Fight it, or accept it
Niahndra non si accorge di essere rimasta sola in soggiorno. I rumori provenienti dalla cucina la raggiungono soffocati dallo sciame di pensieri che le ronza nella testa; un nugolo indistinto e indistricabile, privo di forma, pura
massa. Il rumore di utensili e ciottoli compone un sottofondo stordente spoglio di qualsivoglia informazione, troppo sbiadito perché lei possa servirsene per ancorarsi al presente e colmare la distanza.
La sua attenzione sfarfalla, irrimediabilmente attratta dalla gravità che si sta concentrando dietro le palpebre, solida e al tempo stesso impalpabile. Contesa tra le due forze, Niahndra si lascia cullare dalle carezze dello stato di limbo in cui verte.
Se solo si sbilanciasse da una parte o dall'altra, molto probabilmente sarebbe in grado di visualizzare Hameeda mentre si destreggia tra le pentole, sarebbe capace di ricostruire la sequenza di eventi che l'ha condotta a casa della donna e tornerebbe presente a sé stessa; oppure, si spingerebbe ancora più in profondità in quel dedalo di pensieri per cercare di distinguere i propri da quelli altrui, i ricordi personali da quelli di seconda mano, il presente dal passato, il passato dal futuro.
Più di ogni altra cosa —un lampo di dolorosa consapevolezza fa breccia nell'ottundimento—. fatica a tracciare i confini di quel che
è. I bordi sfrigolano bizzosi, trattenuti a malapena dai residui di una volontà dimenticata; tremolano con la medesima consistenza delle vampe di calore che si levano dal cemento nelle giornate più calde. La ragazza ne intuisce l'esistenza non perché è in grado di vederli direttamente, quanto più perché disturbano la visione di
qualcos'altro; l'ultimo indizio di una resistenza che ormai oppone in modo istintivo più che razionale.
Non cedere, è la paura a sussurrare, il suo spirito di autoconservazione;
non abbandonarti, non del tutto. Per cui lei rimane in quello spazio di passaggio senza sapere bene che fare, troppo astratta per percepire il proprio corpo, troppo pesante per elevarsi a pura consapevolezza.
Niahndra ignora le proprie dita che, metodiche, percorrono le venature del tavolo per tracciare arabeschi senza senso. È diventata brava a ignorare, a nascondere in un angolo della mente ciò che non sa spiegarsi o che, semplicemente, preferisce non vedere.
Sam non è altrettanto capace.
A quel pensiero il cuore le sprofonda nel petto, pesante abbastanza da permetterle di acquisire un po' più di corporeità per un tempo sufficientemente ampio a sentire il senso di colpa sedimentarsi sul fondo dello stomaco. Povero Sam, pensa, la cui unica colpa è quella di amarla. Povero Sam, geme, la cui natura lo porta a dare mentre quella di Niahndra a prendere e prendere e prendere. Prendere e divorare, distruggere e consumare.
Un istinto, quello, al quale non può sottrarsi perché marchiato nelle ossa e nel sangue, eredità di una famiglia che non l'ha mai voluta. Se Sam fosse appena più furbo non la vorrebbe neanche lui; ma Niah sa che non succederà mai e che anche quella responsabilità ricade su di lei. Chi l'avrebbe mai detto che essere amati è più difficile che amare?
Tituba mentre il terrore le serra la gola e la verità le risale lungo l'esofago. Esistono cose peggiori dell'essere legati a doppio filo all'aldilà, si rende conto. È possibile tramandare l'incapacità di amare? È possibile nascere con l'abbandono nel sangue? Con un destino già scritto di solitudine e durezza nel cuore?
No. Le dita si fermano, le unghie raschiano il legno come per aggrapparsi alla realtà. No, ripete, quella non è lei. I limiti del suo essere si tendono e torcono mentre tenta di espellere dalle vene quelle tossine che non le appartengono, il veleno che le macchia le cellule di una colpa non
solo sua.
Pandora non può vantare su di lei più diritti di quanti Niahndra non possa vantarne su quel dannato tavolino. La sua assenza non può pesare più della presenza di Sam.
Niahndra potrà anche non conoscere l'effetto che fa addormentarsi cullati dalla voce di una mamma che ti racconta le favole della buonanotte, ma conosce il respiro regolare di un amico che si addormenta con te nel letto se hai gli incubi. Non sa com'è avere un genitore che ti insegna a pedalare, ma sa come ci si sente a rendere qualcuno che crede in te orgoglioso. Sa com'è essere confortati, incoraggiati, protetti e rimproverati da qualcuno che tiene a te.
Lo stomaco gorgoglia ed un altro pezzo di anima si ancora alla realtà. La boccata d'aria che inspira è ghiotta e carezzevole e la porta a passare inavvertitamente la lingua sulle labbra.
La ragazza rintraccia una punta di caramello in quell'inusuale mescolanza di odori ed è subito caccia agli ingredienti; il cardamomo le solletica la memoria senza rivelarsi del tutto, perciò appunta mentalmente il proposito di dare una sfogliata all'erbario che Hameeda le ha regalato.
Come evocata, l'anziana donna fa la sua comparsa in salotto sebbene ancora una volta Niahndra se ne accorga solo al suono della sua voce. La domanda la raggiunge con ragionevole facilità e, anche se un po' a malincuore, la giovane si volta mentre gli occhi tornano finalmente a mettere a fuoco il profilo dei mobili e della vecchia.
Il nomignolo minaccia di incrinare la sua espressione assorta, ma è solo per un attimo.
«
Sono qui, non mi sono mossa.» Non è la bugia a bruciarle, quanto la semplicità con la quale rotola sulla lingua nonostante sappia che è inutile mentire ad Hameeda, che vede più di quanto dovrebbe.
D'altronde, quale è l'alternativa? La giovane non conosce la risposta a quella domanda, sa solo che ogni volta tornare è un po' più difficile. Forse non è tanto l'assenza di Pandora a pesare, quanto la propria. Impossibile capire quale opzione teme di più.
Lo sguardo cade sul vassoio, bramoso e impaziente, ma gli insegnamenti di Suor Prudenzia la tormentano anche dopo tutti quegli anni: "i dolci sono per i bravi bambini. Sei una brava bambina, Niahndra?"
Così tanto tempo è passato e ancora non conosce la risposta. Sa solo che all'orfanotrofio ha saltato il dessert più volte di quante non riesca a ricordare e che Suor Prudenzia la perseguita anche da morta. Forse persino di più.
«
Hameeda,» chiama prima di riuscire a impedirselo «
sono una cattiva persona?»
Fear it, or control it