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Ekaterina ObraztsovaRussia▴87 anni▴Purosangue▴Neutrale Malvagia▴Ministeriale V LivelloAprile 1958, periferia di Karlsruhe.
La ventisettenne camminava rapidamente nella via buia e colma di mendicanti. Il suo cappotto di lana a coste era vecchio e le spalle le cadevano larghe. Sotto indossava un tailleur di ottima fattura, e la gonna al ginocchio si intravedeva quando il vento alzava le code del soprabito. Sapeva dove stava andando ed il passo deciso produceva il suono di una marcia quasi militaresca. Era un'agente del Dipartimento Interni della Cancelleria ed il suo incarico era quello di sgominare una organizzazione tramite cui la corruzione, il mercato nero e altre azioni malavitose si spargevano per tutta la regione di Baden. La giovane non era stupida e si era fatta rapidamente largo tra i malviventi, malgrado la sua giovane età. Bussò alla porta di un piccolo appartamento al pian terreno di una casa ancora rovinata dai bombardamenti babbani. La porta si aprì, dietro di essa vi era un goblin dalle fattezze crudeli. « Lisl, sei venuta! » rise « Hai un bel fegato, ragazza … magari lo venderò» rise di nuovo. La giovane sapeva che non avrebbe potuto usare la magia contro di lui: i goblin sono troppo resistenti e lei non era abbastanza preparata per affrontare quella sfida. Prima di scendere oltre la porta che le era stata indicata dal goblin, vide, in una stanza adiacente all'ingresso, un gruppo di una decina di uomini che la squadrarono con sorrisi maliziosi. Giunse in un ammezzato poco sotto il livello della strada. Al capo del tavolo c'era un uomo che era conosciuto con il nome di Hadog, ma che lei sapeva benissimo, dai fascicoli della Cancelleria, chiamarsi Albert Wilhelm Lyall. Quell'uomo, talmente grasso da non riuscire a scollarsi dalla sedia sulla quale era seduto era la mente dell'intera rete e lei si era fatta infiltrare nella sua banda e nell'arco di un anno e mezzo era riuscita a conoscere il capo di quegli sciocchi adagiati su di una pentola d'oro. Lui le chiese se avesse i documenti che lei aveva promesso, documenti che potevano essere usati per ricatti: pensava fosse una traditrice e aveva ragione. Il ghigno che gli si disegnava tra tutte le balze di grasso, che coprivano quello scheletro stroncato, era malefico e beffardo. Lei, mantenendo lo sguardo fisso verso di lui, gli rispose timorosa che li aveva e aprì la borsetta dalla quale, invece del plico, estrasse la bacchetta: colpì il "grand'uomo" facendolo rovinare dalla sedia. Quello emise un urletto strozzato, di sorpresa più che di paura, e annaspò in cerca d'aria mentre il petto, troppo pesante, gli affaticava la respirazione. I gorgoglii che emetteva le parevano quasi ridicoli e, quando estrasse dalla stessa borsa un pugnale dalla lama ondulata, il suo divertimento affiorò in una risata silenziosa. Gli occhi ghiacciati si puntarono sull'uomo mentre gli si metteva a cavalcioni sul petto troncandogli il respiro, gli legò strette le mani sopra la testa, cosicché si nascessero lividi. Lo sguardo divertito della giovane e il sorriso sadico svelavano che non aveva mai avuto paura, che non aveva mai lavorato per lui, che non aveva mai lavorato per la Cancelleria: Ekaterina lavorava soltanto per sé. La lama penetrò nella gola come avrebbe fatto nel burro. Le dita candide della giovane goderono del calore improvviso che il sangue le donava e se ne beò osservandolo. Era rosso, come fosse stato vino, e non fosse stato così denso avrebbe quasi avuto la tentazione di assaggiarlo ma si fermò. Una macchia puntinava il polsino di seta candida.
Londra, Oggi.
L'anziana camminava, appoggiandosi al bastone. Non pativa il caldo che il cappotto le provocava: era piacevole e la pelliccia le solleticava il collo. La gonna del vestito nero scendeva poco sotto il ginocchio e la fibbia delle scarpe luccicava brillante e allegra alla luce dei faretti della sala. Sorrise alle due affermazioni dell'uomo e rispose con sguardi concordi. Rispose silenziosamente.
« Per questo abbiamo medici esperti che sanno fin dove spingersi, come abbiamo forze dell'ordine e politici che sappiano fin dove arrivare, non è così? » non era una vera domanda. « Un bravo medico è sempre il miglior giudice » disse parafrasando il proprio detto: "Ekaterina è sempre il miglior giudice". In effetti, Ekaterina era un buon medico e sapeva quale medicina somministrare al popolo e ai suoi collaboratori; e in che misura somministrarla tanto da non farli morire del tutto, magari solo un po'. « Un corpo di forze dell'ordine esperto, motivato e addestrato, un sistema politico che guidi un paese, se non sono medici ottimi questi… chi lo è? » aggiunse ancora. Come la perfetta dama di palazzo, che il Castiglione avrebbe detto esser più difficile da formare di una che meritasse d'essere regina del mondo, Ekaterina si muoveva nei discorsi, tra affondi e battute, pettegolezzi e notizie; infondo, se quel che diceva Castiglione era vero le sarebbe stato facile diventare Regina del Mondo. Aveva sempre preferito, nelle sue letture, al Principe, il Cortegiano: prima di governare bisogna conversare. « E la medicina deve essere data in giuste dosi proprio da chi se ne intende, non bisogna esagerare. Siamo medici, d'altronde. Noi non dovremmo esagerare mai »
Ascoltò la sua risposta vaga prima che lei si gettasse nella disquisizione su Canaletto. Quella rapida incursione artistica le diede tempo di riflettere, di pensare e di aggiungere tasselli al suo mosaico. Tasselli di timore e di paranoia che andavano a incastrarsi perfettamente nel suo schema. Adorava avere ragione, ma non cantò vittoria. « La capisco, la capisco. Posso confessarle una cosa? » disse con tono intimo « Dopo l'aggressione che io subì, tanti anni fa, io ebbi il terrore degli spazi aperti per anni. Non riuscivo ad uscire di casa, la capisco perfettamente. Avevo il terrore che sbucassero da ogni parte, che fossero nascosti… » annuì delicatamente. Lei era dalla sua parte, lei lo capiva. Con lei avrebbe potuto confidarsi e su lei avrebbe potuto contare sempre. Questo voleva trasmettere con i suoi atteggiamenti, i suoi sorrisi. Anche lei era umana, infondo, anche lei sapeva cos'era avere paura. « Massimo rischio, massimo guadagno? » chiese, inizialmente, con una vena di curiosità in voce. Non si aspettava una reazione simile alla sua affermazione ma le piacque, le piacque tantissimo. Scartò dal suo piano originario, decise che questa via era quella più interessante da seguire. « La situazione potrebbe essere grave » fece riprendendosi, parlando con calma riflessiva; di chi sta pensando all'argomento del quale si tratta per soppesare le parole giuste, per affrontare di petto il tema senza esser bruschi « Eppure… io ne ho sentito voci. E lei sa bene cosa significa, non è così… Maurizio? » il tono qui si era fatto serio, si voltò a fissarlo come un professore che guarda un allievo con un misto di preoccupazione e delusione nello sguardo. L'apprensione, comunque, era la parte predominante. Quegli occhi imploravano che lui le chiedesse aiuto. « Dunque le accuse che ho sentito… non sono calunnie? » qui scivolò vagamente sul piano originario. La Paranoia: l'uomo che si era presentato a lei in quella taverna odorava di timore, di risentimento. Voleva sfruttarlo voleva avvincerlo a sé e, per Dio, l'avrebbe fatto. La voce era gentile ma distaccata, pareva più bassa del solito tono flautato. Lo fissò per qualche istante nel silenzio apparentemente tombale.
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