Vocazione o Convinzione?, Colloquio Gazzetta del Profeta

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view post Posted on 21/10/2019, 14:43
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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Ariel A. Vinstav
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« On your side let's talk about everything
Got no time for words that you've already heard »
L'ansia era sempre stata qualcosa con la quale Ariel aveva mantenuto un rapporto cordiale e distante, come si conviene fare fra uomini rispettosi gli uni degli altri. Di ansia, insomma, non aveva mai veramente sofferto se non in quelle occasioni della vita dove questa non è tanto ostacolo, quanto strumento per manifestare la tensione e la paura quando intrecciate.
La prima volta che aveva volato con suo padre sulla sua vecchia Bluebottle, per esempio, aveva concepito il distaccarsi dalla terra come sensazione innaturale, paurosa e forse persino sbagliata e non comprendendone la causa e il funzionamento, era finita col stringersi al padre per contrastare una paura crescente e l'ansia che insieme le stringevano il petto. Eppure, anche allora Ariel era sospinta dalla necessità di curiosare e scoprire e dopo qualche minuto, aveva già provato ad aprire le braccia e saggiare sulla propria pelle il vento.
Provare ansia, quindi, le venne sempre più difficile: l'entusiasmo di scoprire era sempre più turbolento e forte nel suo cuore di qualunque altra sensazione.
Ecco perché anche quel giorno non aveva mancato di perdersi nella sua routine, nonostante la data segnata nel calendario appeso alla parete della sua cucina: "Colloquio Gazzetta!"; riportava così in rosso la scritta tonteggiante, cosparsa qua e là di stelline e piccoli strascichi di glitter violacei e blu, come galassie che le erano rimaste sulle dita per giorni, nonostante i bagni periodici. La data era stata segnata immediatamente con la lettura del Gufo ricevuto dieci giorni prima.
Era indubbiamente di buon umore, estatica persino. L'anziana Ms. Lochdreinn, la sua vicina di casa, l'aveva intrattenuta in una colazione nel cortile che divideva il suo Penty dal Cottage di proprietà della signora. Erano riuscite a venirsi in contro su una colazione ibrida della tradizione anglosassone e quella dei Vinstav (una contaminazione fra la Francia in cui è vissuta e le origini scandinave): due salsicce, un uovo in camicia, porridge con mirtilli e un quantitativo esagerato di caffè e latte (più latte che caffè). Se i Babbani francesi non consideravano troppo importante la colazione, Ariel considerava importante il cibo in generale – rendeva difficile credere fosse così magra.
Con la pancia piena ed un entusiasmo abbastanza abbondante da poterci sfamare una classe di studenti ai G.u.f.o., si era ritrovata lavata e vestita davanti al camino della sua vicina, mezz'ora buona prima dell'ora del suo appuntamento segnata nella lettera. Armata di polvere volante nella mano destra aveva lanciato una manciata di questa dentro il fuoco basso che riscaldava il salotto e quando queste si erano fatte alte e verdi ci si era portata all'indietro con nonchalance, abbassando appena la testa per superare il piccolo arco di mattoni imbruniti. La magia rese innocue le fiamme che le lambivano la pelle, renendola spettrale sotto i suoi riflessi smeraldinei. Spalle dritta e tono sicuro ruppero il silenzio della sala «Il Paiolo Magico.»
E con un guizzo si era vista scomparire, accompagnata dal guizzare della mano rugosa di Ms. Lochdreinn, davanti a lei in attesa della sua partenza per l'importante colloquio.
Era così giunta con mantella e tracolla di pelle nel celebre locale, nell'anfratto di mattoni e cenere residua sotto di lei di chiunque raggiungeva Diagon Alley attraverso la locanda. Battendo le mani sulle spalle e sulle vesti - così da essere sicura di aver tolto di dosso quanta più polvere volante possibile - si era portata immediatamente dentro la strada trafficata del quartiere commerciale, accompagnata dal ticchettio sordo delle suole compatte degli stivaletti bordeaux contro il sentiero di truciolato. I capelli chiari, lunghi fino alle spalle, creavano un contrasto piacevole con i colori scusi della gonna plissettata a vita alta, lunga fino alle ginocchia e il maglioncino indaco dalla fantasia tribale a righe bianche, infilato parzialmente sotto la fascia alla vita. Un mantello nero in alamari d'argento le copriva la schiena, lasciato aperto sul fronte a lasciar intravedere il vestiario e la borsa a tracolla di pelle. Un piccolo fodero di cuoio era allacciato ai passanti inutilizzati della gonna da una cordicella chiusa in un doppio nodo, custodendo così nella guaina la propria bacchetta.
Quando raggiunse la sede della Gazzetta del Profeta mancavano dieci minuti al suo incontro e si era già persa in un canticchiare sommesso, privo di parole: suoni intrappolati nella gola che attiravano lo sguardo di qualche passante, o reporter che frenetico si muoveva da una parte all'altra della sala.
«Bonjour!» Lei era tutto tranne che esasperata, o schiacciata dalla responsabilità del mestiere. Leggiadra, la voce si esbiva gioviale, alta. «Sono qui per un Colloquio con "Mr.Smith".»
Aveva detto così alll'addetto all'ingresso, cercando di farsi indicare da questo l'ufficio da lei cercato.
Un'occhiata un po' torva aveva anticipato una spiegazione breve e semplice che l'avrebbe vista salutare con un «Mercì! Buona giornata e tante bellissime cose!» e con una mezza corsetta.
Saltellava. Ariel saltellava per i corridoi, come Heidi i bambini sui monti, mancando solo di sollevare e abbassare le braccia ad alternanza mentre lo faceva. Ogni tanto si fermava nei punti più affollati e preferiva fare slalom tra i lavoratori ed evitò per fortuna di far trambusto quando raggiunse gli uffici e l'ambiente, presumibilmente, avrebbe richiesto più calma da parte sua.
Era eccentrica, ma di certo non maleducata – e se lo era a volte, non era certamente fatto apposta!.
Primo piano, prima porta a Destra e quindi eccola ferma, davanti alla porta legnosa che riportava su targhetta d'ottone il nome "Smith".
Strofinò le mani tra di loro, palmi contro palmi e poi slacciò l'alamaro al petto, liberando dalla sua trappola la mantella già aperta sul fronte. La accolse fra le dita, ripiegandola in due e facendo passare il tessuto sulla scarsella, facendola pendere di lato. Pettinò i capelli con le mani, accompagnando le ciocche decisamente più lunghe di capelli sulla zona frontale, utili solo ad incorniciare il viso e far sottolineare la lunghezza del naso.
Gli occhi grandi, un po' incavati e curiosissimi scintillavano del loro blu.
"Tic tic toc"
Suonavano le lancette dell'orologio vicino, mentre le studiava trepidante, non potento evitare di far nuovamente strofinare i palmi gli uni contro gli altri per sfogare così l'euforia.
Voleva scoprire cosa l'avrebbe aspettata dietro la porta. E allo scoccare delle undici, due minuti buoni dopo, quasi si fece male al collo nel voltarsi di scatto nuovamente sulla porta e
"TOC TOC"
Fece cozzare le nocche della mano sinistra contro il legno.
Due singoli e pesanti rintocchi che segnalavano il suo arrivo.
Solo ricevuta una risposta (o alternativamente abbastanza secondi di silenzio dopo il suo bussare) la voce della ragazza avrebbe ripreso a farsi sentire:
«Buongiorno. Sono Ariel Vinstav per il colloquio delle undici.»
Aveva un evidente accento francese a macchiarle la voce e un timbro vocalico femminile particolarmente calmo, quasi sognante e solo questa volta appena più alto del normale per tradire un fervente entusiasmo.
Voleva vedere cosa ci fosse oltre quella porta; cosa Mr. Smith avesse preparato per lei.
Provare ansia, si era detto, era lavoro per lei assai difficile: l'entusiasmo della scoperta, invece, era sempre al suo fianco.

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view post Posted on 23/10/2019, 07:44
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«E' strano ed esagerato!»
«Non capisci nulla, Anna; è solo inglese!»

Ed il battibecco sarebbe andato avanti se solo le due ragazze - apparentemente identiche - non avessero sospeso le chiacchiere proprio su un "guarda che sei inglese anche tu!" appena accennato, nei dintorni della porta di Smith. Ridacchiando, erano riuscite a superare in contrastante silenzio il corridoio che si stringeva intorno ai loro corpi minuti, senza urtare fisicamente Ariel... ma non senza farle una radiografia di tutto rispetto. Impettite, poi, com'erano venute se n'erano anche andate. La Redazione non era neppure nel pieno della follia, c'erano stati giorni ben peggiori, in cui le notizie di cronaca fioccavano e non serviva stanare chissà quale scoop ignoto per tenere i lettori incollati alla Gazzetta, quanto più bisognava essere veloci a reperire le informazioni più succulente prima degli altri giornali. Tuttavia - e per fortuna - quei tempi erano finiti e sebbene serpeggiasse ancora il timore di un nuovo attentato, si poteva dire che il fermento a Londra era tornato nella norma, e così anche tra quei corridoi. Al di là del portone scuro, Octavian Oliver Smith, attendeva il colloquio delle undici con impazienza. C'era sempre bisogno di validi giornalisti, ma trovarli si era rivelata un'impresa non da poco. E lui, che aveva ricevuto in delega da Seraphinus il compito di rimpolparne le schiere, se possibile, avrebbe fatto del suo meglio per selezionare il candidato ideale. «Entri pure» con voce solida e tranquilla (ed anche molto vicina) invitò la ragazza a farsi avanti, aprendole la porta e presentandosi proprio lì ad un metro e mezzo da lei. Con l'uscio aperto, la sua altezza era ben visibile. Un metro e novantacinque di completi eleganti su misura che variavano di tono ogni giorno - quella mattina toccava ad un completo sui toni del beige, con una camicia bianca ed un gilet liscio - e di arti lunghi e proporzionati. «Octavian Smith, ma la prego... si accomodi» proseguì lui, aprendo del tutto la porta e lasciando che l'ufficio ordinato parlasse da sé. Dai toni spiccatamente vintage, una scrivania in legno faceva la sua bella figura al centro della sala, anche se in effetti lo sguardo sarebbe caduto più facilmente sulle pareti interamente tappezzate di articoli della Gazzetta incorniciati. Come e quando li avesse selezionati, o il perché, non era noto quasi a nessuno. Solo un muro si salvava poiché occupato in gran parte da una finestra incantata che dava su un panorama irlandese particolarmente nebuloso e umido. Uno sgabellino basso ed imbottito, rivestito in pelle marrone e sbiadita, avrebbe atteso Ariel se la ragazza avesse seguito le indicazioni del mago prima che lui chiudesse la porta alle sue spalle. «Non mi piacciono le sedie» spiegò con tono semplice, come se avesse solo dato una preferenza su quale panino scegliere al bar di sotto e, poi, si sedette sullo sgabello che fungeva da sua personale poltrona. Se la giovane si fosse avvicinata avrebbe potuto notare quanto ingombra fosse la superficie in legno della scrivania, ed al contempo quanto fosse ordinata. Fogli ben impilati, articoli ben impilati, portapenne di ogni sorta, piume d'oca prevalentemente marroni, pergamene arrotolate e... sì, il suo curriculum in pieno centro. Le dita lunghe di Octavian sollevarono il foglio e, solo allora, lui la guardò negli occhi. Iridi nocciola buie come pozzi, totalmente concentrate sulla ragazza senza il minimo accenno di disagio (almeno non per lui). «Perché proprio la Gazzetta Del Profeta?» chiese.

Bene Kei,
il tuo colloquio ha inizio.

Ti ricordo che non ti sarà possibile modificare un post senza il mio consenso e che sono sempre disponibile via PM qualora ne avessi bisogno. Buon gioco!
 
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view post Posted on 24/10/2019, 01:18
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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Ariel A. Vinstav
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*Uh, io no. Sono francese.*
Fu quella la reazione spontanea al parlottare di Anna e la sua - presumibilmente - gemella.
Un bene che stavolta avesse avuto l'accortezza di pensare e non parlare, considerando le occhiate che quelle le avevano scoccato a priori squadrandola con attenzione mentre si allontanavano.
Lei, d'altro canto, degli sguardi altrui aveva imparato ad accompagnarsene con distacco, perché spesso carichi di confusione o disapprovazione; il trasferimento in Inghilterra, poi, anche dopo anni la faceva sentire ancora 'nuova' del posto, una turista in mezzo ad occhi perfettamente consapevoli di quanto non appartenesse alle foreste scozzesi, le brughiere inglesi o le valli gallesi.
Tutta 'colpa' dei suoi comportamenti bizzarri, inspiegabili.
Non reagì male a quell'analisi, arrivando persino a ricambiarla.
Inclinò il busto in avanti e il capo di lato, scrutando le due maghe di sbieco mentre si allontanavano lungo il corridoio, storta come una vecchia Silver Arrow.
Sarebbe stata lì a stuidiare le loro espressioni e ascoltare le loro conversazioni sibilate fin troppo a lungo, se non fosse stato per la voce provvidenziale del Signor Smith.
Si sollevò di scatto, non allarmata dal vociare dell'altro, né tesa, quanto entusiasta.
Un verso eccitato rischiava di scapparle a fior di labbra. Il desiderio della scoperta aveva appena acceso in lei un certo ardore.
«Oh salve!»
Da una frase tanto banale, quindi, ne uscì un suono tonante, gioioso e cristallino e decisamente troppo informale per il contesto. La sua eccentricità ed amore per le emozioni rischiavano di farla apparire bizzarra fin dal primo istante. Un bene sarebbero stati solo loro due i testimoni del tutto.
La seconda fortuna della giornata era come il proprio buonsenso (che sì, esisteva ancora) aveva optato per abiti più dignitosi della solita mise di abiti raffazonati fra di loro e quindi per quanto potesse stonare il maglioncino con trama tribale ed elefantini stilizzati al confronto con il completo su misura dell'altro, poteva sicuramente fare di peggio.
Scostata la porta, si perderebbe con lo sguardo curioso contro il volto altrui, dovendo rizzare per bene il capo per compensare le loro cospicue differenze d'altezza.
«Ariel Astride Vinstav» Si presentò di rimando, non evitando mai di celare il proprio accento della Loira. Il cognome dell'Est veniva ammorbidito con il pieno contrasto della cadenza normanna.
Sfarfallò le ciglia chiare, abbassando lo sguardo non più per studiare ancora il Giornalista, ma per soffermarsi sul suo Ufficio.
Sognante, quasi, si sarebbe vista muoversi dentro la stanza a passo lento, cadenzando la fermezza dei propri movimenti con una certa precisione.
«Une, deux, trois.» Contava i passi prima di fermarsi, sussurrando i numeri fra le labbra, prima di incastonare lo sguardo verso uno degli articoli appesi alle pareti, quello la cui cornice sarebbe stata la più piccola, o in mancanza di questa quella più a portata d'occhio per la sua posizione.
Compiva nel mantre ancora qualche passo , non prendendo posto, ma limitandosi a fermarsi una volta sfiorato lo sgabello con le ginocchia.
«Hm? Oh sì.» Abbassò lo sguardo solo ora per poter vedere il piccolo posto a sedere davanti a lei.
Non era sicuramente una scelta d'arredamento convenzionale e forse proprio per quello sembrava particolarmente a suo agio.
«A me non piacciono le scarpe: intrappolano i piedi e non riesco mai a sentire il terreno. E' come se dovessimo bendarci gli occhi per vedere; sciocco, non crede?»
E quasi a voler rafforzare la propria tesi, avrebbe sollevato appena il piede destro, scuotendolo su e giù, come a scrollarsi di dosso qualche peso ingombrante.
«Lo Sgabello dà più libertà di movimento.»
Aggiungerebbe poco dopo, vededola finalmente tentare di prendere posto sul piccolo scranno dall'altra parte della scrivania.
Assunse una posizione che probabilmente sarebbe apparsa tanto assurda da mettere in ombra la presenza di uno sgabello in un ufficio.
Le mani si posarono ai bordi laterali dello sgabello, portando le dita a venire parzialmente coperte dalle natiche, mentre le gambe venivano piegate e sollevate ad alternaza - la destra prima della sinistra - e incrociate, tentando di sedersi all' indiana al centro dello sgabello e mantenersi in equilibrio con l'aiuto delle mani sulla pelle che rivestiva l'imbottitura e la struttura superiore di legno.
«Un po' come la sua finestra.»
E scoccherebbe un'occhiata al paesaggio nebuloso della bellissima Irlanda dietro il suo valutatore.
Parlava con spigliatezza, priva di quella formalità necessaria in certi ambiti; più che scortese - cosa che cercava sempre di non essere - sembrava semplicemente troppo in pace col mondo per dare conto a tutte quelle complicazioni - come la tensione - che i colloqui, specie in una struttura così illustre, dovrebbero naturalmente vedere sbocciare nell'animo altrui.
«Una parte di mondo per sè da contemplare, anche se chiuso nel suo completo e le vie trafficate di Diagon Alley.» L'accento ricadrebbe erroneamente sul suono vocalico finale; "Allì", piuttosto che "Alley", ma lei non sembrava dargli assolutamente peso - un po' come tutto, a questo punto.
Lo sguardo vagava ancora e ancora, rimbalzava fra le pareti, il rifrangersi dei contorni verdeggianti o grigiastri della vallata Irlandese contro quelli più definiti e scuri dei capelli di Octavian Oliver Smith.
Ogni cosa sembrava destare la sua attenzione. Compreso il propro Curriculum e con esso la domanda che la obbligava a tornare con i piedi per terra.
O quasi.
«"La Gazzetta del Profeta sarà sempre dalla parte del popolo."»
Recitava così quelle parole, una citazione che molto probabilmente il proprio esaminatore avrebbe potuto riconoscere: il Redattore Bagley aveva chiuso così il proprio articolo sulla scomparsa del Ministro dalla Politica attiva del Regno Unito e "accolto" con amarezza il Vice Ministro dopo gli attacchi che avevano sconvolto l'Inghilterra
Ariel suonava distante, ora, mentre lo sguardo finalmente smetteva di vagare per le pareti dell'Ufficio e trovare posto sull'uomo a lei di fronte. Uno scambio di sguardi attenti che nel caso della Vinstav apparirebbero curiosi, quasi come se ironicamente parlando fosse lì per studiare lui, piuttosto che il contrario.
«Libertà di stampa. Informazioni sicure. Vi fate chiamare "Profeta" perché si presuppone che dietro i fatti vi sia la strada per scoprire il vero e quindi dedurre anche ciò che ci si può aspettare, no? Il popolo davanti ad una profezia, come ogni mago, può avere un'idea più chiara di cosa il Futuro potrebbe celare dietro l'angolo. E' un mezzo per anticipare o soffocare un dolore grande, o condividere la gioia, quanto la tristezza.» Inclinò leggermente il capo di lato, mentre le mani venivano sfilate da sotto al peso del corpo per poggiarle in grembo, facendole ricadere oltre le gambe coperte dal tessuto plissettato della gonna, pigramente poggiate al loro centro. Tanto eccentrica, tanto apparentemente disorientata dal mondo, eppure datole lo spazio per esprimersi, sembrava agire su percorsi logici, sensati, sebbene prolissi.
«"La Gazzetta del Profeta sarà sempre dalla parte del popolo", perché ci si dovrà aspettare sempre trasparenza dai suoi Giornalisti e quindi corretta informazione.» Vi girava attorno alla questione del "perché", anticipando prima i cosa, i dove e i come, piuttosto che centrare subito la risposta cruciale per quel colloquio.
E ne era consapevole, forse anche troppo, giacché un sorriso spontaneo le sfuggirebbe alle labbra, sottile e dritto, quanto tristemente amaro.
«Questo Paese ha visto più devastazione negli ultimi anni che la Valle della Loira, o il ghiacciaio di Skaftafell.» Che era una piccola regione dell'Islanda, vicina a dove abitava il resto della sua famiglia materna.
Sollevò le spalle piccole, quasi come se il corpo volesse anticipare il suo dire con delle scuse.
Umettò le labbra, ancora, prima di vederla allungare appena il busto in avanti e accompagnare colg gesto la mandritta, tentando di puntare l'indice proprio verso il proprio Curriculum.
«E fare il Giornalista è come essere uno storico. Vi sono sempre dei Vinti e dei Vincitori da evidenziare in un articolo in qualche modo.»
La mano verrebbe quindi torta a destra, vedendo l'indice indicare più volte la zona bassa del foglio, dove dovrebbe iniziare la lista di ciò che in passato a pubblicato: sono titoli in lingua francese quanto in inglese, pubblicati come freelance in testate minori.
«Le modalità, le cinque "W" come le chiamate voi in Inghilterra, sono sempre presenti nei miei articoli. La struttura base non viene mai meno. Noterà sempre come io mi esprima dove possibile più come un rappresentante di un popolo che sente che di un intermediario che informa orecchie impassibili» Una breve pausa e poi avrebbe continuato a parlare, ritirando finalmente il braccio destro. «I dati vengono sempre espressi neutralmente per chi legge, ma nelle mie righe dov'è possibile riporterò sempre fedelmente ciò che qualcuno ha provato davanti ad un incidente, un festival, o anche solo nell'aver ascoltato un un nuovo vinile dei Hobgoblins.»
Rizzò la schiena poi, distendendo il petto. Aprì le spalle e con esse accompagnò il ruotare delle braccia. Si stava aprendo, fisicamente e letteralmente. Parlare di un argomento a lei così vicino la costringeva a farlo. Il petto si alzava e abbassava appena più veloce, accompagnando un cuore che si era fatto più caldo nel manifestare il suo modo di ragionare e vivere quella che, almeno per lei, era più una vocazione che professione.
Non vi era quindi da stupirsi che solo alla fine la si sentì rispondere così alla fatidica domanda:
«La Gazzetta del Profeta è il terreno fertile per narrare le sensazioni di un popolo che sta venendo sconvolto continuamente da episodi che ad oggi la Francia potrebbe solo "invidiare".» La virgoletta con la mano snistra quella parola, abbassando e piegando in contemporanea indice e medio. «E io sono un narratore empatico come pochi.» Sì, se lo diceva da sola, dimostrando una volta tanto una sicurezza e una determinazione tali da strappar via l'mmagine di eccentrica sognatrice che aveva incarnato fino ad ora.
«Ho bisogno di realtà più dinamiche per dimostrarlo. E lei ha bisogno di Giornalisti - o non sarei qui -. Quindi, per questo la Gazzetta. Sarebbe oltremodo sciocco puntare altrove, non crede?»
E la voce tornerebbe appena più chiara, la flemma del parlare meno calcato e serioso, ridandole quell'aria leggera più affabile e schernibile.
«Riflettendoci gli Sgabelli sono anche più comodi: ci si può dondolare sopra.»
Tanto seria, tanto logica e poi si perdeva nuovamente ... negli sgabelli. Che tipo.

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view post Posted on 25/10/2019, 07:47
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Era infinitamente facile per Octavian utilizzare lo scudo fornito dal compito assegnatogli, per non perdersi un solo dettaglio di chi gli stava dinanzi. Il suo insistente osservare gli altri era spesso e volentieri oggetto di discussione nelle varie pause-caffè che non prevedevano la sua presenza, ma poco gli interessava in vero; la cosa importante era che il suo occhio per i particolari non aveva perso colpi dal primo giorno in cui aveva messo piede lì dentro ed era grazie a quello che ora lui aveva una targhetta in ottone. Dalla prima rapida scansione ottica, quel che pensò di Ariel fu "Un tipo", perché indubbiamente lo era. Un tipo interessante, per giunta. Di bizzarrie ne aveva viste, ma poche erano in grado di attirare il suo interesse e quell'aspirante giornalista pareva sfoggiarne una certa collezione. Era un animo diverso quello che si agitava nella strega ed era forse quel guizzo in più necessario ad accendere il giusto moto di curiosità, ma era troppo presto per dirlo. Se però era vero che a contare fosse soprattutto la prima impressione... beh, lui se n'era fatta una particolarmente chiara; doveva solo dettagliarla nei minuti successivi. Aveva comunque il sospetto che non si sarebbe minimamente annoiato. Sollevò a metà un sopracciglio mentre la giovane prendeva atto di quello che era una delle sue personali ossessioni, e ricambiava con altrettanti meccanismi di pensieri insoliti. «A quello non avevo mai pensato» disse, commentando la poca attrazione verso le scarpe, per poi aggiungere: «...ma lei camminerebbe sull'asfalto, signorina Vinstav?» una piccola deviazione necessaria ad alimentare la sua curiosità, prima di tornare all'assenza di sedie che spesso e volentieri preoccupava eccessivamente i suoi ospiti. Ariel, invece, parve assecondare la scelta di Octavian al punto di giustificarla in sua presenza, come se di lui avesse già capito più di quanto l'uomo avrebbe voluto rivelare; era un bene o un male? Se lo chiese davvero, ma non dichiarò alcuna sentenza, preferendo invece studiare i movimenti misurati della ragazza all'interno del suo ufficio. Fu in verità il collegamento alla finestra che convinse Octavian ad alzare il capo dal curriculum su cui si era appena concentrato per rivolgere uno sguardo scuro proprio lì, oltre le alture grige di una Scozia tutta "sua". «Scusi?» distrattamente - ma nemmeno così tanto - chiese, col sospetto che una spiegazione sarebbe giunta poco dopo. Una spiegazione che fece spuntare tra le labbra curve di Smith un mezzo sorriso consapevole. L'uomo non seppe dire se fosse l'accento ad istigarlo o l'idea che Ariel avesse toccato un tasto particolarmente intimo vivisezionando la sua finestra. Si limitò a quel fugace cambio di espressione ma non rispose, preferendo concentrarsi sul colloquio. Se la candidata si fosse dimostrata degna, poteva eventualmente aspirare a qualche altro momento per dilungarsi in congetture e riflessioni su quando reciprocamente non gradivano. Ascoltò con attenzione, registrando le informazioni più importanti; movimenti, respiri e intenti. Riuscì solo a dirsi che probabilmente Seraphinus Bagley non avrebbe gradito una presenza tanto eccentrica intorno al suo ufficio, ma quello non era per forza un punto a sfavore... anzi. La visione di un giornalista come uno storico gli piacque, ma si sforzò di non darlo a vedere per non influenzare il resto dei ragionamenti. Mantenne un'espressione attenta ma serena, niente crudeltà o falsa impostazione, solo curiosità sicura di chi ha ancora il coltello dalla parte del manico. Così si disse. Era giovane, l'aveva letto poco prima; ventidue anni e già alcuni articoli firmati. Aveva già visionato più volte il foglio che teneva ancora in mano, così non seguì le indicazioni su dove guardare, ma piuttosto lasciò che il curriculum scivolasse sulla scrivania ed incrociò le mani all'altezza del volto, lasciando liberi i due pollici di puntarsi l'uno sull'altro. Laddove Octavian si sarebbe fermato, anche solo per riprendere fiato; Ariel proseguì, scomponendosi ancora un po' di più. Possibile che una sola domanda scatenasse in lei una tale voglia di esporsi? E lui che credeva di aver già fatto un degno sforzo indicando l'odio per le sedie. Il narratore empatico sostituì lo storico, e Smith non ebbe dubbio per credere che lei lo fosse. «Puntare altrove è indubbiamente sciocco...» sospese la frase, solo alla fine di tutto il discorso, riprendendo i punti salienti ma non senza lanciare le sue personali frecciatine al Settimanale delle Streghe che era quanto di più inutile potesse andare in stampa ogni settimana. «... seppur la nostra ricerca di un giornalista non ci renda tanto ciechi da accettare ad occhi chiusi ogni candidatura. Che poi è il motivo per cui lei si trova qui, dal nostro punto di vista.» Sottolineare quel concetto non gli dispiaceva, anche se trattenere un'altra smorfia di divertita approvazione gli costò qualche sforzo in più all'ultima considerazione sugli sgabelli, da cui pareva che tutto fosse partito. Fu a quel punto che Octavian disintrecciò le dita tra loro e drizzò la schiena. «E' vero... e mi permettono di vedere se si possiede il giusto equilibrio.» Marcò l'ultima parola con uno sguardo più intenso, volto a cercare in quelle componenti apparentemente disallineate, il filo giusto da tirare per svelare l'origami nascosto (un'altra sua teoria). «Se dovesse scrivere un articolo sulla Londra attuale, dopo quanto accaduto, come si intitolerebbe?» chiese infine, più preparato ad una risposta ampia e girovaga.
Tale era la domanda.

 
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Ariel A. Vinstav
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« Before I make the offering
Remember all the faces that I've seen
Now all the marks have settled on my skin
From all the different places that I've been »

La deviazione nei discorsi veniva accolta con eccessivo entusiasmo spesso e volentieri: più domande (o risposte, se era lei a porle) equivalevano ad un punto di vista nuovo sul quale ampliare la propria immagine e opinione dell'interlocutore.
Non c'era niente di meglio che uno scambio aperto senza troppi vincoli - specialmente per lei che l'idea di costrutto sociale non sapeva comprenderla a pieno, o semplicemente aveva più desiderio di ignorarla che prenderla in considerazione il più delle volte.
Perché limitarsi a convenevoli e domande su un tema durante un'invervista, se semplicemente si poteva sapere di più e di tutto?
Alla sua domanda sull'asfalto snudò le labbra in un sorriso bieco, leggero. Una chiostra di denti chiarsi si aprì, schiudendo una bocca rosea che apparve sognante, accompagnando lo sfarfallare di ciglia chiare e il dilatarsi di occhi cristallini.
«Già fatto, Signor Smith. E' una trovata buffa, ma trattiene il calore in un modo simile alle pietre vulcaniche.»
S'intuirebbe facilmente, nonostante la spensieratezza della voce, come il sottotesto fosse che sì, aveva camminato sulla pietra vulcanica. Nonostante il suo vissuto, le sue radici permanevano comunque radicate nella focosa e ghiacciata Islanda.
Quello "scusi" non le sfuggì come il pigro sorriso che lei d'altra parte non potè evitare di ricambiare con fila bianche di denti. Era un'espressione che donò ad Octavian per qualche secondo buono, perdendosi meno del solito nell'estasi del momento.
Le mani ancora arpionate attorno alle gambe incrociate si mossero sù e giù, sfregando i palmi contro il tessuto della gonna plissettata che come tendaggio vi ricadeva sopra.
Umettò le labbra, facendovi passar sopra con lentezza la lingua.
Lo sguardo s'era già perso verso la finestra, oltre Octavian, fra le nubi e i paesaggi nordici della britannia.

*Così diverso dalla Loira, ma così vicino alle valli del Nonno.
Mi chiedo se ricordi la data, oggi. Il Signor Smith potrebbe trovare interessante chiedergli delle ossa per passarvi sopra i piedi. Quello sì che è un materiale che trattiene il calore.*


Un bene che si tenesse almeno certi pensieri per sè, dunque: meno eccentricismo per gli occhi attenti dell'esaminatore.
Per questo con leggero ritardo ruppe quel discorso interiore, portanola semplicemente ad annuire lentamente.
«La scuso»
No, decisamente la risposta più inadatta alla situazione.
«Per aver chiesto ciò che già sembro sapere e io mi scuso se sono andata oltre » Lo sguardo ritornò per un singolo istante sulle nubi dietro il capo di octavian. «Qello rimane comunque uno splendido incantesimo » Un'incisiva che doveva necessariamente lasciarsi sfuggire.
« Un pezzo di mondo per sè è un desiderio che finché non spezza la Natura è spontaneo e legittimo nell'Uomo, non crede?»
Una comunissima domanda retorica aveva scatenato di nuovo commenti e osservazioni che come sempre qualcuno le avrebbe consigliato caldamente di risparmiarsi.
E invece no, Ariel sapeva risparmiare il prossimo come un rapace su una carogna, o un boia sul condannato.
L'innocenza di un bambino si era fusa alla consapevolezza del mondo di un adulto: terribilmente geniale nella comprensione, forse, ma non esule dall'apparire involontariamente crudele o troppo diretta per una mancanza o una mal disposizione dei filtri; e la maturità le permetteva di sapere cosa dire, seppur il modo poteva prender in contropiede e se non era un cosa, era un quando e un perché: istanti, momenti, sfumature di significati che erano fra fiati sospesi e nei a costellare la pelle del prossimo.
Lo lasciò parlare, analizzare ed esprimere con quella professionalità che lei per ora poteva solo ammirare dietro occhi di novizia. Annuì ogni tanto, concorde, o forse semplicemente lì a testimoniare di star seguendo il discorso.
*C'è sempre una storia in tutto.*
Anche e soprattutto nella bellissima e torturata Londra.
«"Un micro-mondo aggredito dal dolore"»
Il titolo viene espresso a mezza voce, mentre lo sguardo ora sarebbe tornato verso il suo esaminatore che ora scruterebbe sottecchi: non lo stava guardando davvero, usando più il volto dell'altro come punto cieco e fermo per concentrarsi a guardare altrove, ben oltre il fisico.
Riflette a occhi aperti, bocca ancora aperta e un leggero refolo di aria calda a scivolarle oltre le labbra. Stava per dire altro.
«Frammenti del Popolo di Londra su un Paese sanguinante: interviste e reportage su chi ha assistito, sentito, o vissuto le conseguenze della Tragedia.» - sì pure un sottotitolo.
Un tono dolce ammorbidì le sue parole, ricalcando con l'accento quella tendenza ad esprimere ogni prodotto della propria mente con fare sognante; un distacco che rendeva palese come a furia di pensar troppo, perdesse ogni tanto cognizione della realtà.
E poi la lucidità improvvisa, quella chiareza e acutezza d'animo che ritornava a galla ogni tanto anche per gli occhi degli altri e non più nella sua mente: sorrise a Octavian come si farebbe davanti ad un brutto evento che si vuole condividere con melanconia empatica; una smorfia mesta, storta e sforzata.
«Il Direttore invitò il Popolo al coraggio e l'allerta; io dopo tanto tempo offrirei almeno una colonna per chi c'è ancora.» Sollevò leggermente le spalle, evidenziando per un attimo la magrezza del corpo con le ombre che il collo proiettarono contro gli incavi.
«A volte c'è bisogno di dare merito a chi soffre, ma ce la fa ancora ad andar avanti: sono messagio e l'esempio migliore di uomini che tengono al prossimo, anche quando tutto sembra schiacciarli. Rende meglio l'idea di unione.»
Tutti ugali davanti all'idea di vita e morte, per lei; gliel'hanno insegnata così la sua famiglia la visione del mondo: un complesso, ciciclo e sfumato circolo continuo tra vita e morte.
«Pensa sarebbe abbastanza equilibrato
Lo domandò con la voce che s'era mantenuta leggera, seppur senza riuscire a perdere un'impronta di tristezza che l'empatia la aveva fatto gravare improvisamente sul petto.
Con quel commento forse fu più evidente come Ariel non fosse poi così tanto con la testa sulle nuvole come poteva dimostrare.

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view post Posted on 6/11/2019, 11:44
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Il Fato

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Come un origami complesso, la concezione che Octavian aveva di Ariel era in continua evoluzione. Particolare lo era senza alcun dubbio, ma allo stesso tempo quanto di quel che appariva come leggero aveva una base solida? Giornalisti, scrittori, narratori, cronisti... chiunque aveva un passato su cui bene o male focalizzava gran parte di sé, ma lei indagava e rispondeva come se il peso del mondo - perfino il suo - non gravasse sulle sue spalle. Non stava a lui decidere se anche quella fosse una dote positiva o un diverso fardello, ma c'era senza dubbio del fascino in quegli sprazzi di ingenuità e, forse, una punta d'invidia. Londra era un mutante, questo Octavian lo pensava da sempre, e gli ultimi avvenimenti avevano ancora di più fomentato quest'idea, dato che il dilagare del terrore e della rassegnazione aveva colpito anche gli angoli più vivi, che da poco avevano ricominciato a colorarsi. Sebbene vivesse di sfumature, l'uomo in vero era più rigido e pragmatico di moltissimi colleghi. In lui si agitava più di un desiderio, mentre la ragazza parlava, e non poteva negare quanto contrasto vi fosse tra quelli. Una guerra interna, portata avanti in gran segreto oltre la copertura castana di due iridi scure puntate su Ariel. Taluni si sentivano minacciati dalle sue domande, dal modo in cui scavava oltre la patina di perfezione che un curriculum rimandava, ma lei no. Trattenne ogni commento fino alla fine, godendosi in tutto e per tutto un'altra risposta ed il modo di fare con cui questa veniva espressa. I riccioli composti non si mossero di un millimetro, solo le mani di Octavian vagarono per la scrivania, ma solo il tempo necessario per appoggiarsi ancora sul curriculum; un foglietto che assumeva sempre meno rilevanza. «Una colonna per chi c'è ancora... » ripeté, soppesando ogni parola con il dovuto interesse. Gli piaceva. Aveva testato l'ingenuità apparente di Ariel per saggiare invece quanto in profondità potesse aver compreso degli attentati e degli eventi che avevano diviso Londra in tanti frammenti. La crudezza della realtà si fondeva così bene con la neutralità di un accorato appello. Molto bene. «... sarebbe giusto, sì.» Non confermò la certezza dell'equilibrio, ma andava almeno lodata una valida intenzione. C'era una profondità degna di un vero autore, oltre i gesti che caratterizzavano le spiegazioni della Vinstav. Intrecciando nuovamente le dita, Octavian approfondì un'altra questione, preventiva - si disse - ma che in realtà nascondeva ben altri intenti. «Si è stabilita a Londra, adesso? Sarebbe un problema per lei gestire un viaggio improvviso stabilito su due piedi senza alcun preavviso? Il Mondo è più vasto ed i nostri lettori sono molto curiosi.» La Gazzetta non cercava un tipo specifico di giornalista, i posti vacanti erano molti, ma andava lo stesso delimitato un confine o compreso se ve ne fosse qualcuno. «Si ritiene abbastanza flessibile?» riassunse in breve, nascondendo però nuovamente un secondo movente dietro una domanda apparentemente semplice. Un raggio di sole fece capolino oltre gli scogli del paesaggio ritratto.

 
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Ariel A. Vinstav
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« There was a boy –– A very strange enchanted boy
They say he wandered very far, very far –– Over land and sea
A little shy and sad of eye –– But very wise was he »
La trama del tessuto plissettato della gonna era diventato il suo oggetto di sfogo preferito.
Stava lì a passarvi le mani contro, su e giù, destra e sinistra, strofinando i polpastrelli contro il materiale scuro.
Star ferma su uno sgabello era divertente, ma la sua mente vagava troppo fra i meandri dei propri pensieri e la realtà circostante per renderla capace di voler rimanere ferma troppo a lungo in quell'ufficio.
Del resto era cresciuta fra maghi naturalisti, le valli francesi e le coltri boschive islandesi.
I luoghi chiusi potevano essere suoi amici se custodivano ricordi e sensazioni contrastanti su cui soffermarsi, quindi lo stile minimal e ordinato di quell'ufficio non riusciva ad essere accattivante nella lunga durata – per lo meno, non quando si sentiva vincolata a star seduta per questioni di praticità ed etichetta.
Alla fine della giornata, per quanto eccentrica e anticonformista potesse essere, Ariel era tutto tranne che una persona incapace di concepire le proprie priorit: aveva bisogno e interesse a lavorare alla gazzetta del profeta; se fosse bastato rimanere un po' ferma su uno sgabello per farlo, l'avrebbe fatto.
C'era tempo per saltellare e vagare dopo. C'era sempre tempo per vagare.
«Non troppo distante da Londra, in realtà. Lungo le ... Costwòlds?»
L'accento era scivolato sulla vocale sbagliata, ma non per questo il nome della località era meno comprensibile: Bibury sorgeva come villaggio babbano fra i rilievi collinari e le foreste che costeggiavano Oxford, il Tamigi e il fiume Avon e ad oggi era stato contaminato nella periferia fra la vegetazione incontaminata da anziani maghi e piccole famiglie; non era né troppo distante, né troppo vicina da Londra, ma con i mezzi magici l'idea di spazio e tempo era sempre particolarmente rarefatta.
«Oh, non non. Au contraire.»
Le era sfuggito nuovamente il francese di bocca, colpa della spontaneità con cui ora si sentiva di poter rispondere. Più che soffermarsi su propri pensieri, in quel momento aveva deciso di viverli a pieno con lo stesso entusiasmo frenetico e genuino che un bambino prova davanti ad un gioco nuovo.
«I Vinstav» Stavolta la pronuncia non era stata brutalizzata dai francesism.. «Sono sparsi per l'Europa. La mia famiglia è l'unica ad aver scelto la Francia.» Sollevò le spalle, riportando in alto ciocche ondulate di capelli chiarissimi che in quel momento all'apparire dei primi raggi di sole nel ritratto, si fecero più scuri, svelando le tinte dorate di un biondo normalmente più sbiadito e pallido. «Essere flessibili è necessario per poter mantenere contatti con tutti; e noi ci teniamo molto. E poi..» Si interruppe per sollevare le mani e portarle al fianco, scostando il mantello che aveva allacciato alla tracolla.
Tolta la cordicella che reggeva il fodero della propria bacchetta, era visibile a quella posizione soltanto la borsa di pelle e proprio contro questa picchiettò le dita, indicandogliela poco dopo con tutte e due gli indici.
«Se non vago non posso fotografare. Se non vago non scrivo. Se mi dite dove andare, probabilmente mi aituate ad evitare di passare troppo tempo a decidere.»
In qualche modo, insomma, avrebbe avuto la tendenza ad andarsene su due piedi da qualche parte da sè.
«Sono anche troppo flessibile, a volte, perché mi dimentico del tempo quando mi faccio prendere dal momento.»
Lo rivela con grande leggerezza, ignorando le 'r' che si ammorbidivano appena, vittime di un rotacismo da accreditare alla propria lingua madre che a volte, nonostante l'attenzione che poneva nello scandire l'inglese, finiva col remarle contro.
«E poi faccio un sacco di ginnastica.»
E quindi era flessibile. Forse era il caso di abortire la missione e sopprimerla ora a colpi di stupeficium.
Il problema con Astrid forse era più nel riuscire a capire quando era bene convincersi stesse scherzando, piuttosto che capire quando fosse seria.

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view post Posted on 13/11/2019, 11:51
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Octavian rimase composto, da bravo inglese, anche di fronte al sollevarsi del mantello di Ariel. Un giornalista che già sapeva il fatto suo in campo fotografico aveva certo più speranze di sopravvivere in quell'acquario di squali. Eppure dietro la rigidità che lo contraddistingueva, c'ero l'attenzione famelica di un felino a digiuno. E così la famiglia della ragazza l'aveva abituata fin da subito a muoversi per il mondo senza una meta fissa; molto bene. Le notizie oltre la manica erano sempre ben accette e sebbene ci fosse molto di cui parlare a Londra, per gli stessi londinesi era balsamo potersi crogiolare sui fallimenti degli altri Paesi e poterne invidiare al contrario le conquiste. C'era però un limite, beh più di uno in verità, che andava evidenziato... però Smith attese fino alla fine per evidenziarlo ed esporlo a dovere. «Molto bene» disse in principio, accennando senza mezzi termini la direzione che quel colloquio voleva assumere. Non contenne un sorriso in parte imbarazzato dopo la chiusura sul concetto di "flessibilità" gentilmente offerta da Ariel. «Su questo potremo lavorare...» aggiunse, consapevole di riferirsi al dettaglio sulla perdita di tempo della ragazza, senza un giusto indirizzamento, e consapevole anche del possibile secondo senso al tutto. Nonostante le impressioni delle ragazze lungo il corridoio stretto, Octavian non era solo un impostato inglese... non nel profondo, almeno. «Scrivere per la Gazzetta richiede un senso dell'orientamento piuttosto spiccato, ed anche un sacrificio che non tutti sono disposti a compiere...» dove volesse arrivare, sarebbe stato noto poco dopo. «Ci sarà della gavetta, e lei dovrà essere raggiungibile a Londra, in primis. Ma non voglio mettere un freno alle sue ambizioni, ritengo però che si dovrà partire da una prova sul campo qui, nella city.» si umettò le labbra e si avvicinò con il busto alla scrivania, quanto bastava per sembrare ancora più alto del solito e molto, molto interessato ad una risposta per la domanda che ora doveva porre. «Sarebbe degradante, per lei?» E il Dio solo sapeva quante e quali disparate risposte gli erano state date dai candidati giornalisti. Non c'era, in vero, una soluzione che fosse migliore per l'uno o per l'altro, ma certo era che Octavian cercava una verità, ovunque quella volesse nascondersi.

 
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view post Posted on 21/11/2019, 17:45
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Ariel A. Vinstav
22 anni • a spectrum of reality • CS
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« On your side let's talk about everything
Got no time for words that you've already heard »
Le mani erano tornate sul tessuto plissettato della gonna e su questo le dita si dilettavano nel disegnare i contorni di immagini astratte; arabeschi, evoluzioni che nascevano da una mente che in quel colloquio aveva già avuto modo di dimostrare la sua stranezza. Decisamente distante dall'omologatura di massa, persino nella gestualità finiva con l'allontanarsi dalla compostezza inglese, risultando possibilmente un pesce fuor d'acqua.
Eppure, mai spaesato. Mai vittima del disagio dell'essere apparentemente fuori posto; Ariel era una viaggiatrice e cittadina del mondo, nella sua buffa e curiosa immaginazione.
Octavian era fra i pochi che - forse merito del suo lavoro – sembrava capace di cogliere quelle sfumature e cercare di farle proprie ai fini della valutazione e la discussione in corso.
Era dunque per questo che gradualmente era tornata a predominare l'abitudine del corpo nel vagare (fra mani e gambe in questo caso) e la mente nel perdersi nella propria capacità di sentire ed elaborare informazioni con velocità e osservazioni distanti da quelle medie (ogni tanto, ancora, si soffermava a guardare qualche articolo incorniciato o il paesaggio alle spalle del signor Smith, mentre questo parlava). A modo tutto suo si stava sentendo a suo agio, l'adrenalina della curiosità stava lentamente scemando, là dove quell'ambiente conciso e ordinato stava cominciando già a suonarle familiare, a modo suo.
«Posso orientarmi, ma ammetto che spesso preferisco non farlo, se non ho una meta: a volte è non sapere cosa si cerca a rendere il viaggio più interessante. Capisce?»
Contorta o forse non troppo, era tutta una questione di punti di vista per lei. E forse era per questo che si era avvicinata alla fotografia prima che alla scrittura; poter essere l'obbiettivo dietro al mondo era un ruolo carico di responsabilità, ma queste venivano sovrastate sempre dal suo desiderio di capirlo, il mondo,. Far notare le sfaccettature di ogni luogo e persona si stava gradualmente tramutando in una Vocazione nella sua mente. Octavian poteva essere la sua chiave per quell'obbiettivo..
«Significa che ho un motivo in più per esplorare meglio Londra, oui? Non vedo problemi. Non è "degradonte", come dice lei. E' eccitante al più!»
Si soffermava sulle parole sulle quali la propria cadenza francese si faceva più marcata, predominante.
Sfarfallò le ciglia sottili e chiare, esaltando gli occhi grandi - tanto da apparir incavati - che curiosi erano tornati sul viso composto del buon Octavian.
«Se la Gavetta serve a migliorarmi, non posso certo lamentarmene, Mr. Smith. Del resto sono flessibile.» Si ripeteva ancora nell'uso di quella parola, non potendo evitare stavolta di dare più forma a quel volto spaesato e leggiadro, formulando un'espressione finalmente più definita e concentrata: un sorriso dritto si era disegnato sul volto, arricciando labbra morbide ad esporsi in un divertimento trattenuto.
«Se lei volesse darmi un posto nella Gazzetta, del resto, sarebbe particolarmente scorretto da parte mia non venire in contro a qualcosa di volubile come una casa
Certo, cosa vuoi che sia una casa, Ariel. Cose da nulla.
Era decisamente una persona che poteva facilmente venire considerata strana, proprio perché per quanto vuota sia la parola 'normale', di certo lei in un parametro non sarebe rientrata proprio.

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view post Posted on 25/11/2019, 09:15
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Il Fato

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Capiva. Octavian capiva Ariel più di quanto avrebbe mai pensato vedendola in un primo momento. Due mondi apparentemente tanto diversi, trovavano un ironico modo di incastrarsi e creare quella che per lui era senza dubbio una connessione. L'entità di quell'ultima, però, non era oggetto di discussione e quindi con l'innata capacità di isolare determinati argomenti, il mago la escluse per un momento dalle sue valutazioni. La cosa che voleva principalmente evitare, era la fuga subito dopo l'assunzione. Viaggiare era indispensabile, sì, ma al contempo la Gazzetta aveva bisogno di giornalisti presenti e pronti a rispondere alla chiamata nel minor tempo possibile. La domanda finale era, però, di rito... un modo come un altro per osservare più da vicino i comportamenti della Vinstav e registrarli così nella sua pachidermica memoria. «Capisco perfettamente...» scucì il bottone dell'immaginaria camicia, lasciandosi andare per la prima volta ed ammettendo una verità ben più nascosta. Lui per primo aveva scoperto quanto fosse piacevole trovare qualcosa che non s'andava cercando così disperatamente, lungo una strada apparentemente già prevista. E quel viaggio si era davvero rivelato molto interessante. Le iridi scure permisero ad un raggio grigio di attraversarle come un'ombra, prima di lasciare l'incastro di sguardi e tornare agli oggetti sulla scrivania. Così Octavian si isolò per un secondo, il tempo necessario a confermare mentalmente la decisione presa e trattenere un sorriso sull'ultimo accento marcato di Ariel. Era certo, anzi certissimo, che quel "degradonte" gli sarebbe rimasto in testa per giorni. Non passò inosservato l'accento sulle abitazioni, alla fine di quell'ultimo discorso... e fu ancora più difficile per lui frenare i pensieri. Possibile che la ragazza vivesse ancora in appoggio ai parenti? Possibile che invece vivesse.. per strada? No, quell'ultima ipotesi volle fortemente scartarla. «Signorina Vinstav, da oggi può considerarsi una Giornalista della Gazzetta del Profeta.» Disse, stavolta senza contenere un sorriso gentile e così in contrasto con i lineamenti duri del volto. Un timbro rapido sul Curriculum, uno sventolio di bacchetta ed eccolo - in piedi - a porgerle il badge d'accesso all'edificio. «Questo è suo, ed è il lasciapassare che le permetterà di farsi strada laddove possibile.» Il tono solido, differentemente dall'inizio del colloquio, aveva assunto una nota più calda, lui però non se n'era accorto. «Può scegliere una scrivania libera alla fine del corridoio, nell'open space vicino alla sala della stampa. » Sguardo fisso su Ariel. «Se dovesse aver bisogno di delucidazioni può trovare il direttore nell'ufficio del corridoio est, o... può bussare alla mia porta.» Sottolineò mentalmente l'ultima parte di quella frase, mantenendo per sé la speranza che accadesse. Infine, dopo un cenno di congedo, poco prima che la ragazza uscisse dalla stanza, avrebbe aggiunto con falsa noncuranza: «Vicino alla Segreteria c'è una bacheca annunci... appartamenti in condomini del centro, e via dicendo.» Si sarebbe poi impedito di dire altro.

Ottimo lavoro KEI!
Ora sei ufficialmente una Giornalista per la Gazzetta e questo ti fa guadagnare: 5 punti per statistica e 1 punto esperienza.

Ti ricordo di prendere visione dei Topic a te dedicati all'interno della Redazione e di affidarti ai Vice Redattori per qualunque cosa.

Effettua il tuo post di chiusura.
 
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view post Posted on 30/11/2019, 23:12
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Ariel A. Vinstav
22 anni • a spectrum of reality • CS
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« Before I make the offering
Remember all the faces that I've seen
Now all the marks have settled on my skin
From all the different places that I've been »

Il silenzio per un momento riempì l'ufficio, là dove la mente del povero Signor Smith veniva percorsa da interrogativi leciti davanti alla complessa eccentricità di Ariel.
Silenzio che però venne bruscamente interrotto quando al placido parlare dell'uomo, la reazione istintiva della neo-Giornalista, fu quella di esibirsi in un rumoroso verso acuto a fior di labbra, come un trillo entusiasta trattenuto.
I piedi penzoloni sullo sgabello si scossero su e giù e le mani si chiusero attorno alle cosce, cingendole assieme alla gonna, mentre euforica scatenava la gioia in quei movimenti rapidi. Le braccia rapidissime si mossero in favore dello scrittoio, cercando con ambedue le mani di prendere fra le dita il badge che quello le donava.
«Oooh è mio mio?»
Via, ogni residuo di serietà e compostezza professionale era andato fuori dalla finestra - presumibilmente quella incantata sul paesaggio britannico dietro Octavian.
Sfarfallò le ciglia, mostrando occhi grandi ed entusiasti, improvvisamente più luminosi come incastonati da brillanti. Una bambina entusiasta in un negozo di giocattoli, avrebbe potuto dire qualcuno. Peccato che i giocattoli siano lasciapassare pieni di responsabilità e una scrivania sul quale lavorare.
Nulla, lei era troppo felice per ricomporsi. Al diavolo il conformismo, soleva dire suo nonno e così con la stessa vena ribelle contro le norme sociali, si ritrovò ben presto a scattare in piedi, sciogliendo l'intreccio delle gambe e facendosi accompagnare dall'oscillare pericoloso del mantello e la tracolla di pelle.
«Ma certo che busso alla sua porta. E' quello che mi conosce meglio - per forza di cose - e poi sa che sono elastica, è l'informazione vitale da sapere prima del matrimonio.»
Era finalmente palese, almeno in quest'occasione, come fosse ironica; chissà quante altre volte aveva scherzato o meno durante quel Colloquio? Ora che sembrava meno immersa nelle riflessioni nebulose della sua mente, più rilassata in quell'ambiente che era divenuto in una piccola parte, anche suo, ogni necessità a riadattare qualcuno dei suoi comportamenti alle aspettative di Octavian, era brillantemente crollata.
«Vede? E' un uomo premuroso e attento, lei. Non mi stupisco abbia casa sua sempre dietro l'angolo»
E nel dirlo avrebbe scoccato un'occhiata al finestrone incantato dietro di lui.
«Avrà i miei primi articoli sulla scrivania. Non si pentirà della sua decisione, lo jiuro»
Fu su queste note di entusiasmo, là dove la rilassatezza cominciava a predominare sui suoi muscoli che la curiosa Giornalista si ritrovò immediatamente a portare al collo il Badge e a voltarsi con un'ampia, quanto fluida, piroetta in favore della porta dell'ufficio.
«Appartamento al Centro sia, Mr. Smith. E .. oh!»
Si voltò di scatto proprio quando doveva già essere vicina all'uscita, mano destra già tesa in favore del pomolo.
«Ma dice che si offende qualcuno se mi siedo dentro la sala Stampa?»
Alla domanda non avrebbe dato nemmeno tempo di risposta al povero redattore, limitandosi a scuotere la mano destra a destra e manca, emulando il gesto che si farebbe nello scacciar via un insetto fastidioso.
«Mannò, mannò. Come nulla: quello lo chiederò alla mia promozione, oui? Pas de souci.»
"Non c'era problema", lo diceva quasi come se stesse facendo un piacere al povero Octavian, poggiando subito la spada davanti a quella buffa crociata.
Di lì a poco, qualora il suo osservatore non fosse ineressato a intrattenerla oltre, si allontanerebbe. Non mancherebbe, ovviamente, a salutare anche con la mano destra l'uomo in giacca e cravatta, attraverso gesti leggeri e posati che evidenziano i tratti gentili e i modi genuini della ragazza.
Un "bye bye" che si interromperebbe alla chiusa della porta, trasportata da un leggero colpetto di piede contro il battente.
La Redazione aveva appena aperto i suoi uffici ad un individuo fuori dal comune, questo era certo.

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// Oso un EDIT, solo per poter aggiungere qui sotto un ringraziamento al Fato che mi ha seguito con tanta rapidità in un passo così cruciale per la caratterizzazione del mio PG <3
Grazie mille a chiunque sia dietro il cappuccio del Fato, davvero, ho apprezzato ogni scambio fra Ariel e Octavian, spero lavorando alla Gazzetta di poterlo coltivare in altre occasioni: è un gran bel PNG!
Spero che questo mio primo approccio al PG, nuovissimo di zecca, sia stato degno della Quest e che sia stato gradevole approcciarsi a questa tipetta particolare <3
 
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