Craven Street N.12 » Londra
Amor. Desiderò pronunciarlo ad alta voce, svelarne il segreto che custodiva da tempo. Desiderò manifestare quella parola tra tutte, e desiderò declinarla nella lingua più romantica. Si accorse curiosamente di come i suoi pensieri, vertiginosi, avessero cominciato a dipanarsi in nuovi termini, in nuovi suoni – l'idioma spagnolo, l'essenza d'infinita dolcezza. Ricordò il modo in cui gli abitanti di Bilbao, sua seconda patria, tessessero tra loro gesti d'affetto, e come il mondo, il tempo, il cuore cristallizzassero sensazioni altrimenti intraducibili. Era quella, pensò, la verità ultima – per Oliver, per Mary, per una storia che aveva in sé dell'incredibile, nella semplicità dell'interdizione cui era stata costretta.
Amor, avrebbe voluto bisbigliare. Chiamando il suo nome, vivendo il suo nome – in quel momento, in quella sera, e per ogni altra occasione. Al contrario negò per sé ogni più intima misericordia, e in quel modo peccò di coraggio. Avrebbe voluto fermarla, cercarle le mani; avrebbe voluto stringerla a sé, nel suo abbraccio, e mai lasciarla – neanche una volta. Cosa ti trattiene, implorava in domanda. Cosa ti blocca, pretendeva dai suoi stessi pensieri; e quello che la mente malediceva, il cuore esigeva. C'era un'altra donna, c'era un'altra persona. Una relazione che non aveva più futuro, e tuttavia... pur sempre presente.
«Ti aspetto.» Un istante, un giorno, una vita. Forse, inconsapevolmente, l'aveva fatto da anni; forse, e per la prima volta ne aveva consapevolezza, l'aveva sperato fin dal loro incontro. Ricordava il suo volto, il suo aspetto, il suo profilo – di quando aveva varcato la cornice d'ingresso alla Sala Comune, di quando aveva preso posto sulla poltrona davanti al camino, di quando aveva festeggiato con altri, tanti altri amici. E lui, in principio lontano, aveva inseguito il suo passaggio – un ammiratore, un privilegiato. Quando avevano fatto conoscenza, tutto era cambiato; ed era stata sintonia immediata, di quelle che capitano una volta nella vita.
Voleva raccontarle tutto. Dall'inizio alla fine, dal primo all'ultimo secondo di una trama che intrecciava seduzione e sortilegio, magia più antica di ogni altra al mondo. Voleva restarle accanto, voleva percorrere con lei – insieme – i ricordi più belli di un'intera esistenza. Ascoltami, Mary. Ascolta la mia voce.
Sentiva l'armonia dei suoi passi poco distanti, sentiva il turbinio dell'acqua del lavandino; e sentiva il suo profumo accompagnarsi all'aroma degli agrumi d'estate, dei limoni bagnati di luce, delle foglie di smeraldo e delle corolle di lavanda; sentiva l'odore del cuoio, del legno, del ferro, quelli così usuali negli allenamenti di Quidditch, nel ruolo da Battitrice che con lei, e grazie a lei, aveva lasciato più di un segno; sentiva le note delle rose ammantate di rosso, le stesse che l'altra aveva portato con sé nell'interpretazione di grazia di Morticia Addams, all'ultima festa di Halloween, e sentiva l'ardente insistenza del bourbon, delle braci, del fuoco – perché Mary era in ogni vivida memoria, e una parte di lui l'aveva sempre saputo. Avrebbe potuto perdersi nelle esperienze che avevano condiviso, naufragare in quel modo in confini spettacolari. Lei era lì, lo era davvero. Ed era bellissima.
Ascoltami, Mary. Ascolta la mia voce. Anelava all'intreccio dei corpi, alla promessa di un bacio troppo a lungo rinnegato, e
mai, mai una volta dimenticato. Bramava la sua vicinanza come un folle, perduto nell'illusione di un tempo indefinito. Il calice di vino trovò posto nella coppa creata dalle sue mani, l'unione congiunta di dita altrimenti tremanti; la pelle scottava, pretendeva il soffio di un desiderio che non poteva esaudirsi.
Amor, sentiva in cuor proprio. Il canto mellifluo cui avrebbe volentieri prestato attenzione, e dal quale l'ultima stilla di razionalità serbava distacco. Non poteva, non poteva in alcun modo. Ma... era lì. Mary Grenger era lì, come un punto fisso nel tempo. Non era sicuro di aver ascoltato tutte le parole dell'altra, distratto da un battito accelerato che iniziava a dolere fin sottogola. Chiuse gli occhi, lasciando credere fosse per assaporare il vino. Al di là del cristallo s'infranse il suo riflesso, celandosi alla vista comune. E l'alcool, perfino pungente, divampò in una fiamma tanto pretesa – gli diede ristoro, cauterizzando il torpore di un animo in difficoltà. Lento, le gesta di un burattino, poggiò infine il calice nuovamente sul pavimento, lì dove – seguendo l'esempio di Mary – aveva preso posto a sua volta. Accavallò le gambe, strinse il palmo delle mani alle ginocchia; viveva l'estasi del ritrovo, ne era sopraffatto. Sapeva di esserne anche spaventato – sarebbe stato così facile, per lui, lasciarsi andare. Sarebbe stato uno sbaglio così grave?
«Mary.» Ascoltami. Ascolta la mia voce. Il suo nome sfidò il silenzio nel quale s'era rintanato; sfumò in un'onda carica d'emozione. Aveva lasciato che l'altra parlasse, aveva ascoltato a tratti nozioni sulla pianta, sul cespuglio farfallino, e in altre circostanze sapeva che ne avrebbe fatto maggiormente tesoro. Quando la concasata aveva concluso, e i boccioli s'erano dispiegati in voli di danza, tutto era apparso come la fiaba d'amore cui desiderava essere destinato.
Con lei.«Mary.» Chiamò il suo nome, una prima, una seconda volta.
Amor, vibrava il cuore. Chiuse di nuovo gli occhi; nella miseria del diniego cui eticamente s'avvicinava, sapeva di aver ferito tanto sé quanto forse l'altra. Non poteva, non poteva...
«Sei bellissima.» Poteva, si concesse. Spezzò ogni prudenza, assolto dalla carezza dell'altra sulla propria guancia. Un battito d'ali di farfalla, uno scintillio azzurro dei fiori sospesi in volo, e dimenticò tutto. C'era sincerità, nella sua voce. E c'era tristezza, dolce e malinconica nei suoi occhi. Poggiò la propria mano su quella dell'altra. Non lasciarmi, diceva. Non lasciarmi andare.
«Nel modo in cui ti sistemi i capelli, nel modo in cui pronunci le finali.» Cominciò delicatamente, quasi un canto.
«Nel modo in cui colpisci un Bolide, nel modo in cui pianti un Cespuglio Farfallino. Nel modo in cui inarchi le sopracciglia, nel modo in cui saluti i nostri concasati, e perfino nel modo in cui prendi in giro la Signora Grassa.» Deglutì, la mano tuttora intrecciata a quella dell'altra. Guidò entrambe altrove, fino a portarle sul proprio petto. Il cuore pulsava, la pelle bruciava sotto la camicia.
«In questi e infiniti altri modi, io ti vedo.» Sospirò.
«Sei tu, Mary. Sei la ragione per cui invento una scusa per lasciare Hogwarts e materializzarmi da te, qui, in casa tua. Sei la ragione di ogni affetto più importante, e per questo... io...»Amor. Amor. Amor. Ascoltami, Mary. Ascolta la mia voce.
«Non posso. Meriti di essere l'inizio, e non la fine. E io sono ancora impegnato, ho ancora una relazione da chiudere. Io...» Non puoi fermarti, non più. Sapeva di essersi spinto oltre, lo sapeva: il cuore era impazzito, la gola ardeva, le guance erano oramai avvampate; se avesse chiuso bocca, se Mary l'avesse interrotto, non avrebbe più avuto la forza per andare avanti. Cercò in fretta, di scatto, la borsa a tracolla; e tremante, privo di quel portamento pacato cui tanto era familiare, recuperò una scatola di cartone: un fiocco rosso in superficie, un nastro dorato di lato. Lo aprì ancor prima che Mary potesse fermarlo, e pretese,
pretese ancora un istante, un ultimo istante.
La confezione svelò all'interno una serie di oggetti coloratissimi – la testa di un babbo natale, quella di un pupazzetto di neve; una sfera decorata in ghirlande e ciuffi di vischio, una simile al disegno di una renna; erano decorazioni natalizie, tutte rotonde e dipinte a mano. Ne prese una in particolare, una tra tutte, quella più simile ad un riccio. La offrì così all'altra, lo sguardo ardente.
«Nel modo in cui sento e vivo questo Natale, ci sei tu. Volevo che una parte di me fosse qui con te, e... volevo che qualcosa di ancor più tangibile restasse con te. Se lo vuoi, Mary.» Una polaroid sfilò via dal filo argenteo che legava la sfera, scivolando verso di loro in attesa di essere presa. In primo piano c'era l'immagine curiosissima di una creaturina molto buffa, simile ad un porcospino o forse ad un riccio; intorno a sé aveva altri ornamenti festivi, e il piccoletto – come in ogni fotografia magica – s'animò per sgranchire le zampette e sbadigliare energicamente, seduto su quella che somigliava ad una mini-sdraio accanto ad un abete scintillante. Dietro la cartolina svettava a chiare lettere una frase soltanto: "
Certificato d'acquisto, Serraglio Stregato – Knarl, Classificazione XXX".
«Quando lo vorrai, sarà lì ad aspettarti.» Infine, Oliver tacque.
Doveva andare via. Non aveva scelta.
Ancora un attimo, l'ultimo attimo.
Non è stato facile scrivere questo post, e ti chiedo di perdonarmi per la lunghissima attesa. Non aggiungerò altro, è oramai di nuovo Natale e sembra vi sia una simbologia in tutto questo. L'incontro è un punto importante nella trama di Oliver e ti sono grato per averne preso parte. Ovunque Mary sarà, Oliver la porterà con sé nel suo cuore. Così come io porterò sempre te nel mio.
E per il Knarl... sai già quanto sia significativo per me.
Porta memorie di un'altra amicizia, di un'altra relazione preziosa, ed è per questo che non avrei potuto prenderlo per Oliver, è per questo che volevo fosse per te. Concretamente, non hai limiti di tempo: qui [click] il post d'acquisto; a tua scelta se e quando procedere con l'iter ufficiale.
Da parte mia, Mary...
Ti voglio bene, e buon Natale. ♥