Locked, Quest Occlumanzia ~ Niahndra Alistine

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view post Posted on 2/8/2020, 14:01
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Il Fato

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L’aria in casa di Hameeda è croccante. Non fragrante, né gravosa, men che meno asfissiante. È semplicemente, golosamente croccante.
Un aroma voluttuoso e speziato vibra tra le particelle invisibili che ne colmano lo spazio. Sa di semi di sesamo tostati a fiamma viva su una casseruola dal fondo spesso, ove si sono annidati i sapori di un’esistenza spesa a ricercare nel cibo una carezza che arrivi all’anima ancor prima che al corpo. E sa di caramello impreziosito da una sottile polvere di cardamomo — ad annusare l’aria, è possibile immaginare i granelli di zucchero sciogliersi poco alla volta sotto l’irresistibile corteggiamento del calore e farsi inevitabilmente dolce colata di pura concupiscenza; infine, cristallizzarsi e imprigionare per sempre la sementa.
È un profumo nuovo per Niahndra, ma lo è anche per l’abitazione nella quale trascorre i propri giorni ormai da diversi anni l’enigma che Hameeda rappresenta. E possiede un’intensità tale da rendere impossibile trattenere l’istintiva reazione del ventre e della bocca. È un richiamo che sa di tradizioni antiche, tramandate di madre in figlia per generazioni, al quale è sciocco pensare di potersi sottrarre. Esso, prepotente e dolce e pungente insieme, si lega ed emana da una guantiera di ceramica dipinta a mano, sulla quale fanno bella mostra di sé una serie di dolcetti dalla superficie dorata. Se ne riesce a percepire il sapore — anticipazione di un piacere transitorio ma indimenticabile — prima ancora di averli visti, presi tra le dita e portati alla bocca umida di desiderio.
Hameeda fa la sua silente apparizione in salotto dalla cucina con il vassoio deposto placidamente sulle palme carnose. Procede con quella sua andatura ballonzolante che non ha perso nulla in determinazione: calpesta il mondo da sempre con la reverenza di chi sappia di essere un ospite ma con la sicurtà di chi abbia imparato a difendere l’andito nel quale ha ricavato il posto prescelto per esistere. Ha l’aria imperturbabile e vigile che ne contraddistingue il piglio. Sul suo volto, le linee incise dal tempo hanno creato intrecci che le attribuiscono la solidità centenaria di un vecchio salice dalla corteccia ruvida. Eppure, la sua anima è generosa e flessibile come lo sono i rami piangenti dell’albero che incarna sotto le sembianze di donna.
Placida, ripone la maiolica sul piccolo tavolo dell’ariosa stanza ove torreggia, solenne, la libreria nella quale si cela solo una minuscola parte della sua conoscenza. Il profumo si fa inevitabilmente più intenso, quasi ardito. Sotto il sole dei primi di agosto che penetra attraverso la tenda impalpabile della grande finestra laterale, i pasticcini rilucono di una bellezza semplice e maliosa. Se avessero forma umana, viene da pensare non appena li si scorge, sarebbero quel genere di creatura dal fascino controverso e al quale, purtroppo, spesso non si sa resistere pur sapendo che sarebbe ben più saggio tenersene a distanza.
L’occhio di Hameeda, che finora è rimasto ermeticamente immerso nel lucore accattivante dei rettangoli al sesamo, si posa finalmente su Niahndra. Tra i drappi d’età che la vita ha intessuto sulla sua pelle ispessita dai giorni fattisi memorie, non si riesce a indovinare quali pensieri abbiano avuto il potere di ammantarla nel silenzio nella mezz’ora appena trascorsa e quale emozione la muova adesso.
«Dove sei, tayir saghir domanda con semplicità, atona. «Dove sei sempre
Benvenuta nella tua quest di sblocco della Vocazione di Occlumante, Niahndra!
L’ambientazione ti è più che nota e lo stesso può dirsi di Hameeda. Non dovrebbero esserci inconvenienti di sorta, in questo senso. Da qui, ha inizio l’avventura per giungere a padroneggiare il primo stadio dell’Occlumanzia.
Per dubbi o necessità, sentiti libera di contattarmi. Sono a tua completa disposizione.
Buon gioco!
 
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view post Posted on 7/8/2020, 12:04
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Niahndra non si accorge di essere rimasta sola in soggiorno. I rumori provenienti dalla cucina la raggiungono soffocati dallo sciame di pensieri che le ronza nella testa; un nugolo indistinto e indistricabile, privo di forma, pura massa. Il rumore di utensili e ciottoli compone un sottofondo stordente spoglio di qualsivoglia informazione, troppo sbiadito perché lei possa servirsene per ancorarsi al presente e colmare la distanza.
La sua attenzione sfarfalla, irrimediabilmente attratta dalla gravità che si sta concentrando dietro le palpebre, solida e al tempo stesso impalpabile. Contesa tra le due forze, Niahndra si lascia cullare dalle carezze dello stato di limbo in cui verte.
Se solo si sbilanciasse da una parte o dall'altra, molto probabilmente sarebbe in grado di visualizzare Hameeda mentre si destreggia tra le pentole, sarebbe capace di ricostruire la sequenza di eventi che l'ha condotta a casa della donna e tornerebbe presente a sé stessa; oppure, si spingerebbe ancora più in profondità in quel dedalo di pensieri per cercare di distinguere i propri da quelli altrui, i ricordi personali da quelli di seconda mano, il presente dal passato, il passato dal futuro.
Più di ogni altra cosa —un lampo di dolorosa consapevolezza fa breccia nell'ottundimento—. fatica a tracciare i confini di quel che è. I bordi sfrigolano bizzosi, trattenuti a malapena dai residui di una volontà dimenticata; tremolano con la medesima consistenza delle vampe di calore che si levano dal cemento nelle giornate più calde. La ragazza ne intuisce l'esistenza non perché è in grado di vederli direttamente, quanto più perché disturbano la visione di qualcos'altro; l'ultimo indizio di una resistenza che ormai oppone in modo istintivo più che razionale.
Non cedere, è la paura a sussurrare, il suo spirito di autoconservazione; non abbandonarti, non del tutto. Per cui lei rimane in quello spazio di passaggio senza sapere bene che fare, troppo astratta per percepire il proprio corpo, troppo pesante per elevarsi a pura consapevolezza.
Niahndra ignora le proprie dita che, metodiche, percorrono le venature del tavolo per tracciare arabeschi senza senso. È diventata brava a ignorare, a nascondere in un angolo della mente ciò che non sa spiegarsi o che, semplicemente, preferisce non vedere.
Sam non è altrettanto capace.
A quel pensiero il cuore le sprofonda nel petto, pesante abbastanza da permetterle di acquisire un po' più di corporeità per un tempo sufficientemente ampio a sentire il senso di colpa sedimentarsi sul fondo dello stomaco. Povero Sam, pensa, la cui unica colpa è quella di amarla. Povero Sam, geme, la cui natura lo porta a dare mentre quella di Niahndra a prendere e prendere e prendere. Prendere e divorare, distruggere e consumare.
Un istinto, quello, al quale non può sottrarsi perché marchiato nelle ossa e nel sangue, eredità di una famiglia che non l'ha mai voluta. Se Sam fosse appena più furbo non la vorrebbe neanche lui; ma Niah sa che non succederà mai e che anche quella responsabilità ricade su di lei. Chi l'avrebbe mai detto che essere amati è più difficile che amare?
Tituba mentre il terrore le serra la gola e la verità le risale lungo l'esofago. Esistono cose peggiori dell'essere legati a doppio filo all'aldilà, si rende conto. È possibile tramandare l'incapacità di amare? È possibile nascere con l'abbandono nel sangue? Con un destino già scritto di solitudine e durezza nel cuore?
No. Le dita si fermano, le unghie raschiano il legno come per aggrapparsi alla realtà. No, ripete, quella non è lei. I limiti del suo essere si tendono e torcono mentre tenta di espellere dalle vene quelle tossine che non le appartengono, il veleno che le macchia le cellule di una colpa non solo sua.
Pandora non può vantare su di lei più diritti di quanti Niahndra non possa vantarne su quel dannato tavolino. La sua assenza non può pesare più della presenza di Sam.
Niahndra potrà anche non conoscere l'effetto che fa addormentarsi cullati dalla voce di una mamma che ti racconta le favole della buonanotte, ma conosce il respiro regolare di un amico che si addormenta con te nel letto se hai gli incubi. Non sa com'è avere un genitore che ti insegna a pedalare, ma sa come ci si sente a rendere qualcuno che crede in te orgoglioso. Sa com'è essere confortati, incoraggiati, protetti e rimproverati da qualcuno che tiene a te.
Lo stomaco gorgoglia ed un altro pezzo di anima si ancora alla realtà. La boccata d'aria che inspira è ghiotta e carezzevole e la porta a passare inavvertitamente la lingua sulle labbra.
La ragazza rintraccia una punta di caramello in quell'inusuale mescolanza di odori ed è subito caccia agli ingredienti; il cardamomo le solletica la memoria senza rivelarsi del tutto, perciò appunta mentalmente il proposito di dare una sfogliata all'erbario che Hameeda le ha regalato.
Come evocata, l'anziana donna fa la sua comparsa in salotto sebbene ancora una volta Niahndra se ne accorga solo al suono della sua voce. La domanda la raggiunge con ragionevole facilità e, anche se un po' a malincuore, la giovane si volta mentre gli occhi tornano finalmente a mettere a fuoco il profilo dei mobili e della vecchia.
Il nomignolo minaccia di incrinare la sua espressione assorta, ma è solo per un attimo.
«Sono qui, non mi sono mossa.» Non è la bugia a bruciarle, quanto la semplicità con la quale rotola sulla lingua nonostante sappia che è inutile mentire ad Hameeda, che vede più di quanto dovrebbe.
D'altronde, quale è l'alternativa? La giovane non conosce la risposta a quella domanda, sa solo che ogni volta tornare è un po' più difficile. Forse non è tanto l'assenza di Pandora a pesare, quanto la propria. Impossibile capire quale opzione teme di più.
Lo sguardo cade sul vassoio, bramoso e impaziente, ma gli insegnamenti di Suor Prudenzia la tormentano anche dopo tutti quegli anni: "i dolci sono per i bravi bambini. Sei una brava bambina, Niahndra?"
Così tanto tempo è passato e ancora non conosce la risposta. Sa solo che all'orfanotrofio ha saltato il dessert più volte di quante non riesca a ricordare e che Suor Prudenzia la perseguita anche da morta. Forse persino di più.
«Hameeda,» chiama prima di riuscire a impedirselo «sono una cattiva persona?»
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view post Posted on 15/8/2020, 16:06
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Le parole di Niahndra vibrano sulle corde vocali e spiegano le ali, lanciandosi a picco dal bordo delle labbra morbide. Il mendacio sopraggiunge per primo a far da scudo, poi segue la verità — o una delle sue possibili estrinsecazioni — sotto forma di quesito. È nell’impellenza con la quale l’ultimo interrogativo viene al mondo e strilla il suo primo vagito che se ne può cogliere la pregnanza. Ed è nella scelta di parole generiche e specifiche insieme che si annida la complessità che vi sta dietro.
Hameeda tace un momento e un altro ancora senza mai distogliere lo sguardo dal viso della fanciulla. Un tremolio flebile delle ciglia testimonia il congetturare che la tiene impegnata, quasi che si stesse facendo spazio a gomitate tra la moltitudine di pensieri di cui è ingombro il suo spirito alla ricerca della risposta che Niahndra va cercando.
«Sei una dracaena draco» gliela consegna, infine, prima di compiere un mezzo giro su sé stessa e incamminarsi verso la cucina.
I piedi nudi, che s’intravedono sotto il bordo della lunga gonna color salvia, riproducono un suono cadenzato a contatto con le piastrelle debolmente fresche — ciac ciac ciac. La torridità estiva è penetrata attraverso le pareti, le tende di un bianco splendente e le finestre spalancate per favorire le correnti e ha impregnato la casa perché si senta ovunque la sua presenza. Il pavimento è il solo che sia riuscito a mantenere una parvenza di immunità, capace di offrire pochi minuti di ristoro contro lo spregiudicato attacco di un fuoco invisibile.
Un silenzio insolito avvolge Niahndra allorché la sagoma di Hameeda sparisce alla sua vista. Tutt’intorno, le coste dei libri, il settimino variopinto e il filo di fiori e rametti essiccati che ciondolano dal soffitto sopra la sua testa la osservano con curiosità; immobili ma vivi, sembrano custodire il significato dell’enigmatica risposta della vecchia e attendere che la ragazza lo disveli a sé stessa per raccoglierlo e custodirlo come le è stato insegnato a fare con l’erbario. Perché di una cosa si può star certi: le parole che la vicina di casa le ha rivolto non sono il delirio di un ammalato o di chi sia troppo avanti con l’età per resistere agli scherzi della senescenza; nascondono la spiegazione che un’unica frase ha tentato di riassumere.
Quando Hameeda fa ritorno nel salotto, ha un altro vassoio deposto sulle palme delle mani; lo colloca senza troppi rituali accanto alla maiolica coi dolcini al sesamo. L’accostamento è pregevole alla vista: la teiera e le piccole tazze di vetro, impreziosite da linee e ghirigori dorati in perfetto stile turco, custodiscono un liquido ambrato nel quale, come tanti pesciolini, vorticano grandi e piccoli fiori dei colori del viola e del giallo. La luce circostante, posandosi sui pasticcini al sesamo, raggiunge trasversalmente l’infuso ed è subito rifrazione. Hameeda fa segno alla sua ospite di servirsi liberamente, dopodiché si mette a sedere sul tappeto che raccoglie gli elementi di quell’angolo di stanza, incrocia dolcemente le gambe sotto la gonna per non stressare le articolazioni avanti con gli anni e prende per sé una tazzina. Solo dopo averla portata alla bocca e aver bevuto un sorso del suo contenuto coi gomiti poggiati sul tavolino, torna a parlare.
«È un albero con un fusto ritto e solido, che muta improvvisamente aspetto a mano a mano che cresce» chiarisce. Le mani, ora libere dal peso dell’infuso, gesticolano per accompagnare le parole: le ha poste l’una di fronte all’altra senza mai farle congiungere, dunque è risalita longitudinalmente e si è fermata, mantenendo la posizione. «Dal fusto, partono tanti rami che si allargano verso l’esterno e si allacciano, toccano, intrecciano tra di loro». Le dita, durante tutto l’arco dell’esposizione, si sono progressivamente distanziate e, protese all’indietro rispetto all’asse delle palme, hanno disegnato il profilo di un grande imbuto. «E hanno un bel cappello di foglie che si dimenano verso l’alto, coraggiose e fiere».
Se Niahndra si era aspettata un conforto sotto forma di negazione ed era rimasta sorpresa dalla frase con cui Hameeda l’aveva apparentemente liquidata prima di sparire in cucina, ora che le sta di fronte sembra trovarsi al cospetto di un rompicapo che sfugge ad ogni genere di ordinaria interpretazione.
«Come i rami della dracaena draco, i pensieri possono dipartirsi da un unico punto fermo e prendere direzioni autonome; farsi troppi e troppo intricati. Creano una prigione e, poi, sbocciano a loro piacimento».
Un sorso ancora di infuso, stavolta più lungo, e un altro gesto della mano, ora più perentorio, in direzione della guantiera di dolciumi.
«Tu come immagini che sia essere una cattiva persona?»


Edited by Master Adepto - 31/8/2020, 22:00
 
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view post Posted on 25/8/2020, 17:01
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Niahndra è rimasta sola in soggiorno e, stavolta, ne ha piena consapevolezza.
Espira lentamente, svuotando i polmoni di ogni traccia d'aria e —appena comincia ad annaspare— inspira con altrettanta profondità. È rimasta sola con un indovinello tra le mani.
Sa che porre una domanda ad Hameeda è come piazzare una scommessa, ma non è in grado di farne a meno; qualcosa nella presenza della donna fa sì che i dubbi si accalchino e che le parole facciano a gara per uscire fino a spogliarla delle barriere che di norma tiene innalzate, una per una. Allora, nuda e vulnerabile, la ragazza riconosce quanto sia ridicolo coprire la propria metaforica intimità e crogiolarsi nel pudore; piuttosto, lascia che le parole della vicina facciano breccia dapprima a livello subliminale e solo in un secondo momento in maniera più consapevole.
Lo Statuto di Segretezza le impedisce di rivelare ad Hameeda i dettagli più banali della sua vita, eppure, nonostante durante le loro conversazioni Niahndra sia costretta a censurare i particolari magici che costellano le sue esperienze di vita, sono rari i frangenti in cui la ragazza si sente più trasparente di così. Ha l'impressione che lo sguardo di Hameeda trapassi la carne e ghermisca la sua anima, nuda e cruda com'è: le paure, i limiti, le brutture. I freni inibitori si sciolgono perché non teme di appesantirla o spezzarle il cuore come invece accadrebbe confidandosi con Sam. Persino in quella scelta riscontra il proprio egoismo.
Dracaena draco. Il nome la ripesca dal baratro un attimo prima che lei ci sprofondi, ma oltre a ciò non le fornisce indizi utili. Non le è familiare e, soprattutto, non ha idea circa come interpretarlo.
A posteriori riconosce la propria ingenuità nello sperare in una risposta dicotomica come "sì" oppure "no" e una parte di lei si bacchetta per quell'infantile bisogno di rassicurazione esterna. Inutile negare che segretamente abbia sperato fino all'ultimo in una veemente protesta da parte di Hameeda, ma per quanto saggia e importante ai suoi occhi neppure la vecchia è in grado di concederle l'assoluzione che tanto disperatamente cerca.
Il verdetto, d'altronde, non può essere tanto semplice: quali criteri applicare? Quali prove considerare? Quali testimoni interpellare, in quel processo d'auto-accusa? Forse, nel suo modo un po' contorto, è questo ciò che l'ospite ha provato a spiegarle.
Un'altra cosa che Niahndra ha imparato con lei è che il più delle volte la pazienza viene ricompensata. Pur dimostrandosi un'insegnante severa ed esigente, Hameeda non trae alcuna soddisfazione nel vederla annaspare e avvilirsi; preferisce che la sua pupilla si sforzi da sola piuttosto che servirle la soluzione su un piatto d'argento —o, più verosimilmente, sul fondo di una tazzina—, ma non per questo è contraria a darle una spintarella qui e là per condurla sulla strada giusta. Anche ora giunge in soccorso per guidarla in quella analogia, o così crede perché ciò che ottiene è di confonderla ancora di più.
Gli occhi azzurrini seguono le dita nodose dell'altra come se potessero rivelare più delle sue parole. L'immagine che ne emerge è di un albero possente dai rami intricati e intrecciati nella maniera più imprevedibile, e di una chioma rigogliosa che cela la complessità sottostante agli sguardi esterni.
Infine, la donna le porge la chiave di lettura e Niahndra si ritrova ad annuire senza riflettere. Neppure il tronco più dritto e lineare può impedire ai rami di assumere conformazioni strampalate, facendo così del prodotto qualcosa di, se non indipendente, almeno impredicibile rispetto alle condizioni di partenza.
«Mmh.» Lo sguardo si assenta per il tempo di assorbire le implicazioni. Su una cosa, almeno, è costretta a concordare: ci sono cose nella sua testa sulle quali non ha controllo alcuno, ma dalle quali è in un modo o nell'altro condizionata.
L'esortazione della vecchia le ricorda che ancora non ha toccato niente e si affretta a rimediare. L'infuso scivola giù liscio e offre ristoro dalla calura opprimente, ma la mano che porta la leccornia alla bocca esita appena; il primo morso viene inferto solo per stizza verso sé stessa, per dimostrarsi di essere superiore a certe sciocche superstizioni.
Per fortuna, è il dolce del caramello a coprire l'amaro del senso di colpa e la domanda che le viene indirizzata le offre una scusa per posare quel che resta del dolcetto su un tovagliolo. Senza pensarci si stringe nelle spalle, di nuovo nuda e vulnerabile; rispondere implica giocoforza svelare ciò che pensa di sé e non crede di averne il coraggio.
«Me la immagino come una pianta parassita,» Il gioco di analogie è indispensabile per fingere un certo distacco. «la cui stessa esistenza è sempre a discapito di qualcos'altro. Che prospera facendo del male.»
Nonostante la difficoltà di impostare un discorso più organico nel suo complesso, i pensieri appaiono più lucidi e il nesso logico evidente; per lei, almeno. «Un parassita non può fare altrimenti, è chiaro, ma una persona…» Una persona lo fa per scelta, per necessità o perché non conosce niente di diverso. Niahndra aveva creduto di farlo per necessità, ma adesso non è altrettanto sicura; e anche l'ultima opzione rimane rimane giustificabile solo fino ad un certo punto.
Aggrotta le sopracciglia ed è evidente che parlare la conduce lungo sentieri inesplorati mentre ragiona sul momento. «Probabilmente definirei cattivo qualcuno che si rifiuta di riconoscere l'impatto che ha sugli altri e di assumersene la responsabilità.»
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view post Posted on 1/9/2020, 19:01
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«Siamo tutti parassiti, bimba, e non lo è nessuno di noi, come siamo tutti responsabili e irresponsabili ma solo nella misura in cui gli altri ci permettono di esserlo.»
Le dita ruvide di Hameeda raggiungono un rettangolo di caramello e lo portano alle labbra, ove sparisce in un sol boccone. I pasticcini hanno una consistenza croccante all’esterno — un ritmico crunch, crunch, crunch ad ogni pressione dei denti — e si aprono su un cuore morbido e speziato, che avvolge la lingua con tutta la sua stuzzicante dolcezza. È per questo che l’infuso freddo possiede, per converso, una nota di decisione che lascia sul palato un’impronta vagamente amarognola. È un gioco di compensazione e di sottili equilibri tra opposti, giostrato dalla sapienza e pazienza di una mente saggia.
Hameeda ha imparato a conoscere Niahndra e ha compreso, nel tempo speso in sua compagnia, esserle sconosciuto il terreno della medietà. Per carità, trova che sia perfettamente compatibile col periodo della vita che la ragazza sta faticosamente attraversando; un periodo fatto di emozioni prepotenti, perfino violente nei confronti della ragione. E, tuttavia, è persuasa che una parte del modus vivendi della fanciulla trovi le sue ragioni ben più in profondità di quanto possa lasciar trapelare l’accostamento a un luogo comune qualsiasi. Riesce a figurarsela senza alcuna difficoltà mentre, col piglio imperante di chi non ammetta alternative, respinge le sfumature ricomprese tra i poli opposti del bianco e del nero e le taccia del demerito dell’insicurezza. Sta proprio lì, nel caotico caleidoscopio di colori che ciascuna nuance ha da offrire, eppure, il senso della pienezza dell’esistenza.
«È questo a tenerti sveglia la notte e come addormentata di giorno, tayir saghir
Il quesito sopraggiunge con studiata lentezza affinché la considerazione di poc’anzi venga analizzata dalla sua giovane interlocutrice con altrettanta flemma. Le ha fornito una chiave di lettura ambigua, che contiene una risposta atta solo a generare altri innumerevoli domande insolubili se non a seguito di un resiliente sforzo di smascheramento di sé. Ancora una volta, ne ha consapevolezza, non le sta offrendo un responso esaustivo — la tanto bramata assoluzione dal peccato — con la solerzia con la quale, invece, le ha servito infuso e pasticcini, invitandola a ingerire l’uno e l’altro. Nasconde un piccolo sorriso dietro il profilo tondeggiante della tazza, allorché si appresta a trarre un lungo sorso dalla chicchera in vetro. Quanto a lungo Niahndra sopporterà la sua elusività?
«La sensazione di avere un peso nella vita degli altri, ma di non esserti assunta la responsabilità delle conseguenze che questo comporta?» continua, l’espressione ora seria sul viso dagli occhi chiusi. «Lo troverei molto strano» commenta subito dopo, «perché, nella mia esperienza, di solito l’irresponsabile lo è o inavvertitamente o scelleratamente. Il primo non si accorge della propria posizione e se ne disinteressa proprio perché non sa di ricoprirne una; il secondo riconosce chi è per gli altri e decide volutamente di ignorare il problema. Tu dove ti collocheresti esattamente, dunque?»
 
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view post Posted on 30/9/2020, 13:47
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Chi cerca un confronto con Hameeda lo fa a proprio rischio e pericolo. Niahndra la conosce ormai da troppo tempo per sperare di potersela cavare con solo mezza confessione né, si accorge, l’opzione l’alletta. Ha capito che quella che Hameeda offre sul fondo della tazza di tè non è la verità, ma uno specchio; la possibilità ancora più preziosa di misurarsi con sé stessi, spogliarsi dei costrutti che la mente spesso impone senza che le persone si accorgano di rimanerne schiave. L’opportunità di riconoscere e legittimare i propri desideri e i propri limiti, accoglierli e superarli. La Niahndra che si trova nel salotto della donna è una Niahndra fuori dal tempo, avulsa da qualunque pressione sentisse invece premerle contro in ogni altro istante. Una Niahndra che ha la possibilità di mettere in pausa la propria esistenza e disporre chiaramente dinnanzi a sé le proprie preoccupazioni, riconoscerle e analizzarle al fine di imparare a fronteggiarle.
La lingua passa giocosa sui denti raccogliendo i semi di sesamo rimasti incastrati dopo aver affondato un altro morso. Ascolta con attenzione le parole dell’anziana donna e abbassa un poco lo sguardo al vezzeggiativo. Non fa in tempo ad annuire o a provare sollievo per il fatto che ancora una volta Hameeda ha colto nel segno; non fa in tempo neppure a dispiacersi perché una serie di circostanze sulle quali non ha controllo la costringono ad omettere i particolari. D’altronde, il ritmo incalzante dell’altra la solleva dalla responsabilità di inserirsi nel discorso ancora per un altro po’.
Esiste una parte di lei che riconosce l’assurdità della propria convinzione e che sa che non è possibile per lei rientrare nella categoria delle persone più orribili che abbiano mai calpestato il pianeta; che quella sorta di delirio di onnipotenza rovesciato non è che un’esagerazione della propria mente, il frutto di un’educazione cattolica che non ha mai ben digerito e che —nel più probabile dei casi— lei rientra perfettamente nella media. Ripeterselo in quel salottino svincolato dal tempo non equivale tuttavia ad aver interiorizzato il concetto né comporta la guarigione automatica da tutte le sue afflizioni.
«Nella seconda categoria», sentenzia alla fine di una lunga pausa, e l’ammissione le costa più del previsto. Pronunciare le parole ad alta voce ha un che di definitivo: è prendere atto di una verità che da quel momento in poi non può più ignorare; è mettere sotto scacco la propria passività con una dichiarazione che adesso pende sulla sua testa. Hameeda le è testimone ed è con questo peso sul cuore che Niahndra scandisce la propria promessa. «Non posso più permettermi di lasciare che le cose mi capitino o di capitare a mia volta.»
Non riesce a sostenere lo sguardo della sua interlocutrice e perciò gli occhi vagano senza meta, rincorrendo il filo dei suoi pensieri caotici mentre le mani seguono a quasi lo stesso ritmo. Parlare in questi termini le costa una fatica immensa, è come andare contro natura e ne farebbe volentieri a meno se non fosse assolutamente convinta che sia necessario.
«Ho bisogno che la mia vita diventi di nuovo la mia vita e non una specie di cornice per l’esistenza di qualcun altro.» Una frase, quella, che non ha molto senso se estrapolata dal contesto che l’ha partorita solo poche settimane addietro durante una conversazione con Sam. La ragazza se ne accorge e segue un attimo di tentennamento mentre cerca un modo per rendere anche Hameeda partecipe del significato.
«Mettiamo caso che io possieda delle capacità.» Cammina su un filo sottile tra verità e segreto, ma non ha più le forze di trattenersi. «Come faccio ad impedire loro di possedere me?» Per assurdo, sospetta che Hameeda possa comprendere meglio di molti altri.
«È come come coi tarocchi» Dice, infine. «O almeno credo» Gli occhi agganciano per un attimo quelli della donna. «Hai mai l’impressione che ti parlino senza essere interpellati? Che ti sommergano con le loro storie fino al punto che fatichi a ricordarti che esisti anche tu, fuori dalle carte?»
*Perché è questo a tenermi come addormentata di giorno.*
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view post Posted on 6/10/2020, 16:26
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La semplicità della risposta di Niahndra convince Hameeda dell’ipotesi che ha avuto modo di formulare nei secondi intercorsi prima che alla sua domanda giungesse un ritorno in parole: la conclusione della ragazza è figlia della superficialità. La superficialità, che non appartiene al modo d’essere della giovane, riesce infatti a intaccarne talora i ragionamenti. Tanto non dipende da un difetto di volontà della Alistine, a dispetto delle apparenze. Se esistesse un riconoscimento per gli sforzi nel campo delle elucubrazioni, Niahndra l’avrebbe già ottenuto, riscosso ed esposto sul comò del proprio spirito, non senza una certa fierezza. Il meccanismo, per vero, si muove all’incontrario: tanto più in profondità ella si spinge alla ricerca delle soluzioni, quanto meno si avvicina all’oscuro fondale che brama di raggiungere e viene respinta verso il pelo dell’acqua rischiarato dalla luce delle apparenze.
Hameeda potrebbe tirarla a sé, un po’ più giù dove non si tocca, con una spiegazione di poche battute, ma si trattiene dal farlo. Sa che il suo ruolo consiste nello schiudere appena la porta perché un alito fresco passi dallo spiraglio aperto e dia alla fanciulla l’opportunità di scorgere attraverso la lama di luce indizi che, altrimenti, le rimarrebbero preclusi. Così, si convince a tacere. È certa che quanto ha detto finora basti a insospettire una porzione della mente di Niahndra. Tornerà sull’argomento e sezionerà parte per parte la conversazione in atto, cogliendo ciò che settimane di sussurri mefitici le hanno impedito di vedere: non potrebbe mai rientrare nella seconda categoria, giacché si è già posta il problema di comprendere quale peso abbiano le sue azioni sulla vita degli altri.
È un bene che l’anziana continui a sorseggiare il suo tè in contemplazione del buio dietro la palpebra, dal momento che la sua decisione viene ripagata dalle Parche con una moneta di oro zecchino. Le frasi pronunciate dalla Alistine sono compromettenti in un modo che nulla a che vedere con lo Statuto di Segretezza del Ministero, bensì attengono alla sua personalissima Costituzione Interiore. Ha appena schiuso un pezzetto fragile della sua anima al cospetto della persona che ha di fronte e, allungando le mani, lo ha esposto al di lei scrutinio. L’occhio di Hameeda si apre con lentezza solo dopo che la ragazza ha posto la domanda finale: per vedere ciò che le è stato mostrato, invero, non abbisogna né dell’iride né della pupilla. E non desidera che Niahndra si senta indagata con invadenza proprio ora che ha optato per una parziale nudità.
«Il mondo mi parla continuamente, bambina, e io sto sempre ad ascoltarlo perché, se lo ignorassi, otterrei solo di farlo strillare». Ciò che le risponde è criptico soltanto che chi non ha avuto modo di conoscerla. Niahndra, per parte sua, ha imparato da lei e l’ha osservata; e sa che Hameeda padroneggia molte arti e non ne possiede alcuna. Di certo, riesce a percepire cose che a molti rimangono per sempre taciute. «Se fingi di non sentire il pianto di un bambino, sai cosa fa quello? Urla più forte e più forte si dispera. Non è per capriccio. È l’unico modo che ha di farsi ascoltare, di comunicare» le spiega, sottoponendole una metafora semplice, prima di passare alla tangibilità del presente, alla questione che le interessa. «Le capacità di cui mi hai parlato potrebbero volerti dire qualcosa che non sei disposta ad accettare e, siccome non presti orecchio ai loro messaggi, potrebbero essere convinte che diventare sopraffacenti sia l’unica maniera di ottenere la tua attenzione. Nessuno di voi ha torto e nessuno di voi ha ragione. Tu non dovresti sentirti costretta a fare qualcosa che non sei pronta ad affrontare e loro non dovrebbero rimanere nell’ombra perché, se esistono e se hanno trovato il modo di contattarti, c’è una ragione. Capisci quello che intendo, bambina?»
Il tono, solitamente — e innocentemente — ruvido della vecchia, è adesso dolce quanto il caramello dei pasticcini. Comprende a un livello diverso, ora che sa, le difficoltà di Niahndra. Sopra ogni cosa, riesce a percepire la difficoltà da cui origina il suo atteggiamento assente. Tenersi ancorati al presente non dev’essere semplice, se al tuo interno imperversa una fiera coi suoi profumi e schiamazzi.
Hameeda china lo sguardo sulle proprie mani intrecciate e, inconsapevolmente, arriccia le labbra. Non ha una soluzione per la giovane cui ha imparato a voler bene. Ha solo uno strumento. L’eventualità di ricorrervi, tuttavia, stimola la sua perplessità: richiede di innalzare muri e protezioni ulteriori rispetto alle fortificazioni che sa appartenere già alla Alistine. E se rimanesse prigioniera di sé stessa? E se le buone intenzioni si trasformassero in una gabbia troppo solida per poterne uscire? L’anziana scaccia i cumulonembi grigi di preoccupazioni con un battito dell’unica palpebra mobile e, nel riportare l’attenzione sull’altra, non ha perso una sola goccia della sicurtà di sempre. Come in ogni tappa dell’esistenza umana, starà a Niahndra trovare il modo di padroneggiare l’arma che le sta offrendo — non esistono eroi altri da Niahndra stessa nella storia della sua vita che possano salvarla dal mondo, e esteriore e interiore.
«C’è un modo per impedire che le tue capacità ti prevarichino…» le dice, ché il silenzio si è fatto stantio e il vento d’estate le ha smosso un ciuffo di capelli chiari sfuggiti alla treccia. «Ma, prima, bevi un po’ di infuso e lascia che i pensieri si sciolgano».
 
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view post Posted on 15/10/2020, 13:04
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Fight it, or accept it
Come Hameeda possa vedere il doppio con la metà degli occhi resta un mistero che Niahndra non è in grado di risolvere, non oggi. Nonostante la donna le risparmi il peso del suo sguardo indagatore, avverte gli occhi pizzicare e si detesta per quella debolezza; la voce non vacilla —non lo sopporterebbe—, ma lei decide comunque di tacere prima di darle modo di tradirla. Spiegarsi a parole è sempre stato ostico per lei che alla prospettiva di fornire una descrizione meno che perfetta preferisce rinunciare in partenza. Si chiede, adesso, se non dipenda da una mancanza di conoscenza; si chiede se le parole arriverebbero più facilmente alle labbra se solo prestasse appena più ascolto ai battiti del proprio cuore, al peso del proprio respiro, alla fiera che le alberga dentro. C'è veramente così poco in lei da rendere necessario donarsi con tale parsimonia agli altri? Forse avrebbe meno paura di perdere la propria integrità nel contatto col prossimo se possedesse una conoscenza più intima di sé.
Ciò che è dato non può più essere restituito. Niahndra lo sa e non ha modo di rimpiangerlo perché l'eco delle proprie parole le suggerisce qualcosa che al suo conscio è sfuggito: capacità, ha detto. Capacità e non maledizione, capacità e non condanna. È la prima volta che ne parla in termini non strettamente negativi e non sa cosa pensarne; per quel che la riguarda, le voci non hanno mai portato a niente di buono e sarebbe pronta a scommetterci, non fosse che la foresta di Cadair Idris le torna alla memoria.
Ancora non è riuscita a ricostruire tutti i pezzi per trarre un quadro completo di quel che è successo in Galles, ma non serve la logica per ricordare il suono strozzato delle sue compagne intrappolate nel tronco di legno né per provare ancora una volta sulla propria pelle la sensazione di farsi imbuto di qualunque sciagura si fosse riversata in quei luoghi. Di una cosa può essere sicura, senza quel canale che era stata in grado di aprire le cose sarebbero andate assai diversamente. Ricorda, soprattutto, come avesse rischiato di mandare tutto a rotoli per via della sua incapacità di ascoltare.

Se lo ignorassi, otterrei solo di farlo strillare.

Per una volta, le spiegazioni sono superflue. Per una volta, ha l'impressione di trovarsi sullo stesso piano di Hameeda, di comprenderla tanto quanto è compresa e si biasima di aver anche solo dubitato per un istante. Se al posto della vecchia ci fosse un qualunque altro interlocutore —mago o babbano— Niahndra è pronta a scommettere che pioverebbero una miriade di domande e richieste di spiegazioni a cui non saprebbe rispondere. Con Hameeda, invece, è inutile perdersi in chiacchiere simili e si va dritti al punto.
Adesso che è lei a parlare e condurre le redini della conversazione, è più facile affrontarla perché la ragazza può scivolare di nuovo comodamente nei panni dell'allieva e lasciarsi condurre con docilità sulla retta via. O quasi, dal momento che ora sa di non potersi più permettere alcuna forma di passività.
Annuisce alla sollecitazione dell'altra ed il nodo allo stomaco si scioglie definitivamente quando si rende conto che non c'è giudizio nella sua voce né compatimento. Nei suoi panni, con ogni probabilità, Sam avrebbe faticato a contenere la rabbia, il dolore e la paura e avrebbero intrapreso l'ennesima lotta per assumere l'uno il ruolo di guardiano dell'altra, ottenendo così come unico risultato quello di smettere di aprirsi e comunicare, convinti di farsi carico di un peso per risparmiare all'altro la fatica.
«Il più delle volte non riesco neanche a capire cosa dicono. E quelle poche volte che ci riesco vorrei non farlo.» Perché poi si sentirebbe in obbligo di agire e lei, vigliacca, rifugge una simile responsabilità. Così come ha ceduto la spilla da prefetto, così come ha smesso di frequentare la Scuola di Atene. Quale è il senso di impegnarsi così tanto se comunque l'attende solo il fallimento? Suor Prudenzia è morta comunque e altri l'avrebbero seguita senza che Niahndra possa muovere un dito.
Nel silenzio che è calato nel soggiorno, la giovane scrolla le spalle e sgranchisce le membra mentre una nuova voce si fa strada nella sua testolina bruna; una voce reale, tanto quanto possono esserlo i ricordi, che appartiene al capo auror Rhaegar Wilde. *Già.* Rimane aperta anche quella questione, per quanto abbia cercato di dimenticarsene.
Alistine è incapace di afferrare al volo le implicazioni di quel che Hameeda sta dicendo, un po' perché è rimasta silenziosa così a lungo da farle dubitare che avrebbe toccato di nuovo l'argomento, un po' perché non si aspettava una via d'uscita. Torna a guardarla con occhi spalancati ed un velo di incertezza a corrucciarle la fronte; sempre misurata nelle sue reazioni, barricata dietro una patina di inespressività, la strega ha imparato a non permettere alle proprie aspettative di avere la meglio sulla ragione. Ciò nonostante, fingere indifferenza è impossibile.
L'infuso le va quasi di traverso e benché ci provi è difficile sciogliere il nodo di pensieri che quella nuova prospettiva ha sollevato. Si costringe una volta di più a frenare l'entusiasmo, forte della propria esperienza personale: non esistono scorciatoie. Persino lo strambo acchiappasogni che ha appeso in camera, confezionato dalla megera a Nocturn Alley, nonostante l'apparenza innocua esige un tributo in cambio, un tributo che non è sicura di aver compreso appieno.
È, perciò, con il peso della consapevolezza che Niahndra posa la tazza e raddrizza la schiena, confrontandosi da pari a pari con la mentore. «Ti ascolto.»
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view post Posted on 20/10/2020, 18:01
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«Mangia un altro dolcetto. Quando avrai finito, raggiungimi nella quinta stanza a sinistra del corridoio dietro il cui imbocco mi vedrai sparire.»
L’invito di Hameeda è secco e non sente il bisogno di imbellettarsi altrimenti. La vecchia poggia entrambe le palme sulla superficie del tavolino, fa strisciare prima una gamba e poi l’altra in modo da sedersi sui talloni e, per finire, fa pressione per sollevarsi e ritornare in posizione eretta. Per qualche strano motivo, a guardarla sembra palese che il suo corpo porti una porzione del peso del mondo sulle spalle, eppure ci sono una gentilezza e un’armoniosità tali nelle sue movenze che, per converso, smentiscono una siffatta verità.
Frattanto che ella si avvia attraverso il salotto e oltrepassa un arco vuoto alla destra della grande libreria, accucciato in solitaria in un angolo della stanza che a Niahndra è più familiare, le gonne la seguono e svolazzano con modestia dietro di lei. I piedi nudi godono del ristoro del pavimento fresco e la conducono progressivamente dov’è che desidera andare. Nel momento stesso in cui le conchiglie di madreperla che compongono la tenda a cascata sull’uscio senza porta prendono a toccarsi e a suonare tra loro, la camera pare svuotarsi e perdere il suo elemento di primaria importanza. Adesso, l’ambiente si fa più grande e dispersivo, gli oggetti molti e affascinanti, la luce color albicocca che proviene dalla finestra rassicurante.
Non le appartiene, la stanza, e non le appartiene il suo contenuto, eppure la Alistine la conosce abbastanza da provare uno strano fastidio alla prospettiva di abbandonarla, che smorza il brivido della scoperta. Eccezion fatta per la cucina, la casa di Hameeda rimane — come molto altro riguardante l’anziana, del resto — un mistero per lei. Che una parte di quell’enigma le venga svelato proprio grazie alle capacità per le quali prova tanta avversione finisce per infonderle una sensazione di disagio all’altezza del diaframma; una sensazione che spingerebbe a tenersi ben distanti dalla guantiera di pasticcini, se le istruzioni della donna non fossero impossibili da disattendere.
Oltre le onde di gusci zigrinati che hanno smesso di rumoreggiare e che si frappongono come ostacolo tra Niahndra e Hameeda, si srotola un corridoio relativamente stretto ma alto, sul quale si affaccia una serie di dieci aperture. Nessuna di esse è chiusa, prive a loro volta della protezione di un meccanismo di isolamento, e da ciascun ambiente promana una piacevole luce che si riflette sulla parete spoglia che sta loro dirimpetto e che, a tenda superata, si troverà alla destra della Alistine; in questa maniera, si viene a smorzare la resistente cupezza che incombe sull’andito che ad esse immette.
A voler far di conto per seguire con esattezza le indicazioni dell’anziana, la quinta stanza non sembra rivelare nulla di diverso da quelle che la precedono e da quelle che la seguono. È nient’altro che una tra le tante. Con non poca meraviglia, tuttavia, quando giungerà a destinazione, Niahndra scoprirà di doversi ricredere. Se ciascuno dei quattro archi che è stata costretta a oltrepassare per conquistare la meta ha accennato a mostrare un’atmosfera con peculiari caratteristiche, la camera ove Hameeda l’attende è, fatta eccezione per la proprietaria di casa, deserta. Non un mobile, non una suppellettile, non una pianta, addirittura non un odore.
Ferma al centro delle quattro pareti, con le spalle rivolte verso il corridoio e il viso a una finestra in tutto identica a quella del salotto, la donna è l’unico elemento che tagli lo spazio. Sorprendentemente, o forse neppure troppo, ella basta a riempirla.
 
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view post Posted on 24/10/2020, 13:47
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Forse è dimagrita troppo, valuta, se le esortazioni della vecchia diventano così insistenti. Per curiosità Niahndra ispeziona le proprie braccia, tasta le cosce morbide e si punzzecchia col dito il ventre appena gonfio. Non ha registrato variazioni di peso negli ultimi mesi, ma forse non ha coperto bene le occhiaie col correttore e in viso le si legge la stanchezza che prova.
La necessità, poi, di abbandonare il soggiorno le sfugge. Da quando conosce Hameeda, la maggior parte dei loro incontri si è svolta in giardino o proprio in quella sala, con fugaci incursioni nel mezzo salotto-libreria. Si rende conto, adesso, di aver inconsciamente dato per scontato che tutto il mondo della donna si fermi lì, a quelle due scenografie e poco più; ora che è costretta a rifletterci, però, risulta lampante l'ingenuità di una simile considerazione. Cosa si nasconde nel resto della casa? Si sorprende di non averci mai pensato, di non aver mai avvertito quella punta di curiosità. Se è vero che Hameeda non fa nulla per caso, è altrettanto vero che comprendere le ragioni che la muovono è una causa persa in partenza. La bruna decide di non pensarci troppo e ingolla un altro boccone ammorbidito dal tè.
A guance piene si guarda intorno e resta in ascolto. Ha impiegato del tempo per rendersene conto, ma da quando quel nocciolo particolare annidato dietro la sua nuca si è sbloccato qualcosa nella sua percezione sensoriale è cambiata. Dovendo spiegarlo a parole probabilmente Niahndra parlerebbe di sesto senso e, forse, non ci andrebbe neppure tanto lontana: certe cose non possono essere viste, toccate o udite; certe cose vanno solo percepite nello stesso modo curioso in cui, talvolta, le giungono insight geniali apparentemente dal nulla. Cose come l'equilibrio e la direzione; micro-cambiamenti nella densità dell'aria, vibrazioni, il modo in cui la temperatura s'arriccia e s'addensa. Tanti piccoli indizi, frammenti minuscoli capaci di formare una sorta di dipinto impressionista.
È in questo modo che sa con inequivocabile certezza che il perno della casa si è appena spostato. Si tratta di un gioco sottile di gravità ed equilibrio, attrazione e repulsione, ombra e grazia. Eppure, il luogo le è familiare e sentirlo ridotto ad uno scheletro la lascia frastornata.
È in grado di ripercorrere i passi della vecchia a occhi chiusi, solo seguendo quel reticolo di energia. Le linee di demarcazione che Hameeda disegna con la bacchetta di sorbo sfrigolano e schioccano —quasi visibili— non appena la ragazza passa di fianco alla porta di casa, lasciandosi poi dietro un'armonia in madreperla.
La stanza non è come se la aspetta. Gli occhi scandagliano ogni anfratto alla ricerca di un elemento che avvalori la verità che il proprio sangue le sta cantando, ma senza risultato. Osserva nient'altro che una scatola vuota, che mal s'accosta a tutto il resto.
Hameeda ha la metà dei suoi occhi e vede il doppio. Con quella intuizione a farle da guida, Niahndra abbassa entrambe le palpebre; la verità le si spiega con la medesima arrendevolezza di quando i denti affondano in una pesca matura. I corpi sperimentano attrazione se c'è una massa a chiamarli dall'abisso della deformazione creata nel tessuto dello spazio.
Riapre gli occhi e la stanza è ancora vuota, ma adesso Niahndra ne ha rubato il segreto e lo custodisce gelosamente per sé. Rimossi gli input sensoriali superflui, non resta che la verità. E saperla cogliere.
luce e pesantezza
 
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view post Posted on 15/11/2020, 22:31
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C’è una ragione se Hameeda preferisce rimanere scalza: sente che il reticolo di energia che attraversa il mondo possa raggiungerla più intensamente senza filtri e scambiarsi, in un equilibrato do ut des, con l’energia della quale il suo corpo è custode e che necessita di rinnovamento.
C’è una ragione se Hameeda ha suggerito a Niahndra di ingollare un ultimo pasticcino: vuole che abbia una scorta di energie sufficiente a sopportare lo sforzo al quale intende sottoporla e che costituirà una sfida su più livelli, non solo per la giovane ma per Hameeda stessa.
E c’è una ragione se Hameeda ha deciso di condurla in una stanza diversa dal salotto: il metodo che desidera insegnarle trova una sua perfetta rappresentazione nella spartana vacuità del luogo in cui si trovano adesso.
«La tua mente è come la stanza che abbiamo lasciato, bambina: piena di odori, colori e cianfrusaglie. E tu sei così piccola al suo interno che finisci per perderti». L’anziana parla con tono neutro e voce pacata, osservando il viso disteso della ragazza, dietro le cui palpebre serrate si cela un mondo inesplorato. «Apri gli occhi» le intima, categorica ma gentile. «Sta’ ferma dove sei e guardati attentamente intorno». Il prosieguo del suo discorso, a contrario con ciò che ha già detto, è facilmente intuibile. «La tua mente può diventare come questa stanza, se trovi il perno su cui fare leva. In questo momento, sono io il perno sul quale ruota l’energia di questa stanza».
Nel parlare, Hameeda ha indicato prima le pareti spoglie dell’ambiente prescelto e, in seguito, sé stessa con movimenti decisi, eppure con grazia. Adesso, le gonne pendono mollemente attorno ai suoi fianchi e le solleticano le caviglie nodose. Sotto, i piedi premono sul pavimento e ne assorbono la forza, la fermezza, la solidità ben più che il fresco. Una lezione che ha presto imparato nei suoi anni da fanciulla è che la terra sia l’unico appiglio solido sul quale si possa fare affidamento; tutto ciò che sta sopra è mutevole, fragile e malsicuro perché soggetto alle interferenze della vita. Perfino le piante, che tanto le sono care e che proprio dalla terra originano, vanno conosciute, trattate, dosate con cura e secondo modalità precise per evitare che le infinite variabili del mondo le contaminino, privandole della stabilità che è stata concessa loro.
«Un simbolo» esordisce con le mani giunte all’altezza del grembo. I disegni all’henné giocano col verde-bluastro delle vene in rilievo, creando un effetto ipnotico alla vista che dà l’impressione di una terza dimensione: è come se si muovessero, quei segni, e trasmettessero un valore altro rispetto alla mera estetica. L’invito è a ricercare e cogliere il senso nascosto del quale si fanno messaggeri. «Devi trovare un simbolo che per te significhi qualcosa. Un simbolo che si colleghi a una parte di te e della tua storia. A chi sei veramente e a ciò che per te ha davvero importanza». Le labbra rimangono immobili e l’espressione quieta, ma un brillio divertito negli occhi le accende il volto antico. «È come per le religioni: tutte hanno un simbolo e su di esso ruota il Credo».
A questo punto, Hameeda torna a tacere. Non è una Profeta e non è una filosofa. Non può addentrarsi in territori così vasti e fornire a Niahndra informazioni incomplete. Può, invece, insegnarle ciò che sa per averlo appreso da altri e applicato a sua volta. Pertanto, saggiamente, si convince a darle né più né meno di quello che realmente possiede.
«Quando ne avrai trovato uno, andremo avanti. Non avere fretta!»
 
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view post Posted on 30/11/2020, 15:12
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La stanza è vuota e quella—si rende conto Niahndra— è la più stupefacente delle verità. La stanza è vuota. Spoglia di qualsiasi orpello inutile, priva di influenze e cariche, senza passato e senza futuro. Allo stesso tempo, la stanza è anche piena: sorretta dalla figura di Hameeda che la riempie con facilità in quel delicato gioco di equilibri e bilanciamenti.
La bruna capisce allora che il termine che sta cercando non è vuota, e neanche piena, ma essenziale. Osserva la donna in mezzo alla stanza, le piante dei piedi premute contro il pavimento ed il resto del corpo ritto e fiero; ne intravede la fermezza, ne ammira la solidità: Hameeda è un punto fisso e inamovibile e per un attimo desidera la sua stessa stoica compostezza. Quella di un albero secolare testimone dei cambiamenti del mondo che resiste al passare delle ere.
Può davvero ambire lei alla medesima, gentile resistenza? È questa la prospettiva che la mentore desidera offrirle? Seguendo le parole della donna, Niahndra scansiona lo spazio che la circonda e cerca di immaginare cosa potrebbe significare per lei rendere la propria mente essenziale come quella stanza.
I sensi prendono a pizzicare mentre la testa comincia a macinare possibilità e opportunità che prima parevano irraggiungibili. Una mente ordinata, si dice, è una mente che può rendere al suo massimo potenziale; è una mente serva invece che padrona; è uno strumento che può utilizzare con cognizione di causa, invece che esserne legata a doppio filo.
Trae un respiro più profondo senza osare interrompere Hameeda; la fronteggia dalla soglia della stanza mentre cerca di far proprie le sue parole. Si scopre a fremere in trepidante attesa, come di chi ha percezione dell'immenso regalo che sta per ricevere ma ha al tempo stesso il timore di non esserne all'altezza o di sprecarlo.
Le linee che percorrono la pelle caramellata dell'altra baluginano appena attirando lo sguardo della ragazza. È da qualche tempo che avverte la tentazione di tracciare simili segni sulle proprie mani e sulle braccia, ma non ha mai osato chiederlo ad Hameeda. Alcune donne vanno a trovarla e rimangono sedute per ore mentre la vecchia le tinge; ha avuto modo di osservare di tanto in tanto, abbastanza per accorgersi che i segni cambiano di volta in volta a seconda della persona. C'è metodo in quella pratica, valore e fede.
È questo che le viene richiesto adesso, un simbolo?
Niahndra non prende parola, ma schiude un po' le labbra e rimane a rimuginare per qualche istante. Il potere che si cela dietro ai simboli dev'essere annullante, ironizza, se la sua mente si è svuotata già solo a pensarci. La verità è che le risulta difficile adempiere a quella richiesta, sintetizzarsi in un glifo contrasta col suo desiderio di rimanere evanescente e priva di vincoli, capace di mutare a convenienza. Scrivere significa fissare, cristallizzare qualcosa per l'eternità, e forse è questo che l'ha frenata dall'interrogare Hameeda sui decori che ha sulle braccia. Teme la prospettiva di un vincolo, fosse anche concettuale; nel retro della sua mente lampeggia Gebo, due linee semplici che adesso la legano a Kevin Confa. Si sente soffocata a quella prospettiva? Forse un po', ammette.
Al tempo stesso l'addestramento in rune antiche le ricorda che simboli e sigilli sono anche e soprattutto un veicolo, un modo per stabilizzare la propria energia ed avere un punto di riferimento. Come un segna-posto che indica la via di casa, come i sassi che ha usato a Cadair Idris.
Anche allora ha avvertito le medesime forze attrattive, così intense da rischiare di vedersi strappare via l'essenza stessa di quel che è. In quel momento si è resa conto —per davvero— di aver bisogno di qualcosa di fisso, qualcosa a cui tornare, qualcosa a cui appoggiarsi quando tutto il resto scivola via.
C'è solo una persona in grado di farlo, una sola persona che in tutti quegli anni l'ha tenuta insieme per pura forza di volontà. Se esiste un simbolo che soddisfi i requisiti di Hameeda, se esistono linee in grado di definire almeno una parte di lei nel mutamento perpetuo che è la vita, Niahndra sa dove andare a cercare.
L'immagine sorge spontaneamente e lei la accoglie come una vecchia amica. Un'immagine vuota, inventata da un bambino per gioco;
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un'immagine piena perché arricchita di significati e scambi impliciti nel corso degli anni; un'immagine essenziale perché è l'unica cosa di cui Niahndra abbia mai avuto veramente bisogno ovunque fosse andata —incisa nel letto di Aberdeen, in quello di Hogwarts e a Londra.
Incrocia gli occhi di Hameeda e fa un cenno di assenso. Non sa quanto tempo sia passato da quando la donna ha smesso di parlare, ma pensa di essere finalmente pronta.
Ha un simbolo ed ha un ministro di culto; non le rimane che abbandonarsi alla dottrina.
«Quale è il prossimo passo?»
Luce e pesantezza
Mi sono presa un po' di tempo anche io *fiore
 
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view post Posted on 21/12/2020, 19:18
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Niahndra si vede concedere tutto il tempo di cui ha bisogno per setacciare sé stessa e ridursi all’essenziale; per trovare il simbolo per lei più significativo e adempiere alla richiesta di Hameeda. Costei, d’altra parte, non sembra avere alcuna fretta, nel momento corrente come nella vita in generale. Le sue giornate trascorrono scandite da un ritmo che raramente incontra quello che degli altri e che si assesta su frequenze spesso inaudibili ai più. Ora, vuole che Niahndra si conceda il Tempo e lo lasci dilatarsi intorno ad entrambe loro due, così da comprendere che la tirannia data dal Suo ticchettio può perdere valore se opportunamente sostituita.
Quando gli occhi della ragazza tornano a intrecciarsi a quelli dell’anziana, quest’ultima accenna un sorriso e avanza verso l’altra. Cingendole un braccio con le dita ispessite dall’età, la trascina dolcemente con sé come farebbero le onde del mare con una barca alla deriva; e la colloca al centro della stanza.
«Ora che lo hai trovato, devi imparare a visualizzarlo, a renderlo il fulcro del tuo interesse e a concentrarvi tutta la tua attenzione, tayir saghir. Lo vedrai sfuggire e dissolversi molte volte, prima di poterlo fermare. Trova il modo di farlo prevalere sul resto.»
La spiegazione è dettagliata e, a un tempo, laconica. Hameeda ha detto tutto e niente, parlandole in quel modo. E il fatto che pretenda un impegno tale da applicare soltanto con la mente acuisce inevitabilmente la difficoltà della sfida dinanzi alla quale ha posto Niahndra.
Adesso che le ha rilasciato il braccio, la donna indietreggia appena. Un mugugno comincia a venir fuori dalle sue labbra serrate, dapprima così piano da parere frutto dell’immaginazione e, poi, sempre più chiaramente. Il corpo di Hameeda segue il flusso del suono, che ha assunto tonalità più musicali. Ella muove le braccia, aprendole e disegnando sagome invisibili nell’aria; dopodiché prende ad azzardare un passo e torna lestamente indietro.
Suoni gutturali provengono dalla sua bocca appena dischiusa e una danza è ciò cui Niahndra sta assistendo. Hameeda balla una coreografia, avendo per cavaliere l’energia che le gravita intorno, e canta una nenia priva di parole, il cui significato rimane sconosciuto all’orecchio. E continua, dando vita al primo quarto di un cerchio che si svolge tutto attorno alla fanciulla cui ha testé dato un compito.
Così, d’improvviso, la stanza che prima era vacante si fa teatro di un culto pagano che Niahndra sembra aver ispirato senza sapere perché e percome. Il suono prodotto dall’incontro tra il pavimento fresco e le piante dei piedi nudi, che assecondano la danza della vecchia, si unisce presto ai gorgheggi ora afoni ora stentorei di Hameeda.
Un rituale.
Un’invocazione.
Un atto di affiancamento.
Forse, nulla di tutto ciò.
 
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view post Posted on 3/2/2021, 16:44
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Standing on the sand dunes waiting for the rain,
I haven't got enough strength to dig my own grave.
I started to kneel and I started to pray.
You put your hands up and you started to wave.


Due forze regnano sull'universo:
Niahndra rimpiange subito il breve contatto con le dita di Hameeda, una volta che la donna l'ha condotta al centro della stanza. A suo modo, il tocco le infondeva sicurezza e adesso che è scomparso la ragazza si accorge di desiderarlo. O forse, si dice, quello che desidera è la forza di Hameeda stessa, ma non è qualcosa di cui l'altra possa farle dono. Ciò che può fare, invece, è indicarle la strada, mostrarle il percorso e farsi da parte. Il lavoro vero spetta a Niahndra stessa, senza scorciatoie.
Le indicazioni che le vengono fornite sono vaghe o comunque incomplete nella loro chiarezza. Cosa significa dover imparare a visualizzarlo? Niahndra non ha problemi a immaginarlo, a tracciarne i contorni con gli occhi della mente. Non ha problemi neppure a immaginarsi la mano paffuta di Sam che incide il letto dell'orfanotrofio mentre si offre di fare lo stesso per lei. Ride adesso Niahndra, ride della paura che l'aveva attanagliata da bambina, ride dell'orgoglio con cui aveva sputato sull'offerta di Sam; ride di come anche allora lui la conoscesse meglio di sé stessa. Niahndra non ride, ora, mentre si chiede cosa abbia fatto di buono nella vita per meritarsi qualcosa —qualcuno— di così bello. Non ride neppure quando si accorge che il simbolo concentrico è scivolato nell'oblio, lasciandola di nuovo in balia dei propri affanni.
Trae un respiro, decisa a tracciare nuovamente le medesime linee e nel frattempo il gorgheggio di Hameeda riempie la stanza. Il disegno si attarda a formarsi mentre gli occhi della giovane vengono rapiti dalle movenze caotiche dell'altra, dal suo corpo che fende lo spazio intorno a lei senza apparente rigore o regola.
Le guance si tingono di imbarazzo quando si sorprende a dubitare della sanità di Hameeda e la vergogna aumenta quando prova sollievo nell'assenza di testimoni. In compagnia della vicina Niahndra si sente più libera che in altri contesti, ma è solo un'illusione poiché ovunque si trovi rimane vittima dei propri pregiudizi e dei propri timori, predatori infallibili. Più di tutti, rimane vittima del dubbio e del giudizio che serba per sé stessa.
Niahndra è prigioniera e ne assume consapevolezza in quella stanza alla quale non appartiene, che ora sembra rimpicciolire sotto il peso dei versi gutturali e delle rivelazioni. Sa anche il motivo per cui le pareti sembrano reagire alla sua presenza, ad additarla come estranea, ed è perché lei —diversamente dal resto— non è essenziale. Hameeda balla ed il suo animo è libero, il giudizio non la sfiora neppure. Niahndra, d'altro canto, sente addosso una pesantezza tutta terrena; la colpa è del bagaglio invisibile che continua a trascinarsi dietro, lo stesso che la porta a domandare a qualcun altro se sia una brava persona, lo stesso che la mortifica al solo pensiero di unirsi alla danza. È un bagaglio superfluo, l'unica cosa di cui ha bisogno tra quelle mura è un simbolo.
Continua ad avvertire lo spostamento dell'aria e del suono man mano che Hameeda le gira intorno, ma lo relega adesso ad un disturbo di fondo e torna a visualizzare i cerchi concentrici di Sam. Tiene a bada, stavolta, i ricordi che la legano al ragazzo scartandoli con una scrollata mentale di spalle. Il mondo inizia e finisce in quelle linee, ma dura poco perché da quel pensiero se ne dirama un altro e un altro ancora. Ciò che vede adesso è il globo terrestre sormontato dalla volta celeste; il punto al centro, in questa sua interpretazione ispirata, è proprio lei e i segmenti sono i binari metaforici che deve percorrere sotto la guida di Hameeda.
Non si sorprende di scoprire che il flusso di pensieri è deragliato una volta di più né fa mistero del moto di disappunto che ne consegue. Una parte di lei sa che è impossibile avere subito successo e che pretendere la perfezione non accorcia i tempi di apprendimento, ma freme ugualmente e non si fa illusioni: quella è solo la prima delle sfide che la donna intende sottoporle. Se non riesce a tenere a bada la propria voce come può aspettarsi di ammansire quelle che non le appartengono?
Ostinata, torna al proprio simbolo, e poi di nuovo e di nuovo ancora, tutte le volte che è necessario. Più passano i minuti e più è difficile mantenere alta l'attenzione. I contorni tremano, ma lei ci si aggrappa con le unghie e con i denti. Ogni tanto le sembra di riuscirci, di scorgere una minima parte di quel che Hameeda le sta chiedendo; per quei pochi istanti non esiste altro che quel disegno: né la stanza, né Hameeda, né lei, né il mondo. Non esiste suor Prudenzia, non esiste Pandora, non esiste il suolo sul quale cammina, non esiste l'aria che respira. Per alcuni istanti niente esiste e ogni cosa è.
Ogni volta, però, la gravità torna a reclamarla.
Luce e pesantezza
 
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view post Posted on 7/2/2021, 17:24
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Il Fato

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Niahndra non può saperlo — né lo apprenderà mai in futuro, probabilmente —, ma la danza di Hameeda è riuscita proprio là dove intendeva succedere. L’anziana l’ha usata, e ancora la brandisce, come distrazione. È consapevole della difficoltà già insita nella richiesta di visualizzare un simbolo, giacché conosce i vortici caotici che infestano la testolina della ragazza. Eppure, non è lì per renderle la sfida meno complessa.
Se c’è una cosa che è sicura di dover fare con la Alistine, è di spingerla oltre il suo punto massimo di sopportazione — non gradualmente ma brutalmente. Niahndra ha un’indole caparbia che le consentirebbe di conquistare il mondo, se solo il suo passato non le avesse instillato una profonda incertezza e un’altrettanto resistente necessità di nascondersi e fuggire. È questo che la induce a svicolare tutte le volte che può: da un confronto, da una sfida, da un pericolo, da una scoperta, soprattutto da sé stessa.
Quello che Hameeda le sta domandando richiede di fermarsi e restare; di guardarsi dentro così in profondità da perdersi attraverso le miniere dei ricordi, dei dolori, dei fantasmi che sovente rifugge e di lasciarsi raggiungere senza chiudere il baule in cui li ha ficcati tutti per ignorarne l’esistenza. Il compito della vecchia, in questo tremendo percorso, è metterla in difficoltà quanto più può per far emergere il coraggio che Niahndra possiede, ma del quale non fa sfoggio, ora nascondendosi dietro l’indecifrabilità ora dietro il sarcasmo.

Il mondo dentro la ragazza è in tumulto. Una rivoluzione sta accadendo nel suo disordinato di dentro. Ha accumulato così tante chincaglierie nella vita — come una turista entusiasta che non sappia dire di no a un bel souvenir — e ha dimenticato volontariamente di riordinarle cosicché, infine, l’ambiente si è dovuto adattare. L’unico modo che Niahndra ha trovato di riuscire a dare un senso al caos è stato giocare con le luci e le ombre. Dunque, ha oscurato con pertinacia tutto ciò che non era pronta ad affrontare e ha disseminato qualche piccola lucerna nei punti meno gravosi per osservare soltanto ciò che si fosse sentita pronta a guardare.
Adesso, la situazione in cui si trova la sottopone a un rischio che non aveva calcolato. Aprirsi con Hameeda sulle sue tribolazioni, prima, e visualizzare un simbolo così strettamente radicato ad alcuni tormentati aspetti del suo passato ha sollecitato tanto, forse troppo il suo sistema. Pertanto, percepisce tutto e non riesce a trovare un filo conduttore che unisca delle emozioni prive di contesto.
Prova vergogna per l’anziana, ma quello stesso imbarazzo fa presto a rivoltarsi contro di lei. Prova sicurezza di fronte alle linee tracciate da Sam, cui ha imparato a connettere un senso di protezione, ma non riesce a scordare la sensazione che la intossica facendole credere di non meritare amore. E prova frustrazione per non essere capace di fermare quel maledetto simbolo per più di una manciata di secondi, prima di scivolare nuovamente tra le rapide dei suoi sentimenti con una canoa piccina e malandata.

È la sua natura a risvegliarsi — o, almeno, una parte di essa — nel mezzo di quella frastornante navigazione e ad aggiungere il carico da novanta.
I versi di Hameeda e i suoni che produce muovendo il corpo, il battito prepotente del suo cuore contro il costato, il vociare di un gruppo di bambini fuori al caldo, il vento pesante che penetra attraverso le finestre e fa frusciare la tenda di conchiglie, perfino il calore che sprigiona dalle pareti che la circondano: ogni cosa produce un suono che titilla i suoi timpani.
Adesso, perciò, non si limita a percepire, ma sente anche tutto ciò che vorrebbe annullare. E il suo animo si dibatte in preda alla stanchezza, all’angoscia, alla delusione, al fastidio e perfino alla paura.
C’è qualcosa in cui è capace? Esiste forse un’impresa che non le risulti preclusa per natura? Perché non ha alcun controllo su ciò che pensa, su ciò che prova, su ciò che brama, teme e aborre?

Il battito improvviso delle mani di Hameeda a un soffio dalle sue orecchie la fa trasalire violentemente, quasi che se le avessero appena assestato un ceffone sulla faccia e sull’orgoglio. È costretta ad aprire gli occhi e a scattare per abitudine: deve capire da dove provenga il pericolo e fare di tutto per salvarsi, come quella volta al villaggio di Hogsmeade in cui il Caso l’ha trascinata in una spirale di eventi dalla quale non ha fatto in tempo a schermarsi.
Basta.
È questo che sembrano dire gli occhi ora aperti della Alistine — un’unica parola che risuona a gran voce nel suo io e proviene proprio da quegli anfratti che ha deciso di oscurare. Eppure, non ha un tono pietoso o arrendevole. C’è una risolutezza fiammante in quelle cinque lettere, che le fa somigliare a un ordine.
Ma a cosa o a chi sta dicendo basta? E perché?
 
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38 replies since 2/8/2020, 14:01   1314 views
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