Between the Sheets, Appartamento di Mary Grenger.

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view post Posted on 16/8/2020, 18:57
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Between the Sheets

L’appartamento si trova a Craven Street, nella città di Westminster a Londra. Una strada non molto stretta dove si impone, su tutte, al numero trentasei la casa di Benjamin Franklin. Al numero dodici, una porta verde rovina l’armonia della via, costellata da massicce porte nere; ai fianchi dell’ingresso si impongono due modesti alberi di limone.
La casa è composta da un piccolo ingresso (X) completamente bianco con uno specchio rotondo ed una lampada appoggiata sul tavolo; sullo stesso, un vaso nero con un piccolo mazzo di fiori. Percorrendo uno stretto corridoio, la prima porta a destra conduce al bagno: moderno e con mattonelle nere; la finestra che dà sulla strada permette l’ingresso di ampi raggi di sole (X). Davanti lo specchio, una scritta che Mary osserva ogni giorno (X). La seconda porta a destra introduce la stanza di Mary. Il letto matrimoniale è affiancato da due comodini bianchi e al di sopra vi è una libreria sottoponte colma di libri di letteratura babbana, per lo più inglese e francese. Sul comodino una foto di Mary, Matthew e Katie; sull’altro comodino una foto della grifondoro con sua zia Hannah (X).
La porta a sinistra porta nel soggiorno bicolore: pareti di rosa pastello ed una sola parete bianca dove è accostato un vecchio ma funzionante pianoforte; sopra esso vi è un piccolo cactus di nome Roxane, assieme ad altre piante di interno (X). Nel resto della stanza ci sono due divani con un tavolino centrale, una poltrona con vicino un piccolo tavolo nero ed una parete attrezzata con altri libri, per lo più scolastici. Su di un tavolo c’è la radio magica che, quando Mary è in casa, è costantemente accesa (X) (X). Continuando, in fondo al lungo corridoio precedentemente nominato, vi è la piccola cucina. Anche questa, come gran parte della casa, è completamente bianca, gli unici contrasti sono apportati dalle piante (X). Infine, dal soggiorno è possibile raggiungere un piccolo terrazzo dove si può trovare un minuto divanetto ma soprattutto tante piante di cui Mary si prende cura giornalmente (X).


Se qualcuno può fare il titolo in corsivo e di questo colore: COLOR=#FFF6C6.
Grazie mille in anticipo.
 
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view post Posted on 15/12/2020, 11:05
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Craven Street N.12 » Londra
Mancavano appena un paio di settimane per il giorno di Natale e l'atmosfera cominciava a sfumare come di consueto: la neve vestiva d'incanto gran parte dei confini scozzesi, era giunta fino ai giardini di Hogwarts e lì si era spinta come un velo sulle cime degli abeti più alti, più rigogliosi, ben oltre il limitare della Foresta Proibita. Aveva coperto germogli di timide piante, boccioli nascenti di fiori d'Inverno, e le corolle di petali superstiti già brillavano di singolare bellezza: perché loro, tra tutti, resistevano al gelido incedere. Un filo di cotone grezzo stringeva delicatamente un mazzolino di fiori d'indaco, screziati com'erano da venature oltremarine, fino al violetto. Davano l'impressione, immediata, di essere fiordalisi e invece erano altro, erano fiori ancor più preziosi. Come una reliquia, Oliver cercava la sistemazione migliore per accoglierli in una borsa di cuoio, il cui profumo - sebbene a distanza di anni - non abbandonava la raffinatezza della sua manifattura; il tempo ne aveva sgualcito e sfilato i bordi, era la stessa borsa che utilizzava per i libri scolastici e in effetti, pesante com'era quel giorno, tradiva al suo interno i volumi di Storia della Magia e il rotolo di cinque pergamene che avrebbe dovuto concludere entro la sera. Le origini dei Giganti, però, avrebbero potuto attendere. C'era una persona, tra tutte, che per lui sarebbe sempre stata al primo posto. Procedeva di fretta, allora, il passo così spedito da rischiare di scivolare lungo il sentiero imbastito di neve fino ai cancelli: il profilo di Hogwarts, come porto d'approdo, si innalzava dietro di lui ad eterna protezione, e a conferma di essere lì, di esservi ancora ad ogni suo rientro. Era di buonumore, non avrebbe potuto negarlo. Un po' sovrappensiero, un po' malinconico, ma fondamentalmente si sentiva in forma; il volto mostrava nuovi segni d'insonnia, ad accentuare gli zigomi sul tenue incarnato, e in qualche modo gli concedeva un aspetto più maturo, quasi più consapevole. Apprezzava infinitamente, poi, svestire la divisa scolastica a favore di abiti più eleganti, quello era uno stile che sentiva affine e che da sempre avrebbe saputo considerare: un paio di pantaloni sulle tonalità del cioccolato; una camicia di seta bianca e a quadri, stretta con cura fino all'ultimo bottone, a scivolare leggermente in colletto e in maniche oltre il maglione di lana, a tinta unita marrone; stivaletti di pelle, alti, concludevano al pari della borsa un aspetto ben studiato. Il cappotto che aveva scelto, infine, altro non era che una delle sue giacche in armadio - si era ripromesso, in tal senso, di farne un inventario il prima possibile. Sentì di perdere equilibrio, la punta della scarpa destra slittò oltre un sassolino nascosto dalla neve, e al fiammeggiante tramonto in cielo tremò all'idea di capitombolare ed essere costretto a rimandare l'incontro. Per fortuna, al suo fianco, la mano di Penny lo sostenne di scatto. Gli rivolse un sorrisetto, procedendo subito dopo.
«Quindi sei sicurissimo che non sia al Castello?»
Un cenno del capo, l'ennesimo, da parte del concasato.
«E le ragazze ti hanno detto che fosse lì, a casa.» Ancora un cenno, e un borbottio indistinto: Penny perdeva la pazienza piuttosto facilmente, in quei giorni. Arrivarono ai cancelli e lui ringraziò tacitamente l'amico; cercò di ignorare con tutto se stesso il gesto poco ortodosso che Penny rifilò al Custode... anche se, c'era da ammetterlo, Gazza non era il massimo dell'allegria in quelle feste imminenti. «Perfetto, allora io vado. Ma ti avviso, se dovessi aver fatto un viaggio a vuoto, il tuo regalo finisce dritto nel dimenticatoio.» Strinse la borsa più gelosamente, portandosi infine oltre i confini magici della Scuola. Di fronte si snocciolava il sentiero per il Villaggio di Hogsmeade, e le carole natalizie di uno e più negozietti riuscivano ad esprimersi in echi lontani fino a quel punto. C'era neve dappertutto, tra l'altro, e con i riflessi d'arancio del tramonto sembrava ammirare un fuoco che andava cristallizzandosi. «Quindi mi hai fatto un regalo.» Il commentò dell'altro gli strappò una smorfia. Recuperò la bacchetta magica e prima di sparire su di sé, rapido, strizzò l'occhiolino verso il ragazzo.
«Sei stato un bimbo buono, Penny Laurence.»

***

Craven Street, era lì che si Materializzò. Batté il piede destro e subito dopo il sinistro sull'acciottolato raggiunto. Sotto di sé si accorse come gran parte della neve - anche tutto intorno - fosse stata già spazzata via: Londra, metropoli quale era diventata da tempo, perdeva in pegno l'armonia di scorci paesaggistici. Il contrasto del sale sulla neve, ai suoi occhi, spinse infatti ad una smorfia. C'era però profumo di buono, di spezie, di vin brulé - unn'essenza delicata, tanto zuccherina, che pizzicò il naso piacevolmente. Abbozzò un sorriso, infilandosi così nel via vai di passanti oltre il vicolo solitario nel quale era comparso, lo stesso vicolo dov'era arrivato la prima volta che aveva fatto visita all'amica. Conosceva quella strada, gli era bastata una sola occasione per concretizzarla in memoria, e una parte di lui era convinta che vi fosse riuscito per la stessa affinità che nutriva per chi poco oltre vi abitasse. Superò la prima schiera di edifici dagli ingressi sul nero, chiedendosi curiosamente come mai l'altra avesse scelto - tra tutte - proprio quella strada; era interessante, non avrebbe potuto negarlo, e forse era anche molto centrale: non era così esperto della Capitale, nonostante vi passasse spesso discrete ore per il lavoro part-time presso lo store musicale di Tottenham Court Road, ma si appuntò di chiedere qualcosa al riguardo. Infilò la mano destra nel cappotto più pesante e quando arrivò in prossimità del dodicesimo, non poté che sentire il cuore battere più dolcemente. Avrebbe riconosciuto sempre quella porta verde - in ogni tempo, in ogni luogo. L'altra non avrebbe potuto saperlo, ma l'essenza del limone era la sua preferita in assoluto: si lasciò così avvolgere dagli alberi accanto e nella fioritura perpetua di quell'intreccio gli sembrò di essere entrato in un luogo nuovo, lontano da tutto e da tutti. Quando liberò entrambe le mani, con la destra batté in fretta sulla porta - le nocche arrossate dal freddo, così come il naso; le gote si piegarono invece nelle fossette familiari del suo volto. Indietreggiò infine di un passo. Era lì, Oliver Brior. Inatteso, senza appuntamento, come un vecchio amico che giunge in visita. Improvvisamente gli parve di essere diventato grande, grande per davvero, e il ricordo di tanti altri Natale sfumò in percezioni lontanissime.
Ricordò, sfuggente, l'abete sempreverde che lui e gli altri concasati avevano decorato negli anni in Sala Comune, tra fate malandrine e fastidiosi gnomi di terracotta; ricordò Nick-Quasi-Senza-Testa spuntare dalla cornice della Signora Grassa, e ricordò come quest'ultima ne fosse stata offesa per giorni, portando un cambio di parola d'ordine dopo l'altro; ricordò altro, così tanto altro, e lei era lì fin dall'inizio. Sulla bocca il sapore del miele sospese una trama in divenire.
Chiudi gli occhi, sussurrava. Chiudi gli occhi, bambino mio. Di nuovo tornava.
Sotto le palpebre turbinava la Vista, e aveva il gusto d'ambrosia di aspettative che non desiderò cogliere. Non ancora, non se portatrici di rivelazioni che non avrebbe saputo affrontare; non ancora, ripeté, non per quella sera. Chiudi gli occhi, sentiva. E invece lui, Oliver Brior, li aprì. Bussò di nuovo, come impaziente di vederla.
«Mary, sono io.» Sono io. Perché sapeva, già sapeva.
Lei l'avrebbe riconosciuto.
 
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view post Posted on 16/12/2020, 20:39
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Mary Grenger
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Dicembre era un mese che apprezzava molto. Non solo per il Natale e tutto ciò che ne comportava, ma anche per l'atmosfera che veniva a crearsi. La neve che cadeva sugli alberi, le strade illuminate, i negozi pieni di persone. E tutto le sembrava migliore, in quel mese. Riteneva che le cose belle accadessero a dicembre, in qualche modo. Come se le persone per via della vicinanza al Natale si costringessero ad essere più coraggiose, più sincere. Ad essere di più, semplicemente.
Aveva finito di lavorare da Madama e, poiché non sapeva ancora materializzarsi, il tragitto per raggiungere casa era più lungo per lei. Non le importava molto, le piaceva camminare e il freddo sulle guance era meno fastidioso del previsto. Insieme a Katie avevano deciso, qualche giorno addietro, di decorare casa sua per le feste. Era il suo primo Natale nell'appartamento nuovo. Non sapeva se l'avrebbe passato lì o a Glasgow da sua zia, ma voleva ricreare un ambiente ben preciso. Da Madama si era portata con sé una pizza margherita, ovviamente a forma di cuore. A casa avrebbe trovato sicuramente una bottiglia di vino elfico da stappare. Raggiunta la porta di casa notò subito Mister Mistero, il gufo sempre imbronciato e schivo di Katie. Questo le sputò praticamente una piccola lettera in mano e volò via. Nello slancio le zampette del gufo gettarono della neve sulla faccia di Mary. «Non ti mangio solo perché sono vegetariana, hai capito?» Gli urlò dietro la grifondoro. Fortunatamente aveva scelto una strada abitata da persone anziane e con poco interesse alla vita altrui.
Varcata la soglia, il calore della casa l'accolse subito e, nel riceverlo, Mary chiuse gli occhi ed inspirò l'odore di dolci che era una costante nel suo appartamento. Poggiò la pizza su tavolino e appese al muro la borsa ed il cappotto. Poi, prima di proseguire, aprì la lettera di Katie. Aveva già capito che non l'avrebbe raggiunta prima ancora di arrivare alla seconda riga. Increspò le sopracciglia quando lesse l'ultimo rigo. Recitava: "Un regalo è in arrivo, mia cara. Trattalo bene."
Scrollò le spalle, Katie era così criptica delle volte e la cosa la faceva impazzire. Ma era anche tremendamente elettrizzata. L'amica la conosceva perfettamente, sapeva di cosa avesse bisogno, sapeva i suoi sogni e segreti, conosceva praticamente tutto di lei. E quindi qualsiasi regalo le sarebbe arrivato, sapeva sarebbe stato perfetto.

Lui lo era. Oliver Brior.
Si era sforzata di non pensare a lui dopo il ballo di Halloween; se non in veste di Caposcuola e amico, il ragazzo non doveva entrare nei suoi pensieri. Aveva fallito miseramente. Aveva parlato di lui ad un gruppo di amici ben ristretto ma i pareri che ricevette furono troppo contrastanti per tenerli in considerazione.
Aveva riscaldato la pizza con un incantesimo, un bicchiere alto era stato riempito di vino. Aveva scelto di indossare dei vestiti più comodi: sotto dei jeans neri e larghi, le pieghe alte che lasciavano intravede dei calzini rossi ed aveva rinunciato alle scarpe per delle pantofole bianche; sopra indossava un maglione bianco di pregiata qualità, un regalo che si era fatta qualche mese prima. Infine, i capelli erano sciolti e mossi per via dell’umidità. La radio, accesa come sempre, era sintonizzata su un canale babbano che trasmetteva solo canzoni natalizie. Aveva deciso di procedere comunque con le decorazioni o almeno di portarsi avanti con l'albero. L'abete era stato posizionato alla parete opposta a quella del pianoforte, nel soggiorno. Con un colpo di bacchetta era stato allungato fino a raggiungere i centonovanta centimetri. Sul tavolino c'era il cartone della pizza aperto, con al fianco la bottiglia di vino; sul divano due grandi scatoloni con in bella vista la scritta "DECORAZIONI", da cui Mary di tanto in tanto recuperava una pallina. Aveva deciso di addobbare l'albero con palline rosse e luci bianche e di farlo senza l'uso di magia, com'era da tradizione. Il corpo di Mary si muoveva a tempo con la dolce musica di sottofondo e mormorava le melodie anche se non ne conosceva il testo. Di tanto in tanto prendeva un sorso dal bicchiere che stringeva nella mano sinistra e poi procedeva ad appendere una pallina.
Era a metà del lavoro quando sentì qualcuno bussare alla porta. Il suo «Arrivo!» morì sul nascere per via del morso che aveva dato ad una fetta di pizza. Sentì il profumo di limone prima ancora di arrivare alla porta e poi, sentì la sua voce. «Oliver?» ed aprì la porta. Prima che i suoi occhi raggiungessero la figura del ragazzo, guardò gli alberi di limone all'ingresso. Spontaneo il suo cervello la trasportò a quando era più piccola ed in compagnia di sua zia si divertiva a fare i dolci. Lei faceva ben poco: osservava, mescolava dopo sua zia, infilava l'indice nell'impasto per sapere come stava venendo il tutto. Ma c'era una cosa che da piccola non aveva mai capito. «Perché usiamo i limoni se sono così aspri, zia?» aveva chiesto una volta. Zia Hannah non aveva risposto subito ma quando lo fece sembrò molto contenta di ciò che disse. «I limoni non piacciono a tutti ma quando non ci sono ne senti la mancanza. Ricorda di metterli sempre in tutti i dolci.» In quel momento, per una Mary di dodici anni quella frase non ebbe alcun senso se non legato alla pasticceria. Da adulta pensò che sua zia si riferisse ai limoni come se fossero i suoi genitori, ma non aveva mai chiesto conferma. Ma fu per quella ragione che aveva fatto piantare due alberi all'ingresso. Avevano il compito di tenere d'occhio chi entrasse in casa ed in più Mary poteva attingere a loro a suo piacimento. Era solita, infatti, prendere dei limoni di tanto in tanto. Li odorava prima di tutto: il profumo era inebriante. Poi li usava per qualsiasi cosa, dell'insalata alla torta di mele. Non era strano per lei sentire il profumo del limone ma in realtà quel giorno era stato più insistente del solito: da quando si era svegliata e poi da Madama, il profumo del limone era stato intenso. Come se i suoi genitori volessero comunicarle qualcosa.
Quando portò il suo sguardo su Oliver, il naso e le guance arrossate, la piccola fossetta che gli si formava quando sorrideva, in quel momento Mary percepì forte l'odore di limone. Ma erano gli alberi, nient'altro che quello probabilmente. «Oliver.» Prima ancora di deciderlo, sul suo viso un sorriso aperto, convinto. «Cosa ci fai qui?» Chiese spontaneamente, un leggero rossore a tingerle le gote piene. Non doveva scavare nella sua testa perché era certa non avessero alcun appuntamento. Un brivido di freddo le ricordò che, nonostante nella sua casa la temperatura fosse vivibile, fuori faceva davvero davvero freddo. «Vieni, vieni. Entra.» Si spostò di un lato per lasciarlo passare e in fretta chiuse la porta dell'appartamento. Gentiluomo qual era, sapeva che il suo Caposcuola non avrebbe fatto un passo senza che Mary gli indicasse la via. Nel sorpassarlo, la grifondoro aveva già dato uno sguardo ed apprezzato il vestiario di Oliver: era sempre così elegante e le venne spontaneo chiedersi se avesse passato del tempo per decidere cosa indossare per lei. Nel raggiungere il soggiorno si rese conto del disastro in cui questo versava. «Scusami il disordine, sono alle prese con le decorazioni.» I suoi occhi si spostarono da Oliver all'albero. Non le importava perché fosse lì, la sua presenza la rallegrò subito senza ragione. Generalmente le piaceva avere ospiti ed il poco preavviso non la scoraggiava. Spostò una scatola dal divano, provando a fargli spazio. «Ti va un bicchiere di vino?»

©himë
 
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view post Posted on 17/12/2020, 19:06
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Craven Street N.12 » Londra
Non avrebbe potuto nascondere né negare di aver sperato in quell'incontro da settimane. Nella sorpresa che il suo arrivo avrebbe comunque potuto rappresentare, si celava tuttavia una vera e propria aspettativa: tutto in lui aveva suggerito di fermare Mary tra i corridoi, all'inizio o alla fine di una lezione, talvolta semplicemente al pianoterra della Sala Comune. Avrebbe potuto trovare una e più occasioni, entrambi risiedevano al Castello di Hogwarts, entrambi sedevano alla stessa tavolata in Sala Grande. Non sarebbe stato complicato, si era detto. Ma non sarebbe stato lo stesso, aveva subito suggerito il cuore. C'era un motivo che aveva reso Oliver paziente; un motivo che aveva accolto però con sempre meno quiete, mentre con un pastello rosso segnava una croce dopo l'altra sul calendario che aveva attaccato sulla parete frontale del suo letto a baldacchino, in dormitorio. Aveva osservato l'estinguersi dei giorni, uno dopo l'altro, mentre intimamente indugiava sulla possibilità di affrettare i tempi, di arrivare ad accorciarli - la magia, per il caso specifico che lo riguardava, poteva giungere in soccorso. Invece l'attesa aveva testimoniato in lui una partecipazione molto più intensa, molto più coinvolgente. Quella mattina, infine, tutto era giunto in compimento, e il risveglio si era tinto dei segreti del cosmo. Era il momento, l'aveva capito fin dal primo sguardo; mentre il miele bagnava le labbra, il gusto più delicato di fiori in davanzale vibrava di note carezzevoli. Così era lì, esattamente dove aveva desiderato essere a lungo, troppo a lungo. Era lì, di fronte la porta verde: circondato com'era dalla sorprendente essenza degli agrumi, gli parve che le trame presenti tessessero un idillio senza fine, permeato di eterea bellezza. Quando abbassò la mano, fino a sistemare invisibili pieghe del cappotto, Mary apparve proprio dove i concasati gli avevano detto che fosse, e non poté fare a meno che trarre un sospiro di sollievo. Si accorse di una stretta al cuore, ne interpretò il battito sfuggente come un richiamo familiare, fino a consumare la stessa scintilla d'aspettativa che aveva accompagnato il suo viaggio in quel luogo. «Proprio io.»
Cosa ci fai qui. Un sorriso sincero, così vivido da risultargli inusuale in quel periodo. Arricciava gentilmente la bocca in una gestualità che riconosceva e che gli mancava: non ricordava quando fosse stata l'ultima vera volta in cui si fosse sentito tanto spensierato, tanto... su di giri, in effetti. Desiderò camminare, e camminare ancora, fino ad affievolire la frenesia che aveva colto ad un tratto tutto il suo corpo. Invece, sorrideva. Forse anche un po' troppo, pensò subito. Si costrinse così ad abbassare il volto, ringraziando tacitamente l'amica per l'invito ad entrare. All'ingresso, cercò di racimolare uno e più pensieri, in fretta, evitando che la domanda genuina dell'altra potesse aleggiare senza risposta. Cosa ci faceva lì, si interrogò. Avrebbe potuto dire che si trattasse di una visita inaspettata anche per lui; avrebbe potuto aggiungere di esservi di passaggio, seguendo la scusante di un turno di lavoro presso lo store musicale di Tottenham Court Road; avrebbe potuto dire tante, tante altre cose. Perché sono qui, però, era un quesito che si era già posto a sua volta. Quando ne aveva parlato con Penny, il compagno di stanza aveva semplicemente suggerito di cercare Mary la sera stessa, in disparte. Aveva però scoperto che la concasata fosse a Londra, al suo appartamento; e sì, avrebbe potuto tranquillamente attendere il suo rientro, posticipare tutto all'indomani. Tuttavia... tuttavia aveva sentito lo stesso istinto che ora, guardandola dal vivo, pungeva intensamente il suo cuore. Il volto tradì una scintilla d'imbarazzo, e le gote si tinsero più rosee. Ne approfittò per spostare la sciarpa e toglierla insieme al cappotto, poggiando tutto sul braccio libero. *Volevo vederti, Mary. Volevo vederti.* Limpida, sapeva che tra tutte proprio quella fosse la verità. Riprese però in fretta, allacciandosi ai primi commenti da parte dell'altra. «Mi hanno detto che fossi qui, a casa, e non potevo aspettare. Volevo portarti una... un paio di cose.»
Si corresse verso la fine, il tono più scorrevole, più affine. Non appena ebbe modo di osservare meglio Mary, seguendola, non poté fare a meno di notare come il contrasto dei colori più esigenti - il nero dei pantaloni, il bianco del maglione - le concedesse continuamente raffinatezza. L'aveva pensato da sempre e nel tempo altro non aveva avuto che una conferma: l'eleganza, in persone come Mary Grenger, era innata. Forse proprio per quello sentiva di voler esserle accanto. Scosse il capo quando l'altra accennò al disordine, ad ogni modo. Non ne trovò affatto, non nei termini di paragone cui era abituato in dormitorio per via degli altri studenti; al contrario, apprezzò l'atmosfera del soggiorno, e il fatto che vi fossero decorazioni sparpagliate e un vero e proprio abete natalizio riuscì a coinvolgere tutto il suo volto in vero e proprio entusiasmo. «Volentieri per il calice di vino, ti ringrazio. Spero di non essere di disturbo, però. Se hai da fare posso tornare un'altra volta o rivederci al Castello, davvero.» Sperava con tutto se stesso che non fosse quello il caso, che non avesse trovato Mary in un momento troppo indaffarato. Gli occhi, tuttavia, non si trattennero dallo spostarsi sull'abete.
«È molto bello.» Aveva continuato velocemente, subito dopo una pausa cadenzata; la voce tradiva una nota di malinconia, e un'altra ben più stringente di tristezza. «Ho sempre amato decorare l'albero di Natale, sai. Quest'anno ad Hogwarts ho perso l'occasione, mentre a casa...» Chiuse gli occhi, rapidissimo. «A casa manco da tanto. Comunque, Mary, prima che sia tardi. Ti avevo promesso una pianta tempo fa, ricordi?» Cercò di abbozzare un sorriso, per un attimo ancora sovrappensiero - la nostalgia dei suoi genitori, di sua madre in particolare, lo spinse a battere più volte le palpebre. Ad un cenno verso l'amica le chiese tacitamente permesso per poggiare il cappotto e la sciarpa sulla prima postazione libera, e così facendo poté stringere più facilmente la borsa a tracolla. Rapidamente l'aprì per recuperare quello che difatti somigliò in tutto e per tutto ad un bouquet di fiori, stretti com'erano da un filo di cotone. Sospesero lì tra loro un profumo dolcissimo, come di lavanda, e quando Oliver estrasse un secondo oggetto, apparve chiaro si trattasse di un piccolo vaso color sabbia, di terracotta, già pieno di terriccio. Era coperto da una pellicola trasparente che sospingeva il terreno evitando che fuoriuscisse, ma risultava strano che non si fosse abbattuto in borsa, così com'era strano che i fiori fossero separati dal vaso.
«Questa, Mary, è una pianta molto speciale. Viene dal Cespuglio Farfallino che ho da anni in camera, ho atteso per settimane che fiorisse di nuovo per rendertene omaggio. Avrei potuto comprarlo, ma volevo... volevo che fosse questo, proprio questo. Avrai letto l'articolo al riguardo sulla Gazzetta, vero? Ecco, il Cespuglio Farfallino è per eccellenza la pianta beneaugurante del Natale. Non ci crederai, poi, ma questo è il primo anno per davvero che i fiori abbiano cambiato colore.» La borsa era ai suoi piedi, nella mano destra stringeva invece il vaso e in quella sinistra il mazzolino di fiori. Il suo sguardo, ad un tratto, era luminoso: che Oliver Brior trafficasse con baccelli, piante ed innesti, quello non era un segreto tra i concasati. Quello che aveva in dormitorio era una serra in miniatura, nel vero senso del termine. I fiori lì presenti si impreziosivano delle sfumature del blu, in effetti, ed era curioso come brillassero sulle corolle di petali dischiusi, e come sui boccioli tuttora stretti in chiusura dormiente mutassero verso tinte più fiammeggianti, sul tipico rosso che la sua talea aveva fin dalla prima volta che gli era stata regalata. Avanzò per raggiungere Mary e sperò ardentemente che l'altra potesse accettare quel pensiero. «Ho pensato che sposasse bene il tuo appartamento, richiede pochissime cure e volevo che qui vi fosse una parte di me.» Sorrise, con gentilezza. «Volevo inoltre che assistessi dal vivo alla fioritura, il mazzolino è cristallizzato nel tempo. Ha bisogno di acqua una volta nel vaso, e da lì... ti sorprenderà. A te l'onore.»
Le passò tutto, così felice da sentire il peso delle fossette piegatesi sulle gote. In basso, nella cerniera aperta della borsa a tracolla, si scorgeva curiosamente un fiocco dorato. Aveva atteso quel momento da settimane, aveva detto. Non aveva detto, però, di aver atteso con tutto se stesso.
 
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view post Posted on 19/12/2020, 11:23
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Lo aveva visto l’arrivo di Oliver. O, almeno, fu quella la sensazione quando si ritrovò il concasato alla sua porta. Per quanto fosse stata inaspettata la visita e per quanto in un primo momento anche Mary fu colta di sorpresa, sapeva sarebbe arrivato. Non sapeva spiegarlo, o forse sì per via delle ultime lezioni di Divinazione. Aveva percepito la presenza di Oliver intorno a sé per tutto il giorno e si era manifestata in mille modi differenti, fino al suo arrivo. Nel guardare il ragazzo, quasi in imbarazzo, si domandò se lui avesse programmato quella visita o si fosse ritrovato lì, in piedi di fronte la porta verde, spinto dalla voglia di vederla per via dell’amicizia che li legava, ovviamente. Lei lo aveva fatto spesso nelle passate settimane. In piedi in sala comune, all’imbocco delle scale che portavano al dormitorio maschile, aveva atteso di vederlo cercando di nascondersi dietro un libro. Dopo ore, dopo innumerevoli ragazzi, Penny le venne a dire che «Sì Mary, è lì. Vuoi che te lo chiami?» e la Grifondoro, matura come poche, aveva finto di nulla ed era scappata in stanza come una dodicenne ignorando l’esasperazione dell’amico di Oliver. Perché non poteva, semplicemente. Perché lei era quel tipo di ragazza, di donna, che non avrebbe rovinato la relazione altrui per via dei propri sentimenti, che non avrebbe rovinato un’amicizia così pura per degli impulsi che, seppur forti, erano ancora troppo confusi per dar loro un nome. Oliver era stato per lei un’ancora all’interno del castello. Anche quando non erano fisicamente vicini, lui c’era. Il suo supporto, seppur invisibile, spronava Mary anche nei compiti più facili. La linea sottile che confondeva Mary era tra il considerare Oliver il suo Caposcuola ed amico e quella persona. «Un paio di cose.» Fu spontaneo per lei pensare di aver lasciato qualcosa al castello; che fosse un libro, un oggetto importante, Oliver era probabilmente lì per portarglielo. E quella nozione la rattristo, per un attimo. «Non disturbi mai, Oliver.» Rispose con sincerità e non ebbe problemi nell’ammetterlo. Nonostante avesse una considerazione molto alta del ragazzo, peccava nel conoscerlo fino in fondo e voleva sapere di più sul suo conto, voleva sapere tutto. Quella, allora, si presentò come un’occasione d’oro per loro. Alzò l’indice per chiedere tacitamente all’amico di aspettarla e poi tornò veloce con un altro calice. Riempitolo di vino, lo porse ad Oliver. Non conosceva abbastanza il passato dell’altro per comprendere appieno il suo sguardo ma sentì che doveva stargli vicino. Fece un passo in direzione di Oliver, alzò la mano per toccargli il braccio e la ritrasse con velocità. Prima ancora che potesse dirgli qualcosa, il caposcuola cambiò discorso e Mary glielo lasciò fare. Perché era giusto che ognuno si esprimesse con i propri tempi. Una pianta. Sì, glielo aveva promesso e Mary aveva dato per scontato fossero state parole di cortesia. Non aveva calcolato quanto fosse preciso il ragazzo di fronte a lei. Nell’attesa che questo recuperasse tutti gli oggetti, la grifondoro gli diede per un attimo le spalle indirizzando il suo sguardo verso l’albero. Non era mancanza di educazione, era il bisogno di prendere un ampio respiro e di calmare il suo cuore. Da quando Oliver era arrivato il suo cuore aveva battuto ad una velocità forse preoccupante. Da un lato, per la sola presenza del ragazzo lì; dall’altra, per la paura di cosa una visita inaspettata potesse significare, in generale. Un piccolo sorso di vino la calmò e, nel posare il calice nuovamente sul tavolino, si voltò. Un piccolo mazzolino di fiori, Mary non ebbe difficoltà a capire di cosa si trattasse. Il cespuglio Farfallino, ne aveva scritto a riguardo la Gazzetta solo qualche tempo prima. La cosa che la colpì di più fu la provenienza del mazzolino: direttamente dalla camera di Oliver. Era suo, gli apparteneva, e aveva deciso di prenderne un pezzo e condividerlo con lei. Con lei. Il suo sguardo, indecifrabile al momento, si muoveva tra la pianta e gli occhi entusiasti del suo concasato. Entrambi, all’unisono, fecero un passo in direzione dell’altro e nel trovarsi così vicini Mary perse per un attimo il respiro. Era diverso rispetto alla festa di Halloween: lì erano stati Morticia e Gomez, interpretavano dei personaggi e nonostante spesso i ruoli fossero stati confusi, quella era stata una scusa plausibile per la loro vicinanza. Lì era diverso, quelli erano Mary Grenger ed Oliver Brior, solo loro. E lei non poteva, non doveva. «A te l'onore.» Il suo sguardo si trattenne sulla pianta per un attimo e per un attimo provò rabbia verso sé stessa perché in un momento così bello, un momento così gioioso tra loro, Mary voleva altro. Voleva di più. «Vado a prendere dell’acqua.» lasciò che Oliver mantenesse un attimo in più la piantina ed il vaso e poi, si affrettò in cucina. Un respiro, due, tre mentre l’acqua riempiva il bicchiere. Doveva tornare indietro ed essere l’amica che il ragazzo meritava di avere al suo fianco. L’amica che era venuto lì a trovare. Doveva farlo e basta. «Eccomi.» Il sorriso sul suo viso era sicuro. Ora di fronte ad Oliver si inginocchiò per terra, aspettando anche l’altro. Non notò la borsa per terra poco distante ma si concentrò sulla pianta. Prese il vaso, poggiandolo ed iniziò con entrambe le mani a scavare un solco nel mezzo del terriccio. «Si deve fare estrema attenzione quando si pianta qualcosa. Mia zia dice sempre che per prendersi cura di una pianta devi prima prenderti cura del terreno.» Il suo sguardo era rivolto al terriccio che Mary stava trattando con estrema delicatezza, quasi massaggiandolo. «Devi dare stabilità alla pianta per far si che cresca forte. “Una base forte per un futuro luminoso”.» Infine, alzò gli occhi per scambiare uno sguardo con il ragazzo. Aveva messo la piantina nel terreno e preso il bicchiere versando l’acqua a filo, lentamente. «Eccoci qui.» un attimo, due e poi tutto successe all’improvviso. La pianta sembrò aprirsi, prendere vita. Una singola farfalla si alzò lentamente: era blu con sottili strisce bianche e in un attimo volò sulle loro teste. Mary ne fu affascinata e la seguì con la bocca aperta. Nel guardare quella singola farfalla non notò le altre che si apprestarono a volare. Erano tre in tutto, le ultime due più piccole rispetto alla prima. Volteggiavano intorno a loro con lentezza e grazia. «È bellissimo.» Con un filo di voce ricco di stupore Mary si costrinse a portare gli occhi sul ragazzo. Lui sapeva sarebbe successo e anzi voleva che succedesse per lei, per i suoi occhi. Perché continuava a confonderla così? Il suo sguardo si fece più curioso e per un attimo pensò semplicemente di chiederglielo. E l’avrebbe fatto se non fosse stato per una farfalla, la più piccola, che si posò sulla guancia sinistra di Oliver. Mary sorrise, poi rise silenziosamente nel guardarla lì. Alzò la mano destra, raggiunse Oliver con lo sguardo per chiedergli tacitamente il permesso. Poi, portò l’indice sulla guancia del ragazzo tracciando lentamente la distanza fino a portarla alla farfalla. Questa si appoggiò abbandonando la guancia del ragazzo. Mary la fece volare. «Grazie Oliver, è un regalo bellissimo.» Anche lei aveva preso qualcosa, ma attese. Con Oliver c’è sempre di più.

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view post Posted on 12/12/2021, 20:23
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Craven Street N.12 » Londra
Amor. Desiderò pronunciarlo ad alta voce, svelarne il segreto che custodiva da tempo. Desiderò manifestare quella parola tra tutte, e desiderò declinarla nella lingua più romantica. Si accorse curiosamente di come i suoi pensieri, vertiginosi, avessero cominciato a dipanarsi in nuovi termini, in nuovi suoni – l'idioma spagnolo, l'essenza d'infinita dolcezza. Ricordò il modo in cui gli abitanti di Bilbao, sua seconda patria, tessessero tra loro gesti d'affetto, e come il mondo, il tempo, il cuore cristallizzassero sensazioni altrimenti intraducibili. Era quella, pensò, la verità ultima – per Oliver, per Mary, per una storia che aveva in sé dell'incredibile, nella semplicità dell'interdizione cui era stata costretta. Amor, avrebbe voluto bisbigliare. Chiamando il suo nome, vivendo il suo nome – in quel momento, in quella sera, e per ogni altra occasione. Al contrario negò per sé ogni più intima misericordia, e in quel modo peccò di coraggio. Avrebbe voluto fermarla, cercarle le mani; avrebbe voluto stringerla a sé, nel suo abbraccio, e mai lasciarla – neanche una volta. Cosa ti trattiene, implorava in domanda. Cosa ti blocca, pretendeva dai suoi stessi pensieri; e quello che la mente malediceva, il cuore esigeva. C'era un'altra donna, c'era un'altra persona. Una relazione che non aveva più futuro, e tuttavia... pur sempre presente.
«Ti aspetto.» Un istante, un giorno, una vita. Forse, inconsapevolmente, l'aveva fatto da anni; forse, e per la prima volta ne aveva consapevolezza, l'aveva sperato fin dal loro incontro. Ricordava il suo volto, il suo aspetto, il suo profilo – di quando aveva varcato la cornice d'ingresso alla Sala Comune, di quando aveva preso posto sulla poltrona davanti al camino, di quando aveva festeggiato con altri, tanti altri amici. E lui, in principio lontano, aveva inseguito il suo passaggio – un ammiratore, un privilegiato. Quando avevano fatto conoscenza, tutto era cambiato; ed era stata sintonia immediata, di quelle che capitano una volta nella vita.
Voleva raccontarle tutto. Dall'inizio alla fine, dal primo all'ultimo secondo di una trama che intrecciava seduzione e sortilegio, magia più antica di ogni altra al mondo. Voleva restarle accanto, voleva percorrere con lei – insieme – i ricordi più belli di un'intera esistenza. Ascoltami, Mary. Ascolta la mia voce.
Sentiva l'armonia dei suoi passi poco distanti, sentiva il turbinio dell'acqua del lavandino; e sentiva il suo profumo accompagnarsi all'aroma degli agrumi d'estate, dei limoni bagnati di luce, delle foglie di smeraldo e delle corolle di lavanda; sentiva l'odore del cuoio, del legno, del ferro, quelli così usuali negli allenamenti di Quidditch, nel ruolo da Battitrice che con lei, e grazie a lei, aveva lasciato più di un segno; sentiva le note delle rose ammantate di rosso, le stesse che l'altra aveva portato con sé nell'interpretazione di grazia di Morticia Addams, all'ultima festa di Halloween, e sentiva l'ardente insistenza del bourbon, delle braci, del fuoco – perché Mary era in ogni vivida memoria, e una parte di lui l'aveva sempre saputo. Avrebbe potuto perdersi nelle esperienze che avevano condiviso, naufragare in quel modo in confini spettacolari. Lei era lì, lo era davvero. Ed era bellissima.

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Ascoltami, Mary. Ascolta la mia voce. Anelava all'intreccio dei corpi, alla promessa di un bacio troppo a lungo rinnegato, e mai, mai una volta dimenticato. Bramava la sua vicinanza come un folle, perduto nell'illusione di un tempo indefinito. Il calice di vino trovò posto nella coppa creata dalle sue mani, l'unione congiunta di dita altrimenti tremanti; la pelle scottava, pretendeva il soffio di un desiderio che non poteva esaudirsi. Amor, sentiva in cuor proprio. Il canto mellifluo cui avrebbe volentieri prestato attenzione, e dal quale l'ultima stilla di razionalità serbava distacco. Non poteva, non poteva in alcun modo. Ma... era lì. Mary Grenger era lì, come un punto fisso nel tempo. Non era sicuro di aver ascoltato tutte le parole dell'altra, distratto da un battito accelerato che iniziava a dolere fin sottogola. Chiuse gli occhi, lasciando credere fosse per assaporare il vino. Al di là del cristallo s'infranse il suo riflesso, celandosi alla vista comune. E l'alcool, perfino pungente, divampò in una fiamma tanto pretesa – gli diede ristoro, cauterizzando il torpore di un animo in difficoltà. Lento, le gesta di un burattino, poggiò infine il calice nuovamente sul pavimento, lì dove – seguendo l'esempio di Mary – aveva preso posto a sua volta. Accavallò le gambe, strinse il palmo delle mani alle ginocchia; viveva l'estasi del ritrovo, ne era sopraffatto. Sapeva di esserne anche spaventato – sarebbe stato così facile, per lui, lasciarsi andare. Sarebbe stato uno sbaglio così grave?
«Mary.» Ascoltami. Ascolta la mia voce. Il suo nome sfidò il silenzio nel quale s'era rintanato; sfumò in un'onda carica d'emozione. Aveva lasciato che l'altra parlasse, aveva ascoltato a tratti nozioni sulla pianta, sul cespuglio farfallino, e in altre circostanze sapeva che ne avrebbe fatto maggiormente tesoro. Quando la concasata aveva concluso, e i boccioli s'erano dispiegati in voli di danza, tutto era apparso come la fiaba d'amore cui desiderava essere destinato. Con lei.
«Mary.» Chiamò il suo nome, una prima, una seconda volta. Amor, vibrava il cuore. Chiuse di nuovo gli occhi; nella miseria del diniego cui eticamente s'avvicinava, sapeva di aver ferito tanto sé quanto forse l'altra. Non poteva, non poteva...
«Sei bellissima.» Poteva, si concesse. Spezzò ogni prudenza, assolto dalla carezza dell'altra sulla propria guancia. Un battito d'ali di farfalla, uno scintillio azzurro dei fiori sospesi in volo, e dimenticò tutto. C'era sincerità, nella sua voce. E c'era tristezza, dolce e malinconica nei suoi occhi. Poggiò la propria mano su quella dell'altra. Non lasciarmi, diceva. Non lasciarmi andare.
«Nel modo in cui ti sistemi i capelli, nel modo in cui pronunci le finali.» Cominciò delicatamente, quasi un canto. «Nel modo in cui colpisci un Bolide, nel modo in cui pianti un Cespuglio Farfallino. Nel modo in cui inarchi le sopracciglia, nel modo in cui saluti i nostri concasati, e perfino nel modo in cui prendi in giro la Signora Grassa.» Deglutì, la mano tuttora intrecciata a quella dell'altra. Guidò entrambe altrove, fino a portarle sul proprio petto. Il cuore pulsava, la pelle bruciava sotto la camicia.
«In questi e infiniti altri modi, io ti vedo.» Sospirò. «Sei tu, Mary. Sei la ragione per cui invento una scusa per lasciare Hogwarts e materializzarmi da te, qui, in casa tua. Sei la ragione di ogni affetto più importante, e per questo... io...»
Amor. Amor. Amor. Ascoltami, Mary. Ascolta la mia voce.
«Non posso. Meriti di essere l'inizio, e non la fine. E io sono ancora impegnato, ho ancora una relazione da chiudere. Io...» Non puoi fermarti, non più. Sapeva di essersi spinto oltre, lo sapeva: il cuore era impazzito, la gola ardeva, le guance erano oramai avvampate; se avesse chiuso bocca, se Mary l'avesse interrotto, non avrebbe più avuto la forza per andare avanti. Cercò in fretta, di scatto, la borsa a tracolla; e tremante, privo di quel portamento pacato cui tanto era familiare, recuperò una scatola di cartone: un fiocco rosso in superficie, un nastro dorato di lato. Lo aprì ancor prima che Mary potesse fermarlo, e pretese, pretese ancora un istante, un ultimo istante.
La confezione svelò all'interno una serie di oggetti coloratissimi – la testa di un babbo natale, quella di un pupazzetto di neve; una sfera decorata in ghirlande e ciuffi di vischio, una simile al disegno di una renna; erano decorazioni natalizie, tutte rotonde e dipinte a mano. Ne prese una in particolare, una tra tutte, quella più simile ad un riccio. La offrì così all'altra, lo sguardo ardente.
«Nel modo in cui sento e vivo questo Natale, ci sei tu. Volevo che una parte di me fosse qui con te, e... volevo che qualcosa di ancor più tangibile restasse con te. Se lo vuoi, Mary.» Una polaroid sfilò via dal filo argenteo che legava la sfera, scivolando verso di loro in attesa di essere presa. In primo piano c'era l'immagine curiosissima di una creaturina molto buffa, simile ad un porcospino o forse ad un riccio; intorno a sé aveva altri ornamenti festivi, e il piccoletto – come in ogni fotografia magica – s'animò per sgranchire le zampette e sbadigliare energicamente, seduto su quella che somigliava ad una mini-sdraio accanto ad un abete scintillante. Dietro la cartolina svettava a chiare lettere una frase soltanto: "Certificato d'acquisto, Serraglio Stregato – Knarl, Classificazione XXX".
«Quando lo vorrai, sarà lì ad aspettarti.» Infine, Oliver tacque.
Doveva andare via. Non aveva scelta.
Ancora un attimo, l'ultimo attimo.

Non è stato facile scrivere questo post, e ti chiedo di perdonarmi per la lunghissima attesa. Non aggiungerò altro, è oramai di nuovo Natale e sembra vi sia una simbologia in tutto questo. L'incontro è un punto importante nella trama di Oliver e ti sono grato per averne preso parte. Ovunque Mary sarà, Oliver la porterà con sé nel suo cuore. Così come io porterò sempre te nel mio.

E per il Knarl... sai già quanto sia significativo per me.
Porta memorie di un'altra amicizia, di un'altra relazione preziosa, ed è per questo che non avrei potuto prenderlo per Oliver, è per questo che volevo fosse per te. Concretamente, non hai limiti di tempo: qui [click] il post d'acquisto; a tua scelta se e quando procedere con l'iter ufficiale.

Da parte mia, Mary...
Ti voglio bene, e buon Natale. ♥

 
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view post Posted on 13/3/2023, 14:50
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How do we forgive ourselves for all the things we did not become?
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Craven Street N.12 » Londra
Dicono che l'amore sia caotico, che si avvalga della confusione – oblio dei sensi. Ho sempre creduto fosse una mezza verità: la mente, è vero, si spegne; il cuore perde un battito, e un secondo, e un terzo... finché coinvolge il respiro, riducendolo in singulto. La bocca consuma lacrime e sorrisi, indistintamente. Amore, d'altronde, non ammette confine. Forse è questo che mi sorprende, forse è l'illusione – il privilegio, oserei dire – di essere diverso dagli altri, di comprendere il singulto del petto più del solito. Pecco d'egoismo, è evidente. Eppure, l'amore – per me – è nitido. No, non lo è stato sempre. Oggi, però, ho la presunzione di definirlo tale: limpido, evidente, perpetuo. Mi basta il tuo nome, infatti, per volgermi ovunque nel tempo. Cercarti tra la folla, inseguire l'eco della tua memoria. Ritrovarti, custodirti, renderti mia come nessun altro potrà mai fare – è la gelosia, forse vinta dall'egoismo, che mi lascia parlare così. Amore è sentire la tua carezza, in luoghi che hai attraverso negli anni. Sentire il tuo profumo, perfino in dormiveglia. Amore, per me, è il modo in cui pronunci le s, ancor più quando parliamo in cenni di spagnolo. Tremare all'idea d'averti allontanata, tremare al pensiero di perderti – e perdermi.
Amore, per me, è una finestra su Craven Street.
Il vetro, in arabeschi di legno e di rame, che si colora d'arancio, di rosa e d'azzurro – è il tramonto, che sfuma al crepuscolo della sera. Amore, per me, è affacciarmi sui tetti. Sedermi con le gambe che penzolano dal muretto, sporgermi fino a credere di poter cadere di basso... e tornare a te, al tuo abbraccio. Amore, per me, è porto sicuro – la consapevolezza di poter volgermi indietro, e trovarti. No, non precipitare. Se ci sei tu, accanto a me, il cielo si svela gentile. Sospira il vento, che ha il gusto della polvere, della cenere, delle foglie di limone dell'agrumeto per strada. Non ho paura, non più. Come potrei? Amore è danzare oltre il buio. I riverberi della luce scivolano lungo i palazzi, sospesi in alto con leggerezza finché non arrivano alla finestra; somigliano a nugoli di fate in volo, nell'incanto della sera che tutto trasforma. La magia, a Craven Street, è naturale. Mi basta sollevare gli occhi, fissare il presente. Coppia di ombre – potremmo essere noi. Danzano alle note soffuse di un grammofono, indietro nel mondo, indietro nel tempo. Lasciano che i passi dell'uno s'accostino ai passi dell'altra, forse il contrario. Mi piace immaginare che siano figure a sé, immortalate tra loro. Abbandonano l'istante. Girano, girano, girano. Diventa una giostra che tutto contiene, e che brilla di una e più meraviglie. D'un tratto, credimi, è come immaginarci al loro posto. Portarmi indietro, tornare subito avanti – è un incantesimo. Sei tu, oltre il mio pianto.
Mi accorgo di tremare. Sciocco, sciocco sognatore. Il sole è tiepido per i ballerini alla finestra, cinge le loro spalle con gli ultimi raggi. Delizia il cuore di una corona luminosa, rende loro eterei. Per me, invece, il buio è di velluto – avvolge l'angolo in cui sono relegato. Mi è compassionevole, cala su di me un mantello d'indaco. Io, che sono randagio, ti ho atteso lungo la strada. Seduto, in silenzio. Ho pedinato il tempo, indugiando verso il tuo incedere. E ho vissuto il tuo successo, il tuo diletto. Il mondo, oggi, ti conosce – io, invero, già ti conosco. Potresti passare ora per Craven Street, potresti rientrare infine a casa. E vedermi, vedermi abbandonato a me stesso – il cappuccio calato, la schiena contro il muro, il volto sferzato e dimentico. Amore, per me, è tormento. Ho atteso... te, forse. O me, non saprei dirlo. Ho atteso, nulla di più. Ho lasciato correre i giorni, ho mancato ogni tradizione: né Natale né San Valentino. Né compleanno. Potresti aver pensato d'aver dimenticato tutto, di aver dimenticato anche te. Il tuo tempo è anche il mio – ti prego, lasciamelo credere. Oltre la finestra, in alto, la coppia danza in eterno. Ho l'impressione che siamo noi, entrambi. Che sia tu a guidare i miei passi, il mio moto, il mio equilibrio. E poi si fermano insieme, cullati dalla musica. E lui cerca la sua bocca, e lei inclina il volto. Ed è un tassello, è un appello. Per me, che mi rialzo a stento dall'asfalto, è un desiderio. Inglobo il sole in una gabbia, anticipando la notte – i sortilegi violenti che conosco, infine, s'avventano lungo il palazzo. E il buio travolge tutto, la pietra, la coppia, la finestra. Il buio mi insegue, finché ti lascio un dono lungo la porta verde. Né biglietto né motivo: sono in ritardo, lo sono. C'è una parte di me che scende in riflessione, e presto – aspettami, ti prego – farò chiarezza. Per ora... per ora ti resta un dono in carta pergamena, incorniciato appena da una foglia di limone e un rametto di lavanda.

Guardo la finestra un'ultima volta, finché mi rimpicciolisco.
Finché, smaterializzandomi, perdo anche noi.

***

Nel pacchetto troverai:
LibroOmbre ingannevoli manipolano la mente, contiene le indicazioni per apprendere l'Incanto Proibito Plutonis
Amuleto dorato (+1PC +1PM) – vi è incastonata una madreperla, preferibilmente per allineamenti tendenti al buono.

 
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