Virtuosismo, Contest a Tema: Novembre 2019

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view post Posted on 30/11/2019, 16:31
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TARDIS

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Il tempo prometteva pioggia entro la fine della giornata e già si intravedevano screzi di grigio e di nero tra le nuvole dei cieli londinesi; l'aria si era fatta più umida, la luce diveniva lentamente soffusa, e nel suo insieme la Capitale anticipava un ritiro imminente. Tra gli ultimi passanti di un pomeriggio domenicale, uno tra tanti, qualcuno recuperava un ombrellino dalla propria borsetta, qualcuno calava il cappuccio sul volto, qualcuno - invece - procedeva con il mento sollevato, lo sguardo in alto, sempre più in alto. Era una sfida che sapeva di stantio, un incontro così abituale in città da non preoccupare più del dovuto; stringendosi nel lungo montgomery invernale, Oliver affrettava il passo per un riparo sicuro. Bastarono pochi minuti per raggiungere Tottenham Court Road, avanzava quasi distrattamente - quel sentiero, d'altronde, risultava per lui così familiare da essere ormai impresso tra i pensieri più vividi. Quando ritrovò l'insegna di Evviva lo Zufolo, si fermò appena sulla soglia d'ingresso: i piedi batterono sul tappetino vermiglio una, due, infine tre volte. Scivolò all'interno dello store musicale con dimestichezza e senza guardarsi attorno più del dovuto, si portò dritto al bancone in legno sul fondo del pianoterra. Nei dintorni, un motivetto pop accoglieva i clienti più audaci di quel pomeriggio uggioso. «Oh Brior, sei arrivato.»
La voce del proprietario di Zufolo - il signor Vinaccia - si intromise con il tipico accento mediterraneo all'attenzione del ragazzo; da parte propria, Oliver sapeva di essere in largo anticipo rispetto al suo turno di lavoro allo store e quando sollevò lo sguardo per incrociare quello dell'altro, si accorse di come il volto del capo fosse leggermente adombrato. «Dica pure, sono qui.»
La loro relazione risaliva a tempo addietro e c'era una sintonia, nella stessa, che non aveva paragoni; il commesso ottenne pochi scambi di battute prima di coglierne il filo conduttore: i nuovi archetti da violino erano appena arrivati e occorreva toglierli dagli scaffali e sistemarli per bene.
«Non può occuparsene James?»
«Oh no, certo che no.» L'uomo si portò una mano al petto. «Sono gli archetti del quinto piano, James non ne sarebbe capace.» In lontananza, l'accenno di un fulmine zampillò come monito.

Lo store musicale si articolava in quattro piani aperti al pubblico magico, più il pianoterra libero per chiunque, inclusi i non-maghi. Permeato da sortilegi protettivi e illusori, si presentava così come un negozietto vivace e moderno, sempre con buona musica, al cui ingresso altro non c'era che una schiera di classici strumenti - a corda, a fiato, e così via. Lungo il corridoio principale, sulla destra, si raggiungeva una parete interamente tappezzata di poster musicali, l'uno e l'altro di cantanti, band e gruppi in voga; erano volti conosciuti perlopiù dai babbani, tutti in scatti fotografici tradizionali e statici, ad eccezione di un ritratto di una donna piuttosto appariscente, la carnagione olivastra e i capelli ricci e voluminosi, vestita da una pelliccia di un candore singolare: più di una volta dava l'impressione di fare l'occhiolino e se per i più sembrava una certezza, per altri già assumeva i contorni di una vera e propria distrazione. Celestina Warbeck, la strega incorniciata, rappresentava il passaggio segreto per i clienti del mondo magico; avvicinandosi, Oliver si assicurò di essere solo e canticchiò così una strofa di Un Calderone Pieno di Forte Amor Bollente. L'attimo successivo, accedendo all'ascensore apparso in parete, lasciò che le porte si richiudessero da sé e si avviò all'ultimo piano: il quinto, in effetti, era un reparto solitamente poco trafficato, dedicato agli strumenti musicali oscuri. Era un commercio che attirava qualche appassionato e che di gran lunga, per i suoi effetti magici complessi, fruttava un guadagno non indifferente. Quando James, l'altro commesso del negozio, era stato ritrovato piegato su se stesso in preda ai tremori per la litania di un oboe stregato, per il proprietario era stato chiaro che quell'angolo necessitasse di più autocontrollo. Oliver era tuttora tra i pochi in grado di entrarvi e uscirne indenne, il più delle volte. Quando l'ascensore si spalancò sul pianerottolo, la musichetta alle sue spalle si disperse in un soffio di vento e il silenzio tutto intorno risultò tanto inusuale quanto fuorviante; avanzò a passo svelto, stringendo a sé la lanterna ad olio che aveva recuperato e acceso già in precedenza. Alla luce fioca della fiammella, riuscì a ritrovare l'interruttore per più luminosità e di lì a breve migliorò la visuale d'insieme del posto: in una stanzina di non più di qualche metro, più lunga che larga, si ritrovavano - quasi l'uno accanto all'altro - pochi strumenti musicali e di manifattura palesemente pregiata. Una serie di pianoforti a muro, una coppia di cornamuse, un gruppetto di tastiere e flauti di tempre scure, infine un gradino a condurre verso il basso, là dove cinque violini incantati attendevano il prossimo musicista. Sembrava tutto in ordine fin dall'ultima visita e quando Oliver scoprì le scatole sistemate alla rinfusa dal mattino, ne contò appena tre e ne fu sollevato. Ad un colpo di bacchetta aprì la prima e ne estrasse lentamente, senza mai sfiorarli con le proprie mani, l'uno e l'altro archetto da violino. Si adagiavano così - come in una danza orchestrale - verso gli strumenti di riferimento e di lì a breve le coppie si formavano perfettamente. Di tanto in tanto, i tonfi leggeri creatisi dal contatto di archetto e violino si intervallavano da striduli versi degli strumenti alle spalle del commesso, la magia che rivestiva quel reparto era tanto oscura quanto pulsante. Oliver aveva quasi ultimato ogni cosa, la terza scatola non aveva più nulla al suo interno; sistemando un cartone sull'altro, si guardò attorno un'ultima volta e si preparò ad uscire. Il suono della cornamusa fu tanto dolce, lì vicino, da scivolare in un'armonia improvvisa fin sottopelle; ne percepì l'intenso vibrato, nel suo singolo e solitario intervento, e il cuore perse un battito ad un ricordo svelatosi tra i suoi pensieri. Sua madre gli stringeva la mano, Oliver era appena un bambino, e le calendule sull'erba ai suoi piedi brillavano d'oro e di ocra. Si riscosse in tempo, lo sguardo vacillò incautamente, e in fretta - tornato in sé - cercò l'ascensore in uscita. Quando salì sull'unico gradino tra i due livelli, una stretta convulsa alla caviglia destra lo spinse a piegarsi su se stesso. Aprì bocca per un grido involontario e si accorse, al pari di una sinfonia da violino, di come ogni suono gli morisse in gola. La mano destra salì a fior di labbra e a quel punto Oliver tentò di pronunciare una parola, la prima in assoluto: Loras, articolò lentamente; e la voce si spense, si spezzò su se stessa, mentre il violino batteva i suoi tempi. Loras, ripeté. Un nome, una certezza, un richiamo alla vita. Iniziò a sentirsi male, il respiro si faceva sempre più irregolare. Quando si portò all'indietro, appellandosi ad un rinnovato autocontrollo, lungo tutta la gamba destra si propagò un tremore convulso. Si costrinse così ad inginocchiarsi ed infine a sedersi lì, proprio sul gradino restante: gli strumenti parvero risvegliarsi al tepore di una partecipazione, di un ascoltatore tra molti, e le loro note iniziali si librarono così in un primo ondeggiare. All'insistenza della cornamusa tediante, Oliver ne riconobbe l'effetto magico di tortura e fu chiara, alla scintilla di ragione superstite, di dover tapparsi le orecchie prima che potesse essere troppo tardi. Quando le mani si aprirono a palmo a stringere tra loro la testa, la schiena del Mago si piegò sotto un peso indomabile; sentì un brivido farsi corteccia, serpeggiare lungo la pelle, infine stringersi tra le spalle e il petto con insistenza maggiore. Si ritrovò a boccheggiare prima ancor di poter reagire e quando la bacchetta scivolò via dalle proprie dita, la musica aumentò lungo tutta la navata centrale. Sentiva la pelle pizzicare e il corpo farsi astratto, lento, in dissolvenza; la vista subiva l'impatto del pianoforte stridulo, si spezzava e si comprometteva, fin quando il ragazzo non fu più capace di distinguere i confini vicini. Immaginò di cadere: su se stesso, in se stesso, fin dentro il pavimento, e in ogni punto si fortificavano pareti scure - come una cassa, una bara, una prigionia vinta dal buio. Quando la bocca si aprì per urlare, il violino stregato lo rese muto, e per un attimo fu tragedia e bellezza allo stesso modo. Si ritrovò in solitaria, lontano da ogni cosa, e l'ultimo pensiero andò al signor Vinaccia, al suo capo, alla sua certezza di poter fidarsi del controllo ferreo di Oliver nel reparto di strumenti oscuri. Più la sinfonia incedeva, più ne plasmava strazio e incanto insieme, e nel virtuosismo del violino i ricordi sfumarono nelle trame già scritte. Sono solo, ripeteva tra sé. Sono solo, insisteva: la voce incrinata, divelta, infine assente. Si rivide come un'ombra supina su un letto d'ospedale, mentre le sue braccia si coprivano di ferite, e le gambe si macchiavano di sangue rappreso; e più la litania sferzava la sua ragione, più sentiva la testa implodere ed esplodere ancora, i capillari spezzarsi, gli occhi arrossati a più non posso. Si accorse di una gocciolina sul volto, fino a scivolare sul naso, poi sulla bocca; e quando vi passò la lingua, ne assaporò l'acredine, il gusto salmastro, il sapore delle lacrime. Sono da solo, diceva. E lo diceva anche il violino, lo ripeteva la cornamusa, lo gridava - sfumato - il pianoforte più lontano. Sono da solo, lo sapeva. Mentre le pareti si stringevano come una buca, mentre il corpo si piegava sotto un peso che non aveva precedenti, mentre la Vista si offuscava e chiariva insieme fino alla fine dei tempi. Sono da solo, apriva bocca, e non c'era suono, non c'era più suono. Loras compariva nella sua memoria, si dissolveva, scioglieva ogni legame. Non sparire anche tu, chiedeva il Veggente. Non sparire anche tu. Non lasciarmi da solo. Cominciò a sanguinare dal naso, a sentire le vertigini più acute in assoluto, infine un conato di vomito. Quando la musica divenne colonna portante, il respiro del ragazzo si era ridotto ad un soffio, il cuore ad un battito lento, unico, appena percettibile. Loras salutava, la mano paffuta appena sollevata, i riccioli d'oro ai lati del capo; le calendule venivano stracciate, recise, infine sparivano di pari passo; e i suoi concasati, i suoi amici, perfino l'amore appena sbocciato, l'uno e l'altro procedevano come astanti, e come astanti ignoravano il dramma ormai in atto. Sono da solo.
Lo sussurrò, questa volta.

E quando fu così nitido, il Canto si spense,
e il Veggente restò - ora davvero - da solo.


Quando il signor Vinaccia recuperò il suo commesso dal reparto proibito, quando lo strinse tra le braccia, quando lo portò via, sempre più lontano; quando si assicurò che le cure adeguate ripristinassero ogni controllo; quando la mente del Mago si riprese a sufficienza; solo allora, ritrovato se stesso, Oliver avrebbe fatto ritorno assoluto. Dalle vetrate all'ingresso, si lasciò cullare da un suono diverso, più delicato. All'esterno, infatti, finalmente era arrivata la pioggia.
 
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