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view post Posted on 29/7/2020, 18:56
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Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

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London, UK

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titolo
BROKEN

sottotitolo
CONCORSO A TEMA: LUGLIO 2020



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Ha riconosciuto la felicità dal rumore che ha fatto andandosene
Le strette mura della sua stanza sembravano volerglisi stringere addosso in una morsa senza scampo. Forse, per il caldo soffocante che c’era a Londra da qualche giorno a quella parte o, forse, per via delle urla che gli rimbombavano nella testa. Il pavimento freddo era un sollievo, ma il cuscino sulle orecchie lo faceva sudare e non sembrava attutire le grida provenienti dalla camera accanto. Erano le due di notte ed era sorprendente che nessuno dei vicini si fosse accorto di nulla: stavano sempre lì a spiare, ogni volta che Draven usciva per andare a calcio e ritardava di qualche minuto il rientro a casa sembravano tutti pronti, in massa, a fare la spia a sua madre che cominciava a chiedergli dove fosse stato, cos’avesse fatto prima di tornare a casa e un sacco di altre domande stupide che non facevano altro che innervosirlo. Aveva solo nove anni ed era abbastanza intelligente da capire di dover dare retta al genitore, ma voleva che lei lo fosse altrettanto per capire che poteva fidarsi di lui. La donna, però, per qualche motivo che lui non conosceva, non riusciva a nascondere il panico all’idea che Draven potesse mettersi nei guai, nonostante fosse sempre stato un ragazzino educato e sulle sue, che non dava confidenza ai conoscenti, figuriamoci agli estranei… Ma il vero problema era che, dal ritorno a casa di suo padre, la situazione era peggiorata. Sembrava che Cecilia non avesse altra valvola di sfogo… e se la prendeva con Draven. La più piccola sciocchezza bastava a farla scattare come una miccia, quindi aveva imparato subito che non poteva fermarsi a bere una coca-cola con i suoi compagni di squadra dopo un allenamento o una partita perché doveva tornare di fretta a casa, che non poteva fare domande, di nessun tipo, a sua madre quando erano da soli e che in nessun caso poteva restare in casa se lei non era presente e c’era solo suo padre.
Si era reso soprammobile. Fingeva di non esistere, soprattutto quando erano tutti insieme. Tra le urla, le spinte e gli schiaffi, le offese alla magia e al suo essere ‘un piccolo mostro’ voleva evitare di peggiorare la situazione. Si nascondeva dietro ai suoi libri quando lo obbligavano a stare in loro piacevole compagnia e scattava prontamente giù dal divano allo scoccare delle dieci in punto per andare a letto, anche se non dormiva, perché ogni notte si ripeteva sempre la stessa storia.


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Erano passati cinque anni dall’incidente allo zoo, quando suo padre aveva scoperto di avere un figlio mago di quattro anni con poteri bizzarri in grado di fargli rubare un pinguino. D’allora, Draven aveva sviluppato una certa avversione nei confronti degli animali. Avversione che, a giudicare dal modo in cui il cane oltre il cancello dell’orfanotrofio gli ringhiava contro, era condivisa. Non gli piaceva quel posto, tantomeno quel cane, ma era l’unico divertimento concesso a quei tristi ragazzini nelle ore d’aria. Ad un certo punto, aveva smesso di farsi piacere dal cane, perché gli altri lo prendevano sempre in giro; ma ci andava di nascosto, come se covasse in segreto la speranza di essere amato da quella creatura tanto quanto gli altri bambini. L’unico risultato ottenuto era un morso sul fianco destro che per qualche miracolo non aveva provocato ferite. Era tornato di corsa in camera sua, sperando di poter fare finta di niente, perché era stato beccato in cortile fuori orario più volte di quante ne riuscisse a ricordare in sole poche settimane, da quando era lì. Si era convinto di non piacere al cane perché riusciva a fiutargli addosso l’odore del suo essere un mago. Aveva sentito suo padre, una volta, urlare a sua madre che puzzava di strega e aveva sentito sua madre rispondergli che lui puzzava di nazista… Dall’alto dei suoi nove anni aveva reagito agli insulti andando a cercare nel vocabolario la parola nazista e aveva capito che preferiva puzzare di mago, che di nazista, anche se ciò avesse significato essere isolato dai suoi coetanei o morso da un cane. Suo padre, da che ricordava, non aveva preso bene l’insulto di Cecilia, ma nemmeno male – rispetto a come reagiva a qualunque cosa – e ricordava di esserne rimasto un po’ confuso… Perché essere nazista gli sembrava una cosa molto cattiva, ma forse a quell’uomo così arrabbiato sembrava peggio l’essere mago… In ogni caso, suo padre era morto e non avrebbe potuto offendere anche lui per il suo odore.
Per qualche ragione, gli venne da sorridere al pensiero di non dover più sentire le sue urla e sulle guance gli si formarono delle tenere fossette, ma durò un istante, perché ricordò subito e tristemente che se si trovava in quell’Inferno era proprio perché sua madre aveva ucciso suo padre. Lui lo aveva visto accadere ed era stato un incidente o, almeno, ne era quasi certo, perché sua madre gli aveva bloccato la visuale verso la cucina e poco dopo aveva semplicemente visto suo padre in una pozza di sangue; eppure, i bambini all’orfanotrofio erano tutti convinti che sua madre fosse un’omicida. Aveva cercato la parola nel vocabolario, ovviamente, e aveva subito capito che era un termine da adulti, che quindi gli altri bambini lo avevano sentito dire dalle maestre di quel posto malefico, gli unici adulti ammessi all’interno di quelle mura incrostate di muffa. Glielo ripetevano ogni giorno e l'eco del morso del cane gli sembrò quasi di sollievo rispetto a tutto il resto...
Si distese sul letto. Sentiva gli occhi gonfiarsi di pianto, ma sarebbe morto piuttosto che dare a chiunque o a qualsiasi animale la soddisfazione di farlo piangere. Strinse tra le braccia l'unico libro che gli era stato permesso di portare con sé e si voltò a pancia in giù sul letto, affondando il viso sul cuscino poco prima di essere rapito da un sonno senza sogni.

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Dovendo scegliere tra una birra e un pugno nello stomaco, aveva pensato di aver fatto la scelta giusta rifiutando la birra, ma mentre era a terra a godersi quelli che si erano tramutati in calci, quasi se ne pentì. Per un istante, tra quegli attimi adrenalinici, gli era baluginato nella mente uno strano pensiero: non sarebbe più facile bere? Ma bastava l’ipotesi che con un solo goccio sarebbe potuto diventare come suo padre per fargli venire il voltastomaco. Nulla importava che non fosse minimamente vicino all’età legale per bere, dato che aveva dodici anni… Funzionava così, nel South Kensigton. Una specie di rito di passaggio. La prima birra, la prima rissa e chissà che altro. Nel corso degli anni aveva finito col costruirsi una serie di regole comportamentali per impedirsi a tutti i costi di diventare come suo padre o come sua madre: lui era Draven e i loro geni non avrebbero compromesso il suo futuro. Ed eccolo lì, l’unico motivo per cui valeva la pena continuare a sopportare due mesi l’anno di prese in giro e di botte: il suo futuro. Non ne aveva uno nel mondo babbano, ma era stato abbastanza fortunato da averne uno nel mondo magico. E avrebbe fatto qualsiasi cosa, qualsiasi, pur di realizzarsi come mago.
Aprì gli occhi, anche se gli costò immensa fatica, quando il filo dei suoi pensieri venne interrotto dalla fine dei calci. Non era la prima volta che lo picchiavano e non era nemmeno la prima volta che quei quattro bulletti di strada evitavano accuratamente di colpirlo in faccia così che non avesse prove da mostrare contro di loro. Ridicoli, dall’alto dei loro… quanti anni avevano?! Diciotto? Vent’anni? E pure codardi.
Si rimise in piedi e d’impulso si avventò contro il più basso di loro, dandogli una testata. Gli altri tre reagirono prontamente: due lo afferrarono per le braccia per tenerlo fermo, mentre il terzo gli sferrò un pugno in faccia, d’istinto. Sul viso di Draven immacolato, apparì l’ombra delle fossette sulle guance che gli si formavano ogni volta che sorrideva. Poteva già sentire lo zigomo destro gonfiarsi in concomitanza col sapore ramato di sangue che gli invase la bocca, facendogli accentuare il sorriso. Aveva raggiunto il suo scopo: ora aveva un modo per ricattare quei maggiorenni idioti.
Pensò di aver sottovalutato la loro intelligenza quando, pochi secondi dopo, sentì quello a cui aveva dato una testata dire che se ne dovevano andare alla svelta; forse il colpo gli aveva infuso un briciolo di buon senso.
Lasciarono Draven lì, in mezzo alla piazzetta di Earl’s Court, vicino a casa sua.
Ancora con il sorriso sulle labbra e una strana soddisfazione addosso, considerando che avrebbe invece dovuto sentire solo dolore, Draven strisciò faticosamente sull'asfalto per andare a raccogliere il suo libro e si mise a sedere a terra a gambe incrociate.
Mancavano solo pochi giorni al ritorno a Hogwarts e aveva già letto tutto quello che c’era da studiare per il nuovo anno.

ma non ha avuto mai un dolore che un’ora di lettura non abbia dissipato


Edited by Draven Shaw - 30/7/2020, 01:23
 
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