Lentamente, sfilò le Orecchie Oblunghe dalle tende in broccato rosso, lasciando spazio alla mente di fare tutto il resto: collegamenti, riflessioni, perfino supposizioni tra le più disparate. Di buon grado, poi, scattò dal proprio letto a baldacchino e si intrufolò alla postazione del compagno di dormitorio. Un ticchettio sinistro, l'indice della mano destra batteva contro l'anta di un armadio spalancato, e tanto bastò per attirare l'attenzione dell'altro concasato. Seguì uno scambio - poche chiacchiere, l'accusa di essere stato colto di sorpresa, l'oltraggio malcelato -, mentre l'attimo successivo Oliver si mostrava come il buon pastore alla presenza del suo agnellino preferito. Prometto, iniziò così.
Prometto. Un cenno vigoroso, un sorriso a fior di labbra, infine si lasciò abbindolare a sufficienza - con costanza, in modo volenteroso - e il ragazzino gli strappò la certezza di mantenere il segreto appena ascoltato. L'offesa di essere stato scoperto a parlare a mezza voce, in un sussurro, scivolò nel dimenticatoio; quando il Grifondoro si domandò come Oliver avesse fatto, in effetti, a carpire quelle informazioni, le Orecchie già erano state nascoste e nel palmo della mano del Caposcuola sostava un pacchetto di topoghiacci non ancora addentati. Sei cattivo, sentì dire. Così si fermò d'istinto, sulla soglia della Camerata.
Cattivo, ripeté tacitamente, e si accorse di come quell'aggettivo suonasse di per sé nuovo, originale, mai accostato una sola volta alla sua figura. Si accorse inoltre, mentre camminava, di quanto tuttavia non fosse poi tanto sbagliato. Rubare le caramelle era il primo passo.
Non aveva pensato di partecipare alla festa di Halloween, quell'anno. Non per desiderio, non per impegni, semplicemente per
vendetta: era paradossale perfino per lui, ma da quando l'assalto visionario dell'Estate precedente lo aveva colto impreparato, di fronte un pubblico intero nel Campo da Quidditch, tutto aveva preso una piega diversa. Aveva imparato a sue spese quanto le vecchie amicizie fossero ormai disperse nel vuoto, quanto quelle presenti non avessero fatto nulla a suo vantaggio, e quanto la solitudine - impavida, dietro l'angolo pari ad un avvoltoio - fosse stata la consigliera assoluta. Non avrebbe potuto fare di un filo d'erba un solo grande fascio, ma chi aveva saputo essergli accanto si contava letteralmente sulla punta delle dita. Li ricordava come tra i migliori affetti e a loro aveva scelto di conservare un posto prezioso. Si era ritrovato a fare la spola tra l'Infermeria del Castello, la Sala Comune e l'Aula di Divinazione: di nascosto, spesso nel cuore della notte, coperto da capo a piedi dal Mantello della Disillusione, in quel modo era riuscito a consultare più del dovuto una schiera di manuali d'arte mantica. La speranza di carpire qualcosa dalla Visione, così come di risalire agli esordi della Profezia, lo aveva inseguito come una seconda ombra giorno dopo giorno. Le soluzioni, in parte, erano state propizie; l'epilogo, tutt'altra storia.
«Oliver, tesoro, non ti fermi più a parlare con me.»Era stato così sovrappensiero da non accorgersi di
altre amicizie, forse ancor più storiche di tutte quelle di cui aveva saputo mettere in conto, e quando il ritratto della Signora Grassa lo aveva colto alla sprovvista, il Caposcuola non aveva saputo fare altro che stringersi nella divisa scolastica. La Spilla continuava a carpire i bagliori dorati e rossastri della sua cravatta, mentre il quadro posto a guardia della propria Sala Comune cercava la sua partecipazione. Si era scusato, lo aveva fatto per davvero, e le aveva promesso di non peccare più di cortesia in quel modo.
«Ti conosco da più tempo di tutti, tra queste mura, e c'è qualcosa che non va. Sai che ci sarò sempre per un duetto a fine giornata.» Ascoltare la Signora Grassa sapeva infondergli una sensazione di benessere, riscaldandolo come nessun'altra voce avrebbe potuto fare; un cenno del capo tradiva la sua promessa, così come la sua incertezza al riguardo.
«Sono i tuoi occhi, Oliver.»«Sono così tristi.»Aveva accettato di andare alla festa - e di farlo con un buon costume, come da copione - soltanto in seguito alle proteste della buona grassottella; le tempre accese, vivide, fulminee istante dopo istante non avevano lasciato altra scelta. In più, e doveva ammettere di esserne stato rapito di primo acchito, era stata chiamata una band musicale di cui non aveva conoscenza. L'idea di uscirsene con un articolo fresco di stampa per il Profeta, così come di richiedere un autografo e una serie di informazioni per portare gli album da Zufolo, a ben vedere, non poteva essere esclusa in alcun modo. Non appena incontrata Herbelia al pianoterra, poco prima di fuggire alla prossima lezione, Oliver le aveva chiesto aiuto - ancora una volta, come spesso accadeva per i festeggiamenti - per un trucco in grado di compiere la differenza.
«Ti offro una cena da Piediburro!»«Ci scommetti il tuo culo, Brior!»Touché, tutto sommato. Così la sera del 31 Ottobre era pronto: un abito dalle intricate ramificazioni orientali scivolava su corpetto e pantaloni come un mantello, un paio di stivaletti scuri calzavano ai piedi fino a sopra le caviglie, le braccia erano in parte scoperte e si riempivano di bracciali, monili, gioielli, mentre alle mani una schiera di anelli lucenti concludeva il rapporto. Vestito d'oro, da cima a fondo, Oliver reinterpretava in quel modo il buon Re Mida, emblema di un mito greco che da sempre la memoria del Caposcuola custodiva con insistenza. Suo zio Albert lo aveva istruito con i racconti antichi ancor più di quanto sua madre avesse fatto con le fiabe di Beda il Bardo, e per Oliver era ogni volta una piacevole consapevolezza. Insieme alla Corona impreziosita di diamanti, trasfigurati in bagliori e brillanti provvisori, tutto in lui attingeva all'incanto. Una posa regale, un portamento altrettanto sontuoso e spettacolare, mentre il sortilegio considerato finalmente si attivava in tutta la sua scenica energia: non appena la Corona si stagliò delicatamente sul capo, dai riccioli più scuri scivolò via l'icore d'oro.
Ed era ambrosia, era nettare divino, era maestosità.
«Via, via, fate largo!»Il tono del Custode infastidì ogni suo autocontrollo, e si affrettò a quel punto verso i confini scolastici; non si era soffermato più del dovuto al pianoterra, al suo passaggio - in anticipo, come da abitudine - non c'erano studenti al primo anno in cerca di accompagnatori, ma era certo che qualcuno avrebbe saputo sostituirlo nel migliore dei modi. Il pensiero di non aver sentito neanche Leah, in quegli ultimi giorni, lo inseguì fino all'ultimo passo dalla vista dell'imponente Castello alle sue spalle: il cambiamento che stava subendo lo spingeva ad allontanarsi continuamente e anche se la Tassina gli aveva detto ad una cena precedente di non essere sicura di partecipare ai festeggiamenti, Oliver si era sentito inopportuno e in profondo imbarazzo per non aver posto per primo l'argomento in ballo. A sua discolpa, non aveva pensato alla festa e soltanto quella mattina aveva comunicato alla ragazza di aver cambiato idea. Se fossero riusciti ad incontrarsi, gli avrebbe fatto chiaramente piacere: Leah era tra le poche persone alle quali non aveva rinunciato, né avrebbe mai voluto. Il Villaggio si snocciolò così alla sua andatura veloce, passo dopo passo, mentre la familiarità di quelle stradine lo ritrovava e circondava come una vecchia conoscenza. Ma c'era astio nel portamento del Re, c'era frenesia: i piedi battevano forte contro l'asfalto, la bocca era stretta in una linea sottile. Perfino gli occhi, macchiati d'oro per magia, non riuscivano ad apprezzare quel luogo come di consueto: c'era troppo in ballo, i ricordi non erano ancora sfumati via del tutto. Si lasciò così guidare dai primi segni spettrali: i suoni striduli, un nitrito di cavallo impazzito, infine lo spettacolo infido ed orrido - tematico e straordinario in quel senso - della festa di Halloween in tutto il suo potenziale più intenso. Avrebbe avuto modo di studiarne i dettagli, di fare un salto al banchetto del C.r.e.p.a. - si era deciso a prendere parte alla festa, nonostante luogo e stato d'animo di quel periodo, anche e soprattutto per la presenza del Comitato in piccolo - e di ascoltare la band fino a conoscerne i dettagli perlomeno principali. Ma prima di ogni altra cosa, si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, al cuore in tumulto e alle mani scosse da un brivido di freddo. Non era un posto per lui, Hogsmeade. Non più.
Si accostò in fretta ai barili in un angolo della piazza, seguì di sfuggita un ragazzo più grande di lui, all'apparenza, che chiedeva un drink di un liquido ambrato. Parve parlare da solo per un attimo, e fu allora che il sistema di ordinazione risultò chiaro anche ad Oliver. Si accostò, prendendo posto al bancone libero.
«Assenzio, per favore.» Un comando diretto, un primo giro.
«Ci vuole lo zucchero e l'acqua» commentò il ragazzo accanto.
«Io lo voglio assoluto, invece.» La risata dell'altro lo rese di buon umore, e si sentì ridicolo e frivolo, fuori da ogni altro controllo dovuto. Forse, sperò, abbandonare il castello era stata una buona scelta.