What yields the need, St Dunstan in the East - Privata

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view post Posted on 11/11/2020, 01:59
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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if vagabonds you will follow, long paths to be swallowed. SCHEDA PG 22 y.o. OUTFIT #1, #2


Ariel A. Vinstav
"There is beauty in simplicity"
Ariel, si era ormai capito, non amava chiudere le proprie emozioni: trattenersi a volte le sembrava sinonimo di mentire – a se stessa o a gli altri – e lei che della libertà di sentire aveva fatto uno stile di vita, fino a volerci costruire una carriera sopra, non riusciva a nascondere il conflitto nel suo sguardo, né il broncio che si disegnò nuovamente sul volto al piccolo rimprovero di Jolene.
«Hai ragione.» Lo sussurrò, tendendo leggermente basso il capo mentre nervosamente passava la mano destra contro la nuca scoperta, massaggiandola. «Non sono abituata.» A cosa? A chiacchierare a lungo con qualcuno senza che l'altro si ritrovasse a scoccarle occhiate torve o prenderla in giro per le sue stranezze, senza indignarsi davanti ad una sua analisi pungente «Mi piace ascoltarti.» oppure no, era altro a prenderla in contropiede e farla lavorar di istinto, incespicando nelle sue stesse parole e promesse.
«Penso tutti abbiano il potenziale di essere straordinari o incontrare episodi o altre persone straordinarie: finché lasciamo negli altri qualcosa che ci colpisce, non penso perda di significato il valore delle parole che usiamo, se queste riservano una verità.» La mano destra risalì contro il volto, stropicciando la punta del naso lungo con il dorso della mano.
Distolse lo sguardo da Jolene, puntandolo oltre le arche vuote di St. Dunstan, verso i rampicanti verdi che circondavano una delle mura imbrunite della chiesa, testimoni del bombardamento della Grande Guerra.
«Per esempio, se dicessi a qualcuno che "è bello", non perderebbe la sua bellezza se ad un secondo incontro lo ripetessi. Se l'altra persona si entusiasmasse meno via via che mi ripeto, non sarebbe una mia mancanza: per me quella persona evidentemente è ancora bella; la questione è capire se si è felici di essere visti come "belli" o se si trova bella la sorpresa del venire definiti tali...» Sembrava pronta a dire altro, ma si ritrovò col serrare la mascella.
"Non chiedere scusa."
Sospirò sonoramente, scuotendo leggermente il capo in segno di diniego.
«Lilac Penty, Burrow Street 8b, Bibury. Dopo se non ti disturba te lo scrivo.» e probabilmente le chiederà di ripetere anche la sua via, così da potersela appuntare.
Non perse di vista le scarpe che Jolene aveva deciso di tenere appese per i lacci e d'istinto le venne da sorridere, trovando in quella scelta un atto d'empatia prezioso — che fosse voluto o meno, stavolta, non le interessava scoprirlo.
«Da piccola dicevo a mia madre mi chiamasse il vento.» Scosse leggermente il capo storcendo il naso nel trattenere un sorriso.
Una stranezza da bambini si sarebbe detto, la stessa che evitava di dire fosse una convinzione reale, inspiegabile, ma tanto naturale da risultarle parte integrante del suo modo di percepire ciò che la circondava – sapeva dove andare anche senza avere consapevolezza di dove si trovasse, o almeno così le diceva la bocca dello stomaco, la stessa che si era stretta alla vista della chiesa e le aveva detto di superare i suoi archi di pietra escoriata dalle fiamme.
Si fermò proprio sotto questi nell'affiancare Jolene, osservando i giardini di fronte a sè che il sindaco babbano di Londra aveva istituito attorno ai ruderi di St. Dunstan.
«Non che sia strano ispiri poca fiducia: non sono facile da prevedere o inquadrare, un datore di lavoro vuole senso di controllo sul subordinato ancora prima della qualità del lavoro, spesso.» era un'osservazione tanto reale e triste da essere pungente, specialmente perché la sua voce aveva mantenuto la sua leggerezza e calma, segno di come doveva essersi abituata più a ricevere porte in faccia che trovare terreno fertile per il suo lavoro – o con le persone in generale, probabilmente. «E tu? Perché fare l'infermiera?» Rigirò la domanda, senza nascondere negli occhi grandi tanta curiosità: si sporse persino col busto nel parlarle, come a volerla studiare meglio mentre elaborava la sua risposta. Nel farlo l'occhio cadde su alcune sequoie, l'una dietro l'altra: le loro chiome in prospettiva venivano attraversate solo parzialmente dai raggi del sole, creando un perfetto scalo di colori caldi e freddi, dall'arancio della luce al verde intenso delle foglie, mettendo in risalto con la penombra le venature del legno nella zona superiore dei fusti.
Rallentò il passo, scartando di lato per portarsi dietro la sequoia più vicina: avrebbe fatto un cenno con la mano destra a Jolene per invitarla a fermarsi un attimo mentre continuavano la loro conversazione.
Claude venne preso fra le mani, privato della copertura all'obbiettivo che portò fra le labbra e sollevato all'altezza degli occhi.
«Lavvori al shan munghio?» La domanda venne fatta mentre ancora teneva in bocca il coperchio e tentava di trovare il punto giusto dal quale scattare la foto. Si portò in punta di piedi, tenendo collo e braccia sollevate nel cercare di scattare la foto da una posizione più elevata: a furia di contorcersi era facile notare quanto fosse magra e flessuosa, mostrando gli incavi del costato e addominali che nel contrarsi si definivano leggermente nel contorno.
Per fare il lavoro con tanta presunta professionalità, il linguaggio del corpo riusciva a farla sembrare una bambina comunque: canticchiava un motivetto nel trovare la posizione giusta per lo scatto, muovendo su e giù il coperchio dell'obiettivo a tempo.
TLAC! TLAC!
L'otturatore scatto una, due volte, senza magici sbuffi di fumo dorato ad accompagnarlo: non erano foto in movimento, evidentemente.
«Mh?» Si voltò, abbassando la macchina fotografica e il coperchio che tornò presto a coprire il vetro.
Non si rese conto di come la luce la colpisse, filtrando dagli archi e le foglie degli alberi di fronte a sé, né diede troppo peso a come l'altra la osservasse: non perse di vista, però, come il passo di Jolene perse di intensità per un attimo, anticipando la sua domanda.
«Oh?» Sollevò le sopracciglia, sorpresa, prima di distendere il viso qualche secondo dopo, mostrando un sorriso ampio, solare.
«Certo che mi va.» Non se lo fece ripetere nemmeno due volte: con un gesto delle mani si era sfilata di dosso la cinghia della Lumière, tendendo questa verso il capo di Jolene nel tentativo di fargliela indossare e consegnarle temporaneamente la sua macchina fotografica.
«Vogliamo andare nei Giardini e vedere se trovi qualcosa da fotografare? Posso sviluppare le tue prove a casa.»
Improvvisamente tutte le scuse erano state abbandonate, accantonate sul lastricato assieme a tutti i suoi lamenti per la botta presa alla schiena: Jolene non solo era interessata a parlarle e la trovava simpatica, voleva pure imparare a fotografare?
«Miglior giorno di sempre. Ghghgh.» Felice come una bambina.
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view post Posted on 21/11/2020, 21:14
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Let there be light SCHEDA PG 20 y.o. Outfit Jolene White
something happened there,
the smell of the grass or maybe the air
Non era sempre semplice seguire i ragionamenti di Ariel, vista l'agilità con cui si muovevano tra sfumature di significato anche parecchio sottili. Lungi dallo stancarsi, Jolene li ascoltava con attenzione costante, felice di aver trovato qualcuno che non solo fosse pronto a dischiudere il proprio pensiero con simile prontezza, ma che, nel farlo, dicesse cose interessanti. C'era, in Jolene, una curiosità che la portava a tendere verso il diverso tanto quanto verso il simile, se non addirittura di più. Allenata a guardare il mondo come di tra le righe di un romanzo, era innamorata tanto delle storie quanto dei caratteri unici, e Ariel, possedendo il secondo, sembrava promettere anche le prime.
Il silenzio di Jolene in seguito alla riflessione dell'altra, dunque, non era da intendersi come distrazione; al contrario, quando la rossa si impegnava a pensare o sentire a fondo, talvolta perdeva la presa sulla realtà circostante. Successe così che il suo sguardo sfumò nel verde del giardino, e lì rimase a vagare, mentre la testa che annuiva leggermente costituiva la sua unica risposta tangibile. Non riteneva di avere, per il momento, parole che valesse veramente la pena di condividere, e il silenzio le sembrava un coronamento ben più solenne di una qualunque formula vuota. D'altronde sceglieva di tacere più spesso della maggior parte della gente e questo, lo sapeva, la faceva apparire un po' strana.
L'atto di scambiarsi gli indirizzi donava al loro incontro una piacevole sensazione di principio – così sentiva Jolene, mentre si ripeteva mentalmente Lilac Penty, Burrow Street Sb, Bilbury. Quando qualche mese addietro aveva conosciuto Ariel, non avevano avuto il modo e il tempo di pensare realmente a vedersi ancora. Il ricordo di lei era quindi sfumato tra i tanti di quell'occasione tanto assurda, l'impressione che le aveva fatto intrinsecamente legata al contesto. Una partita di Quidditch era rumorosa, confusionaria, piena di emozioni pronte ad investire gli spettatori e sballottarli tra urla di giubilo, di rancore, arpe volanti. Adesso che le accompagnava solo l'occasionale fruscio del vento tra i rami, Jolene sentiva di entrare realmente in contatto con l'altra: quel pomeriggio era dedicato a lei, il St Dunstain lo sfondo perfetto ad accogliere sensazioni ed impressioni che non dipendessero unicamente dall'ambiente. Si sentiva rilassata e allegra, come era evidente dalla voce quando, scherzosamente, disse: «Assolutamente, me lo devi scrivere. Ti devo ancora quella torta dalla partita, no?».
Poco dopo si aprì in un'autentica risata. «Il vento. Ti si addice!» Fece qualche altro passo. «Il vento e la rondine si incontrano in una chiesa abbandonata, e allora... Non so davvero raccontare le barzellette. Ma suona bene.» Si strinse nelle spalle, rivolgendole un piccolo sorriso. Muoversi tra la dolce bellezza del giardino la riempiva di buonumore, come era evidente anche dal suo passo, energico a dispetto del ginocchio ammaccato, che in effetti gli toglieva parte della sua solita leggerezza. Jolene, però, non avrebbe potuto curarsene di meno.
«Allora sono dei datori di lavoro ottusi, sentenziò in seguito, come se stesse dicendo un'ovvietà su cui non valeva la pena impensierirsi.
Le ci volle qualche secondo di più per rispondere alla domanda successiva – Perché fare l'infermiera?. Non che fosse la prima volta che glielo chiedevano, era abituata a quell'interrogativo fin da quando aveva deciso di intraprendere il tirocinio in ospedale; tuttavia sentiva che le sue motivazioni cambiavano leggermente di volta in volta, man mano che il tempo e l'esperienza permettevano la sua maturazione, professionale e non. Infine, disse: «Perché in questo momento è il modo migliore in cui riesco ad esprimere quello che voglio essere. Mi piace il lavoro, mi piace l'ambiente, la sensazione di essere utile a chi ne ha bisogno. Io sento e curo, diciamo così. E quello che sento quando ho aiutato qualcuno a guarire è straordinario». Erano quelle le parole giuste, in quel momento. Le aveva pronunciate con semplicità, perché era così che viveva il proprio lavoro – beh, quasi sempre, ma in quel pomeriggio di sole perfino le ombre erano verdi come le foglie.
Si fermò vicino alle sequoie che Ariel intendeva fotografare. Distrattamente, fece dondolare la scarpa. «No, a Hogwarts. Lì è come tornare a casa.» Tacque, e ora che non era più impegnata ad ascoltare se stessa poteva osservare. Il giardino era bello, e Ariel, pallida contro il suo sfondo di verde, era bella anche lei. Era anche piuttosto buffa, tesa in punta di piedi e intenta a canticchiare mentre, del tutto assorta, scattava qualche nuova foto. Jolene scelse di non disturbarla fino a quando non le sembrò che avesse finito, e allora le fece la sua richiesta. In un primo momento, desiderò rimangiarsi le parole: con la sua espressività cristallina, Ariel era una caricatura della sorpresa, come se Jolene avesse osato troppo. Quello non era solo un hobby, ormai lo aveva capito, la francese doveva mettere tutta se stessa nella sua arte: non era difficile, allora, immaginare che la sua macchina fotografica costituisse una sorta di oggetto magico, sacro addirittura, e Jolene comprendeva il bisogno di mantenere privati simili artefatti. Si sentì leggermente imbarazzata, ma fortunatamente il fraintendimento non durò che pochi istanti, perché subito dopo il sorriso dell'altra le confermò tutt'altra storia.
Felice, Jolene abbassò il capo per lasciar passare la cinghia cui era attaccato Claude. Sentì allora il peso della macchina fotografica contro il collo, avrebbe giurato che fosse più leggera. Abbandonò momentaneamente la scarpa sul prato, così da poter prendere tra le mani la macchina fotografica: appoggiò le dita ai lati e sotto, attenta a non premere per sbaglio qualche bottone. «Certo, andiamo anche nei Giardini. Ma prima vorrei fare qualche scatto qui.» Si fece spiegare il meccanismo, trovando che fosse tutto sommato semplice e intuitivo. Quando si sentì in grado di fare realmente delle foto, a malapena riusciva a contenere il proprio entusiasmo.
«Ok, Ariel, puoi metterti qui per piacere? Qui, un po' più a destra. Aspetta...» Si sentiva a sua volta una bambina, mentre chiudeva la breve distanza che la separava dall'altra per poterla sfiorare. Le appoggiò una mano sulla spalla, guidandola con delicatezza perché i suoi capelli catturassero nel pieno la trama di pizzo delle foglie sovrastanti. Gli occhi di Jolene brillavano, carichi di luce e dell'aspettativa di immortalare Ariel e quello scorcio di giardino mentre si fondevano così dolcemente. La bionda non riusciva a vedersi: come lei stessa aveva detto, gli altri servivano anche per quello. In quel momento, Jolene era più che mai intenzionata a prestarle il suo sguardo: a lei piaceva quello che vedeva, così non avrebbe potuto che essere lo stesso per Ariel. Se solo Jolene avesse potuto prestarle anche le sue orecchie, era sicura che l'altra avrebbe smesso del tutto di chiedere scusa quando si lasciava trascinare dalla propria voce.
«Se riesci ad inclinare leggermente la testa... Perfetto, perfetto! Merlino, se non verrà una foto stupenda!» Si allontanò con una piroetta, salvo pentirsi ad una fitta del ginocchio. Soppresse una smorfia, concentrandosi invece sul trovare la giusta angolazione da cui catturare il gioco di luci e i colori nella loro versione più incantevole. Quello non era semplice come premere un bottone, ma infine riuscì a fare un paio di scatti di cui si riteneva piuttosto soddisfatta. Quando riemerse da dietro Claude, aveva stampato in viso un sorriso a trentadue denti.
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view post Posted on 27/11/2020, 23:07
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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Ariel A. Vinstav
"There is beauty in simplicity"
«Hogwarts?» Sfarfallò le ciglia, prima di annuire lentamente e tornare a guardare l'albero davanti a sé: non aveva evidentemente messo in conto la possibilità di lavorare come infermiera a Castello, ma le bastò rifletterci qualche secondo per vedere dissipare immediatamente la sorpresa.
"Chissà che stranezze vedrà lavorando in un'Accademia?"
Stranamente non lo chiese, facendosi una volta tanto gli affari propri; inusuale, ma forse necessario per evitare che anche Jolene si stancasse a parlar con lei.
"Ficcanaso solo per mestiere" Si disse, suonando con quel fare canzonatorio non troppo diversa da sua madre.
Le salì un brivido lungo la schiena.
«Non so molto della vostra Scuola, giusto qualche informazione letta o studiata. Ma so che la Casa di Corvonero chiede indovinelli per farti entrare nella sua sede: quello è effettivamente abbastanza divertente.» Suonava calma nella voce, leggera come sempre, ma nel nominare Corvonero si ritrovò con l'arricciare leggermente il naso da dietro la Lumière, mentre metteva a fuoco una sezione del Giardino. Scosse leggermente il capo, quasi come a voler scacciare fisicamente quelle brutte sensazioni, per poi tornare alle sue foto.
«Sono diversi i modi con cui una persona può guarire dal dolore: è bello sapere di poter aiutare anche solo con uno di questi. Ma ci vuole anche coraggio: non tutto quello che avrai visto ti avrà lasciato bei ricordi.»
"Diamine"
Ecco, come al solito rischiava di andare troppo a fondo. Tanto si era detta di controllarsi e con così tanta facilità era scivolata fra le sue stesse parole, lasciando trapelare una curiosità imbastita di tante belle parole che alla fine non la rendevano troppo distante allo stereotipo che aleggiava sui giornalisti: invadenti ficcanaso senza tatto, pronti a tutto per l'informazione.
Era lì lì per scusarsi di nuovo, ma l'eco delle parole di Jolene e la loro promessa la portò ad arrestarsi dal farlo, mordendosi istintivamente il labbro inferiore subito dopo aver parlato.

Bastò che Jolene puntasse la macchina fotografica contro di lei perché i suoi pensieri venissero totalmente monopolizzati dall'infermiera
Per i primi secondi ebbe totale libertà d'azione, vedendo Ariel seguire le sue direzioni più per reazione istintiva che per effettiva consapevolezza di cosa stesse succedendo.
La guardava attonita, occhi strabuzzati nella sorpresa.
Si guardò attorno, probabilmente convinta che nel voltarsi avrebbe trovato il soggetto che Jolene voleva immortalare.
Non poteva di certo essere lei il soggetto della sua foto, no?
«Oh.»
Sorpresa ed entusiasmo si mescolarono a felicità e imbarazzo.
Le guance e la punta del naso si tinsero di rosa e le mani istintivamente trovarono riparo dietro la schiena, intrecciandosi nella disperata ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi in mancanza della macchina fotografica.
Il primo scatto avrebbe immortalato una Ariel intimidita dalla sorpresa, il secondo invece il principio di un sorriso di chi nell'imbarazzo trovava terreno fertile al divertimento: se prima trovava strano Jolene volesse fotografarla, ora l'idea la faceva sorridere con lo stesso trasporto con cui aveva donato prima Claude nel poter condividere la sua passione.
«Oh, ok ok!» Si affrettò, inclinando leggermente la testa in avanti, sfoggiando un sorriso sornione.

Quando Jolene affiorò da dietro la macchina, Ariel mostrava un sorriso della stessa grandezza.
«Non ero abituata.» Commento spensierata, senza sottolineare a cosa si stesse riferendo. Jolene avrebbe avuto tutto il tempo di chiederle cosa nello specifico le fosse nuovo, visto che lei si perse nella bellezza del giardino: fece una piroetta, due, tre su se stessa, accompagnata dall'aprirsi e chiudersi della gonna. «Ad avere qualcuno che volesse spendere il suo tempo per conoscermi, trattandomi da pari.»
La testa oscillava a destra e manca, appesantita da un sorriso che ora non riusciva più a togliersi di dosso.
«E' strano!» Trillò, prima di voltarsi di nuovo verso la maga. Saltò sul posto, strofinando la punta delle dita nude contro gli steli tesi d'erba. «ma è un bello strano!»
✕ schema role by psiche
\ e fluttuarono tra i prati per sempre, ridendo e scherzando.
Graffie della role ne è uscita tantabellezzaassai~
:<31:



Edited by petrichor. - 27/11/2020, 23:23
 
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