Breakfast at Jolene's, Privata

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view post Posted on 23/1/2020, 16:36
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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Aiden Weiss
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La risposta di Jolene alla propria lettera aveva permesso al fulvo di respirare un poco. Per quanto banale potesse sembrare quel semplice gesto di trasparire le proprie emozioni, il proprio desiderio di compagnia e di aiuto a gestire quella situazione che lo tormentava giorno e notte, aveva permesso ad Aiden di percepire una sorta di innaturale leggerezza. Sentiva di potersi aprire con l’Infermeria di Hogwarts, di poterle confidare cose che solitamente teneva celate dietro una robusta maschera.
Fin dal loro primo incontro aveva capito quanto Jolene fosse genuina e spontanea, una persona affidabile e che sapeva ascoltare e consigliare, oltre a non giudicare una persona dalla copertina; forse era stato proprio quello ad attirare l’attenzione dell’Auror e a farla apparire speciale ai suoi occhi tristi e sofferenti. E Aiden, lo sapeva, aveva bisogno di persone come lei, che non lo giudicassero aspramente per ogni minima cazzata che faceva.

Già da giorni non dormiva adeguatamente e ben presto il peso delle notti in bianco prese a riflettersi sul suo corpo: la pelle era cinerea, tanto che pareva un fantasma che vagava senza meta, gli occhi erano stanchi e spenti, contornati da delle profonde occhiaie. E l’appetito era calato, lanciando un segnale allarmante per chiunque lo conosceva un minimo e sapeva quanto fosse avvezzo a mangiare quanto un esercito. Ma lui si era tenuto lontano dalla famiglia, specialmente da sua madre, finché non se l’era trovata davanti al Quartier Generale, proprio mentre era sul punto di uscire con una pila di documenti da portare all’archivio.
Ad Annabelle O’Brian non si sfuggiva, non ci si poteva nascondere, non le si poteva mentire e non vi era segreto che rimanesse troppo a lungo celato. Annabelle O’Brian sapeva cosa turbava il figlio, cosa lo faceva stare male al tal punto da crollare, a tal punto da non riconoscerlo più. Sapeva e le era bastato un potente assalto mentale per scoprirlo. Sapeva che si era innamorato.
«Nascondermelo non ti farà sentire meglio...»
E aveva ragione: non era stato affatto meglio, ma soltanto peggio. Si vergognava a parlare con lei dei propri problemi amorosi, si vergognava persino ad ammettere di essere innamorato di una persona che non lo avrebbe mai ricambiato, che era più giovane di lui e che aveva già un altro.
«Promettimi che me ne parlerai, appena ti sentirai pronto a farlo.» Apprensiva, dinanzi al preoccupante silenzio di Aiden, Annabelle provò a strappargli una promessa.
«Ti farò sapere...»
Non fu il massimo, ma la donna se lo fece bastare: se suo figlio aveva bisogno di tempo, allora glielo avrebbe concesso.

Tutto ciò accadde qualche giorno prima di decidere di scrivere a Jolene White…

✦✦✦


Methley Street giunse in vista dopo quasi una decina di minuti.
Si era Smaterializzato nei paraggi del Ministero, ma poi aveva optato per godersi un giro turistico della cara e vecchia Londra su un autobus, reggendo sulle proprie gambe un cestino pieno di frutta, fino a quando non decise di proseguire a piedi. Il giorno prima, infatti, aveva ben pensato di prendere qualcosa per Jolene e ringraziarla sia per il supporto che già gli aveva dato, sia per l’invito a casa sua.
Chissà se le piace la maracuja... pensò mentre con lo sguardo cercava il numero 9 tra le varie abitazioni. Poi, quando finalmente giunse davanti alla porta d’ingresso della casa di Jolene, si passò rapidamente una mano tra i capelli nel disperato tentativo di riordinarli un minimo; c’era un venticello gelido che lo aveva scompigliato per benino e che aveva rischiato più e più volte di portarsi via i frutti più piccoli e leggeri.
Avvolto in un lungo cappotto grigio, Aiden tentò di prepararsi a sfoggiare il suo sorriso migliore, invece l’ennesima folata di vento gli strappò un grugnito e un’imprecazione non propriamente detta a denti stretti. «Mmm… Cazzo!» Due ciocche di capelli si alzarono, come due piccola corna, facendolo apparire come un diavoletto.





Si può avere il titolo colorato con questo colore (#e6d9b1)? Il nome che ho scelto è puramente casuale :secret:
E poi c'è la Aiden mood (anche qui il riferimento è puramente casuale):


Edited by Aiden Weiss - 23/1/2020, 17:03
 
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view post Posted on 30/1/2020, 17:39
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Non aveva importanza con quanto anticipo potesse organizzarsi: Jolene finiva sempre, inevitabilmente, per ritrovarsi con una serie di preparativi da fare all'ultimo minuto. Era quello il caso anche quella mattina: Aiden sarebbe potuto arrivare da un momento all'altro davanti al suo portone, e lei dov'era? A fare la spesa. Jolene non aveva di certo delle mani di fata in cucina, e poter consumare quasi tutti i suoi pasti ad Hogwarts era un autentico salvavita per lei. Passava così poco tempo nel proprio appartamento che – come aveva scoperto con grande delusione la sera prima – quello che c'era nelle credenze o nel frigo non sarebbe bastato nemmeno per un unico pasto completo. Arrivata da poco dal lavoro, aveva scosso con grande scoramento una scatola di cereali che non ricordava di aver mai comprato. Oltre ad alcune confezioni già iniziate di biscotti e a dei vasetti di marmellata, non c'era nulla che potesse servire per la golosa colazione che aveva previsto per il giorno dopo. E dato che a quell'ora era tutto chiuso, non aveva avuto scelta se non correre la mattina stessa fino al supermercato più vicino e sperare che Aiden non fosse uno di quelli che arrivano in anticipo.
Mentre gettava nel carrello tutto quello che pensava potesse piacere all'amico, Jolene si ritrovò a ricordare la lettera con cui l'aveva contattata qualche giorno addietro. Ne era stata in parte turbata, come sempre quando qualcuno a lei caro si trovava in difficoltà. Allo stesso tempo, le piaceva pensare che l'uomo si fidasse di lei, che la considerasse una spalla su cui appoggiarsi in un momento complicato. La sincerità con cui le aveva scritto era stata estremamente significativa per Jolene: sapeva che lui avrebbe potuto fare finta di niente, come se andasse tutto bene e avesse semplicemente voglia di vedersi per una chiacchierata. Anche in quel caso avrebbe potuto distrarsi dai suoi problemi, e non si sarebbe esposto alla stessa maniera. Lei, forse, avrebbe agito in quel modo, nascondendo le proprie ferite fino allo stremo; le confessioni avevano sempre dovuto tirargliele fuori con le pinze, quella sua riservatezza aveva esasperato più di una volta chi voleva starle vicino. Era abituata al ruolo dell'ascoltatrice, di colei che consigliava e stava accanto; ma vestire i panni della controparte non era qualcosa che sapesse fare con naturalezza.
Fortunatamente, il supermercato era vicino a casa. Con le braccia cariche di un paio di borse panciute, Jolene si affrettava quanto più poteva. La mattinata era gelida, e le guance si erano imporporate contro il venticello che le scompigliava i ciuffi sfuggiti alla treccia. Ormai era quasi davanti al portone ma, ancora a qualche metro di distanza, riconobbe la figura che vi sostava davanti.
«Ehi, Aiden!» chiamò, affrettando ancora il passo. «Stai aspettando da molto? Scusami, sono terribile per queste cose. Sono andata a prendere qualcosa per la colazione. Ci sono un sacco di cose buone, vedrai. La frutta poi ci starà benissimo, fantastico!» Fu quando lo raggiunse che notò come il vento gli avesse scompigliato i capelli, e scoppiò a ridere. «Mi piace questa acconciatura, è un nuovo metodo che usate voi Auror per essere più intimidatori?» Gli fece cenno di guardare alla sua sinistra, dove avrebbe potuto specchiarsi nel sottile pannello di vetro scuro che fiancheggiava la porta. Mentre cercava le chiavi, Jolene gli lanciò uno sguardo con la coda dell'occhio: aveva commentato i capelli, ma ad aver davvero attirato la sua attenzione erano stati il colorito pallido e i cerchi scuri intorno agli occhi. Non voleva dare a vedere quanto fosse in apprensione per lui, ma i pensieri che aveva espresso nella lettera dovevano occupargli la testa giorno e notte, fino a dargli quell'aspetto esausto.
Dopo aver aperto, cercò il solito tono allegro e vivace: «Io sto al terzo piano. E no, niente ascensore qui». Fece dunque strada su per le scale; al terzo pianerottolo, si diresse verso una semplice porta di legno scuro, mentre dall'altra parte quella della vicina era decorata da un enorme fiocco rosa, rimasuglio ritardatario di alcune decorazioni natalizie di dubbio gusto. «Lì vive Miss McCarthy», disse ad Aiden in un sussurro, mentre apriva. «A Natale ha sparso ghirlande rosa per tutte le scale, e c'era questa testa gigante di renna sul portone che...» Finse di rabbrividire, poi spinse la porta. «Benvenuto, fai come se fossi a casa tua.»
All'interno, la casa offriva la migliore versione di ordine che Jolene potesse mantenere. Aveva rimesso a posto come aveva potuto, ma qualche traccia di familiare disordine rimaneva ancora in una tenda scostata male, in una tazza di tè abbandonata sul tavolino davanti al divano, nei diversi libri che erano sfuggiti al proprio scaffale e si trovavano sparsi qua e là. Jolene non vi dava molto peso, e anzi era piuttosto contenta di come si presentava l'abitazione. L'aveva decorata con grande cura, con l'obiettivo di rendere ogni angolo accogliente e inconfondibilmente suo, a partire dai colori chiari e vivaci, alla libreria immensa, fino alle innumerevoli piante che crescevano rigogliose nei vasi.
Dopo che si furono tolti le giacche, Jolene accompagnò Aiden in cucina. Acciambellato su una sedia, un grosso gatto bianco accolse entrambi con uno sguardo impenetrabile, forse vagamente giudicante. «Lui è Emerald Butler, ma puoi chiamarlo Mr Butler. È abbastanza buono con chi non conosce, di solito. Da qualche parte ci sono anche Nephelae e Daisy, una fata e una civetta. Fidati, non vuoi che Nephelae entri qui dentro mentre cuciniamo.» Così dicendo, chiuse la porta che dava sul salone, e iniziò a spacchettare. «A proposito, ti piacciono i pancake?»



Per comodità ti lascio anche qui il link alla casina, con tutte le foto del caso: clickkete :flower:
 
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view post Posted on 24/2/2020, 14:08
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Aiden Weiss
‹ Auror ‹ 27 anni ‹ Irlandese

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Sospirò pesantemente una volta che la folata di vento fosse passata, abbassando le ampie spalle con aria rassegnata, specialmente dopo aver provato a suonare al campanello dell’appartamento di Jolene senza ricevere alcuna risposta. Si domandò se stesse dormendo ancora o se si era dimenticata del loro incontro per una colazione in compagnia, oltre al dubbio di essere giunto troppo in anticipo; tuttavia attese qualche altro minuto, fissando l’ingresso con una certa insistenza, supplicando silenziosamente che l’amica si precipitasse ad aprire la porta dato che il freddo non risparmiava nessuno, nemmeno lui.
Fu sul punto di suonare per la seconda volta, quando sentì la voce di Jolene giungere da oltre le proprie spalle in maniera improvvisa, tanto che per un attimo sussultò sul posto. Volse la testa di scatto e la guardò con aria confusa. «Ciao baby… Ti credevo in casa… Uhm, non da molto, pochi minuti in realtà...» la salutò con un sorriso, per poi stringersi maggiormente nella propria giacca. Si ritrovò a grugnisce con lo stesso smarrimento di prima a seguito della domanda che ella aveva avanzato dopo un’improvvisa risatina; Aiden allora volse la testa verso il pannello di vetro che l’amica gli indicò e si specchiò in esso, fino a brontolare nel notare come si era ridotti i propri capelli. Con la mano libera tentò disperatamente di appiattirli. Amava alla follia i propri capelli, tanto quanto la barba: due cose delle quali cercava sempre di tenere ben curate e in ordine. «E’ colpa di questo vento...» si giustificò, per poi seguirla dentro, grato di non dover prendere alcun ascensore; ne aveva abbastanza di quelli al Ministero, seppur non così all’avanguardia come quelli Babbani, e voleva curiosare meglio quel condominio che Jolene si era scelta come propria “Tana”.
Rimase alquanto affascinato, oltre che sbalordito in un primo momento, della vasta collezione di libri che la rossa aveva nel proprio rifugio privato: quelle due ampie librerie dagli scaffali affollati erano davvero impressionanti e iniziò a pensare a quale Casata la giovane White fosse appartenuta. Tutto sommato quell’appartamento era davvero accogliente - anche se lui preferiva per lo più degli ambienti rustici e antichi - e l’aroma dei fiori e delle candele venne accolto con benevolenza dalle proprie narici, facendolo sorridere. «Sai, casa mia è tutto il contrario. E’ una villetta in legno e pietra in mezzo alla natura.» spiegò brevemente, togliendosi la giacca, per poi aiutare Jolene a portare le sporte in cucina; dopotutto era un uomo piuttosto muscoloso e allenato a sollevare pesi più eccessivi delle buste della spesa, quindi perché non garantire a Jolene il vantaggio del supporto di omaccione come lui?
Non appena posò tutto su uno dei ripiani, lo sguardo dell’Auror si posò sul gatto bianco che aveva notato acciambellato su una sedia. «Salve Mr. Butler!» salutò il felino, per poi allungare piano una mano per poterlo accarezzare; ma prima permise al gatto di annusargli la mano, tanto da avvertire l’odore della sua Ginga, la gatta bianca e arancione che aveva inciso più e più volte la sua pelle chiara con delle artigliate da far invidia persino ad una tigre. «Una fata? E’ da parecchio che non ne vedo una… Ma se dici che è meglio non averla in cucina, mi fido. E sì, amo i pancake! Onestamente amo qualsiasi cosa, purché sia commestibile.»



 
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view post Posted on 7/3/2020, 17:59
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Dal tono dell'Auror, Jolene non avrebbe saputo dire se il suo appartamento, così diverso dall'abitazione che lui aveva descritto, fosse di suo gusto o meno. Di certo aveva poco a che spartire con una villetta rustica in mezzo alla natura, però a suo modo aveva tentato di portare la vitalità dei luoghi aperti anche lì, in quel piccolo spazio ritagliato nel mezzo della Londra Babbana. La cucina si affacciava su un parco e, seppur costrette in vasi di terracotta, le piante che aveva sistemato in ogni angolo disponibile erano rigogliose e curate.
«Abiti dalle parti di Hogsmeade se non ricordo male, vero? Anche a me piacerebbe stare vicino alla natura, però almeno qui sono a due passi ai miei.» Divisa tra Scozia e Londra, Jolene era ad un tempo vicina e lontana dalla casa che l'aveva vista crescere. Cercava in quel modo di rispondere alle esigenze contrastanti che la definivano donna adulta da una parte e figlia devota dall'altra. Allontanarsi un'altra volta, come aveva fatto quando era andata a vivere in Italia, non le avrebbe dato pace: voleva prendersi cura di Oscar e sostenere Virginia, era impensabile limitare la sua presenza alle sole lettere. Allo stesso tempo, sentiva l'esigenza di diventare indipendente, di farsi strada con sempre maggiore consapevolezza in una vita da prendere interamente nelle sue mani. Lo spazio che li circondava non era altro che il risultato di simili considerazioni.
Pur non essendo abituato agli sconosciuti, Mr Butler non rimaneva diffidente a lungo. Annusò per alcuni secondi la mano che quello strano individuo gli porgeva, sfiorandola appena con il muso vellutato. Esitò qualche istante ed infine spinse la testa contro di lui, gli occhi ora socchiusi nell'attesa di una carezza. A Jolene tutto ciò non sfuggì: «Gli piaci», annunciò compiaciuta, e nel mentre posò l'ennesimo vasetto di marmellata sul tavolo, che ormai si stava trasformando in un campo minato di ogni ben di Merlino. Confetture alle fragole, arance e pesche; creme spalmabili, e una pagnotta ancora calda; succhi di frutta, una bottiglia di latte, sciroppo d'acero, e oltre a ciò tutto il necessario per preparare i pancakes. «Bene, perché di commestibile abbiamo tantissima roba», commentò quando anche l'ultimo sacchetto fu vuotato. Poteva sentire una nuova atmosfera da festa, calda e familiare, che raramente aveva sperimentato lì dentro. Le ricordava le colazioni della domenica di molti anni addietro, quando la sua testa faceva appena capolino dal tavolo mentre trotterellava da una parte all'altra della cucina, prendendo molto sul serio il suo compito di afferrare i piatti dalle mani della mamma e passarli a papà senza scomporre nemmeno una briciola. C'era qualcosa della medesima leggerezza, quella mattina accanto all'amico.
«Ricordo ancora le frittelle che mi hai mandato qualche tempo fa, quindi sono contenta che almeno uno dei due sicuramente sappia cucinare. Comunque, questi li ho fatti anche altre volte, dovrebbe essere una ricetta convalidata perfino per me.» Rise. «Se vuoi darmi una mano, là c'è un grembiule.» Gli indicò la parete vicina, dove ad un gancetto era appeso un grembiule a fiori e bordato di pizzo rosa. Lasciò che Aiden ponderasse attentamente la sua scelta, e nel frattempo iniziò ad aprire una credenza dopo l'altra per tirare fuori ciotole e cucchiai. Doveva sollevarsi sulle punte per raggiungere i ripiani più alti, non aveva la bacchetta con sé. Un contenitore traballò pericolosamente, ma riuscì a spingerlo indietro in tempo per non farlo cadere.
Non fu semplice fare spazio sul tavolo per tutto quanto. Quando sollevò lo sguardo e incrociò la figura di Aiden, si ritrovò a sorridergli. «Sono contenta di vederti, Aiden.» C'era affetto in quelle parole, semplice e sincero come il modo che aveva scelto per esprimerlo. Per la maggior parte, i loro incontri erano stati segnati da ombre: mutevoli, ora minacciose ora di pura disperazione, non le avevano tuttavia impedito di apprezzarli. Ciò che non mancava mai di notare era la totale franchezza con cui l'amico affrontava qualsiasi situazione: Jolene si fidava delle sue prime impressioni, e fin dal principio Aiden le era parso, tra tutti i difetti che poteva attribuirgli, fondamentalmente buono e onesto. Trasparente, addirittura. A guardarlo adesso, non avrebbe dovuto stupirsi tanto della franchezza con cui le aveva scritto – poteva forse conoscere altri modi?

 
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view post Posted on 16/3/2020, 10:51
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Aiden Weiss
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Non era mai stato un’amante delle città caotiche e non ne aveva mai fatto mistero. Ma era anche vero che Jolene non aveva mai avuto modo di sapere quel dettaglio di sé, così come molte altre preferenze che segnavano i suoi gusti personali; tuttavia, grazie a quel loro incontro in cui avrebbero condiviso qualche ora del loro tempo, Aiden riconobbe una simile opportunità per farsi conoscere meglio e scoprire alcuni lati di Jolene a sua volta.
«Esatto.» mormorò, nonostante fosse troppo preso dal gatto. «Per stare più vicino alla scuola...» aggiunse in una nota grave, lanciando così un segnale piuttosto chiaro a Jolene riguardo a quella sua scelta di stanziarsi nei dintorni di Hogsmeade, lontano dal cicaleccio dei cittadini ma allo stesso tempo non così distante da Hogwarts. Aveva scelto accuratamente dove erigere la propria dimora, rispettando le proprie preferenze personali ma rimanendo comunque devoto al proprio lavoro. «Scusami… Talvolta tendo ad essere troppo ligio al dovere. E Londra non mi piace per nulla: troppo caotica, troppo satura di smog. Io sono abituato alla campagna di Galway.» sospirò, frettolosamente, in quella che era una giustificazione delle proprie scelte. Non che Jolene necessitasse di una simile motivazione, ma non se l’era sentita di lasciare il discorso a metà con quelle che sarebbero potute sembrare delle frasi di circostanza. Aiden amava la sua famiglia, ma Galway era distante sia da Londra che dalla Scozia: aveva quindi preferito le Highlands piuttosto che condividere l’appartamento londinese che sua madre e sua sorella Lena si erano scelte per motivi di lavoro. Nulla però vietata al giovane Weiss di andare in visita a ciascun familiare quando la vita dell’Auror glielo consentiva.
Sorrise, infine, al felino e con le dita andò a grattare dietro ad una delle orecchie come era solito fare con Ginga, strappandole - il più delle volte - dei dolci versi deliziati. «Ho un gatto anch’io. E’ una femmina, si chiama Ginga. Avrà sentito il suo odore.» disse a Jolene, mentre continuava a dedicare attenzioni a Mr Butler, finché non terminò con una lunga carezza che partiva dalla testa fino al posteriore, godendosi la morbidezza di quel manto lucido e pulito.
Alla frase dell’amica, Aiden soffocò una risata divertita. «Credimi: non sono una cima nemmeno io in cucina. Sto cercando di imparare il minimo indispensabile per non fare brutte figure. Insomma, con la carne me la cavo egregiamente, ma in altre...» Alzò le mani al cielo come per enfatizzare la propria resa in fatto di sconfitte culinarie.
Quando poi Jolene gli indicò un grembiule agganciato in una delle pareti della cucina, il rosso - come prima cosa - si tolse la propria giacca e la lasciò su una delle sedie; ma nel momento esatto in cui il suo sguardo incontrò i motivi floreali e il pizzo rosa che contornava il grembiule, il suo sguardo assunse una piega di puro terrore mischiato ad orrore. Come demolire la virilità maschile... pensò, grattandosi la testa con fare incerto. «A pensarci bene io non uso quasi mai il grembiule...» mormorò all’amica, sorridendole imbarazzato. Si avvicinò a lei e ne approfittò per lavarsi le mani dato che aveva toccato il gatto, per poi mettersi ad aiutarla a sistemare le ciotole.
«Anch’io.» sussurrò, flebile, leggermente imbarazzato. Non aveva mai avuto un’amica con cui tentare simili esperimenti culinari, anzi, non c’era mai stata una persona di sesso femminile a condividere con lui dei momenti. C’erano sempre e solo state le sue sorelline, per le quali aveva fatto di tutto e di più per il loro benessere e affetto, ma mai aveva avuto qualcuno che fosse estraneo al nucleo familiare e stare in compagnia di Jolene era bello e strano al tempo stesso. Era una novità piacevole.
«In quest’ultimo periodo ho creduto di impazzire...» confessò, a bruciapelo.





Edited by Aiden Weiss - 16/3/2020, 11:22
 
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view post Posted on 27/3/2020, 18:05
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Seppure a malincuore, Jolene dovette dare ragione ad Aiden per quel che riguardava alcuni degli aspetti meno allettanti di Londra. La capitale poteva essere un autentico labirinto se non la si conosceva e, specialmente per chi fosse naturalmente incline a ambienti più tranquilli, costituiva una dura prova per i nervi. Troppo traffico, troppo cemento, troppe persone ad affollare i marciapiedi ad ogni ora del giorno; nemmeno di notte si poteva stare totalmente in silenzio, c'era sempre un'automobile solitaria che transitava a tutta velocità verso l'infinità di destinazioni che la città aveva da offrire. Probabilmente c'entrava l'averci passato l'infanzia, ma per lei tutti questi inconvenienti erano ampiamente superati dai validi motivi di amare quel posto. «Se la si conosce bene Londra ha dei segreti davvero incantevoli.» Aveva il sorriso di chi custodisca la chiave di luoghi meravigliosi, giardini segreti che pochi occhi avessero il privilegio di ammirare. «Magari ti porterò a fare qualche gita, ma devi essere disposto a lasciarti meravigliare, altrimenti non funziona.» A volte la nostra aveva il vizio di parlare come la strega buona di un libro di fiabe – d'altra parte qualcosa doveva pur esserle costato, crescere con più libri che amici in carne ed ossa. Aiden avrebbe anche potuto lanciarle un'occhiata in tralice, chiedendosi di che diamine stesse parlando con tanti infiocchettamenti: avrebbe allora scorto un guizzo nei suoi occhi, come di un gioiello che venisse rapidamente nascosto. Jolene aveva imparato che a furia di cercare – cercare con la giusta predisposizione, d'intende – realtà inaspettate potevano rivelarsi anche nei posti più banali. Era venuta così a conoscenza di una serie di segreti, come li chiamava lei, per lo più piccoli dettagli o luoghi insoliti che trovava incantevoli, e che custodiva nella sua memoria come un bambino che chiuda gelosamente il coperchio di una scatola piena di preziose cianfrusaglie. La sua Londra era punteggiata di quei dettagli come delle tappe di una mappa del tesoro.
Apprese che anche Aiden aveva un gatto, nel mentre Mr Butler si faceva sentire con fusa sommesse. Parve vagamente indignato quando l'uomo smise di occuparsi di lui, e rimase ad osservarli attraverso gli occhi socchiusi. Jolene non fece caso quando Aiden rifiutò il suo grembiule, risolvendo di indossarlo lei stessa. Dopo esserselo allacciata sembrava uscita direttamente da una casa per bambole, ma la cosa non la disturbava minimamente.
«Ti confesso che mi sono preoccupata a leggere la tua lettera» le sfuggì. «Mi dispiace molto per la tua perdita. In un momento come questo deve essere ancora più doloroso.» La leggerezza che aveva percepito fino a pochi istanti prima si caricò d'un tratto di pesi gravosi. Jolene indugiò, presa dal tentennamento che a volte si presentava di fronte ad una situazione estremamente delicata. Il dolore di Aiden emanava tangibile dalla sua figura, anche uno sconosciuto avrebbe potuto indovinare che quelli fossero tempi turbolenti semplicemente dal suo sguardo stanco. Jolene gli posò una mano sul braccio, stringendo delicatamente. Accettava la sua sofferenza, non voleva che la nascondesse a tutti i costi per montare una facciata di spensieratezza; allo stesso tempo, avrebbe desiderato che almeno in quell'occasione potesse ritrovare un po' di buon umore, sapere che era possibile anche in un momento buio come quello. Probabilmente non poteva una mano amica, da sola, trasmettere tanto carico di significato, ma allo stesso tempo le parole suonavano vuote quando si sforzavano di rincorrere una profondità che al verbo era negata.
«Dai, facciamo questi dolci. Aiutano sempre, almeno un po'.» Stemperò con un sorriso appena accennato, aspettando un cenno di assenso da parte di Aiden. Sarebbe stato più semplice parlare davanti a un piatto caldo, gli animi sarebbero stati un po' sollevati. Forse una pila di pancakes sarebbe anche riuscita a far tornare un po' di colore sul volto dell'amico.

 
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view post Posted on 30/3/2020, 16:44
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Aiden Weiss
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Segreti.
Al solo udire quella parola, il Mago di Galway venne percosso da un brivido che partì da sottopelle. Ne percepì la gravosità, la pesantezza che contraddistingueva quel concetto così pericoloso ma talvolta necessario. E lui ne aveva, di segreti.
La genuina simpatia nei confronti di Jolene, oltre che inestimabile gratitudine, l’avevano spinto ad aprire uno spiraglio verso uno di quei tanti segreti che lo vedevano segretamente innamorato di una persona che doveva ancora affacciarsi all’età adulta in maniera netta e definita. All’inizio si era vergognato da morire per aver anche solo osato provare un simile sentimento, ora però avvertiva di meno quella sensazione, anche se era ancora presente, annidata in un angolo remoto della propria anima e pronta a colpirlo al minimo passo falso. E se aveva scritto a Jolene di tutta quella sua sofferenza e fragilità emotiva, era stato reso possibile soltanto perché il dolore aveva superato la paura e il turbamento.
«Mi stai proponendo un’avventura?» le chiese con un flebile sorriso, mentre armeggiava con il pacco di farina, strappando via la sigillatura con un movimento un po’ troppo energico e noncurante, distratto com’era a guardare l’amica nel disperato tentativo di capire dove voleva portarlo. La carta cedette con uno strappo sinistro e un getto di farina gli volò addosso, oltre che a liberarsi nell’aria come un piccolo funghetto atomico, riempiendo così il suo maglione a collo alto con della polvere fine e sottile. «Non-dire-niente.» scandì lentamente, presagendo l’arrivo di una battuta dopo essersi rifiutato di indossare il grembiule.
Mentre Jolene ammise di essersi preoccupata nel leggere la sua lettera, Aiden rovesciò tutta la farina dentro una ciotola senza nemmeno prendersi la briga di pesare il giusto quantitativo. Di quanti chili era il pacco? Uno o due? Indipendentemente da ciò Aiden fu dell’avviso che più pancakes avrebbero preparato, meglio sarebbe stato per tutti, specialmente per lui. Nei momenti di crisi il cibo si rivelava davvero lenitivo.
«Credevo di aver finalmente trovato me stesso...» disse, in quello che non era altro che il preludio di una sorta di confessioni. «E invece scopro di essere solamente all’inizio.» Tirò su con il naso e si dedicò a preparare la giusta quantità di latte. «Perché non posso essere libero?» sbottò, infine, con voce tremante.
C’erano così tante cose da dire, da spiegare, eppure non sapeva da dove iniziare e come esprimersi. Poteva iniziare con il raccontare di sua nonna, di come era morta e di come lui fosse riuscito a diventare Animagus; oppure poteva riprendere il discorso sui suoi sentimenti che avevano iniziato nel loro primissimo incontro ad Hogsmeade.
«D’accordo! Voglio riempirmi lo stomaco di dolci fino a scoppiare!»
Forse dopo aver buttato giù qualche boccone avrebbe finalmente trovato il giusto slancio per intavolare la giusta conversazione. Voleva confidarsi con lei, farsi consigliare e confortare. Ne aveva davvero bisogno.



 
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view post Posted on 5/4/2020, 13:49
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«Se avventura ti sembra troppo spaventoso, possiamo chiamarla passeggiata digestiva con sorpresa» disse Jolene con un benevolo tono canzonatorio. «Se ti va e se abbiamo tempo dopo mangiato, potremmo fare due passi.» Si strinse nelle spalle ossute, lasciando intendere che avrebbero potuto decidere con calma in seguito.
Per il momento avevano il cibo a cui pensare, e fu evidente fin da subito che avrebbero fatto meglio a dedicarvi tutte le loro energie: il primo incidente di percorso aveva già tinteggiato di fresco il maglione di Aiden. Le labbra della rossa si tirarono nel sorriso esagerato di chi si sforza di non scoppiare a ridere. Si spolverò con fare noncurante una spalla, smuovendo il pizzo del grembiule, come a pulirsi di un minuscolo sbuffo di farina. «Quindi cucini senza grembiule di solito, hm?» Cercò di assumere un'aria innocente, ma era pronta a scattare per evitare una meritata vendetta.
Capì dalla dose più che generosa di farina di aver fatto bene a fare scorte abbondanti di cibo: con tutta probabilità, Aiden era abituato a mangiare il doppio delle sue porzioni. Nel breve sfogo che seguì, Jolene decise di rimanere in silenzio e rispondere unicamente con uno sguardo comprensivo. Conosceva bene la sensazione frustrante di essere persi perfino a se stessi, ma intuiva che non fosse la migliore delle idee spiegare ad Aiden come, a suo avviso, trovarsi fosse un percorso tutt'altro che breve e per niente scontato. Quando l'equilibrio, per quanto imperfetto, della propria vita cede definitivamente al caos che tutto richiama, allora quella condizione risulta letteralmente insopportabile. Il suo peso viene accresciuto a dismisura dalle circostanze, ed è in quel momento che ci si rende conto di non poter convivere oltre con il triste compagno di una vita intera. La morte di un caro e il rifiuto di altri affetti erano ciò che aveva segnato il punto di rottura nell'esperienza di Aiden.
Incoraggiata dalla dichiarazione dell'amico – «Voglio riempirmi lo stomaco di dolci fino a scoppiare!» –, Jolene decise che con le dosi sarebbero andati giù pesanti e senza remore. Prese il burro e tagliò una parte del panetto che le sembrava sufficiente per la farina versata da Aiden. Lo mise in una piccola ciotola e lasciò che si sciogliesse dentro all'acqua di un pentolino che pose sul fornello, e nel frattempo cominciò a rompere le uova.
«Se ti va puoi mettere su della musica, ci sono dei CD lì.» Con il mento indicò una piccola pila che aveva preparato su un mobiletto dall'altra parte della cucina, accanto ad uno stereo. Aiden avrebbe potuto trovare i generi più diversi, dal rock degli anni '60 e '80 fino ad alcuni successi swing di quasi un secolo addietro. C'era anche qualcosa di musica classica, e un album delle Sorelle Stravagarie che era riuscita a trovare, straordinariamente, anche per quel mezzo di riproduzione Babbano. «Gli ospiti hanno l'onore della scelta!» Esclamò allegramente, pulendosi le mani dell'albume delle uova. «Quando ero piccola e aiutavo i miei a cucinare la colazione della domenica, c'era sempre della musica che andava sul giradischi. Dà il ritmo al cuoco, diceva mia mamma, e il cibo esce più buono.» Nell'unire le uova al latte ondeggiò per dare una dimostrazione, come se fosse rapita dalle note di una musica ancora inesistente, o forse la stessa melodia ormai estinta dei suoi ricordi.

 
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Aiden Weiss
‹ Auror ‹ 27 anni ‹ Irlandese

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«Mi prendi in giro?» la canzonò lui, alzando un sopracciglio. «Ho la faccia di uno che se la fa nelle mutandine? Assolutamente fuori questione, miss White: non è igienico, né tantomeno decoroso da parte di un Auror audace e bello come me!» Se inizialmente aveva manifestato una parvenza di orgoglio ferito, Aiden non si trattenne più di tanto dallo scoppiare a ridere a seguito della battuta finale. «Sottoscrivi: audace e bello!» Finse di pavoneggiarsi alzando la testa in una perfetta imitazione di Gilderoy Allock.
Osservò Jolene fingendosi guardingo e alquanto indispettito nel vederla spolverarsi una spalla e rimarcare la preferenza del rosso nel non utilizzare il grembiule per cucinare. Dal canto suo, l’Irlandese le concesse una pernacchia come magra consolazione: dopotutto, se voleva gustarsi una succosa vendetta, avrebbe dovuto aspettare il momento giusto, dato che era un piatto che andava servito freddo.
Dopo quel piccolo sfogo, Aiden si limitò a prendere una ciotola per metterci la frutta una volta lavata e sbucciata; non se la sentiva di fissare il volto di Jolene per timore di vederla prova pena per lui e non era certo di poterlo sopportare. Tuttavia una strana idea gli balenò nella mente: era vero che la morte di sua nonna lo tormentava ancora, ma quel giorno aveva vissuto un evento che lo aveva portato - in un certo senso - a rinascere, a scoprire la parte più intima e selvaggia di se stesso. Da quando era diventato Animagus aveva scoperto più cose sul proprio conto che in un qualche modo lo aveva reso libero e più completo. Forse parlarne con Jolene avrebbe permesso al fulvo di legarsi maggiormente a lei e permetterle così di comprenderlo a pieno.
«Uhm?» grugnì, infine, tornando a guardarla all’improvviso dopo averla udita parlare. La proposta della musica lo avevano ridestato dai propri pensieri. «Va bene, ma devi cantare con me!» Era curioso di sapere se Jolene amava cantare e, soprattutto, che non starnazzasse come un’oca selvatica; in tal caso si sarebbe fatto due risate.
Lasciò perdere la frutta e andò a sbirciare tra i CD dopo essersi appropriato di una fragola a tradimento e di nascosto da lei. Ne aveva parecchi la malandrina, ma solo attirò la sua attenzione a tal punto da farlo sogghignare maliziosamente. L’Auror si sfregò le mani e mise il CD nello stereo. Una volta partita la musica, l’uomo si girò a tempo di musica e iniziò ad intonare la parte maschile della canzone.


Where are those happy days, they seems so hard to find.
I tried to reach for you, but you have closed your mind.
Whatever happened to our love?
I wish I understood.
It used to be so nice, it used to be so good.


La voce di Aiden era calda e ben intonata, si poteva sentire quanto si stesse impegnato per non sbagliare i giusti toni e ritmi, a differenza del balletto improvvisato che usò per avvicinarsi a Jolene. Soltanto quando le fu vicino, allungò un braccio per prendere improvvisamente quello di lei e spronandola ad unirsi a lui in quel teatrino improvvisato.

So when you're near me, darling can't you hear me.
S. O. S.
The love you gave me, nothing else can save me.
S. O. S.
When you're gone.
How can I even try to go on?
When you're gone.
Though I try how can I carry on?




 
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Jolene possedeva innumerevoli CD musicali, di cui quelli sparpagliati accanto allo stereo costituivano solo una minima parte. Quei brani la accompagnavano da talmente tanto tempo, e lei li aveva ascoltati e riascoltati così spesso, che le custodie portavano i segni evidenti dell'usura – qualcuna si chiudeva male, a quell'altra mancava un angolo – e, allo stesso tempo, i segni di un affetto profondo che la legava ad ogni singolo pezzo. Così come sapeva nominare dal dorso della copertina ogni libro allineato sui suoi scaffali, senza doverne leggere il titolo, allo stesso modo erano sufficienti solo le prime note di una traccia perché lei la riconoscesse senza ombra di dubbio. Prima ancora che Aiden cominciasse a cantare, quindi, gli occhi di Jolene si accesero di una luminosità fino ad allora inedita. Curioso che scegliesse proprio quella canzone, pensò in un attimo fugace, prima di essere del tutto assorbita dalla musica – forse era vero che anche il gesto apparentemente meno significativo in realtà parlava di noi con chiarezza schiacciante. O forse, più semplicemente, una quantità spropositata di canzoni girava intorno alle pene d'amore.
Le note scalzarono ogni elucubrazione, attuando la loro singolare magia. In un attimo ogni parte di Jolene rispose al loro richiamo, il suo stesso corpo le riconobbe come familiari, irresistibili. Ciò che non si era aspettata del tutto fu la voce di Aiden, il cui timbro prese ad accompagnare la registrazione sovrapponendosi ad essa, scalzando il cantante per relegarlo in un angolo minuscolo della coscienza della donna. Era bravo, pensò in quel momento, e contemporaneamente il suo volto si ridisegnò nel sorriso, poi nel riso sommesso che le fece sussultare il petto. Non poté impedirselo, la prese un vero e proprio attacco di ridarella che la mano portata di fronte alla bocca non riuscì a nascondere. Non stava ridendo di Aiden, al contrario la sua performance le pareva bella, intonata; era allegria pura quella che d'un tratto le scoppiò dentro, semplice e spensierata come quando era bambina.
Aiden la raggiunse a passi di danza, le prese un braccio per invitarla ad unirsi alla musica. Jolene si lasciò trascinare, l'altra mano ancora stretta sulla frusta da cucina con cui stava mescolando le uova al latte. I primi versi del ritornello le uscirono spezzati, inframmezzati dal tintinnio delle risate fino a diventare incomprensibili. I piedi e le braccia seguirono il ritmo allegro, incalzando Aiden ora da una parte della cucina, ora dall'altra. Era un ballo disordinato, ma pieno dell'energia che d'un tratto le fluiva negli arti animandoli, rendendo insopportabile l'immobilità. Allargò un braccio con slancio, l'albume attaccato alla frusta volò lontano ma lei non se ne accorse, né se ne sarebbe curata. Avrebbero anche potuto trasformare la cucina in un macello, in quel momento non importava.
A quel punto aveva smesso di ridere e, quando venne il suo turno di solista, i versi le uscirono chiari. Aveva una voce da soprano che, resa indisciplinata dall'allegria, giocava sulle note senza mai azzeccarle davvero, eppure l'effetto era piacevole.

You seem so far away though you are standing near
You made me feel alive, but something died I fear.
I really tried to make it out, I wish I understood
What happened to our love, it used to be so good.


A metà strofa aveva cominciato ad usare la frusta a guisa di microfono, il grembiule ondeggiava come la parodia di un bell'abito da scena. Quando esplose il ritornello abbandonò frettolosamente il microfono improvvisato sul tavolo, così da avere entrambe le mani libere. Un braccio rimase legato ad Aiden, così che potessero condividere la medesima energia; l'altro si muoveva assieme a tutto il corpo sulle note che invitavano ad ondeggiare, a saltare, a girare senza uno schema preciso, eppure sentendo la necessità di ogni gesto. Indispettito da tanta agitazione, Mr Butler si era rifugiato sotto il tavolo e da lì osservava quello spettacolo buffo.

 
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Aiden Weiss
‹ Auror ‹ 27 anni ‹ Irlandese

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L’allegria di Jolene dinanzi a quella sua improvvisa performance riuscì a cancellare via gli affanni dell’ultimo periodo. Per una volta tanto i propri tormenti collegati ai sentimenti che nutriva per Thalia Moran vennero accantonati, relegandoli in un angolo della propria anima. Finalmente, dopo così tanto tempo, aveva finalmente scoperto la complicità di un’amicizia sincera e l’aveva trovata in una donna; sentiva dunque di dover dimostrare a Jolene quanta più gratitudine possibile per aver scelto di condividere con lui non solo la colazione, ma anche quelle risate.
Nel cercare di coinvolgerla in quel ballo improvvisato, Aiden vide chiaramente come ella stava agitando il mestolo grondante di albume, fino a sparare come dei siluri alcune gocce che andarono a colpire i fornelli. E proprio mentre Jolene intonò la strofa cantata dalla controparte femminile, l’Auror si lasciò sfuggire un espressione piuttosto lampante, come per dire “l’abbiamo combinata grossa[*]. Tuttavia si ritrovò a ridere quando vide Jolene usare la frusta come microfono, coprendosi la bocca per soffocare il riso e non rovinarle la performance.

Where are those happy days, they seems so hard to find.
I tried to reach for you, but you have closed your mind.
Whatever happened to our love?
I wish I understood.
It used to be so nice, it used to be so good.


La voce di Aiden era calda e ben intonata, si poteva sentire quanto si stesse impegnato per non sbagliare i giusti toni e ritmi, a differenza del balletto improvvisato che usò per avvicinarsi a Jolene. Soltanto quando le fu vicino, allungò un braccio per prendere improvvisamente quello di lei e spronandola ad unirsi a lui in quel teatrino improvvisato.

So when you're near me, darling can't you hear me.
S. O. S.
The love you gave me, nothing else can save me.
S. O. S.
When you're gone.
How can I even try to go on?
When you're gone.
Though I try how can I carry on?
So when you're near me, darling can't you hear me.
S. O. S.
And the love you gave me, nothing else can save me.
S. O. S.
When you're gone.
How can I even try to go on?
When you're gone.
Though I try how can I carry on?
When you're gone.
How can I even try to go on?
When you're gone.
Though I try how can I carry on?



Cantarono insieme il resto della canzone, con Aiden che le gettò il braccio attorno alle spalle e accostò la testa contro quella di lei, chiudendo gli occhi e sospirando sul finale.
«Complimenti per il lancio dell'albume, comunque.» la canzonò, infine, in modo del tutto improvviso. Riaprì gli occhi e si accorse del povero gatto sotto al tavolo che stava scrutando entrambi manco fossero due alieni venuti da Marte. «Riusciremo a ritornare nelle grazie di Emerald Butler? Ho come l’impressione che ci stia mal giudicando.» grugnì, fingendosi visibilmente preoccupato della cosa, per poi scoppiare a ridere. «Finiamo questa colazione, poi ho una cosa che vorrei mostrarti...»
Sentiva di doversi aprire verso Jolene nel tempo, affinché quel loro rapporto potesse trovare la giusta solidità ed equilibrio, tant’è che fu deciso a voler mostrare all’amica la propria natura di Animagus. In confronti ai segreti che custodiva gelosamente, l’Animagia era qualcosa che poteva permettersi di divulgare, sapendo che la giovane Infermiera non avrebbe mai sfruttato quell’informazione per fargli del male. Era una prova di fiducia, quindi, che voleva concederle.





[*] Dal gergo popolare, è l’equivalente di ”Azzz!”

 
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view post Posted on 29/5/2020, 18:53
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Verso il finire della canzone e col braccio di Aiden intorno alle spalle, Jolene prese a dondolare da un piede all'altro, cercando di coinvolgere nel movimento anche il rosso: in tutto e per tutto una coppia di ubriaconi festaioli, con l'unica differenza che tutto quello che la ragazza aveva ingerito quella mattina era una tazza di tè.
«Albume?» Con una nota di sorpresa e gli occhi improvvisamente sgranati, Jolene fece correre lo sguardo intorno a sé fino a quando non incontrò il microfono abbandonato. «Oh. Ops.» Il disappunto durò appena un istante, alla fine non importava poi molto. Sentiva ancora il riverbero dell'allegria tutto intorno a loro, come un'eco delle loro stesse voci – una intonata, l'altra un po' meno, unite in una sintonia che non viaggiava tanto sulle note musicali quanto su stati d'animo condivisi. Era così che ci si sentiva in compagnia di un amico: Jolene si accorse allora di quanto le fosse mancata quella spensieratezza, in giorni e settimane di una vita che dedicava agli altri solo brevi parentesi. Non erano molti coloro che potesse chiamare amici, almeno lì a Londra, avrebbe potuto contarli sulle dita di un'unica mano. Era contenta che tra di loro ci fosse anche Aiden.
«Giudicare male è la specialità di Mr Butler» affermò spensieratamente, spingendo una ciocca di capelli dietro l'orecchio prima di rimboccarsi le maniche ancora una volta: i pancakes non si sarebbero mescolati da soli a ritmo di musica, quello era sicuro. «Ma è anche molto tollerante, perfino verso creature indegne come noi. Di solito il perdono avviene all'ora delle crocchette, o giù di lì.» Quasi avesse percepito la magia di quell'unica parolina, crocchette, il gatto lanciò un acuto miagolio, poi si accovacciò e tornò ad osservare in silenzio.
Un'occhiata piena di curiosità accolse l'anticipazione di Aiden, tuttavia la fame cominciava già a farsi sentire e lui aveva ragione: avrebbero dovuto sbrigarsi a cucinare, o avrebbero potuto chiamarlo direttamente pranzo. Dopo aver sciacquato la frusta, Jolene finì di mescolare gli ingredienti. Quando tutto fu unito in un unico impasto piuttosto liquido, prese a cuocere i pancakes in una padella. «Potresti apparecchiare, nel frattempo?» chiese ad Aiden, indicandogli all'occorrenza le ante e i cassetti dove avrebbe potuto trovare piatti, posate e bicchieri. I dolci mandavano un profumino delizioso mentre cuocevano velocemente, per finire uno dopo l'altro nei piatti. Morbidi e dorati, le facevano già gola. La pila di Aiden era un po' più alta, Jolene era sicura che fosse abituato a mangiare molto più di lei.
«Non sapevo che sapessi cantare» osservò allegramente, poco prima che tutto fosse pronto. Si appoggiò al banco della cucina, lanciando un'occhiata ad Aiden mentre aspettava che l'ennesimo pancake cuocesse. «C'è qualche altro talento che tieni segreto?»In effetti, ora che ci pensava, non aveva idea di come Aiden impiegasse le proprie giornate, quando non era al lavoro. Era curiosa di scoprire quali passioni coltivasse, forse il canto era una di queste.
«A tavola» cantilenò, abbassando la voce in un tono profondo e caldo che era un'imitazione – non molto riuscita – di Aiden. Posò i due piatti ai rispettivi posti, pronta a sedersi e vedere finalmente come fossero usciti.

 
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view post Posted on 1/10/2020, 10:20
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Aiden Weiss
‹ Auror ‹ 27 anni ‹ Irlandese

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Osservò il gatto miagolare una volta udita quella che per lui doveva essere la parola magica e sghignazzò, per poi concedere al felino una sana grattata dietro alle orecchie. Da buon amante degli animali non vedeva l’ora di coccolarsi quel bel gattone e - da sotto al naso di Jolene - se lo sarebbe portato a casa per la gioia di Ginga; ovviamente non lo avrebbe fatto per davvero, ma era curioso di sapere quale reazione avrebbe strappato all’amica nel rendersi conto che Mr Butler era sparito nel nulla, possibilmente dentro la giacca dell’Auror.
Annuì alla richiesta di Jolene e prese a cercare un po’ nei vari cassetti e ante affinché trovasse tutto l’occorrente necessario: tovagliette per non sporcare il tavolo, dei piattini, le posate e delle tazze per quello che sarebbe stato il the caldo che avrebbe accompagnato tutto quel bendidio. Lo fece senza ricorrere alla magia, visto e considerato che non era il tipico Mago che faceva sfoggio del proprio potenziale anche a livello casalingo, ammesso e concesso che non si trattasse di maneggiare della biancheria intima da sottoporre ai ritualistici lavaggi; in quel caso l’uso della bacchetta si faceva indispensabile.
Quando tutto fu pronto, e l'acqua calda venne versata nella teiera a cui lui stesso provvide, Aiden si sedette davanti a lei e ammirò la sua pila di pancakes con un sorriso sornione. «Non immagini nemmeno quanti segreti custodisco...» mormorò in tono misterioso, mentre le concesse un piccolo occhiolino divertito. Ma era solo una facciata: benché le avesse appena confessato di avere molti segreti, alcuni dei quali molto pericolosi e personali, Aiden non voleva assolutamente turbare la tranquillità che era scesa tra loro, men che meno con rivelazioni che avrebbero potuto allarmarla o - nei peggiori dei casi - comprometterla. Se voleva proteggere l’amica dai propri Demoni, allora il silenzio era l’unica soluzione adottabile.
Tagliò una porzione di pancake e se la portò alla bocca una volta che ebbe finito di spalmare abbondanti strati di marmellata di fragole. Si gustò il boccone masticando lentamente e concedendo all’amica un secondo occhiolino. «E la cosa che ti mosterò dopo è uno di questi.» ammise. «Saresti una delle poche persone privilegiate a saperlo.» aggiunse, sollevando il coperchio della teiera per controllare che il the fosse pronto. «Sono più riservato di quanto sembri, ma sento che tu non mi tradiresti mai. Giusto?»
Sollevò appena lo sguardo e la fissò con una serietà che non avrebbe mai creduto di possedere: voleva essere certo che stesse concedendo la propria fiducia ad una persona giusta e fedele.



 
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view post Posted on 27/10/2020, 17:17
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Pancakes e segreti erano una buona accoppiata, pensava Jolene mentre prendeva il primo boccone. Un quadratino di burro si stava sciogliendo in cima alla sua pila di dolci, che per il resto scelse di gustarsi nella sua semplicità. Avevano fatto un buon lavoro, tra un ballo e l'altro, e per qualche secondo vi fu tranquillità nella piccola cucina, mentre entrambi i cuochi valutavano la loro opera. Lo sguardo soddisfatto della rossa era un commento sufficientemente eloquente; una luce più intensa, però, dardeggiò poco dopo sotto alle palpebre leggermente abbassate. Possibili battute si rincorrevano già sulla punta della sua lingua, pronte in replica all'anticipazione dell'Auror. Si bloccarono lì, lasciandola in un silenzio meditabondo, non appena incontrò lo sguardo di lui. Era serio, si rese conto: mortalmente serio, più di quanto avessero avuto occasione di essere in quella particolare occasione. Jolene deglutì lentamente il suo cibo, il viso che già si ricomponeva in un'espressione diversa rispetto ai sorrisi obliqui di poco innanzi. La linea delle labbra rifletteva serietà, ora, mentre una increspatura appena percettibile tra le sopracciglia tradiva il lavorio dei suoi pensieri.
Jolene era in grado di mutare atteggiamento con una rapidità spiazzante, man mano che si adattava a chi aveva di fronte: le sue espressioni, al pari delle emozioni, scorrevano come acqua intorno al minimo cambiamento di contesto, mutavano il proprio corso per andare incontro all'altro. Maggiore era la confidenza tra lei e l'interlocutore, più acuta si faceva la sua sensibilità. Così, in quel momento comprese che Aiden non solo aveva cessato di scherzare, ma che ciò che le stava chiedendo aveva per lui un'importanza non indifferente.
Tradimento. C'era qualcuno che non lo temesse visceralmente come una delle peggiori condanne? Rapidamente, Jolene andò con il pensiero ad un pomeriggio ormai lontano nel tempo, quando per la prima volta aveva incontrato Aiden. Aveva una memoria sorprendentemente buona per i dettagli, e ricordava ciò che le aveva confidato a proposito di un'amicizia che aveva perso a causa di un litigio con la donna di cui diceva di essere innamorato. Il collegamento, allora, fu immediato, portandola a pensare che, con simili ferite ancora fresche, l'irlandese avesse ora una maggiore cura nella scelta dei propri affetti.
Al di là di ciò che pensava di Aiden, Jolene si concentrò sulle proprie convinzioni. Sarebbe stato semplice rassicurare l'uomo con una frase fatta quale non potrei mai tradirti, ma che cosa significava realmente un'affermazione del genere? Niente di niente. I rapporti umani erano troppo delicati e sottili per ammettere promesse così grossolane.
«Tengo moltissimo alla fiducia dei miei amici, Aiden.» Aspettò qualche secondo, così che il silenzio potesse far intendere a pieno quella verità all'altro. Non aveva difficoltà a guardarlo negli occhi, il suo contegno era calmo. «Per questo scelgo di non mentire, e di agire sempre per fare loro solo del bene. Non penso di averti mai dato motivo di dubitare di me.» Lasciò cadere quell'ultima affermazione e attese. Le posate erano ancora tra le sue mani, per il momento inutilizzate. Non c'era tensione nella sua figura, in cui, invece, si poteva percepire una punta di qualcosa che assomigliava alla solennità.

 
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view post Posted on 16/11/2020, 11:04
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Aiden Weiss
‹ Auror ‹ 27 anni ‹ Irlandese

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Erano pochi i casi in cui sbagliava a giudicare una persona, ma quelle poche volte in cui ci era cascato in pieno per questioni di apparenza, aveva pagato lo scotto a caro prezzo. La fiducia - aveva detto pochi anni prima sua madre - era una merce rara e andava concessa a piccole dosi e a chi si dimostrava degno di riceverla.
Jolene, fortunatamente, si è era più volte dimostrata qualificata nel ricevere un onore del genere da parte dell’Irlandese e il solo fatto che l’avesse udita rispondere in quel modo, lo fece sorridere in maniera alquanto deliziata. Delicato e cortese, l’Auror fece scivolare la propria mano verso quella di lei, così che potesse farle percepire il calore di chi sapeva veramente apprezzarla per sincerità e amicizia. «Non l’hai mai fatto, Sweetie. E’ vero.» mormorò con delicatezza. «E te ne sono grato. Non immagini nemmeno quanto questo significhi per me...» Le accarezzò le nocche con una leggera passata del pollice, per poi liberarla dalla propria presa e tornare a dedicarsi a quella leccornia che aveva davanti a sé, farcendola con un po’ di frutta fresca.
Il Mago di Galway si portò alla bocca il primo boccone e fissò di sottecchi la povera Jolene: se solo avesse saputo che lui non si sarebbe fatto scrupoli a mentire pur di proteggerla da qualsiasi minaccia, probabilmente l’avrebbe guardato con occhi ben diversi; e se le avesse anche confidato soltanto in parte della Profezia che gravava sulla sua testa, probabilmente l’avrebbe distrutta come un castello di sabbia. Non voleva nuocerle, in nessun caso, ma dato l’affetto che nutriva nei suoi riguardi voleva a tutti i costi proteggerla. Era così sbagliato desiderare una cosa simile? Non si diede una risposta, sapendo che farlo avrebbe significato rispondere della propria coscienza, andando così incontro a possibili sensi di colpa.
«Cosa sai sugli Animagus, Jolene?» domandò, all’improvviso, dopo qualche minuto di profondo silenzio tra loro, in cui ebbe modo di terminare quasi metà del dolce. Sollevò lo sguardo dal piatto e la scrutò con crescente curiosità: voleva intuire quale sarebbe stata la sua reazione in merito.



 
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