No matter the cost

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view post Posted on 23/12/2020, 21:48
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Adepto di Lord Voldemort

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Qualche istante soltanto e la situazione avrebbe potuto prendere quella piega sbagliata che Lizzie tanto temeva e che, nell’azzardo dei suoi gesti fatti con incoscienza, avrebbe difficilmente evitato. In quella frazione di secondo il Folle aveva deciso di fare a modo suo, checché fosse un modo del tutto sbagliato poco gli importava data l’alterazione patologica da cui era afflitto. Instabile, pericoloso per certi versi, la povera donna stava per pagare le conseguenze dei propri gesti. E così, osservando il movimento dell’uomo e portando lo sguardo subito dopo oltre la figura, indietreggiò d’istinto. Kevin, poco distante, aveva osservato la scena con attenzione e con sveltezza aveva tentato di porvi rimedio.
« Signor Shelby, prego può andare »
L’improvviso cambio di idee lasciò perplesso l’uomo che afferrato l’oggetto all’interno della tasca, senza ancora averlo estratto, mollò la presa e le sorrise inebetito.
« Diavolo è stato facile, bella » rise avanzando e lasciando la donna dietro di sé. Lizzie si trovò del tutto spaesata ma, sicura di quanto detto, lasciò che l’uomo le passasse affianco senza dire nulla più. Kevin finalmente si vedeva vicino alla meta, attento si mosse avvolto dal mantello che lo celava agli occhi dei pochi presenti e si intrufolò dentro all’ascensore con il figlio della tanto ricercata M.me Shelby.
« Quinto piano stanza 7… Quinto piano stanza 7... » ripeteva l’uomo battendo le dita sulla testa velocemente. Era poggiato sull’angolo destro del lift e si dondolava con impazienza. « Mamma oggi niente fiori… Mamma oggi niente fiori... » continuò spostando lo sguardo a destra e a sinistra nel piccolo perimetro. « Oggi ci sarà una bella sorpresa e tanti soldi » ancora frasi senza un senso all’apparenza ma che potevano dire molto di più se solo si fosse prestata la corretta attenzione.


Quando le porte si aprirono permettendo al Folle di superare la soglia Kevin venne accolto da un odore di stantio, come se qualcosa di bagnato fosse marcito a lungo sulla polverosa moquette color verde petrolio. Le mura erano vecchie e sudicie, un intonaco panna rovinato in alcune parti dalla muffa. Shelby si mosse verso destra, percorrendo il corridoio con passi pesanti, che nel silenzio si percepirono con maggiore intensità nonostante il morbido tessuto su cui poggiavano alternati.
Di fronte a lui, a circa due metri di distanza, una porta di castagno con inciso al centro dell’anta superiore il numero sette.






 
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view post Posted on 11/1/2021, 00:59
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Fortunatamente la sua mano si mosse più svelta di quella di Shelby e le cose presero la piega voluta. Con ogni probabilità, l’uomo era armato e la tenacia di Lizzie l’aveva esposta ad un grosso rischio. A Kevin non importava molto della giovane donna, ma era convinto del fatto che lasciar fare all’uomo avrebbe generato più complicazioni che soluzioni.
Il secondo dopo non si pose più tale problema, poiché la portinaia si fece da parte con fare remissivo e Shelby oltrepassò l’ostacolo. Kevin gli fu prontamente al seguito e i due entrarono insieme nel vecchio ascensore: l’uomo in un angolo, il ragazzo nell’altro. Mentre quest’ultimo fece di tutto per attenuare il respiro e limitare ogni suo movimento, l’uomo parve invece perso in una sorta di trance che lo portò a ripetere frasi apparentemente sconnesse. Batteva ansiosamente le dita sulla fronte unta e si dondolava con smania, ripetendo un mantra che sembrava possedere un senso esclusivamente nella sua testa.
Osservando l’uomo da vicino, Kevin ebbe la conferma di come Shelby non fosse una persona normale. Vi era un’insanità sinistra in quello sguardo prima vacuo e poi improvvisamente agitato, ed ancor di più nei gesti compulsivi. Il folle ripeté l’indirizzo della madre, prima di spostare la sua attenzione su di una “bella sorpresa”. Il biondo cercò di riflettere sulle parole deliranti: non vi era lucidità in quel discorso, ma forse avrebbe potuto contenere un indizio rilevante. Si fece una mezza idea ma scelse di non fossilizzarsi troppo sul delirio di un pazzo, consapevole del fatto che gli eventi dovessero ancora fare il loro corso per potergli offrire un quadro più chiaro.
“Quinto piano, stanza 7” era tutto ciò che avrebbe voluto sentirsi dire dalla portinaia al suo arrivo. Se ciò fosse successo, le cose probabilmente non si sarebbero complicate fino a quel punto. Adesso, invece, l’uomo poteva rappresentare una minaccia ben più seria ed imprevedibile, a maggior ragione considerando la sua instabilità mentale ed il fatto che fosse presumibilmente armato. Tuttavia, Kevin aveva ancora bisogno di Shelby per entrare nella stanza della madre e dunque fu costretto ad eliminare dalle opzioni quella di metterlo fuori gioco in quel preciso momento. Allo stesso tempo, sapeva di aver appena scelto di rimandare l’inevitabile.
Lasciò che l’ascensore giungesse a destinazione con uno stridente cigolio. Ad accoglierli, l’odore della muffa prevaleva su quello della polvere e fece arricciare il naso al ragazzo. L’edificio mostrava chiari segni di deterioramento e di scarsa pulizia: che fosse Arthur l’unico inserviente rimasto nella struttura? Non si soffermò sul trascurabile quesito e con lo sguardo seguì Shelby svoltare a destra e percorrere il sudicio corridoio. I passi pesanti sulla polverosa moquette rimbombarono nel silenzio.
Kevin scelse allora di percorrere la strada della cautela. La bacchetta di palissandro, che risiedeva ancora nella sua mano destra, si mosse verso il basso. I piedi del ragazzo furono tenuti appaiati ed il legno venne indirizzato in mezzo ad essi, con presa salda ma tenendo il polso morbido. Il ragazzo si prese un secondo in più per concentrarsi ed immaginò due morbidi cuscinetti dalla forma ovale comparire al di sotto delle suole delle sue scarpe, per tutta la loro estensione. Nel mentre, quando l’immagine attecchì bene nella sua testa, enunciò mentalmente la formula dell’incanto. *Felpàto* Pensò con fermezza e decisione, muovendo appena le labbra nel seguire le parole non dette.
Dopodiché, si sarebbe incamminato anch’egli nel corridoio, con la speranza di non emettere alcun suono. Doveva continuare ad agire con cautela, fino a quando non sarebbe giunto il momento di esporsi definitivamente. Avrebbe quindi cercato di avvicinarsi a Shelby fino ad arrivagli ad un metro di distanza, con la bacchetta di palissandro sempre pronta nella sua mano. Avrebbe dovuto dimostrarsi celere nell’intrufolarsi nella stanza insieme all’uomo, non appena se ne fosse presentata l’occasione, facendo al contempo attenzione a non creare un contatto tra i loro corpi.
Il mantello continuava a conferire una condizione di elusione apparente, ma dentro di sé Kevin iniziava a capire che sarebbe presto giunto il momento di palesarsi. Non si sarebbe fatto trovare impreparato nel momento decisivo.


PS: 193/193PC: 131 PM: 149 PE: 28


EQUIPAGGIAMENTO ATTIVO:
- Bacchetta: Legno di Palissandro, Piuma di Diricawl, Semi-Rigida, 12 Pollici e mezzo. [In mano]
- Medaglione dorato con sopra incisa una rosa (Privo di valore magico. Un dono da parte di Margaret Elisabeth Wiggley) [Appeso al collo]
- Cappello del Falco: Cappello da passeggio, ma usabile in innumerevoli occasioni. Elegante, è ottimo per confondersi anche tra i Babbani. Chi lo indossa vedrà la propria vista e l'autostima aumentare. [In testa]
- Sacchetta Medievale:[Agganciata alla cintura] [Possibilità di contenere 5 oggetti di medie dimensioni]
Al suo interno:
- Mantello della Disillusione: Se il tuo corpo è ben avvolto in questo tessuto, esso sembrerà donarti l'invisibilità. [Indossato]
- Avversaspecchio da tasca
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view post Posted on 9/2/2021, 21:53
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Il Signor Shelby aveva iniziato anche a fischiettare. Era certo una scena tragicomica quella che si prospettava dinnanzi a Kevin, inverosimile per alcuni versi, tant’è che il biondo s’era già interrogato sui modi bizzarri che l’uomo aveva di interagire con il mondo che lo circondava. Aveva sicuramente qualche problema e questo era indubbio, tuttavia una corretta analisi avrebbe dato modo di comprendere cosa realmente frullava nella testa del figlio della donna tanto ricercata. Forse, però, era troppo presto?
Un passo, due, tre e la meta fu vicina finalmente. Il Felpato che aveva evocato gli permise di non destare sospetti, per quanto il Folle riuscisse a percepirne l’intensità data la concentrazione riservata altrove.

« MÀ! » gridò ad appena pochi metri dalla porta. Non bussò, si limitò ad appoggiare la mano sulla maniglia laccata in oro rovinata dal tempo.
Uno scricchiolio sinistro rimbombò nel lungo corridoio, un rumore che risuonò potente penetrando nel silenzio che avvolgeva quel luogo. Non v’era alcuna voce udibile attraverso le altre stanze che popolavano quel piano, che fossero vuote? O semplicemente chi le abitava stava riposando?

« Mà, Eccoti... Eccomi! » allargò le braccia.
Non appena la porta mostrò l’interno della stanza, Kevin avrebbe potuto vedere nel buio una flebile luce di una lampada sulla parete grigia, proprio dietro al letto, in alto. Spostata al centro del materasso una figura appena visibile, celata in parte dal Folle. Il Signor Shelby non aveva ancora varcato la soglia e osservava la donna seduta di spalle, con lo sguardo rivolto verso la finestra chiusa. Lunghi capelli arruffati le coprivano parte della schiena, erano grigi e sporchi; alcune ciocche formavano dei veri e propri locks. L’odore non era dei migliori, un miscuglio di puzze di dubbia provenienza. Era muffa? Piscio? Naftalina? Sicuramente il biondo avrebbe dovuto avere uno stomaco bello forte.
« Cosa fai qui Finn, ho detto che non voglio ricevere alcuna visita oggi. Non voglio nemmeno sentirti parlare, se hai dei stupidi fiori posali pure lì e vattene! » disse M.me Shelby con estrema freddezza. La voce era rauca, faticava a parlare e tra una parola e l’altra respirava cercando di immagazzinare più aria possibile.
« Niente fiori oggi, niente di niente » rispose l’uomo mentre tornò a mettere mano nella tasca. « Ho bisogno di prendere quel coso. Sì, quel coso... Quello, mi hanno promesso... Mi hanno promesso... »
« Cosa? Una dose in più Finn? Non di certo morirai per mano mia… Non ti darò nulla e, anzi, ora chiamo Lizzie » Lo interruppe la madre, poi fece per allungare la mano verso il telefono poco distante sul comodino.
In quell’istante Shelby varcò la soglia definitivamente chiudendo la porta dietro alle proprie spalle. Kevin avrebbe fatto giusto in tempo ad infilarsi nella stanza, poi sentì la porta sbattere.

« Sono certo che dirai di sì Mamma. Quella puttana non farà proprio niente… Niente, niente, niente... » tornò ad oscillare avanti e indietro, a battere le dita sulla testa; dalla tasca uscì finalmente un fodero in legno che strinse nella mano. « Il gioiello, quel cazzo di gioiello... Dammelo... Dammelo! » Fece un passo in avanti mentre con uno scatto una lama affilata scintillò nell’oscurità: un serramanico a scatto, Kevin poté vederlo senza alcuna difficoltà.
La donna si voltò finalmente, il suono non aveva attirato la sua attenzione. Il volto segnato dal tempo rimase impassibile, come se gli occhi avessero visto già quella scena più e più volte.







 
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view post Posted on 22/2/2021, 00:18
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Non provava pena per la pazzia di Shelby. Questi era il tipo di individuo che non avrebbe generato empatia neppure se si fosse trovato in fin di vita. Dunque, pur riconoscendo che non esisteva follia senza giustificazione, che spesso si esplicava in una grande e incompresa sofferenza, Kevin guardava all’uomo con distaccato disprezzo. Il suo fischiettare si rivelò per lui un fastidioso accompagnamento, che sollevò un dubbio circa la reale necessità del Felpato castato in precedenza, tanto Shelby pareva immerso in pensieri sconnessi. Il ragazzo lo seguì con cautela, mantenendo salda la presa sulla bacchetta di palissandro. L’imprevedibilità dell’uomo era un fattore da tenere costantemente sotto controllo.
Aprire semplicemente la porta rappresentava forse un’azione troppo scontata per una mente del genere. L’urlo, rozzo sostituto del bussare, echeggiò nel corridoio vuoto. Per un istante, Kevin si guardò intorno, cercando di captare segnali di ulteriori presenze. Nella sua fatiscenza, il piano sembrava disabitato o quantomeno estremamente silenzioso, come se ogni stanza di quella struttura rappresentasse un mondo a sé stante, ognuno fatto di drammatiche storie che era meglio tenere separate. Arlington House era l’apice della decadenza sociale e morale.
L’improvviso cigolio della porta riportò la sua attenzione sulla scena principe, che vedeva Shelby salutare la madre allargando le braccia. Kevin cercò di osservare al di là della grossa figura che si ergeva tra lui e l’interno della stanza, avvolta in una grottesca penombra, ma l’unica cosa che riuscì a scorgere fu il contorno di una figura appena visibile, illuminata dalla luce fioca di una lampada attaccata alla parete. La figura era seduta di spalle e ciò permetteva al ragazzo di notare i lunghi capelli grigi che, già da quella distanza, mostravano chiari segni di sporcizia. Madame Shelby non era dissimile da tutto ciò che la circondava.
La tetra visione fu nulla in confronto all’odore. Da quando la porta era stata aperta, una fragranza irrespirabile si era insinuata in quell’angolo di corridoio, giungendo fino a Kevin. Si trattava di un tanfo mefitico, che probabilmente univa sentori di muffa ed escrementi. Un’aria malsana che portò il ragazzo a voltare la testa, in un effimero tentativo di sottrarsi a quel supplizio che minacciava di farlo vomitare. Trattenne il fiato per qualche secondo, ma si rese presto conto della necessità di abituarsi a quella nuova condizione. Andare avanti era l’unica opzione possibile ed implicava quel grande sforzo. Dunque, inspirò.
Dall’interno della stanza giunse la risposta della donna, fredda come un pezzo di ghiaccio e alterata da una marcata raucedine. La presenza del figlio non sembrava per lei una prospettiva tanto idilliaca. Come darle torto?
In tutta risposta, Shelby si erse con testardaggine, senza però muovere un passo. La mano dell’uomo si mosse ancora una volta verso la tasca, proprio come aveva fatto in precedenza dinnanzi a Lizzie. Nel notarlo, Kevin strinse appena la presa sulla bacchetta, testando la sua prontezza.
Lo scambio di battute che ne seguì gli fece comprendere la natura della follia dell’uomo: Finn Shelby era un drogato. Non occorreva essere un Babbano per capire il senso alla base delle parole della donna. Pronto alla prospettiva di una reazione impetuosa, Kevin si mosse non appena lo fece l’individuo dinnanzi a lui e riuscì a varcare la soglia giusto in tempo, prima che la porta si chiudesse sonoramente alle sue spalle.
Avanzando verso la madre, Shelby estrasse l’arma, che si rivelò essere un coltello a serramanico. La lama scintillò minacciosa nella penombra. Il riferimento al “cazzo di gioiello”, poi, fu per Kevin l’elemento fondamentale. Non poteva averne la certezza, ma se ne convinse dal principio: si trattava dello stesso cimelio per il quale era giunto in quel posto dimenticato dal mondo.
Valutò rapidamente le sue opzioni e comprese che la necessità di mettere fuori combattimento quel pazzo di Shelby era divenuta primaria. L’uomo era riuscito a condurlo fin dentro la stanza della madre, dunque non aveva più alcuna utilità per lui. Per di più il suo atteggiamento sembrava non avere il minimo effetto sulla donna, che impassibile si era voltata ad affrontarlo. Tanto bastò per spingere Kevin all’azione, rinnegando a priori l’opzione dell’attesa.
Seppur coperto dal mantello, il ragazzo scelse comunque di muoversi con cautela nella penombra, aggirando Shelby dal lato sinistro e superandolo di qualche passo, posizionandosi tra lui e la donna, in posizione appena defilata. Era un’angolatura che gli avrebbe permesso di puntare al petto dell’uomo, e fu proprio verso quell’obiettivo che la mano destra indirizzò la bacchetta di palissandro. Senza alcuna esitazione piegò quindi il braccio portandolo verso di sé, per poi distenderlo nuovamente verso il bersaglio. Il movimento fu fluido ma deciso, e venne accompagnato dalla formula, scandita con tono sicuro e risoluto. Data la sua intenzione, la formula non-verbale sarebbe stata inutile, se non controproducente.
«Stupeficium!» Esclamò con decisione, proprio mentre il braccio tornava ad estendersi verso il fatticcio petto. Era un ordine che non ammetteva repliche: mettere Shelby fuori combattimento una volta per tutte.
Dopodiché, se tutto fosse andato come previsto, Kevin avrebbe iniziato a dirigersi verso la finestra chiusa, quella osservata da Madame Shelby in precedenza. Avrebbe mantenuto l’attenzione sulla donna, in modo da testarne l’eventuale reazione. Nel movimento, la sua voce fredda avrebbe tagliato l’aria malsana della stanza. «Voglio quello che voleva lui.» Avrebbe detto, inflessibile, ancora celato.


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view post Posted on 23/2/2021, 22:01
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« Credi che ti dia l’unica cosa che mi rimane di tuo padre? Sai che non credo alle tue minacce, lo fai sempre e poi alla fine finisci per piangere. » Madame Shelby manteneva la calma, memore di scene già viste e riviste nel tempo. Finn non era cattivo, era solo pazzo e lei, in quanto madre, riusciva a calmarlo. Non aveva paura, bensì nei suoi occhi si leggeva pena, dolore e compassione.
La donna fece per alzarsi finalmente, allungando la mano veloce sul davanzale, per poi voltarsi accorciando le distanze.
« Oh, tesoro, vieni qui... » Il braccio destro andava lentamente a tendersi in direzione del figlio, pronta a prendere l’arma che stringeva in pugno. L’avrebbe afferrata, tolta dalle mani di Finn, aggiungendola alla collezione che teneva nel secondo cassetto del comodino, l’unico senza la chiave all’interno della serratura. Tuttavia, ogni volta che si ritrovava in questa situazione era solita premunirsi di qualcosa che l’avrebbe protetta il giorno in cui non sarebbe stata più in grado di farcela. Il giorno in cui suo figlio l’avrebbe uccisa.
La mano del folle tremava di fronte alla madre. Non ebbe il tempo di dire nulla né di essere raggiunto dalla donna quando improvvisamente venne colpito in pieno petto. Come un fantoccio venne spinto da una forza sconosciuta, un fascio di luce rossa e una parola come unico riferimento, che lo scaraventò contro la porta lasciandolo svenuto a terra. Il tonfo fece vibrare le pareti e la polvere cadde sul sudicio pavimento. Kevin, nel silenzio, avvolto dal mantello, era avanzato e in velocità aveva preso posizione mettendo a segno le proprie intenzioni.
Il grido di Madame Shelby fu assordante. Urlò il nome di suo figlio e il terrore si impossessò del suo corpo.
Il felpato cessava di esistere e quando il giovane mago tentò di spostarsi lo scricchiolio del pavimento attirò lo sguardo della donna.
« Voglio quello che vuole lui. » La voce calda e inflessibile scaturì su quest'ultima un lungo brivido intenso che le percorse l’intera spina dorsale: era consapevole di ciò che stava accadendo.
Ella, spinta dall’istinto si buttò in direzione di quel suono e, in un rapido movimento, estrasse il pettine a punta che stringeva nella mano. Un colpo secco che indirizzò nel vuoto ma che colpì il braccio di Kevin, all’altezza del bicipite conficcandosi perfettamente nella carne, il quale accusò quel colpo inaspettato.
(-5PS; -3PC)
Madame Shelby conosceva bene quella realtà, ci aveva vissuto per anni affianco a suo marito. Lui era morto e lei nel tempo non aveva fatto altro che scappare. Era stata sempre pronta a quel momento.
Quando colpì la sconosciuta figura, si accertò della presenza di un mago nella stanza; tirò via il pettine e indietreggiò. Il sangue sgocciolò sul pavimento, tracciando perfettamente il movimento.

« Cosa… Cosa hai fatto a mio figlio, eh? Non avrai niente da me, codardo. Rivelati! » sputò in direzione del sangue colpendo il mantello ancora invisibile. In fine, appoggiò le spalle al muro, il cuore batteva forte in petto ma la paura continuava a celarsi dietro uno sguardo freddo e sprezzante.





Kevin P. Confa
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view post Posted on 18/3/2021, 22:47
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La calma con la quale Madame Shelby affrontava il figlio era la conferma di quanto fosse per lei abituale una tragica scena come quella. Seppure accadesse sulla scia di una follia malsana, essere minacciati in tal modo dalla propria discendenza diretta non doveva costituire cosa facile da accettare. Non tutti avrebbero saputo gestire un simile scenario, ma ella sembrava una donna decisamente forte, temprata dal tempo e da chissà quale Fato avverso. Forte, certo, ma anche estremamente protettiva, almeno a giudicare da come si pose nei confronti del pericoloso figlio. Kevin decise di tenere bene a mente tale dettaglio.
L’oggetto che desiderava Finn Shelby era appartenuto al padre. Il ragazzo recepì questa piccola informazione che poteva rivelarsi importante come inutile, poco prima di schiantare il matto a qualche metro di distanza. L’uomo non raggiunse mai le braccia compassionevoli della madre, poiché il raggio di luce rossa che scaturì improvvisamente dalla bacchetta di Kevin lo colpì in pieno petto scaraventandolo con forza verso la porta. La rumorosa caduta del corpo privo di sensi scosse l’intero ambiente ed alzò una quantità immane di polvere.
Madame Shelby urlò. Un urlo straziante, degno di una madre in pena. Il resto accadde in fretta, prima che il ragazzo potesse reagire. La donna si voltò verso di lui al rumore dei suoi passi e parve trasformare il terrore in consapevolezza in risposta alle sue parole glaciali. Il secondo dopo, con uno scatto improvviso che solo l’istinto di sopravvivenza poteva dettare, gli fu addosso. Kevin avvertì una fitta improvviso e lancinante al braccio sinistro e si accorse immediatamente che qualcosa era penetrato nella carne all’altezza del bicipite. Fu il suo turno di urlare, di dolore e rabbia, mentre la donna scivolava nuovamente al di fuori della sua portata.
Imprecò intimamente, cercando subito di constatare l’entità del danno. Vista al di sotto del mantello, la ferita non sembrava eccessivamente profonda, ma il sangue aveva già iniziato a gocciolare al di fuori macchiando gli indumenti. Strinse i denti per contrastare il forte dolore ed irrigidì il braccio, comprendendo che avrebbe dovuto porre rimedio alla cosa quanto prima, soprattutto se si fosse verificata un’emorragia. Non era mai saggio sottovalutare una ferita.
Il secondo dopo, Madame Shelby sputava nella sua direzione imprecandogli di rivelarsi, prima di indietreggiare con le spalle al muro. Kevin resistette all’impulso di rispondere rabbiosamente all’aggressione appena subita e, anzi, comprese lucidamente come fosse ormai inutile continuare ad indossare il mantello. Con un movimento deciso del braccio “buono” sfilò dunque la cappa dalla sua testa e cercò di cacciarla rapidamente nella borsa agganciata alla cintura. Un gesto risoluto, veloce, che avrebbe sancito definitivamente il suo rendersi visibile agli occhi della donna.
Eppure, una silenziosa convinzione aveva già iniziato a prendere forma nella sua testa sulla scia della reazione repentina che questa aveva avuto in occasione della sua inaspettata apparizione. Per quanto istintiva, la mossa di Madame Shelby presupponeva una lucidità mentale di base ed una cognizione quantomeno parziale di ciò che stava accadendo attorno a lei. Ella non aveva semplicemente ipotizzato la presenza di una persona celata nella stanza – una mossa probabilmente inusuale per un Babbano ignaro ed impaurito, per quanto Kevin avesse enunciato l’incanto ad alta voce – bensì sembrava aver compreso in una frazione di secondo la presenza di una terza persona invisibile ai suoi occhi, quasi si aspettasse uno scenari del tutto particolare come quello.
*Sa cosa sono.* La mente del ragazzo diede forma a quella convinzione e, sulla scia di tale pensiero, confermò come non servisse più a niente nascondersi, e non solo in termini fisici.
«Tu sai perché sono qui.» Avrebbe detto con gelida consapevolezza una volta riposto il mantello, indirizzando la bacchetta di palissandro contro il petto della donna. L’avrebbe guardata al di là della penombra direttamente negli occhi sprezzanti, sfidandoli a vacillare. «La collana. Tirala fuori e poggiala sul letto. Fallo, e me ne andrò senza farvi del male.» Il tono non avrebbe ammesso repliche, allineandosi al carattere inflessibile e glaciale delle iridi etero-cromatiche. I denti stretti per il dolore al braccio gli avrebbero fatto assumere un aspetto genuinamente feroce.
«Altrimenti...» La bacchetta sarebbe stata quindi indirizzata verso il corpo di Finn Shelby, ormai a terra privo di sensi. «...assisterai alla morte di tuo figlio, prima di affrontare la tua.» Le sue intenzioni sarebbero apparse terribilmente chiare, poiché non avrebbero lasciato spazio al fraintendimento. Si era spesso chiesto se sarebbe arrivato addirittura ad uccidere per raggiungere lo scopo della missione: in quel preciso istante, l’interrogativo avrebbe perso ogni consistenza. Avrebbe fatto i conti con la parte più oscura di sé.
«La collana. Adesso.» Avrebbe ribadito con tono glaciale, preparandosi a reagire in base alla scelta della donna. Se ella non avesse agito insensatamente, sarebbe stato poi possibile pensare a quella maledetta ferita.


PS: 188/193PC: 128/131 PM: 149/149 PE: 28


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view post Posted on 9/8/2021, 21:26
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Madame Shelby rise isterica. Le parole dello sconosciuto non avevano avuto alcun effetto su di lei, se non quello di schernirne ogni singola sillaba da lui pronunciata. Sì, perché la donna non aveva paura delle minacce che egli le aveva rivolto.
«Mio figlio è già perduto, così come lo sono anche io… Lasciarci morire sarebbe quasi un regalo» si spinse in avanti, studiando con attenzione quel volto a lei completamente estraneo. «Vuoi uccidermi? Fallo» sorrise con disprezzo mentre gli occhi nocciola indugiavano sulla figura dinanzi a sé. Nella semi oscurità le iridi parevano prive di qualsiasi emozione; forse era arrendevolezza o apatia quella che da tempo provava e che rivestiva il proprio volto invecchiato. Le rughe solcavano la pelle, delimitando fronte, guance e mento. Sebbene il tempo e la situazione avevano segnato il viso donandole un’età che non le apparteneva, si poteva ancora dire che fosse stata una bella donna in passato; allo stesso modo si poteva dedurre di quanto fosse stanca. Madame Shelby, non avrebbe fatto altro che aspettare la propria morte dentro quella stanza dove viveva da anni ormai. La morte fisica di per sé, poiché lei era già morta quando suo marito le era stato portato via anni fa.
Quelle minacce, così, le risultavano parole di grazia alle quali si sarebbe inginocchiata e, invece di rispondere in lacrime, pregando di essere risparmiata, avrebbe supplicato di porre fine alla sua esistenza. C’era però qualcosa che lei non riusciva a fare: non avrebbe mai dato alcuna soddisfazione al ragazzo, né si sarebbe liberata tanto facilmente di quella collana senza lasciare un segno ben marcato.

«Perché indugiare?» Chiese, allora, mentre con le mani dietro la schiena accorciava sempre di più la distanza. «Sei solo un ragazzino... E, guardati» fece segno con la testa in direzione dello specchio alla sua sinistra, proprio dietro la porta chiusa attaccato al muro «probabilmente potresti essere meglio di così» e solo allora portò le mani lungo i fianchi e lasciò cadere il pettine a terra macchiando ulteriormente il pavimento. Lo sguardo poi andò ad analizzare la ferita sulla spalla del mago, un solco abbastanza profondo da cui ancora fuoriusciva il sangue macchiando il tessuto della maglietta. (-3ps; -1pc)
«Fallo. Uccidi me e Finn, liberati da questo peso e prendi quello che vuoi» allargò le braccia con estrema sicurezza ma con il cuore in gola. «Povero figliolo il rimorso sarà il tuo più grande incubo» gli sorrise e questa volta l’espressione mutò in pietà. «Buona ricerca, allora» concluse in attesa della sua mossa.
Non sarebbe stato facile per Kevin porre fine a tutto quello, o forse sì? Quale sarebbe stata la scelta migliore? C'era un’alternativa? La collana era in quella stanza ma quale sarebbe stato il modo giusto per cercarla?





Bene Kevin, vi è un vero e proprio scontro con Madame Shelby a te le future scelte. Data la mancata cura, continuerai a perdere -3ps e -1pc fino a che non porrai rimedio alla ferita sulla spalla.

 
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view post Posted on 18/9/2021, 23:30
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La risata isterica di Madame Shelby lo raggiunse, ma non causò in lui la minima reazione. Le parole che seguirono poco dopo gli suonarono lontane, irrilevanti in confronto alle domande che giungevano come un sussurro dall’intimo profondo di sé stesso. Chiedevano chi egli fosse veramente, cosa cercasse, cosa volesse davvero.
“Perduto”. Fu quello l’unico termine che udì veramente, in quanto riusciva a connetterlo ad una visione di sé che lo aveva accompagnato nel corso degli anni passati. Per lungo tempo quella singola parola era riuscita a descrivere correttamente la sua condizione, fin da quando il suo smarrimento era iniziato, portandolo a camminare su una strada ignota della quale perfino ora ignorava la destinazione.
Una sorta di mantra, tuttavia, insisteva ad accompagnarlo lungo quel sentiero impervio; la sete di Conoscenza, di Potere, la volontà di attingere alla manifestazione più intensa e maestosa della Magia, a prescindere dalla sua natura, e anzi il fascino di cui si ammantava tutto ciò che era proibito, oscuro.
Adesso, l’unica cosa che sentiva di aver davvero perduto era proprio l’immagine di bravo e acerbo ragazzo con la quale era stato dipinto ad Hogwarts da chi non era stato in grado di scavare al di là delle sue iridi etero-cromatiche e sondare l’universo delle emozioni che nascondevano. La stessa immagine che sembrava vedere la donna sconosciuta in quel momento.
L’arrendevolezza di Madame Shelby lo irritò a tal punto da rendergli difficile non esibire un’occhiata colma di disprezzo, lo stesso che lei sembrava provare nei suoi confronti. Aveva vissuto nell’apatia abbastanza tempo da poter comprendere l’inutilità del meccanismo autodistruttivo di cui si faceva portatrice. Il fatto che ella si arrendesse così dinnanzi alla morte, perfino a quella solo minacciata, da un lato la rendeva indegna di continuare a vivere la sua inutile vita e, dall’altro, generava invece in Kevin la volontà di condannarla a farlo per non accontentarla in quel suo egoistico e difettoso desiderio.
Il sorriso sulla faccia segnata dal tempo sembrava una sbavatura che, stonando rispetto al contesto circostante, riusciva a catalizzare su di sé lo sfogo interiore del ragazzo. Nacque in lui il desiderio di sopprimere quella componente asincrona, quasi fosse il fulcro del problema.
“Perché indugiare?” chiedeva la donna, avvicinandosi lentamente a lui. La bacchetta di palissandro ne seguì ogni minimo spostamento, mentre Kevin assottigliava lo sguardo alla conferma del fatto che ella vedesse dinanzi a lei un banalissimo “ragazzino”. Come tanti, era incapace di guardare oltre, di comprendere il fatto che chiunque poteva sì essere meglio di così, ma anche molto peggio. Sembrava che la vita avesse reso il suo corpo e la sua mente completamente insensibili a qualsiasi emozione. Pareva addirittura che ella non stesse accettando la fine, quanto piuttosto che non l’avvertisse neppure arrivare lentamente con le sue mani invisibili ma pesanti pronte a serrarsi attorno al suo collo raggrinzito.
Dopotutto, proprio come Madame Shelby era solamente l’ombra sbiadita della bella donna che era stata, il ragazzo che le si parava dinnanzi non era altro che lo specchio di un animo colmo di turbamento, la punta di un iceberg profondamente immerso in gelide acque. La donna non poteva saperlo, ma c’era molto di più di ciò che restava visibile nella superficie. C’era sempre stato.
Quando il pettine insanguinato cadde dalle mani di lei, cozzando con un suono sordo contro il pavimento, il braccio che sosteneva la bacchetta fu attraversato da un fremito. L’impulso sembrava viscerale, ma Kevin non sentiva alcuna emozione a sorreggerlo. Aveva il pieno controllo del suo corpo, avvertiva il dolore costante laddove l’arma era penetrata nella carne, ma la sua mente pareva essersi svuotata di qualsiasi componente emotiva, anche la più banale. Non provava più pena per la donna, e nemmeno rabbia; il disprezzo montava, ma era paradossalmente schiavo della stessa indifferenza che ella ostentava davanti a lui e che sembrava vivere la sua manifestazione più totale nella testa del ragazzo.
«Povero figliolo, il rimorso sarà il tuo più grande incubo.» A quelle parole dal carattere tragicamente materno, le iridi etero-cromatiche si soffermarono su quelle nocciola parzialmente oscurate dalla scarsità di luce e ne sondarono l'inespressività. Comprese come non avessero più niente da dire, così a lui come alla vita. Non avrebbe trovato in esse, e quindi nella donna, risposte utili alla sua ricerca. Con molto distacco, dunque, avrebbe agito di conseguenza.
«Conosco il rimorso e gli incubi che porta con sé.» Asserì con voce neutra, estranea. La bacchetta di palissandro si alzò di qualche centimetro, senza incertezza. «Tu non ne farai parte.» Si sentì concludere, nel più gelido dei modi. Nella sua testa, ciò che stava per fare era già accaduto.
L’indifferenza si tramutò rapidamente in odio, sulla scia del disprezzo che provava; per Madame Shelby, per sé stesso. Ma era ciò che intimamente desiderava, quasi fosse ansioso di mostrarsi per il mostro che era realmente, giacché aveva sempre saputo di esserlo.
Il braccio si mosse rapido dall’alto verso il basso, con moto obliquo indirizzato verso il collo della donna. Fu come brandire una sciabola invisibile, fendere con essa l’aria che lo separava dal suo bersaglio, che separava lei da una ferita mortale. «Sectumsempra.» La formula della Maledizione Dissanguante venne enunciata senza la minima esitazione, la stessa condizione che comandava una presa ben salda sulla bacchetta. L’intento che guidava ogni movimento, ogni parola e pensiero era quello chiaro di fare del male alla donna, di tagliarle la gola di netto e senza la minima pietà.
Si era spesso chiesto se sarebbe arrivato ad uccidere per raggiungere il suo scopo. Sapeva già – dentro di sé, e a prescindere dall’esito delle sue azioni – di essere riuscito a darsi un’incontrovertibile risposta che lo avrebbe cambiato per sempre.


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- Bacchetta: Legno di Palissandro, Piuma di Diricawl, Semi-Rigida, 12 Pollici e mezzo. [In mano]
- Medaglione dorato con sopra incisa una rosa (Privo di valore magico. Un dono da parte di Margaret Elisabeth Wiggley) [Appeso al collo]
- Cappello del Falco: Cappello da passeggio, ma usabile in innumerevoli occasioni. Elegante, è ottimo per confondersi anche tra i Babbani. Chi lo indossa vedrà la propria vista e l'autostima aumentare. [In testa]
- Sacchetta Medievale:[Agganciata alla cintura] [Possibilità di contenere 5 oggetti di medie dimensioni]
Al suo interno:
- Mantello della Disillusione: Se il tuo corpo è ben avvolto in questo tessuto, esso sembrerà donarti l'invisibilità. [Riposto]
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Il sorriso asettico di Madame Shelby fu l’ultima cosa che riuscì a scorgere il giovane mago. Gli occhi oscurati da una patina sottile lo fissarono senza volgere altrove, nemmeno quando il dolore la colpì alla gola e fu costretta a portare le mani al collo. Strinse sentendo il calore avvolgere le dita, scivolare sul collo. Il respiro un rantolo assordante mentre il petto si dilatava e comprimeva in una velocità convulsa. I suoi occhi cercarono Finn ancora a terra incosciente. Provò pena e liberazione; poi piacere, estrema grazia per una fine che attendeva da tempo nella speranza di rivedere il defunto marito.
Era fatta. Kevin l’avrebbe guardata cadere a terra. Un tonfo secco e poi...

Silenzio.

La semioscurità che riempiva quella stanza parve anch’ella vacillare: il tremolio della luce rese buio quel luogo per esigui secondi poi tornò a marcare i corpi a terra, addossando colpe evidenti all’unica persona rimasta in piedi dinanzi a quello scempio. Kevin. Il ragazzo avrebbe potuto sentire la paura attecchire sulle spalle per un crimine che con gelo aveva commesso. Un crimine che l’avrebbe cambiato e plasmato in una forma diversa. Il mostro interiore aveva preso il sopravvento e quel briciolo di coscienza che gli era rimasta lottava per resistere al buio. Kevin era immobile dinanzi ai suoi peccati, fermo con il cuore che ticchettava forte nel petto come una bomba ad orologeria pronta a scoppiare da un momento all’altro. Tuttavia, l’obiettivo doveva essere portato a termine ed ora non gli restava che cercare.




Siamo agli sgoccioli, recupera ciò che ti è stato chiesto. Data la mancata cura, continuerai a perdere -3ps e -1pc fino a che non porrai rimedio alla ferita sulla spalla.


Kevin P. Confa
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Gli ultimi attimi di vita di Madame Shelby ebbero luogo dinnanzi ai suoi occhi impassibili. Kevin sostenne lo sguardo vacuo della donna e ascoltò il suono della morte propagarsi dalla sua bocca, in sostituzione di un sorriso già inespressivo che si spense lentamente e una volta per tutte. Vide il sangue uscire copioso dalla gola di lei, macchiando di un rosso indelebile le mani serrate attorno al collo ed il petto convulso. Una frazione di secondo dopo, il corpo della donna cadde al suolo e fu la fine di quella vita tormentata. A ritrovarsi macchiate, adesso, erano le mani del ragazzo.
Il silenzio che ne seguì fu assordante, incontrastabile. Solo quando la stretta sulla bacchetta di palissandro si alleggerì, il Tassorosso realizzò di aver commesso un omicidio. Aveva causato la morte di una persona, compiendo un passo dal quale non sarebbe più tornato indietro. Scoprì il cuore martellargli nel petto come mai prima di quel momento, sintomo evidente della irrefrenabile cacofonia di emozioni, sensazioni e paure che affollava la sua mente. In quel turbinio, probabilmente non sarebbe riuscito a distinguerle neanche se ci avesse provato. Non cercò di mettere in discussione quella presunta convinzione.
Si era rivelato in grado di compiere un gesto così mostruoso, dilaniando la sua anima in maniera incontrovertibile. Tremiti appena percettibili gli attraversarono il corpo come gelide carezze. Che fosse il richiamo della Morte? Il terreno sotto ai suoi piedi parve perdere di consistenza, ma le gambe non cedettero. Kevin restò in piedi nella semi-oscurità, fermo dinnanzi alla distruzione che aveva causato. Era una cosa orribile, eppure così potente. Destabilizzazione, ma non debolezza. Anzi, nella sua espressione non vi era il minimo segno di incertezza, e forse neanche di pietà.
Andava contro la natura dell’uomo arrogarsi il diritto di togliere la vita di un altro essere umano, ma era ciò che il Tassorosso aveva appena fatto: aveva scelto di andare contro natura, di tramutarsi nel mostro che era sempre stato. Comprese come la strada da lui intrapresa avesse un prezzo che era effettivamente disposto a pagare. Quel giorno lo aveva dimostrato, spazzando via ogni dubbio: era pronto a uccidere pur di arrivare al Potere, alla Conoscenza. Si trattava di una condanna, ma al tempo stesso di una liberazione.
Era tuttavia paradossale, perché una parte di lui era inconsciamente consapevole – nonostante la scarsa lucidità del momento – che di liberazione non si sarebbe trattato. Un demone interiore lo avrebbe accompagnato per sempre, serrando i suoi artigli fin dentro al cuore del ragazzo. Non se ne sarebbe mai liberato, ma avrebbe potuto imparare a conviverci. Era solo troppo presto per capirlo.

“Getta quella Maschera di bravo bambino che ti sei creato. Abbraccia la tua origine, non rinnegare il tuo stesso sangue.” Non riuscì a spiegarsi perché proprio quelle parole gli tornassero alla mente. Erano sepolte nell’abisso più recondito della sua coscienza, così come la persona che gliele aveva dette. Forse aveva scavato troppo, raggiungendo il fondo. Dopotutto, quella stessa frase rappresentava l’inizio di un processo che proprio quel giorno arrivava a compimento. Kevin era cambiato, per sempre.

Non seppe dire dopo quanto si mosse, riprendendo il controllo sul suo corpo. Abbassò la bacchetta; la sua guerra interiore era finita. Era un assassino, e con tale consapevolezza avrebbe dovuto proseguire la sua esistenza.
La ferita continuava a sanguinare ed il braccio sinistro era attraversato da un fastidioso formicolio. Eppure, accoglieva il dolore quasi fosse un vecchio amico: lo faceva sentire vivo. Si guardò attorno, sincerandosi che Finn Shelby fosse ancora al tappeto, ignaro della morte della madre. La lucidità parve tornare, ricordandogli che si trovava lì per uno scopo preciso; che aveva ucciso per quello. Le iridi etero-cromatiche sondarono la penombra attorno a lui, alla ricerca di un particolare che aveva notato al suo ingresso nella stanza. Si fermarono sul comodino al fianco del letto; il secondo cassetto era l’unico senza una chiave all’interno della serratura. L’istinto lo fece avanzare, lentamente ma senza incertezza. Passò oltre il cadavere della donna e raggiunse il mobile in legno. La bacchetta di palissandro si alzò nuovamente, indirizzata con precisione verso il piccolo foro di apertura. «Alohomora» La voce ferma, decisa.
Se l’intuizione si fosse dimostrata corretta, l’interno del cassetto gli avrebbe restituito l’oggetto per il quale si trovava in quel luogo dimenticato. Lo avrebbe recuperato, adempiendo alla sua missione. Aveva ucciso per quella collana, della quale ignorava lo scopo. Capì come quel dettaglio fosse per lui insignificante; ciò che contava realmente era il fatto che Lui lo avrebbe ricompensato. Non gli importava di recitare il ruolo della pedina, di aver legato una volta per tutte corpo ed anima all’oscurità. Per quanto arduo potesse sembrare, Kevin era adesso consapevole che non si sarebbe mai piegato.
L’unica cosa che desiderava era abbandonare quel posto macchiato dai suoi peccati e lasciarsi alle spalle un pezzo di sé stesso che non gli sarebbe stato mai più restituito.


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Il concetto di morte è sempre accompagnato dalla parola “fine”. Destino certo che fa parte dell’essere umano. Eppure, la speranza rimane un appiglio al quale ci si aggrappa dopotutto, anche dinanzi alla realtà dei fatti. Le sensazioni provate da Kevin, dopo quello che aveva fatto, furono un tumulto acceso di battiti irregolari, fiato corto e pensieri che - come un fiume in piena nella testa - si sovrastavano percorrendo la stessa traiettoria.
Sul viso pallido e contratto il ragazzo manifestava uno stato d’animo apparentemente sicuro che ben presto, però, avrebbe scoperto essere ben peggiore di quanto pensava. La consapevolezza di essere un mostro avrebbe scelto per lui le strade da percorrere senza, probabilmente, la possibilità di redimersi. Si sarebbe davvero lasciato andare a quel destino? Una domanda a cui avrebbe trovato risposta in futuro. Nella stessa strada incerta che avrebbe percorso senza alcuna esitazione; questo pensava. Tuttavia, era troppo presto per averne certezza.

La ferita pulsava sul braccio. La macchia di sangue aveva impregnato il tessuto di un rosso purpureo. Kevin era riuscito a gestire il dolore, nonostante il formicolio e le contrazioni continue. Spingendosi verso il cassetto chiuso a chiave con un semplice incanto riuscì a far scattare il meccanismo di apertura, rivelando quanto vi fosse nascosto all’interno. Per lo più lettere spiccavano al lato destro dei confini di legno, con una foto ricordo di Madame Shelby e suo marito. Al centro uno specchio rotto, mentre sull’estremità sinistra un panno di velluto avvolgeva il ciondolo pregiato. L’eterocromia si specchiò nei riflessi d’oro che rivestivano l’ape dalle ali spalancate. Kevin avrebbe tentato di afferrarla e portarla con sé ma fu distratto da una folata di vento alle sue spalle che lo costrinse a voltarsi.
Dinanzi e alla sua destra, rispettivamente, si palesarono due figure in nero con il volto coperto da una maschera che non avrebbe fatto fatica a riconoscere. Una si precipitò sui corpi, assicurandosi dell’accaduto, per poi smaterializzarsi con loro: Finn giaceva ancora svenuto a terra, mentre Madame Shelby, poco distante, sembrava priva di vita ma non v’era alcuna certezza. L’altra fissava immobile Kevin con la mano tesa muovendo le dita lentamente con l’invito a consegnare l’oggetto nel cassetto.



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Kevin P. Confa
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L'infinito turbinio di emozioni si auto-alimentava all’interno del suo petto. Il battito frenetico e irregolare si coniugava con il respiro leggermente affannato e sembrava non dargli pace. L’espressione di calma apparente era in realtà minata dall’incrinarsi del suo stesso essere, dall’accettazione dell’inevitabile. Per quella volta, infatti, consapevolezza non significava pace interiore. Sarebbe stata eterna condanna: un invisibile cappio posto attorno al suo collo, capace di stringersi ad ogni passo verso l’oscurità. L’incanto non aveva tagliato solo la gola della donna, ma era stato in grado di squarciare l’anima di Kevin a metà ed in maniera irreversibile. Non era possibile tornare indietro da una cosa del genere: entrava nel corpo, sotto la pelle e colmava l’abisso con tenebre ancora più buie.
Eppure, egli aveva concesso al cadavere della donna l’accenno di uno sguardo e nulla più. Che fosse a causa della trance del momento o dell’inconscia cognizione di non essere pronto a fare i conti con quella realtà poco importava, giacché era l’unico modo per andare avanti. Sarebbe giunto prima o poi il momento di riflettere sui suoi peccati, di guardare lo specchio e confrontarsi con il mostro che era diventato. Ma non era quello il tempo, né il luogo.
Per quel motivo il suo corpo si era mosso, aggrappandosi agli ultimi bricioli di razionalità che la mente aveva da offrire. Sentiva a malapena il dolore, nonostante la ferita alla spalla pulsasse silenziosa costringendo il braccio a tremiti percettibili. L’inconfondibile odore metallico poteva assumere un solo significato: il sangue impregnava ogni cosa, compresa la strada che avrebbe percorso da quel momento in avanti.
Quando il cassetto si spalancò, le iridi etero-cromatiche ignorarono istintivamente le numerose lettere e la foto della donna andando alla ricerca dell’unico motivo per il quale Kevin si trovasse in quella stanza. Il panno di velluto fu come un richiamo che lo portò infine all’agognato ciondolo. Lo osservò per qualche secondo, studiandone i dettagli ed assicurandosi che fosse effettivamente ciò che cercava. Uno stupido e inutile cimelio per il quale era arrivato ad uccidere. L’ape dorata sembrava ammantarsi di riflessi particolari, che il ragazzo non fu però in grado di osservare attentamente a causa di un movimento improvviso alle sue spalle.
Si voltò all’istante, puntando istintivamente il braccio armato contro una delle due figure appena palesatesi nella stanza. Avrebbe perfino attaccato se solo non avesse riconosciuto le maschere che coprivano i loro volti. La bacchetta di palissandro si abbassò dunque con un movimento lento, quasi calmo, controllato. Nella silenziosa semioscurità, uno dei Mangiamorte si spostò dirigendosi verso i corpi che giacevano a terra. Il secondo dopo, un rumore ne annunciava la smaterializzazione. Lo sguardo di Kevin tornò quindi sulla figura più prossima a lui: sembrava un’ombra al centro della stanza, immobile eccetto che per il braccio alzato e la mano tesa. Un chiaro invito al quale il ragazzo non poteva sottrarsi.
La mano del Tassorosso andò verso il ciondolo, afferrandolo. Una volta compiuto quel gesto semplice e al tempo stesso così significativo, Kevin si sarebbe voltato nuovamente e diretto verso la sconosciuta presenza. Sua alleata o meno, detestava il fatto che fosse apparsa lì in quel modo. Lo avevano seguito fin dall’inizio, era chiaro. Ne intuiva anche il perché, sebbene fosse frustrante accettarlo. Colmata la distanza, le iridi etero-cromatiche avrebbero trafitto le fessure della maschera. Il Mangiamorte avrebbe visto un intenso e caotico ardore nel suo sguardo. Nessun cenno di sfida, ma al tempo stesso alcun barlume di incertezza.
«Sono pronto. Portami da Lui.» Più che un ordine, un invito. Una voce adiafora che si limitava ad accettare l’inevitabile. Aveva portato a termine la sua missione e non avrebbe avuto senso restare in quella stanza un secondo di più. Non gli sarebbe importato neanche di curarsi, poiché quel dolore ovattato era l’unico appiglio che lo teneva in qualche modo ancorato alla realtà. Una realtà con cui avrebbe dovuto presto fare i conti.
Avrebbe dunque protratto il braccio verso il Mangiamorte, aprendo la mano. Questa si sarebbe rivelata però vuota – il ciondolo saldamente custodito nell’altra, abbassata – e sarebbe andata ad afferrare lo sconosciuto braccio, pronta per una smaterializzazione congiunta. Non era arrivato fin lì per consegnare il tutto a chiunque si celasse al di là della maschera. Si sarebbe rimesso all’Oscuro Signore, e a lui solo.


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view post Posted on 10/9/2022, 18:11
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Il Mangiamorte non esitò nemmeno un istante davanti all’arma che Kevin, poc’anzi gli aveva puntato addosso. Teneva il braccio disteso in attesa che l’oggetto tanto millantato gli venisse consegnato senza troppe difficoltà. Tuttavia, l’intervento di Kevin lo fece sorridere e la mano, tesa dinanzi ad egli, si spostò lungo il busto accarezzando la lunga cappa oscura. Il ragazzo non avrebbe potuto vedere il riso che dipingeva il volto della figura in maschera ma il tono della voce era inequivocabile: «Mi hai preso per un Nottetempo?» non mosse un singolo muscolo, il suono era fermo e deciso. «Vuole vederti, sì, ma ci andrai da solo.» Solo in quel momento gli voltò le spalle «Riferirò che sarai tu a portargli l’oggetto ma ti auguro di non perderlo» finì per dire, prima di sparire lasciando il giovane nella semi-oscurità.
Kevin avrebbe abbandonato quel luogo andando altrove, piegandosi alle volontà dell’Oscuro con tutte le conseguenze del caso.


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Non credo ci sia altro da aggiungere. Siamo giunti al termine di questo lungo viaggio. La tua missione è stata un successo, puoi ritenerti fortunato. Avrai bisogno di cure, recati pure al San Mungo o in Infermeria prima di fare qualsiasi altra cosa, stando bene attento alle informazioni che potresti lasciarti sfuggire e a non perdere ciò che porti con te.
Villa Malfoy ti attente, apri pure quando sei pronto.



Kevin P. Confa
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