I ricordi si susseguivano confusamente nel suo cervello. Il peso di Jackson su di lei, quella sensazione di
sbagliato ma quella necessità di continuare perché sbagliare con lui era più facile che farlo con altri. Era più facile che pensare.
E poi l’aver rivisto Olivia. Lei, sempre bellissima senza mai doversi sforzare, senza mai ostentare. Nessuna delle due provava nulla per l’altra eppure entrambe si ritrovarono a dover dimostrare qualcosa. Entrambe si ritrovano a baciare qualcun altro, a guardarsi farlo, a provare ad attirare l’attenzione dell’altra.
*Argh.*
Sentiva di sbagliare in continuazione. E se inizialmente si era scusata giustificandosi con il classico “è l’età”, ora trovava difficile riuscire ancora a discolparsi. L’età non poteva più scagionarla dai comportamenti infantili che aveva iniziato a perseguire. Aveva sempre pensato di sé di essere matura, di aver superato quella fase bambinesca che l’aveva caratterizzata al suo arrivo al castello. Ogni giorno provava il contrario. E quindi, come una bambina, era scappata e si era andata a rifugiare, ironia della sorte, in un posto per
adulti.
Aveva la testa abbassata sul tavolo, nascosta tra le sue braccia conserte. La fronte era appoggiata sul legno fresco e per questo sospirò istantaneamente. La testa le faceva ancora male e quindi quel contatto la beneficiò subito. Voleva spegnere il cervello. Chiuse gli occhi e lasciò che le sue orecchie si concentrassero sull’ambiente intorno a sé.
Con la testa china e gli occhi serrati riuscì finalmente a distrarsi. Poteva percepire il leggero frusciò delle pagine girare, il rumore acquoso di una piuma che s’intingeva da sola nell’inchiostro, i mormorii delle persone che provavano incantesimi, studiavano o semplicemente chiacchieravano. Il rumore di una sedia tirata all’indietro le diede fastidio e sbuffò leggermente. Fu spontaneo chiedersi se ad un certo punto qualche addetto all’interno della biblioteca l’avesse potuta cacciare. Stava occupando un posto ma effettivamente non stava studiando o prendendo in prestito un libro. Non era sicura di avere la forza di alzarsi.
Con la testa ancora giù allungò giusto una mano per prendere uno zuccotto dal sacchetto che ricordò essere poco davanti, sul tavolo.
Urtò qualcosa. Alzò la testa di colpo quando percepì del liquido sulla sua mano. Scelta sbagliata. Il movimento improvviso misto alla luce solare che entrava dalle grandi vetrate, le provocò un leggero giramento prima di testa e poi di stomaco. Non avrebbe di certo vomitato perché, effettivamente, non le era rimasto assolutamente nulla da cacciar fuori. Aveva già dato tutto quella mattina. Stropicciati gli occhi allora, ebbe modo di vedere l’oggetto che aveva colpito: era un piccolo bicchiere, all’interno un liquido di colore chiaro. Fosse stata una persona sospettosa avrebbe pensato ad uno scherzo di qualche suo concasato. Nella sala comune grifondoro succedeva spesso che qualcuno lasciasse oggetti in giro per colpire i primini innocenti. Fu naturale per lei controllare con la coda dell’occhio che alla sua destra non ci fosse nessun conoscente e poi, riportando il suo sguardo sul bicchiere, lo notò: la ragazza seduta di fronte a lei aveva la borraccia aperta a cui corrispondeva il piccolo contenitore che aveva di fronte.
Trovarsi dinanzi ad un gesto così piccolo ma di tale dolcezza la lasciò interdetta. Aveva gli occhi puntati su quel bicchiere come fosse qualcosa di mistico. Non che non fosse abituata ai
piccoli gesti ma poteva aspettarselo da un amico, da Katie, non da uno sconosciuto. Prese il bicchiere con entrambe le mani, era fresco al tatto. Lo portò alle labbra e ne assaggiò un goccio mentre i suoi occhi erano ora fissi sulla figura di fronte a lei: una ragazza. Una ragazza che non poteva essere più grande di lei, questo era certo. Mary non riuscì a guardarla in viso perché questa aveva la testa abbassata. Sembrava così presa dai suoi libri, le fu spontaneo chiedersi cosa stesse leggendo. Voleva ringraziarla ovviamente, ma si sentiva quasi in colpa ad interromperla. Con la mano destra spinse il suo sacchetto di zuccotti verso la donna e poi tornò a nascondersi dietro la piccola tazza. Gustò un’altra goccia di thè e poi rivolse nuovamente lo sguardo di fronte a sé: fu proprio in quel momento che gli occhi delle due si incrociarono. A quel punto, ringraziarla era d’obbligo. Abbassò cautamente il bicchiere, con la mano destra spostò una ciocca
inesistente di capelli dietro l’orecchio.
Grazie.Il suono uscì leggermente raschiato e dunque si schiarì la voce e lo ripeté con calma. Abbassò la testa e sorrise leggermente. Sentiva di dover dire qualcosa in più, di dover in qualche modo dare una spiegazione riguardo la sua precedente posizione.
È che ieri c’era questa festa-Iniziò poco convinta, la mano sinistra si muoveva un po’ per aria come dotata di vita propria.
E quindi penso di aver bevuto un po’ troppo. E allora io-Si interruppe di colpo. Ma perché diamine stava raccontando la sua vita ad una sconosciuta? Ma poi, perché le stava rompendo le palle? Insomma, la mora di fronte a lei aveva fatto un gesto carino ma innocente e lei ora stava disturbando la sua lettura.
Ahm, scusami.Il suo sguardo nuovamente sulla ragazza. Percepiva il rossore dell’imbarazzo farsi spazio sul suo naso e si affrettò a buttare giù un altro po’ di thè per nasconderlo. Voleva abbracciare la ragazza solo per averle offerto una bevanda fredda, questo era certo.
Non volevo disturbarti. Grazie mille per il thè, davvero.Concluse, nella sua voce vi era una tale delicatezza che si sorprese anche lei. Aveva apprezzato il gesto più di quanto fosse possibile esprimere a parole. Era stata una cosa così inaspettata che aveva ancora difficoltà a crederci.
Sentì di essere inadeguata all’ambiente. In una prima fase post-sbornia non aveva realizzato quanto fosse stupido andare in biblioteca per
dormire. Appoggiò il bicchiere sul tavolo e buttò una mano all’interno dello zaino. Era convinta, sicurissima, di aver portato dietro almeno un libro in mezzo a tutti quei vestiti. Un
ah trionfante uscì dalla sua bocca quando riuscì a scovare un piccolo volume. Percepì quasi il
negroni ritornarle in bocca quando lesse il titolo.
Shakespeare's Sonnets. Aveva acquistato quel tomo praticamente un paio di giorni dopo aver parlato con Jolene White al ballo e poi, pentita, lo aveva scaraventato in fondo allo zaino con la convinzione che proprio quello zaino, non le sarebbe più tornato utile. Guardò la copertina del libro immersa nei suoi pensieri che era proprio quello che non voleva fare. Pensare. Un sospiro stanco uscì dalle sue labbra e ripose nuovamente il libro nello zaino. A quel punto prese un altro sorso di thè e il suo sguardo automaticamente andò nuovamente sulla ragazza di prima. Li sentiva quasi gli ingranaggi in movimento nel suo cervello.
*Parlo o non parlo? Che faccio? Argh.*
Che leggi?Cercò di mantenere un tono basso e soprattutto delicato. Non voleva far saltare la ragazza o farsi cacciare platealmente dalla biblioteca. Di brutte figure, quel mese, ne aveva già collezionate troppo.