultimo gli aveva voltato le spalle. Anzi, la porta del maniero era sempre aperta a chiunque di loro avesse desiderato farvi ritorno.
Come una nave in balia della tempesta, Thalia continuava a sapere di poter tornare in quel porto sicuro per trovare riposo dalle fatiche a cui la vita aveva cominciato ben presto a sottoporla. Connor, in quanto capostipite della famiglia, era il suo punto fermo anche nei periodi più intensi, ma soprattutto in quelli meno sospetti: vederlo varcare la soglia del negozio quel giorno - quando il dubbio sul futuro l’aveva fatta vacillare più di quanto avrebbe mai potuto immaginare - era stato un balsamo per le sue agitazioni interiori. Suo nonno era e sarebbe rimasto il suo unico mentore e - da qualche anno a quella parte - persino il suo confessore. Imparziale come un giudice e premuroso come qualunque nonno dovrebbe essere, egli non aveva giudicato i suoi trascorsi, pur avendoli esaminati con cura. La Foresta Proibita e i suoi segreti erano passati a Connor e nella sua mente temprata tutto riposava e taceva.
Se una parte di lei temeva le domande su ciò che aveva e avrebbe visto, un’altra - quella più debole al richiamo degli affetti - avrebbe sospirato di lietezza nel potersi finalmente liberare di un peso. Era più che mai pronta, dunque, ad affrontare il passo successivo, conscia di potersi permettere il lusso di essere vulnerabile. Connor non le avrebbe mai permesso di fallire ed era lì, in quelle ultime parole, che la verità soggiaceva immutata agli occhi di entrambi.
«Ti confesso che sono sorpresa di essere tanto capace.» affermò, lasciando tamburellare le dita sul bancone di vetro con sguardo assorto. Il volto emaciato di Winston Querril ancora affiorava nella sua memoria insieme alle sue parole.
La Legilimanzia poteva esserle utile, certo, ma poteva essere anche un ostacolo? E dove cominciava e finiva il confine tra la legittimità dell’uso di quella branca di magia e la sua moralità? Aveva odiato essere una Legilimens, finché non aveva visto il timore, a suo dire mal celato, sul volto di Aiden Weiss alla fine dell’anno precedente. Era disposto a sacrificarsi per raccontarle la sua verità e, senza troppe costrizioni o fatiche, aveva scelto di risparmiarlo. Se fosse stata del tutto o in parte una scelta consapevole, Thalia non avrebbe saputo dirlo né all'epoca né adesso.
«Sai bene che cosa penso della Legilimanzia… eppure, ora inizia ad affascinarmi e spaventarmi insieme. Non riesco a controllarla e non so se posso chiudere la mente ad altri più abili di me. Suppongo di non poter avere tutte le risposte adesso, ma mi piacerebbe parlarne prima o poi.»
Era la verità più pura e meno edulcorata che fosse riuscita a pronunciare a voce alta, forse per la prima volta da che Winston aveva cambiato la sua vita. Connor aveva avuto il diritto di saperlo, naturalmente, ma questo non mitigava affatto la sensazione di essersi lasciata andare alle paure e alle emozioni di una ragazzina che non poteva più permettersi di essere. «In ogni caso, sono contenta che tu sia qui.» e sorrise impercettibilmente, incrociando le iridi azzurre del nonno con le proprie. «Non te l’ho detto prima perché speravo di potermela cavare da sola, ma è chiaro che sai sempre quando è il momento di arrivare a salvarmi.» Come un deus ex machina Connor riusciva sempre a risolvere tutto, qualunque inghippo si fosse presentato, l’uomo che aveva servito la comunità come Auror dimostrava - a dispetto dell’età e delle fatiche della vecchiaia - a guidare chiunque ne avesse bisogno alla più serena delle conclusioni. «Che cosa dovrei fare? Cercherai qualcosa di preciso?» e, prima ancora ch’egli potesse risponderle, aggiunse con urgenza «Non voglio nessuno sconto, sia chiaro.»

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Connor sollevò appena un sopracciglio, e soppesò come sempre le sue parole. «Sorpresa...» Così si sentiva la nipote? Sorpresa per la straordinaria capacità che scorreva indiscussa nelle sue vene? Forse perché lui aveva sempre saputo vi fosse nei suoi eredi un noto potenziale magico, o forse perché il suo cuore di nonno e capostipite lo desiderava, ma il vecchio non si aspettava nulla di meno. A modo suo, però, non era sbagliato che Thalia reagisse con sorpresa, perché solo così avrebbe potuto non dare niente per scontato ed avvicinarsi ad affinare i suoi poteri con il giusto spirito. Il vecchio lasciò che un sospiro sancisse una pausa, prima che un nuova lezione mettesse a tacere possibili dubbi. Con affetto, e con un gesto che - seppur non frequente - per lui voleva dire molto, afferrò con dolcezza una spalla della nipote. Non c'era bisogno che facesse uso di alcuna vocazione per capire che troppi pensieri si rincorrevano nella mente della giovane strega e che forse il tempo per mettere un fermo era arrivato agli sgoccioli. «Thalia» usò il nome proprio per richiamare l'attenzione della ragazza, e per marcare l'importanza di quel che stava per dirle. «Non c'è un limite alle volte in cui cambierai idea su qualcosa. Non lasciare che un solo lato di un potere simile influenzi il tuo giudizio, se riesci. Raggiungere il controllo massimo delle proprie abilità è un dovere morale al quale non vorrei ti sottraessi mai, ma al contempo poi sarai tu a deciderne l'uso che vorrai farne.» lasciò che la mano scivolasse via e non si imponesse eccessivamente sull'esile spalla. «Ti insegnerò a difenderti dai Legilimens più abili, poiché tu non sia più un libro aperto per loro. Ma questo non vuole dire che, potenziata la tua Legilimanzia, tu debba per forza diventare uno dei tuoi stessi nemici e scavare nelle vite altrui contro ogni consenso.» Non aveva ancora affrontato la tematica di come era venuto in contatto con la sua versione della legilimanzia, ma sapeva che prima o poi sarebbe giunto anche quel momento. Un sorriso addolcì l'espressione seria di cui ormai si faceva carico da anni. «Tuo nonno ha ancora un certo intuito» e poi rafforzo la stretta sulla bacchetta rigida. Avrebbe rimarcato più tardi come la giovane strega potesse salvarsi anche senza di lui, sebbene quel concesso non fosse così caro al vecchio Moran; sapere di avere comunque un ruolo nella sua vita era essenziale per non recidere il legame che li univa. «Nessuno sconto.» Promise, prima di aggiungere i dettagli indispensabili all'inizio della fortificazione. «Vorrai che rimanessi in piedi, oggi, finché riesci. Un legilimens molto potente può entrare nella tua mente anche mentre cammini. Per respingermi, fai appello al desiderio di chiudere le porte dei tuoi pensieri il più possibile, come quel giorno nel mio studio, ma stavolta devi prepararti a sottrarli da me con tutta la tua forza.» Sollevò la bacchetta e la puntò alle tempie di Thalia. Sguardo fisso sulla nipote. «Tieni a freno le emozioni, non ti aiuteranno» fu l'ultima cosa che disse, prima di comandare al proprio pensiero di insinuarsi in quello della giovane senza altri preavvisi se non quei segnali appena dati. Era un addestramento, adesso. E lei avrebbe capito, lo avrebbe percepito nell'istante stesso in cui si fosse affacciato ai suoi ricordi per pescare il primo della lista tra i più recenti.

Bene Thalia, Connor ha stabilito una connessione.
A te la scelta del ricordo da rievocare, purché sia tra i più recenti.
A te anche il primo tentativo di chiudere la mente alla sua indagine minuziosa.

 
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Tenere a freno le emozioni. Di tutte le parole pronunciate da suo nonno, quelle erano le più difficili da digerire. Non si era mai considerata una sentimentale né una debole di cuore; ciononostante, crescendo Thalia aveva imparato a proprie spese quanto fosse tremendo tenere per sé la paura, l’incertezza e l’amarezza, cominciando piano piano ad esternare ciò che il suo cuore aveva sino a quel momento mantenuto celato. C’era stata una sorta di resa da parte sua, come se tutti quegli anni passati a nascondere segreti, sviare gli argomenti più spinosi e cercare soluzioni inverosimili a problemi ben più grossi della dodicenne che era stata fosse stata tutta un’opera vana. La vicinanza di Nieve, le sue insicurezze mal celate e il suo bisogno di essere compresa a fondo, avevano aperto una breccia nello strato più esterno della sua corazza personale, fatta di preconcetti e dettami che a nessuno mai - nemmeno sotto tortura - avrebbe permesso di cambiare. Eppure, si era lasciata mutare dal tempo, dalle circostanze e dalle persone. Soprattutto dalle persone. Perché - e Thalia lo sapeva bene - nulla restava immutato nel tempo e nello spazio, per quanto ella potesse desiderarlo. Si era mostrata riluttante ad accettare un Destino diverso da quello immaginato per sé e, con ogni fibra del proprio essere, lottava ogni giorno per sovvertire le leggi che le avrebbero imposto di seguire un percorso in apparenza già stabilito; ogni giorno era divenuto una scommessa contro se stessa, nell'accettare ciò che non poteva cambiare - per quanto provasse o per quanto volesse.
Non era ancora scesa del tutto a patti con la sua abilità di Legilimens: che fosse una dote di famiglia, ormai, era assodato. Sapersi così simile alla sua ascendenza, però, la disturbava fortemente. Esisteva un legame con ogni Moran vissuto prima di lei e quel filo rosso correva nel suo sangue, nella magia che le aveva permesso di arrivare sin qui. Se da bambina avrebbe anche potuto gioire di una simile onorificenza - essere una Moran a tutti gli effetti -, ora Thalia ragionava diversamente, ponendosi un problema ben più grande dell'amor proprio. Che tipo di Legilimens sarebbe diventata? Avrebbe rispettato la riservatezza altrui? Fino a quel momento i risultati in tal senso erano stati a dir poco vani, ma con Aiden - nonostante le avesse servito la propria mente su un piatto d'argento - non era riuscita a cedere all'impulso di curiosare. Non capiva, forse non l'avrebbe mai fatto, e quella confusione attanagliava lo stomaco dell'irlandese con una stretta poderosa tale da provocarle vere e proprie fitte di dolore al solo pensiero. Capiva perfettamente che cosa avesse voluto dirle Connor con quelle brevi e compassate rassicurazioni: chiunque sarebbe potuto inciampare per caso - o volutamente - nella sua mente e trarne, perfino, un beneficio. Lei non sarebbe stata quel genere di Legilimens. Avrebbe rispettato i confini, ma per quanto osasse sperare di ricevere la stessa cortesia, Thalia sapeva nel profondo di non potersi permettere un lusso simile. Per se stessa, la sua famiglia e il suo futuro, avrebbe dovuto seguire Connor, ancora una volta, ed essere fedele alla regola stabilita tacitamente tra loro - la regola secondo la quale avrebbe dato il meglio di sé, sempre e comunque, secondo le proprie possibilità. L'Occlumanzia era la sua forza, il suo rifugio sicuro: lì avrebbe trovato il coraggio di difendersi e non nuocere, quest'ultimo forse l'unico dei suoi preziosi dettami ad essere rimasto saldo nel tempo.
Thalia non disse alcunché, ma si limitò ad annuire impercettibilmente - lo sguardo riflesso in quello dell’anziano mago. L'uomo davanti a lei, col tocco leggero della mano sulla sua spalla, non era alla ricerca di conferme. Con quel cenno minimo, Thalia gli permise di cominciare.

*

Calore. Sulla pelle candida del viso e sulle palpebre chiuse.
Aria. Brezza mite e leggera tra i capelli e profumo di salsedine.
In lontananza, lo stridìo dei gabbiani.
«Fallo ancora!» la voce di Iris, limpida e cristallina come quel giorno di qualche settimana prima, la costrinse ad aprire gli occhi. I capelli castani sospinti dal venticello impertinente sugli zigomi pronunciati della ragazzina e lo sguardo vispo rivolto ad un mulinello d’acqua salata. Quando aprì gli occhi, Iris aspettava con impazienza che facesse qualcosa, una seconda volta - o forse una terza.
«Non mi riesce a comando.» aveva risposto, sorridendo appena. La divertiva sapere di avere ancora un certo ascendente su di lei, ma ancor di più le piaceva l’idea che Iris pensasse di avere il comando. Un gabbiano gettò un’ombra scura su entrambe, volando sopra di loro e diretto ad uno sperone roccioso a poca distanza dalla riva. Non si scompose alla loro vista, sbattendo le ali prima di ripiegarle sul corpo dalle piume candide. Iris le fece cenno col capo di infastidirlo in qualche modo, ma lei negò.
«Non ci penso nemmeno.» rincarò la dose, prima che Iris potesse pensare di poter ribattere in qualunque modo.
«Dai, che ti costa?» la implorava come la bambina viziata che era stata, come se il tono sconsolato della voce potesse sortire un qualche effetto su di lei. Eppure, Thalia era sempre stata l’unica a cui Iris non avesse mai osato imporre il proprio giogo. Non avrebbe potuto. Thalia non gliel’aveva mai permesso.
«Di' un po'... a te farebbe piacere se ti facessi la stessa cosa?»
La tredicenne aveva raccolto le gambe al petto e le aveva circondate con le braccia; mai come in quel momento Thalia si rese conto di quanto fosse giovane e di quanto lei, alla sua età, avesse già visto e vissuto. Non era giusto, non per la bambina che era stata. Assistere a qualche litigio era una cosa, ma assistere a vere e proprie atrocità su esseri indifesi... quello sì che l'aveva cambiata davvero nel profondo. E a pensarci bene, non era nemmeno tutto ciò che sapeva sul mondo e le sue (non) regole. A quel pensiero lo sguardo si era rabbuiato, oscurato dallo spettro di quanto il suo cuore nascondeva. Avrebbe dovuto parlarne, spiegarsi, cercare aiuto; per quanto lo volesse - non affrontare tutto da sola - Thalia non desiderava coinvolgere Iris e Fiona, ma soprattutto l’intera famiglia. Lasciare attorno a sé briciole di pane - domande senza risposta, indagini apparentemente casuali al maniero e via di seguito - tutto serviva ad attirare l’attenzione di chi tra loro avrebbe potuto darle qualche risposta su come agire, sul momento perfetto per svelare ogni cosa. Nessuno, tuttavia, avrebbe mai saputo. All’esterno - ma anche dentro di sé - Thalia manifestava una preoccupazione latente per qualcosa di imprecisato e persino in quel momento, su una spiaggia irlandese, il peso di quel segreto avrebbe offuscato la mente, lasciandola scivolare tra le braccia di una Rabbia crescente e cieca. Il suo sguardo assente, proiettato sul gabbiano e sul mare placido attorno a lui, fu solamente il preludio di qualcosa che Iris aveva atteso per lunghi interminabili minuti: un nuovo mulinello - questa volta più grande del precedente - aveva cominciato a crearsi attorno alla roccia, attirando l’attenzione del gabbiano, che osservava la scena con l’espressione inebetita di chi non abbia idea di che cosa stia accadendo attorno a lui. Poi, il vortice mutò e l’acqua si sollevò - una ventina di centimetri o poco più - infastidendo il gabbiano che spalancò le ali e volò via, prima di essere inghiottito dall'onda. Solo il pizzico di Iris sulla pelle nuda delle sue gambe la riportò alla realtà e quando i loro sguardi s’incrociarono lei le sorrise.
«Lo vedi che non sei poi così male?»

*

Era successo qualche settimana prima, dopo il suo ritorno dall’Italia.
Un raro momento di vicinanza ad Iris, uno di quelli che a stento sarebbero ricapitati una volta che la più giovane delle sue sorelle fosse tornata ad Hogwarts. Iris era mutevole come il tempo, un attimo soltanto e la tempesta perfetta si sarebbe potuta scatenare sul mondo intero, se quello avesse deciso di girare diversamente da quanto stabilito dalla Serpeverde. Lei, invece, restava sempre la stessa.
Fedele a se stessa. Fedele alla famiglia che aveva giurato di non tradire mai.
Quel giorno sulla spiaggia avrebbe potuto svelare a Connor molto più di quanto Thalia non avrebbe voluto concedere e pregò, pregò di essere capace di sottrarsi a lui e a quell’indagine che senz’altro l’avrebbe costretta a svelare ogni cosa. Immaginare di immergersi nell’Acqua - che era il suo Elemento - e isolarsi dal mondo, coi suoni da esso provenienti del tutto ovattati e indistinguibili, non sarebbe bastato. Non stavolta. Aveva percepito la sua presenza, l’aveva sentito. Se gliel’avessero chiesto, Thalia non avrebbe saputo spiegare il modo in cui si fosse resa conto di Connor, del suo passeggiare lento e costante nella sua testa affollata di ricordi. Eppure lo sapeva.
Lui era stato lì... con loro.
Erigere muri invisibili non avrebbe sortito alcun effetto: già la prima volta Thalia ci aveva provato ed aveva fallito miseramente. Aveva trovato nell’acqua il perfetto alleato per un isolamento efficace, ma affatto sufficiente. Doveva fare di più, molto di più, e non soltanto perché Connor se lo aspettava, ma perché lei stessa confidava di poter avanzare e conquistare una nuova frontiera. Non aveva saputo di essere pronta fino a quell’istante, quando il ricordo della rabbia per un’infanzia deturpata da un incubo in carne ed ossa aveva invaso il ricordo, permeandolo a fondo. Aveva ceduto all’emozione, non aveva potuto farne a meno. Aveva vissuto nuovamente la sensazione di essere strappata dalla propria ingenua quotidianità e si era sentita tradita, ancora una volta.
Forse il tentativo sarebbe andato a vuoto - c’era un’ottima probabilità che sarebbe stato così -, ma la resa non era nel suo carattere. La caparbietà, almeno quella, non era ancora scesa a compromessi di alcun genere. Fu su quella che Thalia fece forza, con lo scopo di virare l’attenzione di Connor non alle emozioni, bensì ai giochi d’acqua. Forse avrebbe fatto domande, ma a quel punto il comando sarebbe tornato a lei. Avrebbe cercato di celare il suo malumore, rivivendo il momento in cui il gabbiano aveva spiccato il volo l’ultima volta. Si sarebbe lasciata andare allo stupore di quanto visto - l’acqua placida a prender vita come oggetto di magia pura - per poi lasciare che il ricordo si sfaldasse piano piano come la nebbia d’inverno.
Non poteva dirsi un vero tentativo di chiusura, non avrebbe potuto esserlo davvero. Aveva ceduto troppo di sé a quell’uomo, suo nonno e mentore, per scacciarlo ora. Se avesse voluto vedere al di là del suo trucco, Connor avrebbe visto ogni cosa.

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Non si poteva dire che Connor fosse un freddo calcolatore, ma neppure che non calcolasse le sue mosse. Il controllo che esercitava con mano ferma su tutta la famiglia era innegabile e così l'intuito che lo guidava nel muovere i passi sulla sua personale scacchiera. Il problema - ve n'era più d'uno in vero - era che nessuno aveva la possibilità di dare una sbirciatina oltre il velo dei suoi misteri, era lui l'unico detentore della propria verità. La vecchiaia aveva comunque suonato al campanello e quindi ogni tanto, seppure non lo desse a vedere, qualche colpo lo perdeva anche il vecchio Moran. Così era stato quando il suo calcolo era finito male e Leanne aveva fatto ciò che aveva fatto, costringendolo a riscrivere una parte di storia di cui aveva già previsto alcuni esiti. E così era stato con Thalia, quando pochi minuti prima gli aveva rivelato di avere anche una vocazione verso la Legilimanzia, già in parte collaudata. La differenza però era che se il primo imprevisto lo aveva lasciato interdetto e per nulla sereno, il secondo lo aveva riempito di orgoglio mal celato verso la progenie che teneva alto il buon nome di famiglia; il suo nome. Eppure questo non infrangeva la precisione con cui Connor si avvicinava agli addestramenti, sia stati per giovani Auror o per la sua Thalia. Chiunque crescesse con lui, sapeva dal principio che nessuno sconto di pena sarebbe mai stato applicato se non in extremis, e così non v'era bisogno per i due dentro Zarathustra di dirsi altro oltre quanto già espresso. Il vecchio sapeva che il compito non poteva rivelarsi tanto semplice e che più avrebbero progredito e più per la giovane strega la strada sarebbe apparsa impervia e piena di ostacoli, ma al contempo il maestro sapeva anche che l'allieva non avrebbe disatteso le aspettative.

Quando la connessione tra le due menti fu lampante, Connor permise a Thalia di percepirla, di accorgersi del restringimento e dell'invasione, perché potesse capire almeno in principio di essere "sotto attacco". Gli occhi chiusi dalle palpebre increspate si mossero svelti nei ricordi della nipote ormai cresciuta, soffermandosi su uno dei più recenti momenti di vita vissuta. La capacità intrinseca nei poteri del nonno, permise al mago di scalfire appena la superficie e vivere uno spaccato quotidiano con vividezza estrema, così come avrebbe potuto riviverlo anche Thalia. Nota stonata del vedere quel ricordo da fuori; lo spettatore in tenuta scura, con le braccia dietro le spalle che era decisamente di troppo. Ma come mandarlo via? Connor non solo poteva vedere quel breve spaccato di vita con Iris, ma poteva percepire perfino gli stati d'animo della Tassorosso e la punta di soddisfazione verso quello che ancora poteva dire di essere per la sorella; un punto di riferimento. Ma la vista del vecchio si acuì quando la comprensione di quanto visto fece breccia in lui ed allora, da quel momento preciso, si attivò la macchina. Come aveva appreso la prima volta che aveva testato l'occlumanzia con lei, chiedere era superfluo e poteva solo frammentare la coscienza, non certo rafforzarla. Un ghigno soddisfatto si dipinse sul volto del vecchio, al di fuori delle proiezioni mentali; era indubbio che Thalia avesse la capacità di ricordare i suoi insegnamenti e metterli in pratica, e questo anche a distanza di un anno. Sebbene il tentativo fosse lodevole, il primo approccio fu troppo frettoloso e la pressione esercitata dalla presenza del nonno nei suoi ricordi, troppo pressante. Irrefrenabile, volutamente tale, Connor chiese, e le pareti della mente del Prefetto tremarono sotto il suo giogo. Farla sentire a disagio avrebbe potuto essere un buon modo per attivare un maggior desiderio di cacciarlo. Ancora connesso a lei, andrò più a fondo e lasciò che la sua voce calda e precisa raggiungesse anche i sensi di Thalia, dandole un assaggio di cosa volesse davvero dire essere sotto il controllo altrui. Cosa avrebbe scatenato in lei quell'approfondimento così invasivo? Quali emozioni avrebbe attratto e alterato? «Cosa sei davvero?» la richiesta impersonale riverberò come imposto dal vecchio, e l'immagine incontrollata svanì sotto gli occhi della ragazza che, incapace di frenarla si ritrovò invece a rivivere un momento diverso; il momento della scoperta di quel collegamento profondo con l'acqua e le sue forme primordiali. Quanto era legittimo che lui sapesse? Quanto avrebbe voluto o non voluto rivelare al nonno?

Molto bene Thalia, mi piace come stai guidando il primo percorso, ora segui il desiderio di Connor ed andiamo più a fondo nella faccenda dei mulinelli...

 
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Suo nonno non era mai stato un uomo invadente, eppure il suo arrivo improvviso in una stanza era in grado di immortalare quel preciso istante permeato da un inspiegabile silenzio nella memoria di ciascun presente. Il suo sguardo a tratti tagliente e al contempo mite, la sua posa autoritaria - con la braccia dietro la schiena dritta e le mani intrecciate, il mento all'insù a riprova della sua fierezza e il respiro appena percettibile - tutto di lui dava l'impressione che, in qualunque circostanza, fosse egli a gestire le reazioni di chi lo circondava. Connor era il padrone indiscusso del maniero e dei suoi occupanti, ma non faceva nulla - nulla più di presenziare e tacere - per far sì che il suo ruolo condizionasse quello altrui. Forse, per tale ragione Thalia non ebbe difficoltà ad immaginarselo a quel modo, mentre con un briciolo di rispetto, ma deciso e curioso insieme, Connor si spingeva ad indagare nella sua memoria.
Il fatto che l'uomo che l'aveva cresciuta fosse un Legilimens esperto e che fosse stato lui per primo ad aver capito quali fossero le sue più profonde inclinazioni, l'aveva lasciata interdetta a lungo, costringendola a cercare di capire com'egli fosse giunto a simili conclusioni e se - di tanto in tanto - non le avesse usato la scortesia di vivere i suoi pensieri come fossero stati i propri. Poi, solo dopo il primo approccio all’Occlumanzia, Thalia aveva capito quanto suo nonno non si fosse lasciato definire dalle proprie abilità, ma le avesse manipolate a suo uso e consumo soltanto all'occorrenza, in caso di estrema necessità. E capire chi sua nipote fosse davvero non rientrava in quella casistica, a meno che non si trattasse di un bisogno dettato da un'occasione troppo ghiotta per essere lasciata cadere nel vuoto. Un’occasione come quella che lei gli aveva servito su un piatto d’argento.

Che cos'era davvero?

Quella domanda l’aveva sorpresa, benché immaginasse la ragione per cui gliel'avesse chiesto senza troppi giri di parole. Non solo l’intimidazione verbale - traccia ineluttabile della sua presenza - aveva gettato nuova luce, e conseguentemente una serie di ombre, sulla sua abilità di escluderlo dalla propria mente; quel quesito dirompente seppur semplice aveva contribuito anche a destabilizzarla più di quanto già non fosse. Connor doveva conoscere la risposta a quella domanda, ma chiederlo significava dirottare la sua indagine altrove, usando il ricordo di quell’estate come un ponte, un collegamento senza pari. E la cosa peggiore, se così poteva dirsi, era che era stata proprio lei a fornirglielo.
Non aveva idea di come si chiamassero le persone come lei, persone capaci di attingere alla Natura e al suo potere - o almeno ad uno dei suoi Elementi - così come si agisce a seguito di un'idea, secondo un procedimento di causa-effetto collaudato nel tempo dall'abitudine. Non aveva idea di come ci riuscisse, ma sapeva di poter giocare con quella connessione speciale con l’Acqua senza temerne alcun male. La purezza di quel legame non aveva limite né la sua scoperta sarebbe stata preclusa per Connor. In principio, aveva dirottato il proprio pensiero in quella direzione, così come l'attenzione dell'anziano, per necessità, ma nell'udire quella domanda - "Che cosa sei davvero?" - si era sentita felice - forse per la prima volta - di potersi confidare senza timore alcuno con la figura nella quale si era immedesimata più spesso nella sua intera esistenza. Connor doveva essere il custode di molti segreti, ma ciò che avrebbe scoperto da lì in avanti, seguendo il flusso dei suoi pensieri e ricordi, non sarebbe stato oscuro come molti altri in suo possesso. Le sue emozioni l'avrebbero guidato senza indugio là dove entrambi avevano subitamente desiderato andare.

*

Il gorgoglio dell’acqua salata, lo sbattere improvviso di grandi ali bianche, una risata cristallina vicinissima a lei. Iris era tornata a sorridere e la vista di quell’espressione le colmò il cuore di gioia. Eppure, benché il suo sguardo si fosse concentrato sul volto noto della sorellina, ella non smise di lasciare all’acqua il potere di attirare a sé l’attenzione di entrambe. Nel caleidoscopio di emozioni provate dalla maggiore delle ragazze, la rabbia continuava a coesistere con la consapevolezza di aver reso un servigio degno di nota alla minore delle due. L’acqua vorticava, sempre più veloce, creando un gorgo attorno allo scoglio - del quale cominciò a vedersi la parte immersa fino a pochi istanti prima. Il terrore di lasciarsi andare alla furia cieca dettata dall'ingiustizia, il timore di mettere a repentaglio la vita di Iris, colmarono il cuore e lo spazio attorno a lei. Iris non parlò, ammaliata da ciò che la sorella fosse in grado di compiere, e così tornò a concentrarsi sul mare cristallino, su ciò che le sue emozioni l’avevano aiutata a creare. Come se avesse potuto osservare dall’alto l’effetto cagionato dalla sua innata abilità con l’elemento, immaginò di immergivisi a fondo, fino a sparire all’interno di quel mulinello sempre più grande e oscuro. Se fosse accaduto davvero oppure no, stava ad entrambi gli spettatori scoprirlo.

Quando sentì il bisogno di riemergere, sfinita in un certo senso da quell’unione profonda con il suo Elemento, Thalia non si trovò più sulle spiagge di Cork. Attorno a lei, gli steli d’erba alta di un verde brillante e un fiume - lo Shournagh - le cui acque gorgogliavano allegre. La domanda di Connor - così come l’aveva udita la Thalia nel presente - l’aveva indotta a cedere alle sue insidie, conducendolo là dove l’Acqua l’aveva finalmente incontrata.
Al di là dello Shournagh le lande desolate e incenerite dall’incendio, la terra annerita e i tronchi fumanti come simulacri di una battaglia persa in partenza. Una stretta al cuore, il battito rallentato per un solo istante e ripartito quasi subito alla velocità della luce, fino - quasi - a farle male. Aveva dimenticato il dolore, la disperazione di ciò che l’occhio aveva visto e il cuore aveva percepito in prima istanza, ma trovarsi lì - apparentemente sola - aveva richiamato a sé ogni cosa. Il chiacchiericcio delle persone presenti alla veglia ormai lontano e quel richiamo silente ed inspiegabile verso le acque che infidamente avevano reciso il filo della vita del piccolo Pedr.
Come in una scena a rallentatore, qualcosa di già visto, le dita affusolate s’immersero nelle acque fredde dello Shournagh, incontrando il piacere di una connessione a lungo ignorata, ma mai dimenticata. Un senso di completezza la colmò allora nel profondo, e ammirando il proprio riflesso Thalia aveva capito - non del tutto all'epoca - di trovarsi lì dove avrebbe dovuto essere sin dall’inizio.

*

Portare Connor sulle rive di quel fiume significava renderlo partecipe di un segreto, non terribile come molti altri a disposizione nella sua mente, ma lieto. La minaccia della morte - che quel giorno aveva ricordato all’esiguo gruppo di uomini e donne quale fosse il suo infinito potere - non aveva potuto tangerla in alcun modo. Quel giorno aveva conosciuto per la prima volta la Natura in veste di Madre e Padrona insieme: colei che dà ed altrettanto terribilmente toglie. Se la morte di Pedr le aveva lasciato addosso la sensazione di essere un miracolo ambulante - ciò che il Lago Blarney non aveva osato reclamare per sé -, la scoperta di poter essere un tutt’uno con quell’Elemento piacevole e pericoloso insieme non aveva fatto altro che scaturire in lei un’emozione crescente d’orgoglio. Quella stessa sensazione di pienezza avrebbe raggiunto anche Connor, spettatore inatteso, suscitando in lui qualcosa che mai - mai prima d’allora - aveva potuto pensare di considerare o capire. C'erano tracce di un passato lontano in quel ricordo recente, un passato ignorato da entrambi sino a quel momento. Quante probabilità c'erano che, come la propensione alla Legilimanzia, anche quel legame con la natura non fosse frutto di una predisposizione connaturata in ciascuno di loro? Thalia se lo era chiesto, giacendo sul proprio letto quella sera di un anno prima, e l'interrogativo era riemerso ora, nel presente, mentre Connor assisteva silenzioso a ciò che sua nipote aveva scoperto di sé. Eppure, nonostante ogni fibra del suo essere desiderasse condividere con lui la sua rinascita, Thalia non voleva perdere di vista la propria missione: cacciare Connor dalla sua mente e rimandare ad un secondo momento la spiegazione per quella straordinaria simbiosi con l'Elemento. Lo sguardo riflesso nell'acqua si sarebbe perso tra le increspature, fino a che - con un briciolo di fortuna e volontà mescolate insieme - non fosse riuscita ad inoltrarsi nel Nulla per poter tornare al Presente. Un ultimo sforzo, l'azzeramento di ogni emozione. Solo un muro d'acqua e la sensazione di non potersi intromettere oltre in quel ricordo, mentre il corso dello Shournagh diveniva piano piano inconsistente, l'acqua mutava in vapore e una fitta nebbia offuscava ogni pensiero finora tangibile per Connor.

Inventario&Conoscenze

⤿ Bacchetta
⤿ Anelli Gemelli (Nieve; Mike)


⤿ Legilimens Apprendista
⤿ Occlumante Apprendista
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view post Posted on 10/2/2020, 15:40
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Il Fato

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L'idea che qualcosa potesse sfuggire alle sue pianificazioni o al suo controllo, non gli andava a genio. Scoprire che Thalia non solo si era affacciata ad una nuova vocazione, ma possedeva un'abilità innata intrecciata al sangue che scorreva nelle vene dei Moran, lo colse genuinamente alla sprovvista. Tentò il tutto per tutto affinché non si notasse quella ruga d'espressione più marcata ad oscurargli lo sguardo, ma poco avrebbe potuto contro una sincera sorpresa. Non disse nulla, mentre la memoria della strega ripercorreva i passi ed accendeva gli allarmi di un pericolo affrontato con coraggio e determinazione, doveva vedere - e ne aveva la possibilità - ogni cosa. L'incastro delle menti permise al vecchio, quasi la nipote volesse svelarsi di sua iniziativa, di indagare a fondo oltre i mulinelli appena accennati poco prima, ed un rivolo di quel fiume d'acqua si riflesse per un secondo nello sguardo vacuo. Tassello dopo tassello, in genere, il suo percorso veniva reso noto a chi doveva attraversarlo. Egli pensava, reagiva, decideva e prevedeva i passi che i suoi discendenti avrebbero compiuto prima o poi, ma mai come in quel momento si era scoperto cieco di una componente essenziale che mancava alla ricetta, e Thalia gli stava rendendo pan per focaccia. Quella della giovane non era una sfida, ovviamente, ma scombussolò comunque per un po' il nonno, che rimase interdetto prima ancora che la visione si concludesse. I tecnicismi li conosceva ma, quando la fascia stretta immaginariamente contro le tempie della Tassorosso si sciolse, rimase in profondo ed enigmatico silenzio. Furono due lunghi minuti di nulla.

«Mi sono perso molte cose...» disse infine, con voce profonda ma non irritata. Un accenno di un sorriso d'assenso trasformò l'espressione seria in una sua variante più dolce. Con le braccia conserte, il mago fece cenno all'altra di riposarsi un secondo. «Prendi fiato, siamo sulla giusta strada» il patto che fin dal primo momento di quel cammino avevano siglato prevedeva in effetti che lui non chiedesse, e non indagasse laddove il privato di Thalia si espandeva a macchia d'olio, lontano dalle coscienze dei familiari. E così avrebbe voluto fare, senza entrare a piè pari in quegli accadimenti che - per un motivo o per l'altro - non erano giunti fino alle sue orecchie. Fu difficile, quella volta. «Ricordi ancora i miei insegnamenti, hai usato una distrazione efficace contro i più... » c'era un "ma" sospeso proprio lì, dove la giovane avrebbe potuto facilmente aspettarlo. «... ma non basta. Ci vuole equilibrio tra le forme, devi bilanciare le abilità che possiedi affinché la distrazione non distragga anche te.» Continuava a definirla "distrazione" perché non voleva oltrepassare la linea dei loro accordi, ma nel proseguire con le istruzioni tecniche, perse quella premura. «Sai come deviare l'attenzione su qualcosa di meno rilevante e compromettente per te, questo è assodato... In caso di necessità chi cerca può stancarsi, sì. Questo però può finire per stancare anche te a lungo andare. Ho bisogno che tu compia il passo successivo, e che mi spinga fuori dalla tua mente.» proseguì, puntandole la bacchetta alle tempi. Prendere fiato andava bene, ma non dovevano fermarsi ancora. Il buio aveva avvolto il locale, ma bastò uno sventolio del ciliegio per accendere un giusto quantitativo di candele fluttuanti attorno ai due. «Il passo che ti chiedo adesso è difficoltoso, ma ho capito che puoi fare molto più di quanto avrei creduto possibile. Cancella le emozioni, come prima, e dopo tira fuori gli artigli della determinazione e cacciami come fossi il peggiore degli intrusi» "perché lo sarò" avrebbe voluto aggiungere, ma riuscì a farsi capire comunque con l'ultima indicazione. «Andrò a scavare laddove tu non vuoi che nessuno vada, troverò quel ricordo che non vuoi che nessuno veda. Relazioni, pensieri, azioni, scorrettezze... » e non finì la frase. Il suo intento era chiaro, anche solo nominare quei campi d'azione avrebbe portato la mente di Thalia a riflettere su quelle, e dunque a far riaffiorare i ricordi legati. E Connor avrebbe cercato quello che - in anni di studio sul raziocinio umano - più sarebbe apparso scomodo e inappropriato. Forse, avrebbe detto un pungolo della sua coscienza, esagerava, ma la prova non poteva rivelarsi tanto facile per la sua adepta. «Legilimens»

Il primo ciclo si è chiuso con mia grande soddisfazione. Molto bene!

Secondo giro, seguiamo il flusso della richiesta di Connor,
a cui al momento ancora non puoi opporti.
Hai in ogni caso la possibilità di spaziare intorno
al tema scelto, selezionando il ricordo preciso.

 
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view post Posted on 15/2/2020, 18:00
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You can take the darkness out of the man, but you can't force him to step into the light.

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“Stop giving other people the power to control your mind.
If you don't take control of yourself, someone else is bound to try.”

Il ritorno alla realtà fu meno brusco di quanto si fosse aspettata, sebbene il bancone fosse stato lì pronto ad accoglierla quando un minimo capogiro fece la propria comparsa. Connor era tornato ad essere un’entità in carne ed ossa, non più vaga presenza tra pareti immateriali. Era lì in piedi, dinanzi a lei, l’espressione sul volto indecifrabile. Era soddisfatto o contrariato? Non riusciva a capirlo e l’illusione di conoscerlo davvero si frantumò al pari di un calice di cristallo in mani maldestre. Poi, le sue parole chiarirono soltanto in parte l’emozione nel cuore dell’anziano, il suo mentore; era sorpreso, forse anche deluso, nell’aver perso tanto tempo e di non aver capito prima quanto ci fosse da scoprire in lei. E in quel momento Thalia realizzò di aver trascurato quel rapporto, di non aver saputo restituire quanto in realtà egli avesse saputo darle senza chiedere davvero nulla in cambio.
«E’ una lunga storia, in realtà.» si giustificò, non poté farne a meno, tornando bambina per un istante - agli anni in cui chinare il capo in una parvenza d’umiltà era più difficile, come se trovare una giustificazione fosse più semplice «E non so nemmeno… insomma, non ne so molto.» ammise finalmente, libera del peso di dover apparire sempre perfetta e consapevole di ogni cosa. Connor non era solo suo nonno, era anche un mago esperto e, forse, nella storia famigliare c’era traccia di quella speciale connessione con la Natura e le sue leggi, qualcosa che a lei era sfuggito sino a quel momento. Non aveva voglia di pensarci in quell'istante, però: le tempie pulsavano, libere dalla costrizione mentale che Connor aveva esercitato su di loro. Ripresasi dal capogiro, indice e medio massaggiarono in circolo la zona dolente; ci erano già passati ed annuì alle parole dell’ex Auror, sapendo di aver fallito e di essere ricorsa ad un escamotage banale pur di sfuggire al suo assalto.
Dal mutamento repentino nella sua voce - ancor più che dallo sguardo penetrante - Thalia capì di aver assaggiato solamente il guanto di velluto, di non aver ancora visto - letteralmente - nulla del vero potenziale del Legilimens. Lo sguardo della nipote ricambiò quello del nonno in una versione che, le sarebbe piaciuto poter smentire, aveva il sapore della paura più cieca. Nella sua testa c’era tutto: ricordi legati alle vicende scolastiche - litigi, tafferugli sventati, infrazioni del regolamento -, la tensione per un esame o una valutazione, il distacco materiale da Mike (comprese le banali scuse con le quali si era defilata dal ragazzo per un anno intero), la preoccupazione per Nieve e il Barnabus; non ultimo, lo spettro proveniente dal passato di famiglia. Nel tempo, Thalia si era risolta a considerare Cordelia come un’entità astratta e senza forma, un’ombra più che una vera e propria persona. Non aveva volto - giacché il tempo doveva averne mutato inclemente i tratti - né voce, non agiva, ma restava a guardare. Era relegata nell’angolo più lontano ed oscuro della sua mente, là dove sapeva che nemmeno lei stessa si sarebbe avventurata con le mani in mano. E nonostante tutte le sue precauzioni, nonostante la sua breve vita fosse stata costellata da onorevoli intenzioni lasciate cadere nel nulla più assoluto, ecco che il timore di essere fragile la colpì in pieno petto. Quando la bacchetta di ciliegio virò alle sue tempie, seppe di essere spacciata. Anche quella, in fondo, era un'emozione i cui effetti avrebbe dovuto rifuggire.

*

Come se tanti fotogrammi si fossero presentati nella sua mente malleabile - e in quella vigile di Connor - Thalia rivide una piuma nera, lucida e perfetta, su un letto a baldacchino dal copriletto nero e dorato.
Timore.

Adrenalina nelle vene, lo sguardo rivolto ai compagni. La tensione palpabile dentro e fuori di sé. Una partita di Quidditch, il fendente di un bolide scagliato da un Battitore avversario. Dolore.
Stupore.

Un pub, confusione e due bicchierini di whiskey ricolmi. Una ragazza dai capelli castani, lo sguardo penetrante e il sorriso beffardo. L'impressione di essere fuori posto.
Vergogna.

Un abito leggero, lungo, di un tenue celeste pronto a virare al bianco. Ricami dorati, sul busto e sulle spalle, in un intreccio che lasciava scorgere molto più di quanto il decoro avrebbe concesso ad una ragazza della sua età. Le mani dolenti, macchiate di sangue, piccole gocce rossastre ad intaccare il bianco marmo delle gradinate.
Rabbia, ancora, cieca e incontrollabile.

La Thalia nel presente sapeva benissimo dove la sua mente l’avesse condotta, tradendola. Aveva vissuto quella notte più e più volte nella sua testa, nei suoi sogni, nei momenti di stallo tra una chiacchiera e l’altra. Durante ogni ronda nel mese successivo. Un uomo, una chioma di capelli vermigli, il suo abito impeccabile e l’espressione nei suoi occhi blu indecifrabile a fronte dell’ira mascherata da una parvenza di servilismo nella voce della ragazza. La sua voce.
«Se vuoi qualcos'altro, ti basta chiederlo.»
Lo attaccava senza sosta, lanciava qualcosa contro di lui, macchiando anche le sue vesti di quel sangue versato per una sciocchezza - come avrebbe detto qualcuno. Lei non la pensava così. E quand’anche l’avesse creduto, non avrebbe sopportato di essere oggetto di un sopruso.
Nelle notti che erano seguite, la sua consapevolezza del fatto in sé aveva iniziato a vacillare, spinta da un qualche assurdo tentativo di emergere come vincitrice assoluta in un capitolo tecnicamente chiuso. Per quanto avesse tentato di dimenticare, ciò che le era rimasto davvero impresso erano gli sguardi: quello di un uomo senza nome - che tale sarebbe rimasto -, addolorato e stanco di fallire; il suo, riflesso nelle iridi bluastre di lui, fiammeggiante di rabbia. Sbraitava, lei lo sapeva, ma nel ricordo non v’era voce. Non perché non ricordasse davvero le parole pronunciate con foga e sarcasmo a volontà; semplicemente le aveva lasciate depositare nella memoria, desiderando che evaporassero e lasciassero spazio solamente a qualche sciocca immagine. Non era certa di esser riuscita in quell’ambizioso intento. Non era certa di averlo fatto davvero fino a quell’istante, rivedendo le immagini di un passato recente come un film muto.

*

Si era sforzata così tanto di nascondere Cordelia, le sue azioni e le sue parole, da aver sublimato le proprie emozioni sino ad aver cominciato ad associarle ad altro.
A qualcun altro. E così il tormento per un Destino non scelto si era tramutato nella rabbia verso colui che per primo aveva osato - non volutamente forse - far riemergere ricordi sopiti; l'ammissione di essere preda di un feroce nemico invisibile, la sensazione di non poter evitare nulla di ciò che sapeva sarebbe certamente accaduto. Aiden aveva fatto riaffiorare ogni cosa con la sua semplicità. E per quanto Thalia avesse tentato di opporsi affinché Connor non sapesse di Cordelia, non aveva potuto evitare che la sua mente si rivolgesse all'unico essere umano capace di comprendere quella sua strana frustrazione per il futuro. Ed era sulle quelle scale di marmo che Connor si sarebbe trovato, accanto a lei, nel momento in cui il contegno aveva scelto di abbandonarla per dar voce a sentimenti inespressi. Era con lei nel momento in cui la sua rabbia era cresciuta, quando aveva retratto il braccio con l'intenzione di scagliare prima un orecchino e poi l'altro. Era con lei, percepiva il suo dolore fisico e la frustrazione di essere divenuta una preda inconsapevole di se stessa. Connor era con lei ed Aiden, su quelle scale, ed era così vicino alla verità da far crescere in lei ancor più la paura di rivelare ogni cosa.

Inventario&Conoscenze

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⤿ Exp. 37



Precisazione d'obbligo: il fatto che Thalia ricordi la scena del Ballo delle Ceneri senza alcun suono - nessuna parola, nessuna musica, nessun rumore, è data da un tentativo del tutto personale di oscurare il ricordo in un momento precedente a questo. Non dovesse essere opportuno, non consideriamo quelle 3-4 righe in cui se ne fa riferimento. :flower:


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