*Uh, io no. Sono francese.*
Fu quella la reazione spontanea al parlottare di Anna e la sua - presumibilmente - gemella.
Un bene che stavolta avesse avuto l'accortezza di pensare e non parlare, considerando le occhiate che quelle le avevano scoccato a priori squadrandola con attenzione mentre si allontanavano.
Lei, d'altro canto, degli sguardi altrui aveva imparato ad accompagnarsene con distacco, perché spesso carichi di confusione o disapprovazione; il trasferimento in Inghilterra, poi, anche dopo anni la faceva sentire ancora 'nuova' del posto, una turista in mezzo ad occhi perfettamente consapevoli di quanto non appartenesse alle foreste scozzesi, le brughiere inglesi o le valli gallesi.
Tutta 'colpa' dei suoi comportamenti bizzarri, inspiegabili.
Non reagì male a quell'analisi, arrivando persino a ricambiarla.
Inclinò il busto in avanti e il capo di lato, scrutando le due maghe di sbieco mentre si allontanavano lungo il corridoio, storta come una vecchia Silver Arrow.
Sarebbe stata lì a stuidiare le loro espressioni e ascoltare le loro conversazioni sibilate fin troppo a lungo, se non fosse stato per la voce provvidenziale del Signor Smith.
Si sollevò di scatto, non allarmata dal vociare dell'altro, né tesa, quanto entusiasta.
Un verso eccitato rischiava di scapparle a fior di labbra. Il desiderio della scoperta aveva appena acceso in lei un certo ardore.
«Oh salve!»
Da una frase tanto banale, quindi, ne uscì un suono tonante, gioioso e cristallino e decisamente troppo informale per il contesto. La sua eccentricità ed amore per le emozioni rischiavano di farla apparire bizzarra fin dal primo istante. Un bene sarebbero stati solo loro due i testimoni del tutto.
La seconda fortuna della giornata era come il proprio buonsenso (che sì, esisteva ancora) aveva optato per abiti più dignitosi della solita mise di abiti raffazonati fra di loro e quindi per quanto potesse stonare il maglioncino con trama tribale ed elefantini stilizzati al confronto con il completo su misura dell'altro, poteva sicuramente fare di peggio.
Scostata la porta, si perderebbe con lo sguardo curioso contro il volto altrui, dovendo rizzare per bene il capo per compensare le loro cospicue differenze d'altezza.
«Ariel Astride Vinstav» Si presentò di rimando, non evitando mai di celare il proprio accento della Loira. Il cognome dell'Est veniva ammorbidito con il pieno contrasto della cadenza normanna.
Sfarfallò le ciglia chiare, abbassando lo sguardo non più per studiare ancora il Giornalista, ma per soffermarsi sul suo Ufficio.
Sognante, quasi, si sarebbe vista muoversi dentro la stanza a passo lento, cadenzando la fermezza dei propri movimenti con una certa precisione.
«Une, deux, trois.» Contava i passi prima di fermarsi, sussurrando i numeri fra le labbra, prima di incastonare lo sguardo verso uno degli articoli appesi alle pareti, quello la cui cornice sarebbe stata la più piccola, o in mancanza di questa quella più a portata d'occhio per la sua posizione.
Compiva nel mantre ancora qualche passo , non prendendo posto, ma limitandosi a fermarsi una volta sfiorato lo sgabello con le ginocchia.
«Hm? Oh sì.» Abbassò lo sguardo solo ora per poter vedere il piccolo posto a sedere davanti a lei.
Non era sicuramente una scelta d'arredamento convenzionale e forse proprio per quello sembrava particolarmente a suo agio.
«A me non piacciono le scarpe: intrappolano i piedi e non riesco mai a sentire il terreno. E' come se dovessimo bendarci gli occhi per vedere; sciocco, non crede?»
E quasi a voler rafforzare la propria tesi, avrebbe sollevato appena il piede destro, scuotendolo su e giù, come a scrollarsi di dosso qualche peso ingombrante.
«Lo Sgabello dà più libertà di movimento.»
Aggiungerebbe poco dopo, vededola finalmente tentare di prendere posto sul piccolo scranno dall'altra parte della scrivania.
Assunse una posizione che probabilmente sarebbe apparsa tanto assurda da mettere in ombra la presenza di uno sgabello in un ufficio.
Le mani si posarono ai bordi laterali dello sgabello, portando le dita a venire parzialmente coperte dalle natiche, mentre le gambe venivano piegate e sollevate ad alternaza - la destra prima della sinistra - e incrociate, tentando di sedersi all' indiana al centro dello sgabello e mantenersi in equilibrio con l'aiuto delle mani sulla pelle che rivestiva l'imbottitura e la struttura superiore di legno.
«Un po' come la sua finestra.»
E scoccherebbe un'occhiata al paesaggio nebuloso della bellissima Irlanda dietro il suo valutatore.
Parlava con spigliatezza, priva di quella formalità necessaria in certi ambiti; più che scortese - cosa che cercava sempre di non essere - sembrava semplicemente troppo in pace col mondo per dare conto a tutte quelle complicazioni - come la tensione - che i colloqui, specie in una struttura così illustre, dovrebbero naturalmente vedere sbocciare nell'animo altrui.
«Una parte di mondo per sè da contemplare, anche se chiuso nel suo completo e le vie trafficate di Diagon Alley.» L'accento ricadrebbe erroneamente sul suono vocalico finale; "Allì", piuttosto che "Alley", ma lei non sembrava dargli assolutamente peso - un po' come tutto, a questo punto.
Lo sguardo vagava ancora e ancora, rimbalzava fra le pareti, il rifrangersi dei contorni verdeggianti o grigiastri della vallata Irlandese contro quelli più definiti e scuri dei capelli di Octavian Oliver Smith.
Ogni cosa sembrava destare la sua attenzione. Compreso il propro Curriculum e con esso la domanda che la obbligava a tornare con i piedi per terra.
O quasi.
«"La Gazzetta del Profeta sarà sempre dalla parte del popolo."»
Recitava così quelle parole, una citazione che molto probabilmente il proprio esaminatore avrebbe potuto riconoscere: il Redattore Bagley aveva chiuso così il proprio articolo sulla scomparsa del Ministro dalla Politica attiva del Regno Unito e "accolto" con amarezza il Vice Ministro dopo gli attacchi che avevano sconvolto l'Inghilterra
Ariel suonava distante, ora, mentre lo sguardo finalmente smetteva di vagare per le pareti dell'Ufficio e trovare posto sull'uomo a lei di fronte. Uno scambio di sguardi attenti che nel caso della Vinstav apparirebbero curiosi, quasi come se ironicamente parlando fosse lì per studiare lui, piuttosto che il contrario.
«Libertà di stampa. Informazioni sicure. Vi fate chiamare "Profeta" perché si presuppone che dietro i fatti vi sia la strada per scoprire il vero e quindi dedurre anche ciò che ci si può aspettare, no? Il popolo davanti ad una profezia, come ogni mago, può avere un'idea più chiara di cosa il Futuro potrebbe celare dietro l'angolo. E' un mezzo per anticipare o soffocare un dolore grande, o condividere la gioia, quanto la tristezza.» Inclinò leggermente il capo di lato, mentre le mani venivano sfilate da sotto al peso del corpo per poggiarle in grembo, facendole ricadere oltre le gambe coperte dal tessuto plissettato della gonna, pigramente poggiate al loro centro. Tanto eccentrica, tanto apparentemente disorientata dal mondo, eppure datole lo spazio per esprimersi, sembrava agire su percorsi logici, sensati, sebbene prolissi.
«"La Gazzetta del Profeta sarà sempre dalla parte del popolo", perché ci si dovrà aspettare sempre trasparenza dai suoi Giornalisti e quindi corretta informazione.» Vi girava attorno alla questione del "perché", anticipando prima i cosa, i dove e i come, piuttosto che centrare subito la risposta cruciale per quel colloquio.
E ne era consapevole, forse anche troppo, giacché un sorriso spontaneo le sfuggirebbe alle labbra, sottile e dritto, quanto tristemente amaro.
«Questo Paese ha visto più devastazione negli ultimi anni che la Valle della Loira, o il ghiacciaio di Skaftafell.» Che era una piccola regione dell'Islanda, vicina a dove abitava il resto della sua famiglia materna.
Sollevò le spalle piccole, quasi come se il corpo volesse anticipare il suo dire con delle scuse.
Umettò le labbra, ancora, prima di vederla allungare appena il busto in avanti e accompagnare colg gesto la mandritta, tentando di puntare l'indice proprio verso il proprio Curriculum.
«E fare il Giornalista è come essere uno storico. Vi sono sempre dei Vinti e dei Vincitori da evidenziare in un articolo in qualche modo.»
La mano verrebbe quindi torta a destra, vedendo l'indice indicare più volte la zona bassa del foglio, dove dovrebbe iniziare la lista di ciò che in passato a pubblicato: sono titoli in lingua francese quanto in inglese, pubblicati come freelance in testate minori.
«Le modalità, le cinque "W" come le chiamate voi in Inghilterra, sono sempre presenti nei miei articoli. La struttura base non viene mai meno. Noterà sempre come io mi esprima dove possibile più come un rappresentante di un popolo che sente che di un intermediario che informa orecchie impassibili» Una breve pausa e poi avrebbe continuato a parlare, ritirando finalmente il braccio destro. «I dati vengono sempre espressi neutralmente per chi legge, ma nelle mie righe dov'è possibile riporterò sempre fedelmente ciò che qualcuno ha provato davanti ad un incidente, un festival, o anche solo nell'aver ascoltato un un nuovo vinile dei Hobgoblins.»
Rizzò la schiena poi, distendendo il petto. Aprì le spalle e con esse accompagnò il ruotare delle braccia. Si stava aprendo, fisicamente e letteralmente. Parlare di un argomento a lei così vicino la costringeva a farlo. Il petto si alzava e abbassava appena più veloce, accompagnando un cuore che si era fatto più caldo nel manifestare il suo modo di ragionare e vivere quella che, almeno per lei, era più una vocazione che professione.
Non vi era quindi da stupirsi che solo alla fine la si sentì rispondere così alla fatidica domanda:
«La Gazzetta del Profeta è il terreno fertile per narrare le sensazioni di un popolo che sta venendo sconvolto continuamente da episodi che ad oggi la Francia potrebbe solo "invidiare".» La virgoletta con la mano snistra quella parola, abbassando e piegando in contemporanea indice e medio. «E io sono un narratore empatico come pochi.» Sì, se lo diceva da sola, dimostrando una volta tanto una sicurezza e una determinazione tali da strappar via l'mmagine di eccentrica sognatrice che aveva incarnato fino ad ora.
«Ho bisogno di realtà più dinamiche per dimostrarlo. E lei ha bisogno di Giornalisti - o non sarei qui -. Quindi, per questo la Gazzetta. Sarebbe oltremodo sciocco puntare altrove, non crede?»
E la voce tornerebbe appena più chiara, la flemma del parlare meno calcato e serioso, ridandole quell'aria leggera più affabile e schernibile.
«Riflettendoci gli Sgabelli sono anche più comodi: ci si può dondolare sopra.»
Tanto seria, tanto logica e poi si perdeva nuovamente ... negli sgabelli. Che tipo.