Due forze regnano sull'universo:
Non c'è modo di sfuggire alla presenza claustrofobica di Renzo. Avvelena l'aria, si insinua tra le crepe e reclama possesso su qualunque cosa abbia la sfortuna di capitare sotto il suo scrutinio.
Nel momento in cui il ragazzo riduce le distanze, ponendosi a portata di mano, Niahndra sa di aver commesso un errore di calcolo; di essersi offerta per il macello, aperta e vulnerabile in una maniera che le risulta insopportabile. Di fronte non ha una miccia pronta ad esplodere in risposta al suo fuoco, quanto più un abisso che non vede l'ora di inghiottirla per intero.
Quando la tensione tra loro diminuisce, Niahndra ha la sgradevole sensazione che —come sempre— sia perché è Renzo ad aver deciso così, e non perché lei abbia mai avuto voce in capitolo.
La sensazione è annichilente.
Non ricorda l'ultima volta in cui si è sentita tanto impotente. Quando era bambina, forse. O nella Stamberga, proprio come aveva mostrato poco prima a Renzo.
La breve ripresa che lui le concede non fa nulla per calmare i suoi nervi, non per davvero. È utile però per darle almeno l'illusione della quiete, per permetterle di riprendere fiato e dare sollievo alla sua mente: ogni secondo che Renzo passa ad ascoltare la sua stessa voce, è un secondo in meno che passa a frugare nella sua testa.
Quello è l'ultimo posto in cui lo desidera al momento.
Quasi digrigna i denti quando lo sente parlare del suo svenimento da Hameeda, un disturbo quasi fisico nel pensare di essere stata oggetto di conversazione tra terzi.
Vorrebbe scuotere la testa e sbottare, dirgli che non si fida di lui neanche un po' e che se avesse una qualunque alternativa adesso sarebbe a oltre venti miglia da lì. È quasi tentata di dirlo, così come è quasi tentata di ironizzare sul fatto che avere difese attive e muri alti è
esattamente ciò che sta tentando di fare per respingere gli attacchi di lui; ma per qualche ragione serra la mascella e si morde la lingua.
«...tieniti pronta!»
L'aggressione che Niahndra si aspetta è mentale. Un attacco psichico, mirato a ghermire i suoi pensieri più reconditi; a smuoverla dall'interno, lì dov'è vulnerabile e molle come la materia nel suo cranio.
Quando si rende finalmente conto che Renzo è sempre più vicino, minacciosamente vicino, ha appena il tempo di sentire il proprio corpo reagire istintivamente in risposta —più rapido di qualunque ragionamento.
Inspira bruscamente con le narici dilatate, la bocca appena schiusa in un avvertimento che non ha il tempo di verbalizzare. Sente la pelle andare fastidiosamente a fuoco, gli arti doloranti per quel cambiamento di temperatura così repentino. Una miriade di aghi sulla pelle mentre il cuore minaccia di sfondarle la gabbia toracica, le tempie martellanti.
Ogni singola terminazione nervosa sembra convergere nel punto in cui il suo viso è stretto tra le mani di Renzo; il contatto tanto opprimente da escludere qualsiasi altra cosa nel suo campo percettivo. Il suo sistema intero collassa sotto al sovraccarico emotivo e sensoriale; il vuoto viene rimpiazzato da furore cieco che si propaga verso l'esterno in ondate violente.
Fuori di sé —e al contempo fin troppo
dentro—, Niahndra si muove senza pensare quel che basta per affondare i denti nel labbro dell'altro; forte, per reclamare il tributo di sangue che le è dovuto.
Un semplice gesto, un ricordo che torna a galla. Una consapevolezza che aveva soffocato con tanta foga da condannarne la memoria. Nel movimento istintivo da fiera rabbiosa, nel ghigno sguainato da carnivoro, Niahndra se ne riappropria: non è costretta a subire, non ha bisogno di sorridere per il quieto vivere; non è una preda braccata.
È a malapena una bestia domata, che ha deciso di indossare spontaneamente il giogo, convinta di poterlo rimuovere a piacere. Adesso —dopo anni— il giogo è pari ad un giro di perle intorno al collo di una donna, regalo d'un uomo che vuole comprarne il favore.
È tempo di spezzare le catene.
Quando gli occhi di Renzo la incrociano, trovano uno sguardo sfrontato sotto la fronte aggrottata. Niahndra non fa niente per celare la furia che brucia dietro le iridi; anzi, vuole che lui la veda, che sappia di trovarla pronta.
La sua sfera emotiva è in trambusto, esattamente come lui si aspetta; ma Niahndra, per una volta tanto, non se ne vergona né cerca di mutarsi. Si crogiola nel tumulto, euforica per essere in grado di connettere con le sue emozioni più primitive. Le sente forti e guizzanti:
viva, viva, viva!, inneggiano.
Neppure gli anni passati a sedarsi, trattenersi e annullarsi sono riusciti ad estinguere completamente la fiamma. Caparbia e tenace, aspettava solamente la miccia giusta.
"Dove sei,
tayir saghir? Dove sei
sempre?", era stato l'interrogativo di Hameeda che le aveva strappato una bugia di bocca.
Questa volta Niahndra non ha bisogno di mentire.
Sono qui, realizza; nel pieno della tempesta. I suoi contorni sono ancora frastagliati e bizzosi, ma il marasma che sente imperversare dentro è la prova del fatto che non è soltanto un guscio vuoto; che dentro di lei si agita ancora qualcosa. Per quanto confuso e mescolato, è
suo; è
lei.
Come dice Hameeda, la sua testa è come una stanza caotica, piena di odori, colori e cianfrusaglie. Fino a quel momento, tutto ciò che è riuscita a fare Niahndra con le proprie emozioni è stato inibirle e castrarle, negando la loro esistenza. Ha avuto modo di intuire che padroneggiare la propria mente —così come la vecchia aveva tentato di insegnarle, così come Renzo sembra sfidarla a fare— richiede di padroneggiare le proprie emozioni: non disconoscendole, bensì facendole passare attraverso di sé. Rendendosi trasparente.
Per farlo, però, ha prima bisogno di sentirle in pieno e lasciarsi inondare; perché "se lo ignorassi, otterrei solo di farlo strillare". Ed è questo che tenta Niahndra nel momento in cui Renzo torna a guardarla, nel momento in cui —a mento testardamente all'insù— lo esorta a tentare nuovamente il suo trucco di magia.
Vieni, lo deride;
dai un'occhiata a tutto se riesci.
Spera di sovraccaricarlo con l'intensità delle sue emozioni represse, una parte di lei vuole che lui le veda e ne abbia timore; vuole sentirlo vacillare sotto una simile portata.
Nel frattempo, anche lei le osserva e viviseziona; riconosce la rabbia perché brilla in maniera familiare, perché è quella che sente più riconoscibile. Niahndra la accoglie a braccia aperte come un'amica di vecchia data e da lì è come trovare il bandolo della matassa.
Rabbia è l'emozione di chi si sente calpestato; rabbia è il motore che attiva e dà direzione. Niahndra la brandisce come un'arma, come uno scudo; la usa per raccogliere le parti disordinate della sua mente e farle combaciare di nuovo assieme.
Non più molle, non più rarefatta.
Piantata, febbrile e incazzata.
Impara a chiedere il permesso.
Luce e pesantezza