No matter the cost

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view post Posted on 15/4/2020, 02:01
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In quella casa di maghi situata nel quartiere Hammersmith di Londra, completamente amalgamata con la realtà babbana, tra parchi pittoreschi e un’affascinante vista sul Tamigi, più di un pensiero turbava l’animo di Kevin. I suoi zii ce la mettevano tutta per farlo sentire a casa, doveva dargliene atto, ma, per quanto si impegnassero, quel posto non avrebbe mai retto il confronto con l’atmosfera della casa di Ballycastle, in Irlanda del Nord. Lo sconfinato mare a portata di mano, l’aura della natura quasi incontaminata, la cittadina calma e silenziosa, il bacio del vento su tutto questo. Non più la presenza dei suoi genitori, certo, ma sarebbe stato come averli al suo fianco, astrattamente partecipi di quell’atmosfera che sapeva di casa. Chissà se sarebbe stato nuovamente possibile trascorrere con loro le vacanze. Chissà se fossero ancora vivi, innanzitutto.
Tali pensieri vennero spazzati via dalla realtà dei fatti, da un qualcosa che lo riguardava molto più nell’immediato. Nella sua testa era ancora nitida l’immagine della lettera anonima che era andata in fiamme pochi secondi prima, nel momento in cui il ragazzo aveva finito di leggerla al sicuro della sua camera da letto, lontano da occhi indiscreti. Ne ricordava a mente il contenuto:
Arlington House, 220 Arlington Rd, Camden Town, London NW1 7HE
Recati a questo indirizzo. Troverai una donna, Madame Shelby. Ha una collana di antica e pregiata fattura. La riconoscerai dal ciondolo: un’ape dalle ali spalancate. Devi entrarne in possesso.
Ad ogni costo.

Un indirizzo preciso, un obiettivo chiaro, un imperativo indiscutibile. La chiusura della missiva non lasciava adito a dubbi, e lui si sarebbe comportato di conseguenza.

Aveva faticato a prendere sonno quella notte, con la mente animata dai pensieri più vari e gli occhi fissi sul soffitto della stanza. Pur essendo consapevole dell’importanza del riposo, quel pizzico di preoccupazione ormai instillata nella sua testa non gli permetteva di lasciarsi andare al morbido abbraccio di Morfeo. Era adrenalina quella che già sentiva in circolo nelle sue vene? O paura?
Il mattino giunse con tutta la calma del mondo, offrendo un sole timido ed un cielo nuvoloso. Si “svegliò” come sempre, concedendo agli zii la sua ordinaria presenza per colazione, prima che entrambi si avviassero per il lavoro. Dopodiché, nel silenzio di una casa svuotata dei suoi proprietari, si preparò lui stesso. Indossò abiti ordinari, che potessero permettergli di camminare inosservato in mezzo a dozzine di babbani. “Prese in prestito” una cartina di Londra dallo studio di suo zio e la esaminò attentamente, memorizzando la sua destinazione, prima di ripiegarla ed infilarla nella borsa allacciata alla cintura. L’impossibilità a smaterializzarsi era un inconveniente non di poco conto, di cui avrebbe dovuto occuparsi non appena raggiunta la maggiore età. Per quella particolare occasione, lo avrebbe aggirato in altro modo. Non era la prima volta che utilizzava la metropolitana babbana per muoversi nella capitale, e non sarebbe stata nemmeno l’ultima. Quando fu pronto, uscì di casa e si avviò verso quella nuova avventura, non voltandosi più indietro.

Il pittoresco quartiere di Camden era ubicato nella zona nord di Londra. Kevin impiegò quasi un’ora per raggiungerlo. Scese alla fermata “Camden Town” e si incamminò con calma verso l’indirizzo comunicatogli nella lettera, ormai impresso nella sua testa come fosse un mantra. Proseguì su Camden High St prima di svoltare a sinistra alla prima occasione, imboccando Iverness Street, dove un consueto mercatino babbano si animava in un tripudio di colori e profumi diversi. Lo percorse in tutta la sua lunghezza, osservando le bancarelle con disinteresse e districandosi tra la folla abituale. Svoltò infine a destra e si trovò in una via ben più tranquilla: sul lato sinistro della strada si disponevano a schiera alcuni edifici e abitazioni, a tratti nascosti da radi alberi, mentre sul lato destro dominava un grande complesso in mattoni, un edificio abbastanza imponente e all’apparenza vissuto. La scritta era inequivocabile: Arlington Rd.

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Avrebbe optato per un approccio quanto più cauto possibile, in modo da avere le idee chiare sulla situazione e l’ambiente circostante. Nessuna indicazione gli era stata fornita in merito a Madame Shelby, a partire dal fatto che fosse una babbana o meno. Avrebbe quindi percorso il marciapiede di destra, affiancando proprio il grande edificio rossastro. L’indirizzo fornitogli sembrava portare proprio a quel complesso dotato di un’aura di vaga importanza. Il suo sguardo attento avrebbe cercato di captare ogni minimo dettaglio che gli potesse suggerire un tipo di approccio: delle indicazioni che suggerissero la natura dell’edificio, un eventuale cancello secondario, un qualsiasi tipo di sorveglianza, una fugace occhiata attraverso le finestre o il grande portone centrale per identificarne l’interno. La cautela non era mai troppa, soprattutto in una situazione del genere, e Kevin non voleva precludersi nessuna possibilità. La Bacchetta di palissandro riposava momentaneamente nella tasca interna del giubbotto, pronta ad entrare rapidamente in azione nel caso fosse stato necessario. Ma la cosa fondamentale, almeno per il momento, era non dare nell’occhio.
Ad ogni costo, ma a modo suo.




PS: 193/193PC: 131 PM: 149 PE: 28


EQUIPAGGIAMENTO ATTIVO:
- Bacchetta: Legno di Palissandro, Piuma di Diricawl, Semi-Rigida, 12 Pollici e mezzo.
- Medaglione dorato con sopra incisa una rosa (Privo di valore magico. Un dono da parte di Margaret Elisabeth Wiggley) [Appeso al collo]
- Cappello del Falco: Cappello da passeggio, ma usabile in innumerevoli occasioni. Elegante, è ottimo per confondersi anche tra i Babbani.Chi lo indossa vedrà la propria vista e l'autostima aumentare.
- Sacchetta Medievale:[Agganciata alla cintura] [Possibilità di contenere 5 oggetti di medie dimensioni]
Al suo interno:
- Mantello della Disillusione: Se il tuo corpo è ben avvolto in questo tessuto, esso sembrerà donarti l'invisibilità.
- Avversaspecchio da tasca




 
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view post Posted on 17/4/2020, 10:41
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Arlington House era conosciuta per essere un palazzo rispettabile ma non tutti ne sapevano la storia.
Alcuni degli attuali residenti, l'avevano addirittura vissuta ma non si poteva dire che fossero in grado di ricordare.
Aperto nel 1905, viene indicato come ostello per mendicanti e vagabondi ma chi era del posto, dai tempi in cui le strade avevano visto la prima cementazione, con la vista che ancora non era stata del tutto appannata dallo scorrere del tempo, conosceva altra narrazione.
Ultima delle case Rowton tutt'ora in uso, Arlington House aveva visto persone di un certo rango socio-letterario soggiornarvi. Orwell la descriveva come un edificio splendido la cui unica pecca era la disciplina imposta che andava contro qualsiasi forma di scommessa o gioco. Quella stessa disciplina l'aveva vista evitare il soggiorno di serial killer e persone dall'accentuata immoralità. Ma non tutto potevano i babbani di allora e di oggi e, tra le centocinquanta abitazioni offerte ad accattoni di strada, si nascondevano quei Maghi che avevano preso distanze dalle loro origini e dal Mondo a cui realmente appartenevano.
Non era la storia ad interessare il Tassorosso, tuttavia; e, se fosse stata alla ricerca di quella, non ne avrebbe trovato stralcio alcuno.
Lì, fermo davanti le alte e secolari pareti cremisi, non sarebbe passato inosservato. Nessuno vi si attardava e, se lo facevano, erano solo vagabondi alla ricerca di un posto - ma non abbastanza raccomandati per ottenerlo - e signorotti dalle tasche piene che si dirigevano alla Sala Conferenze, paradossalmente aperta dieci anni or sono all'interno del palazzo stesso.
Una porta di vetro troneggiava al centro dell'ostello, così moderna da offrire un contrasto stonato con l'arco di pietra che la sormontava e le cancellate di ferro scuro. Ai lati di essa, due targhette annunciavano l'utilizzo di quel luogo come ristoro caritatevole per i meno fortunati. La porta, scorrevole, da centro commerciale, si sarebbe aperta al semplice sporgersi oltre, al punto da attivarne i sensori.
Al suo interno, se vi fosse entrato, lo avrebbe accolto una giovane, dalla migliore espressione da crocerossina appuntata sul viso liscio, intenta a sorridere a tutti coloro che vi entravano - che avessero o meno buchi nei vestiti, al di là delle loro richieste.

Ciao, Kevin.
Benvenuto e bentornato.
Resto a tua disposizione via mp qualora ne necessitassi.
Buon gioco e buona fortuna!




 
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view post Posted on 18/4/2020, 18:42
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Non era la storia di Arlington House ad interessare più di tanto al ragazzo, ma quello era comunque un punto di partenza per comprendere meglio il contesto entro il quale avrebbe dovuto agire di lì a poco. Kevin detestava infatti sentirsi spaesato o impreparato, e forse per quel motivo aveva cercato di reperire delle informazioni riguardo alla sua destinazione. Ci aveva provato già nello studio di suo zio quella mattina, mentre rovistava in cerca della cartina di Londra che lo aveva aiutato a identificare l’ubicazione del posto, trovando ben poco a riguardo. Le targhette identificative ai lati dell’ingresso giunsero però in suo aiuto, indicando quel luogo come un ostello per senzatetto. Non occorreva poi una vista troppo acuta per capire che l’edificio aveva vissuto almeno un secolo della vita di Camden Town. Lo si poteva percepire in ogni singolo mattone vermiglio, nelle austere finestre, nelle inferriate vecchio stile, e nell’arco di pietra che dominava sull’ingresso con decadente imponenza.
Ma vi era un qualcosa stonava apertamente con il resto dell’edificio: delle installazioni moderne, aggiunte ovviamente molto dopo la costruzione originaria, che cozzavano con la sua essenza centenaria. La porta in vetro che si trovava al di sotto dell’ampio arco e che rappresentava l’ingresso principale di Arlington House ne era un chiaro esempio. Ma Kevin, come non era lì per parlare di storia, non lo era nemmeno per discutere di architettura. Aveva un chiaro obiettivo in testa e non si sarebbe dilungato in futili contrattempi.
Attendere ancora fuori dall’edificio non avrebbe portato a nulla, per cui il ragazzo avanzò verso l’entrata del complesso senza indugiare ulteriormente. La porta in vetro si aprì automaticamente non appena il biondo fu vicino, come altre volte gli era successo in alcune moderne costruzioni babbane. Sembrava che i babbani trovassero molto faticoso l’utilizzo delle maniglie, così come quello di un sacco di altre cose.
All’interno lo accolse una giovane donna, sorridente e all’apparenza ben disposta. Istintivamente, lo sguardo del Tassorosso si posò per un secondo sul collo di lei, come se volesse essere sicuro che non vi fosse l’antica collana oggetto della sua ricerca.
« Buongiorno, Miss » si annunciò Kevin con tono cordiale. Era ancora un ragazzo di sedici anni, ma era già alto come molti adulti, e poteva benissimo essere scambiato per un maggiorenne. Il tipo di cappello sulla sua testa gli avrebbe forse dato quel tocco di “attempato” di cui aveva bisogno. Se anche non fosse stato così, poco importava. Di certo non lo avrebbero scambiato per un senzatetto.
Avrebbe optato per una strategia diretta, ma comunque non impulsiva. Senza mezzi termini, avrebbe cercato subito di capire se poteva essere indirizzato già verso il suo obiettivo.
« Gradirei fare visita a Madame Shelby, se possibile » aggiunse con tono educato e calmo. « Sono Daniel Murphy » concluse con un sorriso composto. Non presentarsi sarebbe stato scortese, oltre che sospettoso. Farlo con un nome falso era per lui un compromesso accettabile. Aveva volutamente scelto un cognome molto diffuso nel suo Paese di origine, l’Irlanda, anche perché iniziava ad intuire la storia di un posto come Arlington House e non dimenticava certo quella del “suo” popolo. Parecchi sfortunati irlandesi dovevano aver vissuto in quel posto nel corso degli anni; non che Kevin volesse per forza apparire come legato a quelle mura o ad uno dei residenti, ma allo stesso modo gli sembrava un particolare in più che avrebbe potuto giocare a suo favore.
Ad ogni modo, un banalissimo Daniel Murphy non poteva certo rappresentare una minaccia.




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EQUIPAGGIAMENTO ATTIVO:
- Bacchetta: Legno di Palissandro, Piuma di Diricawl, Semi-Rigida, 12 Pollici e mezzo. [Nella tasca interna della giacca]
- Medaglione dorato con sopra incisa una rosa (Privo di valore magico. Un dono da parte di Margaret Elisabeth Wiggley) [Appeso al collo]
- Cappello del Falco: Cappello da passeggio, ma usabile in innumerevoli occasioni. Elegante, è ottimo per confondersi anche tra i Babbani. Chi lo indossa vedrà la propria vista e l'autostima aumentare. [In testa]
- Sacchetta Medievale:[Agganciata alla cintura] [Possibilità di contenere 5 oggetti di medie dimensioni]
Al suo interno:
- Mantello della Disillusione: Se il tuo corpo è ben avvolto in questo tessuto, esso sembrerà donarti l'invisibilità.
- Avversaspecchio da tasca
- Cartina di Londra


 
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view post Posted on 25/4/2020, 16:33
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Entrare nel rispettabile edificio non era stato difficile, al pari del varcare la soglia per avvicinarsi senza intralcio alcuno al banco informazioni.
LIZZIE, recitava il cartellino appuntato con cura sul bavero della giacca. Il tenue blu marino della divisa contrastava con la camicetta bianca che lasciava aperto il collo, lì dove gli occhi di Kevin si erano posati, come il riflesso incondizionato di chi è completamente e inevitabilmente concentrato sulla missione che gli è stata affidata.
Il tono gentile del ragazzo non dovette allarmare la giovane donna che, continuando a sorridere, sbattendo un paio di volte le palpebre, inclinò il capo come in attesa di altre informazioni che, tuttavia, non giunsero.

« Murphy? E' un parente per caso? »
Aveva chiesto. Nella tranquillità della sua voce, però, qualcosa era mutato. Lo sguardo si strinse, come a volerlo mettere a fuoco e le mani si aggrapparono ad una cartellina che, in bella mostra, dava l'idea di contenere una lunga e noiosa lista di nomi fresca, fresca di stampa.
Le sarebbe bastato scorrerli con la punta della penna per non notare alcun Murphy collegabile alla donna di cui lei, ovviamente, era a conoscenza.

« La signora Shelby non ama le visite e, seppur capiti raramente che avvengano, ci informa in anticipo. Cosa che... »
Come prevedibile la biro scivolò lesta sulla carta fino a fermarsi sul fondo. Kevin era troppo lontano per scorgere i nomi presenti ma se anche vi avesse gettato un occhio, non vi avrebbe trovato nulla di utile alla sua causa.
« Non è accaduta oggi. Mi dispiace. »
Cartellina e penna via, mani sul bancone, sorriso sul volto: almeno per lei, la questione si era conclusa lì.
Chiunque fosse quel tal Daniel Murphy non era il benvenuto e lei, come il miglior portinaio della storia di Arlington House, lo avrebbe cacciato elegantemente fuori.




 
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view post Posted on 27/4/2020, 00:28
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Lizzie – così recitava la targhetta identificativa – lo accolse con il sorriso classico di chi è impiegato all’accoglienza. Dava l’impressione di essere una donna elegante e precisa, dedita al suo lavoro e composta nei modi. Non gli interessava quanto naturale fosse l’espressione stampata su quel giovane volto ma, al di là di quel sorriso, Kevin non poté fare a meno di avvertire un’aura di austerità nascosta.
Alle parole del ragazzo, una nota di diffidenza parve adombrare gli occhi della portinaia di Arlington House. Qualcosa di diverso attraversava ora l’espressione altrimenti perfettamente costruita, mentre la penna scorreva minuziosamente sulla lista di nomi in suo possesso. Neanche per un secondo il biondo sperò di ritrovarsi un “Murphy” stampato lì in bella mostra, dunque si preparò ad incassare l’atteggiamento inquisitorio della donna. Scelse di lasciar cadere nell’aria la domanda in merito alla parentela, poiché preferiva muoversi con i piedi di piombo nel maneggiare informazioni di quel tipo. Non aveva idea dell’età di Madame Murphy, tanto per dirne una, e ciò imponeva cautela. Le parole della portinaia non lo aiutarono a farsi una precisa idea della donna che stava cercando. Madame Shelby non amava le visite, ma quel dettaglio poteva dire molto come nulla. Il modo sbrigativo con cui Lizzie si occupò della faccenda non piacque al ragazzo, che allo stesso modo non si aspettava comunque qualcosa di tanto diverso. Non aveva sperato certo di entrare in quel posto con il tappeto rosso sotto ai piedi. Si sarebbe invece adeguato, come sempre faceva. Ovviamente, per lui la questione non era affatto conclusa lì, nonostante il linguaggio del corpo della sua interlocutrice suggerisse ciò. *A qualunque costo.* Quella frase rimbalzò nella mente del giovane: laddove avesse fallito la diplomazia, lui avrebbe allora perseguito una strada diversa.
« Madame Shelby non si aspetta questa visita. » Convenne il ragazzo senza perdere il suo tono calmo. Avrebbe guardato la donna direttamente negli occhi, se ella avesse alzato a sua volta lo sguardo. « Non sono sicuro che si ricordi di me, ad essere sincero. Io, però, ricordo molto bene di lei. Mio padre mi ha detto che potevo trovarla qui, prima di… » Una pausa, un’espressione profondamente addolorata, e di nuovo parole. « Beh, adesso non ho più nessuno, solamente un nome, un indirizzo ed un ricordo. » Il tono della sua voce si era fatto più grave con l’avanzare del discorso, poiché realmente pareva essersi immedesimato in quella storia che aveva deciso di raccontare. A Lizzie probabilmente poco importava quale fosse la trama della vita di quel Daniel Murphy, ma per ritrovarsi impiegata in un luogo del genere doveva possedere un minimo di compassione. Kevin avrebbe cercato di far leva su quello. « Ho letto buone cose su questa struttura, la prego di non chiudermi la porta in faccia. Sto solo cercando delle risposte. » Cercò per quanto possibile di non assumere un tono eccessivamente tediante o penoso. Voleva conquistare un minimo di fiducia agli occhi della donna, ma non doveva commettere il passo falso di risultare troppo pesante.
« Informi Madame Shelby della mia presenza, la prego. Io posso anche aspettare qui, se preferisce. Se rifiuterà di incontrarmi, sarà stata lei a farlo e lo accetterò mio malgrado. Mi dia almeno questa possibilità » Il biondo cercò di esibire il tono più convincente possibile, senza dar segno di incertezza e senza interrompere l’eventuale contatto visivo. La portinaia avrebbe dovuto vedere in lui un ragazzo accorato, in cerca di risposte, lontano da ogni luogo che potesse identificare come casa. Una descrizione che in parte rispecchiava la vita attuale dello stesso Kevin. Una seconda mossa si delineava nella sua testa, ma faceva assoluto affidamento al fatto che la donna assecondasse almeno questa sua ultima richiesta.
Arlington House aveva tutta l’aria di essere un edificio rispettabile, con una certa storia alle sue spalle, ma era giunto il momento di testare quanto fosse davvero caritatevole nei confronti di un ragazzo che ammetteva di aver semplicemente bisogno di aiuto.




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Cercavano sempre di farle pena, credendo che una struttura come quella di Arlington House, così dedita alla carità e all'aiuto verso il prossimo, ospitasse, per lo stesso sconnesso motivo, buoni samaritani ingenui pronti a farsela fare sotto al naso.
Lizzie aveva presto imparato come anche una figura di basso rango come lei, paradossalmente investita dall'enorme responsabilità di tenere d'occhio chi oltrepassava l'entrata, dovesse essere pronta a mettere da parte l'empatia e non esitare quando qualcuno aveva la prepotenza di continuare di giocare con la compassione altrui.
Checché ne pensasse, nonostante questi precetti fossero ben chiari nella sua testa, era pur sempre una giovane donna al suo primo incarico - di cui necessitava per pagarsi l'affitto di casa, non che se lo fosse scelto. Ciò portava automaticamente a piccoli fallimenti, come quella volta che aveva lasciato che il presunto figlio di un senzatetto entrasse in camera dell'addolorato padre e ne rubasse i guadagni di una giornata passata a suonare il flauto in riva al Tamigi.
Eppure Kevin, ai suoi occhi, appariva solo un bel ragazzo che aveva davvero bisogno di qualche risposta. Una bella accoppiata, dopotutto, con lei che aveva così tanto bisogno di credere nella bontà intrinseca dell'essere umano.
Storse le labbra, posando lo sguardo su quello del giovane, cercando di non palesare la curiosità per le particolari iridi di lui.

« Uhm. Vediamo che posso fare... », asserì infine, abbassandosi nuovamente sull'ennesima scartoffia.
Proprio quando la fortuna sembrò volgere la propria attenzione su quel tragico scenario, la porta scorrevole annunciò l'ennesima presenza, benché fosse attesa, questa volta.
L'espressione sul volto di Lizzie mutò ancora e da che si era rilassata, lasciando cadere la maschera della forzata gentilezza, assunse nuovamente i tratti contriti di chi non prova alcuna gioia e si ritrova a sorridere per forza di cose.

« Signora Boswell. L'aspettavamo! Daniel, potrebbe gentilmente prendere posto nel corridoio, sarò subito da lei » la mano della portinai venne agitata in direzione del corridoio a destra dove una fila di sedie di plastica, dalla dubbia comodità, attendevano i visitatori in attesa.
Se Kevin si fosse voltato in direzione dell'anziana che aveva appena interrotto la sua ascesa alle stanze di Madame Shelby, avrebbe subito notato l'innumerevole quantità di buste di plastica che l'attempata trascinava con sé.

« Uhm vediamo... Boswell... Boswell... », la penna scivolò nuovamente sul fermacarte rigido e rettangolare,« Eccolo... Camera 23, quin--- »
« --quinto piano », le fece eco la vecchia, sbuffando sonoramente. Rimase impalata sulla porta, le mani che lasciavano andare le ultime provviste racchiuse nelle buste lerce. Fissò Lizzie come a imprecarla di darsi una mossa ma la portinaia sembrava non capire e continuò a fissarla con un sorriso - ora stomachevole e stupido - appuntato sulle labbra sottili.
« Mi vuole dare una mano o pensa che le barbabietole si trasferiscano da sole nella stanza di mio nipote? » sbottò, intimando Lizzie ad un movimento convulso mentre la raggiungeva, rossa in visto e si prostrava a Kevin con le mani congiunte.
« Mi scusi arrivo subito, resti lì eh » e cercò di caricarsi quanto più possibile ciò che la signora Boswell aveva avuto l'ardire di portarsi dietro.
A destra dell'atrio, al termine del corridoio indicato prima, v'era un ascensore. Moderno, dai tasti ben lucidati e i contorni color dell'oro. A sinistra, la lunga fila di sedie, a destra tre porte di cui una più piccola che nascondeva un semplice sgabuzzo con scope e materiali per la pulizia, semiaperta. Fu proprio da lì che venne fuori Arthur, o almeno così recitava il nome cucito sulla sua divisa blu slavato.

« Signor Arthur, può fermarsi solo un attimo? Accompagno la signora e ritornò subito », gli chiese Lizzie, evidentemente sollevata dalla sua presenza che aveva - nella sua contorta e benevole mente - ovviato al problema "sicurezza". Arthur, che contava almeno il doppio degli anni di Madama Boswell, la fissò restando immobile, una mano sulla porta, l'altra a reggere una scopa dalle setole piene di batuffoli di polvere.
Sbatté un paio di volte le palpebre pesanti e la portinaia lo prese come un assenso.
Sorrise a Kevin e si avviò verso l'ascensore, lasciando l'atrio vuoto, e Arthur borbottare.




 
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view post Posted on 7/5/2020, 00:33
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Notò un cambiamento nell’espressione di Lizzie, un barlume di incertezza nella smorfia in cui ella costrinse le sue labbra. Percepì lo stesso nei suoi occhi, che stavolta si incrociarono con quelli di Kevin per più di un fugace secondo, come se lo stessero vedendo per la prima volta. Il ragazzo sostenne quel contatto visivo, desideroso di apparire sincero e limpido, senza maschere. Forse, nonostante il muro eretto dalla donna fin dall’inizio, qualcosa si stava muovendo in lei. Non si era mai interrogato più di tanto sulla sua capacità di ottenere la fiducia delle persone, ma quello poteva rivelarsi un interessante banco di prova. Una piega a lui favorevole sembrò palesarsi in seguito all’accennato ripensamento da parte della portinaia, confermato da un percepibile rilassamento nel suo linguaggio del corpo, ma il biondo decise di aspettare a cantare vittoria.
Ebbe ragione di farlo.
Udì la porta babbana muoversi alle sue spalle e vide l’ennesimo mutamento nell’espressione della sua interlocutrice, che tornò verso toni più mortificati. Il sorriso artificioso che aveva accolto Kevin in precedenza riapparve sul volto giovane della donna. Kevin si voltò proprio mentre ella annunciava l’arrivo della Signora Boswell, un’anziana con al seguito un esercito di buste di plastica. Nello stesso momento, Lizzie lo invitò ad accomodarsi nel corridoio alla sua destra, laddove pareva essere stata allestita una improvvisata “sala di attesa”. Il biondo cercò di sforzarsi nel considerare la cosa come una mezza conquista, sebbene avesse in precedenza pregustato un aiuto più diretto ed immediato. Era stato ad un passo dalla spinta decisiva, lo aveva avvertito per più di un istante, ma tutto sembrava ora sfumare a causa dell’interruzione della vecchia.
Ringraziò la portinaia con un cenno educato della testa. Nell’avviarsi con estrema calma verso il corridoio, tuttavia, Kevin non si lasciò sfuggire ciò che accadde a pochi passi da lui. Udì attentamente le parole delle due donne, ma soprattutto osservò le azioni di Lizzie. Nel ripetere il nominativo, ella aveva ispezionato una lista dalla quale aveva poi ricavato il numero di camera ed il rispettivo piano. “Boswell, camera 23, quinto piano” ciò rimase impresso nella mente del ragazzo, ma il barlume che attraversò le sue iridi di diverso colore era in realtà stuzzicato da una diversa intuizione.
Non era ancora giunto a metà strada tra il bancone e la prima sedia della fila adibita all’attesa dei visitatori quando la scena si animò e prese una piega quasi inaspettata. Ai suoi occhi, la Signora Boswell si trasformò da distruttrice di possibilità a creatrice di occasioni. Quando richiese aiuto blaterando di un nipote e di barbabietole, Lizzie non poté far altro che accettare suo malgrado e caricarsi la maggior parte di quelle dannate buste, scusandosi con Kevin in maniera oltremodo abbattuta.
L’ennesima intrusione mischiò ancora una volta le carte in tavola. Stavolta non fu la porta di ingresso a muoversi, bensì una di quelle presenti nel corridoio verso il quale Kevin era stato indirizzato. Armato di scopa, un uomo dall’aspetto alquanto senile fece la sua comparsa da quello che pareva un banale sgabuzzino. “Arthur” sembrò essere il salvacondotto di Lizzie a lasciare la sua postazione di lavoro. Con la Signora Boswell al seguito, la portinaia si diresse verso l’ascensore situato in fondo allo stesso corridoio, incaricando il vecchio di restare lì fino al suo ritorno e rivolgendo a Kevin un ultimo sorriso, ricambiato con un pelo di incertezza dal ragazzo. L’atrio era adesso vuoto, esposto, ma per un ostacolo che veniva meno se ne era immediatamente ripresentato un altro, all’apparenza meno dinamico ma forse ben più diffidente.

Nel momento stesso in cui le due donne fossero uscite di scena, il biondo si sarebbe mosso con estrema rapidità e decisione. La soluzione elaborata in quei pochi istanti dalla sua mente non contemplava la minima esitazione. Lucidità mentale e prontezza avrebbero cercato di guidarlo verso il successo.
Entrambe le mani si sarebbero dirette repentine verso due obiettivi diversi: la destra sarebbe andata velocemente verso la tasca interna della giacca, con l’intenzione di estrarre la bacchetta di palissandro e puntarla immediatamente contro il “nuovo arrivato”, Arthur, distante qualche metro da lui; mentre la sinistra, in contemporanea all’altra, avrebbe aperto la sacca appesa alla cintura alla ricerca del mantello ivi riposto nella chiara volontà di afferrarlo. Due mosse distinte, un solo disegno mentale, armonico, equilibrato, in modo che la seconda azione non rubasse la concentrazione necessaria alla prima.
Nel momento in cui Kevin aveva scelto di muoversi, l’uomo si trovava ancora voltato verso l’ascensore dal quale erano appena scomparse Lizzie e la Signora Boswell. Il biondo avrebbe cercato di anticipare qualsiasi suo movimento, in modo da non permettergli nemmeno di incrociare il suo sguardo. Sarebbero stati i riflessi di un giovane contro quelli di un vecchio.
La bacchetta sarebbe stata indirizzata verso la parte sinistra della testa dell’uomo, d’altronde quella più esposta al ragazzo. Con la presa ben salda sul legno di palissandro, la mano avrebbe dunque eseguito un semicerchio verso sinistra, ampio e deciso, in un movimento fluido che non prevedeva interruzioni.
« Oblivion. » Sarebbe stata la formula, decisa e scandita con sicurezza. La mente del ragazzo, alla ricerca della concentrazione più estrema, si sarebbe focalizzata su quanto accaduto nell’arco del minuto precedente, dal momento esatto in cui Arthur aveva fatto la sua comparsa nel corridoio. Kevin avrebbe cercato di mettersi nei panni dell’anziano, di immergersi ed immedesimarsi in ciò che aveva visto e vissuto dal momento in cui aveva spinto la porta dello sgabuzzino: la richiesta di Lizzie, la Signora Boswell e le sue buste, la presenza di un ragazzo biondo nell’atrio di Arlington House. L’intento era chiaro, ovvero che l’uomo dimenticasse tutto ciò, sradicando completamente quelle immagini e quei suoni dalla sua memoria, come se non vi fossero mai stati, come se egli fosse appena uscito dalla piccola porta con la scopa in mano intento a svolgere il suo semplice dovere, che non era certo quello di fare la guardia all’atrio dell’edificio.
Si trattava di cancellare un arco di tempo abbastanza ristretto, caratteristica ottima per compensare la complessità di quel tipo di incantesimo e la rapidità entro la quale era stato chiamato ad agire. Le intenzioni erano comunque ferree: nella testa del vecchio doveva restare il vuoto, laddove prima vi erano stati i ricordi appena descritti.

Dopodiché, se l’incanto fosse andato a buon fine – e facendo reale affidamento almeno su un’iniziale incertezza mentale o un rallentamento dei riflessi da parte dell’uomo – Kevin si sarebbe mosso ancora più agilmente nell’estrarre il mantello che sperava di aver precedentemente afferrato. Una frazione di secondo poteva fare la differenza, poiché fondamentale era in quel momento il non farsi vedere. Con mossa repentina ma fluida, avrebbe cercato di indossarlo in modo che andasse a coprire anche la sua testa, nella speranza di rendersi pressoché invisibile agli occhi dell’anziano. Se egli si fosse voltato verso l’atrio, avrebbe dovuto trovare solo una sala vuota.
L’ultima sua mossa sarebbe stata quella di muoversi verso il bancone della portinaia, giungendo dal lato in cui ella accoglieva i visitatori. Avrebbe cercato la lista dalla quale Lizzie aveva carpito le informazioni relative alla camera e al piano per la Signora Boswell, facendo però la sua ricerca in termini di Madame Shelby, confidando nella calma dell’eventuale situazione di invisibilità.
Se tutto quanto fosse andato a buon fine, Kevin si sarebbe finalmente ritrovato un passo avanti rispetto a prima, nella consapevolezza di dover agire con rinnovata cautela. Le porte dell’ascensore lo avrebbero aspettato, nel bene o nel male, poiché quella sarebbe stata la sua direzione finale.


Riassunto:
Kevin attende che Lizzie e la Signora Boswell escano di scena e cerca di anticipare i movimenti di Arthur* castando un Oblivion ed avvantaggiandosi intanto nell’estrarre il Mantello della Disillusione. (*Ho ritenuto Arthur presumibilmente rivolto verso l’ascensore. Se così non fosse, dato che non è espressamente specificato, ritengo comunque che Kevin possa agire in un momento in cui l'uomo distoglie lo sguardo da lui)
Se l’incanto va a buon fine, Kevin finisce di estrarre ed indossa la cappa con estrema rapidità, in modo che Arthur non si accorga della sua presenza dopo essere stato obliviato. Dopodiché, si dirige verso il bancone per cercare informazioni in merito alla camera di Madame Shelby.

Ho lasciato ovviamente il condizionale in ogni punto, dato che si tratta di un certo numero di azioni. Se qualcosa non fosse limpido, rimango a disposizione via mp.



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- Bacchetta: Legno di Palissandro, Piuma di Diricawl, Semi-Rigida, 12 Pollici e mezzo. [Nella tasca interna della giacca]
- Medaglione dorato con sopra incisa una rosa (Privo di valore magico. Un dono da parte di Margaret Elisabeth Wiggley) [Appeso al collo]
- Cappello del Falco: Cappello da passeggio, ma usabile in innumerevoli occasioni. Elegante, è ottimo per confondersi anche tra i Babbani. Chi lo indossa vedrà la propria vista e l'autostima aumentare. [In testa]
- Sacchetta Medievale:[Agganciata alla cintura] [Possibilità di contenere 5 oggetti di medie dimensioni]
Al suo interno:
- Mantello della Disillusione: Se il tuo corpo è ben avvolto in questo tessuto, esso sembrerà donarti l'invisibilità.
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view post Posted on 17/5/2020, 10:54
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Tensione.
Il Fato gli aveva fatto dono di secondi preziosi e, mentre Kevin ragionava con lucida velocità sul da farsi, si era nuovamente ritratto nelle ombre.
La via di fuga gli era stata palesemente sbattuta in faccia e sarebbe stato da sciocchi restare in disparte lasciando gli eventi al loro corso.
Agì in fretta, il Tassino. Arthur, già vittima dell'incapacità della neo assunta di mandare a farsi benedire la signora Boswell con tutte le buste al seguito, aveva sbuffato volgendo lo sguardo alle due donne che sparivano oltre le porte automatiche dell'ascensore.
Odiava quel lavoro, odiava i loro volti. Quanto mancava alla fine di quella giornata?
Ricordandosi, forse improvvisamente, che in realtà il sole era ancora alto nel cielo, e che gli mancavano come minimo altri sette corridoi di sette piani diversi da spazzare, si ritrovò a piegare il capo sulle setole della scopa come a volerne mettere al fuoco la voglia di faticare.
Distratto dai suoi burberi pensieri, non potendo godere più dei riflessi di un tempo, fu colto dall'ennesimo subdolo attacco.
Se fosse stato solo per un attimo consapevole di ciò che stava accadendo alla sua mente, avrebbe probabilmente ringraziato il suo docile aggressore: chi non vorrebbe dimenticarsi delle proprio frustrazioni per anche solo un minuto?
L'Oblivion andò a buon fine. Lo sguardo del vecchio si spense, le labbra si schiusero in un'espressione ebete e mezzo sorriso gli tagliò il volto rugoso e poroso.
Sbattè un paio di volte le palpebre, il tempo concesso a Kevin di ritrarre la bacchetta e si voltò verso di lui, verso il bancone, incerto ma con la calma a permeare i tratti attempati.

« Che? Chi è lei? »
Arrancare alla ricerca del mantello fu semplice, indossarlo in poco tempo, complesso.
Se l'incanto appena evocato avesse minato a una memoria ben più lunga, il ragazzo sarebbe forse riuscito nel concatenamento di azioni. Tuttavia, tutto ciò che Arthur riuscì ad eliminare dai suoi ricordi fu la richiesta della portinaia e il numero di piani che doveva ancora spazzare.

« Ancora sette », bofonchiò, confuso, volgendosi a Kevin come se il giovane gli avesse appena posto una domanda a cui una tale risposta poteva dirsi sensata.
Come cavarsi dall'impiccio, ora?





Ciao Kevin.
Come da post, sei riuscito a prendere il mantello dalla borsa ma non hai fatto in tempo ad indossarlo.
Anche se utilizzi il corretto tempo verbale, non è detto che non si tratti di troppe azioni, tutte in un post, che a me toccherà - o meno - far accadere. Si tratta di far forza sull'evocazione di un incanto e utilizzo di un oggetto: per una doppietta di tal genere, ti consiglio di scrivermi per avere il via libera ad una tale eccezione.
Per qualsiasi dubbio, sai dove trovarmi.
 
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view post Posted on 23/5/2020, 17:02
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L’intervallo di tempo a disposizione del ragazzo, assai limitato, non gli permise di muoversi a suo totale piacimento. Le sue azioni avevano cercato di insinuarsi tra le maglie del flusso vitale di Arlington House, nel ristretto spiraglio rappresentato da quei pochi secondi intercorsi tra l’uscita di scena delle due donne e la primissima azione di Arthur. L’Oblivion parve comunque andare a buon fine, e Kevin poté percepirlo nel formicolio che pervase interamente il suo braccio destro. L’espressione inebetita che comparve sul volto senile dell’uomo ne fu inequivocabile conferma.
Ma non tutto andò come previsto: il mantello venne estratto, ma non fece in tempo ad abbracciare il suo corpo poiché lo stesso Arthur si era nel frattempo voltato verso di lui. Un’imprecazione silenziosa si palesò nella sua mente, compensata almeno in parte dal sollievo dato dall’aver ritratto la bacchetta appena in tempo grazie ad un gesto di puro istinto.
L’uomo lo guardò con un’espressione incerta, ma non turbata, mentre l’adrenalina in circolo nelle vene del ragazzo – precedentemente aumentata in modo esponenziale – rallentava adesso il suo ritmo. Come prevedibile, Arthur gli chiese di identificarsi. La mente di Kevin cercò subito di elaborare una soluzione all’improvviso inconveniente, ma il vecchio lo anticipò in qualsiasi azione prendendo nuovamente la parola, stavolta per bofonchiare una frase che sembrava senza senso in quel contesto.
Ancora sette? Cosa diamine intendeva? Erano forse i piani dell’edificio? L’unica cosa certa agli occhi del ragazzo era il momento di confusione nella testa del vecchio, causato proprio dalla sua precedente Magia. E da quella constatazione silenziosa si delineò per lui anche una convinzione estremamente importante: doveva agire in fretta, con rinnovata prontezza, sfruttando quella posizione di relativo vantaggio. Laddove gli era stata appena preclusa la possibilità di eludere Arthur, vi si presentava ora l’occasione di depistarlo, di toglierselo dai piedi una volta per tutte.
Una nuova strategia si palesava, dettata dal mutamento della situazione. Come un camaleonte, Kevin si sarebbe adattato ai mutamenti delle circostanze. Il suo corpo rispose immediatamente a quella sorta di input mentale, portando il biondo a chinarsi in avanti, fingendo una condizione di affaticamento.
« Signor Arthur, finalmente l’ho trovata. » Disse, nel recitato affanno di una corsa che non era mai esistita, ma la cui idea doveva manifestarsi nella mente momentaneamente provata di Arthur, sovrapponendosi a quel suo blaterare di numeri apparentemente senza senso. Riprese fiato un’ultima volta, prima di ergersi con la schiena dritta, arrivando a guardare il vecchio direttamente negli occhi con un’espressione provata ma relativamente sollevata. Quel ragazzo che gli si parava davanti lo aveva cercato per tutta Arlington House, ecco cosa avrebbe dovuto pensare l’uomo.
Le parole che uscirono poi dalla sua bocca furono chiare, ma rapide come una folata di vento. Era giunto il momento di riportare la mente di Arthur alla realtà dei fatti in modo brusco, oppure quello di spingerla definitivamente nella confusione del momento. Entrambe le strade sarebbero state funzionali alla sua strategia. « Miss Lizzie mi ha mandato a cercarla. Si trova al quinto piano, è necessario che la raggiunga immediatamente. Servirà anche la scopa, è successo un vero e proprio disastro con le barbabietole. La Signora Boswell ci è perfino caduta sopra, è un incubo. » Una pausa, in modo che la mente annebbiata dell’uomo recepisse tutti i concetti. Il riferimento a nomi più o meno familiari l’avrebbe forse spinta verso una nuova sorta di lucidità imposta da quella chiamata al dovere improvvisata dal ragazzo.
« Quinto piano, camera 23, mi raccomando. Io devo correre a comprare altre barbabietole, altrimenti quella mi ammazza. » Aggiunse, con tono concitato ed un pizzico di recitata agitazione nel riferirsi alla Signora Boswell. Riprese fiato per l’ultima volta, esibendo all’uomo un’espressione di contrito ringraziamento – di quelle da far invidia a Lizzie – prima di incamminarsi verso l’atrio vuoto.

Considerate le sue azioni, presentarsi ad Arthur non avrebbe avuto senso, sarebbe anzi stata un’informazione talmente superflua rispetto al presunto casino da lui descritto da passare inevitabilmente in secondo piano. Data la ricostruzione dei fatti proposta da Kevin, l’uomo avrebbe potuto benissimo associarlo ad un accompagnatore della Signora Boswell, addirittura ad un suo eventuale altro nipote. Non aveva reale importanza, almeno non quanto il fatto che l’anziano rispondesse rapidamente all’improvvisa chiamata al dovere.
Con la coda dell’occhio, il ragazzo avrebbe dunque atteso il movimento di Arthur, o meglio anche il solo suo voltarsi verso l’ascensore (o nuovamente verso lo stanzino, nel caso lo avesse ritenuto necessario), prima di gettarsi addosso il mantello estratto in precedenza con movimento rapido ma fluido, desideroso di avvalersi della nuova condizione di elusività per giungere finalmente al suo obiettivo, ovvero la scrivania di Lizzie, immobile e silenziosa nell’atrio deserto.
Ad aspettarlo, sperava, la lista che gli avrebbe svelato il numero della camera ed il piano al quale risiedeva Madame Shelby.



Riassunto:
Kevin cerca di cogliere l’attimo di incertezza mentale di Arthur, fingendo di averlo cercato per tutto l’edificio sotto indicazioni di Lizzie. Parla all’uomo del “disastro” accaduto al quinto piano e lo informa che la stessa Lizzie richiede la sua assistenza. Elabora una scusa per congedarsi senza dover dare ulteriori spiegazioni, ma una volta nell’atrio attende che Arthur (eventualmente) si volti per indossare il mantello e dirigersi verso la scrivania alla ricerca di informazioni sulla stanza di Madame Shelby.




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view post Posted on 7/7/2020, 09:27
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Arthur spalancò gli occhi un paio di volte; sbattè le palpebre aprendo e chiudendo la bocca, e fissò il giovane con aria stupida.
Il dubbio, i quesiti, presero a vorticare nella sua mente annebbiata ma erano così veloci, così impercettibili, che non riuscì ad afferrarne nemmeno mezzo.
L'epilogo di Kevin poi, aveva peggiorato le cose. Tuttavia, udire dei nomi così familiari, il terrore dell'ultima esperienza avuta con la signora Boswell nonché l'ordine impartito, furono come manna dal cielo. Quando una mente è confusa necessita soltanto di sapere cosa fare, di un comando, qualcuno che indichi la strada e Kevin, come i migliori suoi compari, aveva colto l'occasione al volo.
Non si poteva dire non avesse un talento innato per far parte delle schiere dell'Oscuro.

« Io... Io, sì corro a comprare le barb---»
Un attimo di incertezza, poi scosse la testa.
« No-NO. Corro al piano. Porto con me! » e prese una corda dal ripostiglio, velocemente, scambiandola forse per un secchio o Salazar solo sa che cosa.
Prontamente il giovane indossò il mantello e lì dove prima v'era una cacofonia di persone e suoni, ora non restava più nessuno - almeno all'apparenza. Il corridoio, vuoto e silenzioso, sembrò godere di un'innaturale stasi e celato, inglobato, dall'omertà del luogo, avanzò indisturbato verso la scrivania.
Lizzie, così ingenua e pura, era corsa ai ripari, lasciando la lista delle camere e tutte le possibili informazioni sulla sua postazione. Perché temere che qualcuno potesse ficcanasarci, dopotutto?
Erano in molti coloro che si recavano da lei fingendosi questo o quel parente ma erano innocui, no? Erano solo persone desiderose di incontrarne altre. Se solo il Fato fosse stato in grado di non esentarsi da ogni qualsivoglia emozione, si sarebbe forse portato una mano alla fronte, scuotendo la testa vertiginosamente. C'erano così tante persone che andavano preservate in quel mondo e che, invece, finivano inesorabilmente per esserne schiacciate.
La scrivania - se così si potesse definirla - si presentava paradossalmente in ordine; pile di scartoffie da un lato, comunicazioni accanto, due contenitori nuovi di zecca a raccogliere fatture e due sobri cassetti chiusi a chiave sulla sinistra. Penne, matite e graffette completavano l'alto bancone.
Dando uno sguardo veloce gli sarebbe bastato poco per individuare la lunga lista di persone, la stessa cartellina che Lizzie gli aveva agitato contro poco prima.
Scorrendo i nomi, tuttavia, non avrebbe visto quello di suo interesse. Che gli bastasse soltanto ricontrollare?





 
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view post Posted on 13/7/2020, 14:21
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Vedere il vecchio incespicare nelle parole e nei movimenti gli diede una piccola ma malsana nota di soddisfazione. Arthur, con aria ebete, aveva cercato di mettere insieme gli scombussolati pezzi che risiedevano nella mente ormai provata. Ovviamente aveva fallito e le parole di Kevin, che nel mentre si era impegnato a rimanere del tutto impassibile nella sua recita, erano affondate come un coltello nel burro.
Fare leva sull’incertezza mentale dell’uomo si era rivelata una strategia semplice e vincente, il mezzo adatto al raggiungimento del suo obiettivo. Alla fine dei giochi, nonostante le varie titubanze, l’uomo si era infatti incamminato ubbidiente verso il “sentiero” indicato dal ragazzo.
Finalmente, Kevin aveva lasciato cadere il mantello su di sé, occultandosi alla vista di ulteriori occhi indiscreti. Con il mantello addosso, si sentì improvvisamente più leggero. Celato, avrebbe potuto muoversi con maggiore libertà, senza tuttavia dimenticare la necessaria cautela. Non conosceva quel posto, dopotutto. Non conosceva nemmeno Madame Shelby, ad essere sinceri.
Giunto nei pressi della sottospecie di scrivania, il biondo osservò con attenzione la postazione di lavoro di Lizzie. Un ordine piuttosto anonimo regnava sovrano, tra scartoffie varie e oggettistica da ufficio. Notò immediatamente i due cassetti sulla sinistra, probabilmente chiusi a chiave, ma si concentrò comunque sull’oggetto di suo primario interesse: la cartellina di Lizzie.
Scorrendo i nomi, tuttavia, un senso di insoddisfazione prese progressivamente piede dentro di lui. Nessuna traccia di "Shelby". Provò a ricontrollare almeno un'altra volta, ma l’esito fu nuovamente inconcludente.
*Strano.* Pensò, riflettendo su un particolare non di poco conto: Lizzie stessa aveva lasciato scorrere la penna su quella medesima lista quando lui aveva nominato Madame Shelby per la prima volta. La segretaria aveva cercato quel nome e sembrava averlo effettivamente trovato, scegliendo poi di negargli la visita. Se il cognome fosse stato diverso, la ragazza glielo avrebbe fatto sicuramente notare, data la sua precisione. Sembrava invece un qualcosa di più particolare; pareva come se Lizzie fosse in grado di leggere quel nome sulla cartellina, mentre a lui non era possibile.
Che vi fosse la Magia di mezzo? Dopotutto, Madame Shelby poteva anche essere una Strega. Qualsiasi fossero state le sue motivazioni, la donna poteva aver escogitato un modo per risultare il meno rintracciabile possibile, in particolar modo agli occhi del Mondo Magico. Occultare il proprio nome da una lista, dopotutto, era cosa alquanto semplice per una Strega.
In preda a tale immagine mentale, Kevin scelse di concedersi un tentativo, per quanto inconcludente avrebbe potuto rivelarsi. Chiamò in causa nuovamente la fidata bacchetta e colpì per tre volte il centro della cartellina con la punta del legno di palissandro. Al termine del terzo colpo pronunciò la formula con decisione.
« Aparecium. »
Non avrebbe lasciato qualcosa di intentato. Non era sicuro che Madame Shelby fosse una Babbana, così come poteva solo ipotizzare il contrario. Il semplice incanto utilizzato avrebbe mostrato qualsiasi tipo di scritta nascosta con la Magia (non Oscura).
Se quel tentativo si fosse rivelato un buco nell’acqua, allora sarebbe stato opportuno controllare i due cassetti chiusi a chiave prima ancora di riflettere sulla mossa successiva.



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view post Posted on 28/7/2020, 22:37
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Essere un Mago a volte aveva come conseguenza il sopravvalutare il Mondo Babbano.
I Non-maghi compivano quotidianamente azioni che richiedevano una certa dose di fatica e le loro abitudini apparivano spesse ridicole, eccessive. Non avrebbero mai potuto comprendere la necessità di dover passare ore ed ore a cucinare quando sarebbero bastati pochi sventolii di bacchette per aver la cena presto servita.
Succedeva molto spesso, dunque, che gli Stregoni fossero portati a credere nell'esistenza della magia anche lì dove non ve n'era minimamente traccia. Una sorta di deformazione professionale che derivava dal loro retaggio, la stessa che aveva condotto Kevin a credere che su una comune lista di affittuari - o presunti tali - fosse stata operata una qualche fattura.
L'Aparecium non diede alcun risultato, nessun nome spuntò all'improvviso come un funghetto che si arricciava al calore delle prime piogge, nessun indizio. Niente di niente.
E ora?
Checché fosse celato dal suo mantello, non era invincibile e il tempo che si era guadagnato, stava per scadere.
Nel silenzio dell'Atrio, si sentì il flebile strusciare metallico dell'ascensore in lenta discesa coperto solo dalla porta scorrevole che si apriva sul nuovo visitatore.
Un uomo corpulento, sulla cinquantina, dal naso rosso e poroso, fece il suo ingresso, barcollando appena sul posto, con una piccola busta di plastica bianca, sporca, nella destra.

« We? » , la voce alta rimbombò nell'apparente solitudine del posto. L'omaccione si guardò intorno perplesso per poi avanzare verso l'alta scrivania, lì dove Kevin sostava, ancora al sicuro nel proprio mantello.
Circospetto, lo sconosciuto fissò l'entrata dietro di lui per poi tornare al tavolo, allungando le unghie ingiallite sul portapenne e infilandosene un paio nel taschino strappato della logora camicia a quadri.

« Ma' sta aspettandooo. We? » , si grattò il capo ispido, dirigendo lo sguardo sulle scartoffie al di là della mensolina d'accoglienza, alla ricerca di qualcos'altro di utile.
Le porte dell'ascensore si aprirono facendo tremare il tizio sul posto. Beccato?

« Che lavoro di... SIGNOR SHELBY! », il tono di voce di Lizzie suonò perentorio. Bloccata all'uscita dell'ingranaggio, i polsi in vita, guardava torva l'uomo.
Per un solo istante parve ricordarsi del giovane biondo che era entrato poc'anzi e indirizzò lo sguardo vacuo sulle sedie vuote. Dov'era finito?
Decise di non curarsene nel momento in cui non notò nemmeno la presenza di Arthur a sorvegliare l'androne. Le gote divennero, se possibile, ancora più rosse: aveva già accumulato una buona dose di stress al quinto piano, contenere i nervi stava diventando affare assai rischioso.

« Madame Shelby non gradisce visite oggi e lei era in lista per... » , cercò di ricordare dove aveva piazzato l'uomo ma aveva così tante barbabietole nella testa che poteva solo far affidamento sull'agenda dell'ufficio per ricordarsene.
L'odore dell'uomo parve darle fastidio anche a tre metri di distanza e, senza far caso alla gentilezza, avanzò tenendosi ben distante, dirigendosi verso la scrivania...

« Ora controllo ma poi deve andarsene. Non come l'altra volta! Altrimenti non la farà più tornare. »






 
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view post Posted on 28/8/2020, 23:06
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Il non voler lasciare qualcosa di intentato lo aveva condotto verso l’ipotizzare una soluzione complessa per un problema verosimilmente semplice. Kevin tendeva sempre a ragionare da Mago anche quando si trovava ben immerso nel Mondo Babbano, retaggio di una vita fino a quel momento interamente vissuta in una famiglia Purosangue che amava restarsene in disparte perfino nel Mondo Magico.
Dunque, il suo semplice incanto si rivelò più una perdita di tempo che un’azione utile alla sua causa. Quella lista, che sembrava tanto importante per la portinaia, rimaneva una semplice lista tra i nomi della quale non figurava alcuno “Shelby”. Se si fosse trattato di affittuari non sarebbe stato così perché in tal caso anche quel nome avrebbe dovuto essere presente insieme agli altri. L’unica ipotesi che venne in mente al ragazzo fu quella di trovarsi sottomano l’agenda delle visite programmate, il che avrebbe spiegato il controllo effettuato da Lizzie nel momento del suo arrivo.
Prima ancora che Kevin riuscisse a concepire un pensiero coerente, tuttavia, il silenzio dell’atrio venne interrotto da due rumori distinti. Da un lato, il ragazzo riuscì ad identificare il suono dell’ascensore in lenta discesa, che presagiva un possibile ritorno della portinaia, mentre dall’altro quello della porta scorrevole che diede il benvenuto ad un panciuto uomo di mezza età dall’aria abbastanza lurida. Senza troppi convenevoli, questi chiamò il vuoto per attirare l’attenzione di eventuali presenze e, ritenendo di essere solo, si intascò una manciata di penne direttamente dalla scrivania della ragazza.
Pochi secondi dopo, le porte dell’ascensore si aprirono e la voce di Lizzie fece sussultare perfino Kevin, al sicuro sotto al suo mantello. Quando ella appellò l’uomo come “Signor Shelby” il giovane Tassorosso si pietrificò sul posto per un istante. Squadrò per qualche istante il viscido signor Shelby e la sua logora camicia a quadri: con che razza di gente aveva a che fare?
Dalle parole di Lizzie pareva proprio che Madame Shelby non gradisse la visita del figlio. Come darle torto, dopotutto? Ma Kevin aveva capito ormai da qualche secondo che l’unica sua possibilità di ascendere alle camere della donna era rappresentata niente poco di meno che da quell’uomo. Se la portinaia si frapponeva a lui come ostacolo, il ragazzo avrebbe invece fatto di tutto per facilitarne l’avanzata, per quanto ambiguo gli potesse sembrare.
Doveva agire in fretta. Per un istante pensò di incantare una penna o di aggiungere lui stesso il nome Shelby nell’elenco, ma si trattava di un’ipotesi infattibile poiché il tempo era fin troppo stringente e Lizzie era diretta proprio verso la scrivania. Si sarebbe inevitabilmente accorta di una penna sospesa in aria atta a scrivere sulla sua preziosa lista, così come avrebbe potuto farlo l’uomo. E allora, seguendo l’istinto, scelse una strada più imprevedibile. Allo stesso modo del signor Shelby, che era piombato dirompente nell’atrio di Arlington House per scombussolare ulteriormente la giornata lavorativa della povera portinaia, anche Kevin ci avrebbe messo del suo aggiungendo una dose di Caos agli eventi.
Senza indugiare un secondo di più, il Tassorosso chiamò ancora una volta in causa la bacchetta di palissandro e con essa tracciò una linea su ogni parola presente nella lista appoggiata sulla scrivania. Il movimento fu rapido ma preciso, accompagnato dalla formula scandita ma sussurrata: « Illegibilùs. » Fece attenzione all’accento ed al fatto che la punta della bacchetta passasse velocemente su ogni nome scritto in quella dannata lista, come a volerli cancellare tutti. Di fatto, era quello che sarebbe dovuto succedere. Lizzie non sarebbe stata più in grado di leggere nulla ed il signor Shelby, da buon testardo quale sembrava, avrebbe cavalcato l’incertezza che Kevin sperava di infondere nella giovane donna, già provata da quella mattinata infernale.
Fatto ciò, il ragazzo avrebbe mosso immediatamente qualche passo indietro, allontanandosi nuovamente dalla scrivania verso la parte opposta dalla quale sarebbe arrivata la donna. Da quella posizione avrebbe osservato lo sviluppo degli eventi, confidando nella caparbietà dell'uomo. Restava comunque pronto ad intervenire con prontezza.



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Spesso Lizzie si ritrovava per le mani delle situazioni strambe a cui porre rimedio. Capitava assai frequentemente e, di solito, non erano grattacapi tanto enormi da spingerla a sbraitare e lasciare il lavoro su due piedi.
Il Fato quel giorno, però, aveva ben deciso di mettere a dura prova la sua caparbietà, pur consapevole che la donna non ne aveva affatto. Lavorava per bisogno, non per piacere e questo non poteva certo essere definito "tenacia". Eppure, nonostante la volontà di tenersi stretto il proprio incarico, in quel preciso istante, con la gola ansante di collera e gli occhi lucidi che scivolavano sul foglio bianco, si lasciò letteralmente andare allo sconforto.

« Io... Io... », balbettò, lasciando ricapitolare le iridi su quella pagina consunta e già controllata mille volte quel giorno. Non riusciva a trovare una spiegazione, nessuna che potesse tranquillizzarla.
« We. Io però sto qua, quindi fammi andare. Su bella, c'ho bisogno » e nel pronunciare tali volgari parole, il Signor Shelby si avvicinò alla donna facendo appello ad un fascino di cui orribilmente peccava.
« No, no. Lei non era in lista. Non posso farla andare » tentò di appigliarsi a quella decisione, cercando nei meandri della sua mente una buona ragione in grado di arrestare l'uomo.
L'aria diveniva più tesa e una lieve luce di consapevolezza abbagliò gli occhi arrossati di lui.
Consapevolezza, certo, ma animata dalla frustrazione. Tonto com'era, ragionava per mera concatenazione di effetti: era lì, quindi poteva entrare. No?

« Oh senti, so la strada. Ci vado da solo. Fattela 'na risata ogni tanto eh » e agitando una mano corpulenta nell'aria prese la volta dell'ascensore.
Lizzie, animata dal terrore - chissà quale poi - scattò immediatamente e per un soffiò non si scontrò con Kevin celato dal mantello, forse divertito da quella scenetta, ignaro del pericolo che si stava affacciando sulle loro teste.

«Signor...Signor Shelby prendiamo un appuntamento. Per domani? Magari lei vorrà domani! Non mi faccia chiamare di nuovo la sicurezza! » e l'oltrepassò, arrestando la sua avanzata verso l'ascensore ponendosi davanti a lui con le mani che per poco non sfioravano il bavero della sua camicia ingiallita. Lui si fermò e nello sguardo vacuo, parve leggersi il ricordo lontano di quanto era accaduto l'ultima volta. L'idea di essere ripreso a bastonate come un cane randagio non sembrò piacergli affatto.
La situazione sembrò fermarsi di colpo e il silenzio cadde su quell'agitata scenetta.
Cosa fare, dunque? Lasciare che le cose seguissero il proprio sviluppo non era una cattiva idea ma avrebbe rischiato di perder tempo. Non era per fare da pubblico ad uno spettacolo teatrale - malamente gestito - che il Signore Oscuro l'aveva mandato lì.
Shelby portò la destra in tasca e Lizzie abbassò le mani tremanti. Gli occhi sembrarono ingrandirsi dinanzi a quel gesto e guardarono oltre la figura dell'uomo, mettendo a fuoco la scrivania.
Cosa fare?






 
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view post Posted on 3/11/2020, 14:56
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Kevin non si sentiva dispiaciuto per Lizzie, sebbene farle passare una giornata da inferno non rappresentasse uno dei suoi piani originari.
In verità, il ragazzo stava iniziando a comprendere la necessità di catalogare schematicamente la realtà attorno a lui come “funzionale” o “non funzionale” al raggiungimento della sua missione.
Capiva la predominanza del fine rispetto ai mezzi utilizzati per raggiungerlo. Dunque, una volta appurato come la portinaia rappresentasse un ostacolo più ostico del previsto, era stato naturale progettare al più presto un modo per sbarazzarsene.
Nonostante tutto, aveva ancora molto da imparare in termini di efficienza. Pensava troppo, spesso sopravvalutava un mondo semplice come quello Babbano e proponeva soluzioni articolate per problemi basilari.
Fino a quel momento aveva preferito un approccio piuttosto indiretto, forse eccessivamente elaborato, fortemente dettato dalla necessità di cautela. La verità era che stava perdendo tempo, e non poteva più permetterselo.
Avrebbe fatto meglio a darsi una mossa nel portare a termine l’incarico per il quale era stato indirizzato in quel dannatissimo edificio. Il fallimento, dopotutto, non era contemplato.
O meglio – e questo Kevin lo comprendeva in tutta la sua freddezza – il fallimento aveva una relazione inversa con la sua stessa sopravvivenza.

La vista della preziosa agenda, inspiegabilmente vuota, destabilizzò Lizzie. Ciò fu chiaramente visibile nei suoi occhi lucidi e avviliti. L’incertezza nelle sue parole, poi, creò una crepa enorme nel suo atteggiamento verosimilmente tenace, e Shelby ne approfittò per incalzarla, proprio come Kevin aveva inizialmente sperato.
L’uomo era rozzo, zotico fino al midollo e apparentemente dotato di un cervello assai minuscolo. E nonostante tutto ciò, egli rappresentava la sua migliore possibilità di raggiungere la camera di Madame Shelby. Schierarsi dalla sua parte non era il massimo ma, per l’appunto, era proprio una di quelle cose “funzionali” al raggiungimento degli obiettivi.
L’opposizione della portinaia sembrò rimanere ferrea nonostante la piega inaspettata presa dagli eventi, ma Shelby non aveva la minima intenzione di andarsene, neanche dinnanzi ai numerosi rifiuti. Cocciuto com’era, l’uomo avrebbe trovato il modo di fare di testa sua, che era proprio ciò di cui il ragazzo aveva bisogno.
Tuttavia, spettatore di quella sottospecie di teatrino, Kevin stesso iniziò in prima persona ad avvertire il graduale aumento di tensione che si stava facendo strada nell’atrio di Arlington House, sempre più percepibile nel tono meno calmo dell’uomo e nella disperazione sempre più dilagante della giovane donna, la quale tuttavia si dimostrava ostinata almeno quanto il rivale.
Difatti, decisa ad arrestare l’avanzata di Shelby, ella si mosse rapidamente e passò a pochissimi centimetri da Kevin che, ancora fortunatamente celato dal suo mantello, sussultò istintivamente. Il cuore saltò un battito e l’adrenalina iniziò a pompare più forte nelle vene, ma il ragazzo cercò di ricomporsi in fretta.
Dopo qualche istante, gli parve di giungere ad una condizione di rinnovata lucidità e comprese immediatamente che la scena avrebbe potuto prendere una bruttissima piega.

Il ragazzo capì di dover rimanere estremamente concentrato, pronto ad intervenire per far volgere gli eventi in suo favore o per scongiurare eventuali contrattempi.
Dunque, si mosse con prontezza e si avvicinò al fulcro della scena, spostandosi in diagonale rispetto ai due, rimanendo ad una distanza di sicurezza ma garantendosi una chiara visione di entrambi, Shelby parzialmente di spalle e Lizzie di fronte.
« Non mi faccia chiamare di nuovo la sicurezza! »
Quelle parole mossero qualcosa nell’aria. Rimbombarono più del normale nella testa di Kevin, ma soprattutto – come il ragazzo si immaginò – lo fecero in quella dell’uomo dinnanzi a lui.
Era già successo prima, comprese sulla scia di un leggero brivido dietro la schiena. In quel caso, evidentemente, qualcosa era andato storto e la sicurezza era intervenuta, impedendo a Shelby di raggiungere il suo obiettivo.
Capì che l’uomo non avrebbe mai accettato un secondo rifiuto, e scelse di muoversi immediatamente, prima che la situazione potesse degenerare.
Proprio mentre Shelby si apprestava a portare la mano verso la tasca, Kevin elaborò rapidamente una decisione. Non vi era tempo di pensare, in quel caso. Occorreva agire rapidamente e senza commettere errori.
Nel surreale silenzio calato sull’atrio di Arlington House, il ragazzo cercò di trovare la concentrazione necessaria nel minor tempo possibile. Il suo obiettivo era già chiaro nella sua testa: invertire le intenzioni di Lizzie.
Teso, il braccio destro si mosse verso la giovane donna, indirizzando saldamente la bacchetta di palissandro verso il suo volto. Kevin si concentrò attentamente sull’obiettivo, proprio mentre la portinaia volgeva il suo sguardo verso di lui senza vederlo.
Cercò di penetrare quegli occhi dilatati, di immedesimarsi nella donna e leggere la sua mente, di capirne le emozioni.
*Shelby non deve passare* Ripeté per un istante nella sua testa, e gli parve di farlo con la voce di Lizzie.
*Shelby deve passare* Ripeté ancora, con molta più decisione e autorevolezza, come a voler impiantare tale pensiero nella sua testa e, di riflesso, in quella della donna.
Con un movimento fluido del polso eseguì un ampio movimento a mezz’aria, tracciando un cerchio in senso antiorario. Nell’eseguire il movimento, Kevin iniziò ad enunciare la formula mentalmente.
*Essenza...*
Dopodiché, il braccio si mosse repentino e deciso scattando verso l’alto ed indirizzando la bacchetta verso il soffitto, disegnando un secondo cerchio, stavolta in senso orario. Tale movimento venne accompagnato dalla seconda parte della formula.
*Converto!*
La sua bocca non si mosse, ma la sua mente percepì la fermezza delle sue parole, determinate ed inflessibili, sulla scia del mantra di poco prima: Shelby doveva passare.
Lizzie doveva invece piegarsi. La sua volontà, già sufficientemente incrinata, doveva trasformarsi nell’esatto opposto. Nella testa del ragazzo, ella si faceva da parte una volta per tutte, cambiando totalmente la sua linea di pensiero.
L’intento di Kevin era chiaro e ferreo; aveva cercato di muoversi con prontezza. Se tutto fosse andato a buon fine, Shelby non avrebbe avuto bisogno di estrarre qualsiasi cosa avesse in tasca. E lui gli sarebbe stato vicino, pronto a non lasciarselo scappare.



PS: 193/193PC: 131 PM: 149 PE: 28


EQUIPAGGIAMENTO ATTIVO:
- Bacchetta: Legno di Palissandro, Piuma di Diricawl, Semi-Rigida, 12 Pollici e mezzo. [In mano]
- Medaglione dorato con sopra incisa una rosa (Privo di valore magico. Un dono da parte di Margaret Elisabeth Wiggley) [Appeso al collo]
- Cappello del Falco: Cappello da passeggio, ma usabile in innumerevoli occasioni. Elegante, è ottimo per confondersi anche tra i Babbani. Chi lo indossa vedrà la propria vista e l'autostima aumentare. [In testa]
- Sacchetta Medievale:[Agganciata alla cintura] [Possibilità di contenere 5 oggetti di medie dimensioni]
Al suo interno:
- Mantello della Disillusione: Se il tuo corpo è ben avvolto in questo tessuto, esso sembrerà donarti l'invisibilità. [Indossato]
- Avversaspecchio da tasca
- Cartina di Londra
 
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27 replies since 15/4/2020, 02:01   1010 views
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