| Il rumore della pioggia scrosciante batteva costante sul tetto legnoso dell’edificio abbandonato. Alice aveva appena fatto in tempo a superare l’ampio cancello, con il suo scricchiolio languido e l’aspetto spettrale. Il tempo sembrava fermarsi in quel luogo, intrappolato nei granelli di polvere delle assi stanche, incollato come le lettere opache e mangiucchiate dai topi, intarsiate nel legno, un tempo lucido e brillante. Un passo dopo l’altro, lento, cadenzato dal suo stesso respiro che pareva essere rallentato, come in un sogno. Superata la biglietteria devastata dai segni del tempo, Alice si avviò in un corridoio lungo e stretto fino all’inizio di una scala che portava verso l’alto, verso un luogo ancora più remoto, dove la melodia sembrava provenire. Gocce d’acqua ticchettavano forti, facendosi spazio tra le aperture dei muri e del soffitto, rifugiandosi nel pavimento, dove ai lati dei muri un piccolo laghetto era andato a crearsi. Prima che i passi, leggeri e curiosi si avviassero per quella scalinata, la Grifondoro fu attirata da uno spruzzo di luce, posto alla sinistra della scalinata, verso quella successiva. Sgranò le iridi chiare, il cuore che ora riprendeva a vibrare sonoro. Lì, nata dal nulla, sembrava spuntare coraggiosa una pianta di rose. Rose selvatiche, che affamate divoravano il terreno e s’arrampicavano sulle pareti instabili. Rose che testarde erano riuscite a sbucare dal pavimento e a librarsi oltre le assi di legno e che ora si abbeveravano della pioggia copiosa. Era incredibile come la foresta la seguisse, ovunque lei andasse, la natura in qualche modo era parte di lei e nonostante il luogo inospitale, la trovava e le donava emozioni forti. I passi ora tremolanti, sembravano dirigersi verso quell’incredibile miracolo naturale, dove i segni del tempo non s’erano fermati, dove la vita ancora brillava forte e risplendeva. Il suo braccio, autonomamente si spinse verso lo stelo di una rosa quasi tagliata a metà dalla veemenza della pioggia, un canaletto formato da una tegola traversa aveva creato un canale d’acqua abbastanza forte, che aveva finito per distruggere il fiore più vicino ad esso. Troppa acqua poteva essere dannosa, poca era morte. C’era bisogno di un equilibrio specifico, come all’interno di una melodia dove le note si alternavano l’una dopo l’altra, all’interno di uno schema armonico e preciso, così allo stesso modo la natura prendeva vita ed avvolgeva tutto ciò che era stato abbandonato dall’uomo. Un fiore ferito, per metà afflosciato, strinse il suo cuore e di fatti lo staccò via da quella sofferenza che non era né vita, né morte. Portandolo con sé gli avrebbe regalato una nuova vita, un nuovo scopo. Avrebbe potuto poggiarlo da qualche parte e così il fiore avrebbe avuto il suo significato, il suo scopo: quello della memoria. Avrebbe avuto il compito di ricordare e di diventare ricordo. Avrebbe continuato ad esistere pur lontano dalla pianta che lo aveva rigettato e a vivere. Nel farlo però si punse e piccole gocce di sangue finirono per riversarsi sul candore dei petali, macchiandoli irrimediabilmente. Alice osservò la scena stupita, come se tutto stesse avvenendo secondo un preciso schema, come se le sue azioni fossero parte di uno sceneggiato, non le era mai successo prima di pungersi in maniera così sciocca, non riusciva quasi a crederci. La melodia però continuava e la Rossa voleva sapere, aveva bisogno di sapere, per cui ignorò il leggero fastidio che la puntura le stava causando. Tornò sui suoi passi, ripercorrendo il pezzo di corridoio scricchiolante e proseguendo verso le scale, dagli scalini spesso mancanti e dove i piedi incontravano il vuoto. Alice si teneva sulle pareti consunte, poggiando i palmi e tastando quella carta da parati in parte appiccicosa, in parte scivolosa a causa della pioggia. Sulla cima delle scale un grosso telo di velluto ne copriva l’apertura, il cuore ora sembrava bloccarsi e trattenere fiato, ne scostò una piccola parte, curiosa come non mai e quello che le si aprì innanzi fu uno spettacolo magnifico. Si trovava in un grosso ed abbandonato teatro, le scalinate ai suoi lati dovevano essere stati altri punti d’accesso, la platea una volta ordinatamente disposta ora mancava di alcuni posti, alcune file erano state occupati da pezzi crollati di tegole e detriti e quello che sembrava essere un grosso lampadario, ora in pezzi. Alice teneva stretta la rosa tra le mani, le luminarie che illuminavano quel posto erano accese, qualcuno doveva essere entrato, qualcuno stava suonando un vecchio pianoforte e a lei sembrava di star entrando dentro i sentimenti di qualcuno, dentro la loro anima. Era una melodia scomposta, ma tormentata, stridente, nonostante le sue note pungenti sembrava comunicare qualcosa. Si sentiva di star spiando segretamente quello che doveva essere un momento personale ed intimo, ma al tempo stesso, non poteva smettere di proseguire, lì per il corridoio principale, costeggiando il vecchio lampadario e notando solo ora i graffiti e i segni che l’uomo aveva malauguratamente fatto per rovinare quel luogo magnifico. Alice non era mai stata in un teatro magico, era abituata a quelli babbani, per cui quello era per lei un luogo piuttosto familiare, nonostante non fosse così esperta di teatri. Ci doveva essere stata un paio di volte, soprattutto lì in Inghilterra con sua nonna che era molto appassionata. Lei ora, come la pioggia, silenziosa ed al tempo stesso presente, non poteva smettere di scorrere, non poteva evitare di poggiarsi sulle pareti di quel luogo. Osservò il pianoforte devastato e qualcosa che muoveva i suoi tasti, da quella angolazione non riusciva ancora a vedere il resto, a causa di alcuni drappeggi bianchi che ne impedivano la vista, ma proseguiva lentamente arrivando solo dopo alla vista di un'ombra scura, che faceva da contrasto con le luminarie della sala. Alice sbattè le palpebre più di una volta, incredula. Non riusciva a capire se stesse sognando o meno. I suoi erano passi silenti, rubati.
In sleep he sang to me, in dreams he came That voice which calls to me and speaks my name And do I dream again? For now I find The Phantom of the Opera is there Inside my mind
Nel momento in cui si avvicinò, delle note scomposte, furiose quasi, si fecero spazio nel teatro, sottolineando un certo tipo di frustrazione. Alice si trovava a poca distanza e sussultò, quasi inciampando nei suoi stessi passi, si coprì la bocca come a voler soffocare quel sussulto vibrante, morto nella sua gola ma abbastanza da essere avvertito da chi si trovava in quel luogo. Indietreggiò velocemente urtando un sedile dove probabilmente avevano fatto sosta dei piccioni passeggeri, che si librarono in aria producendo più confusione di quanto Alice volesse attirare, la sua posizione era ormai scoperta, chiara e lei si sentiva quasi denudata, come se si trovasse di fronte al pubblico su un palcoscenico e non sapesse cosa fare o dire. Si sentiva in colpa, come se avesse fatto qualcosa di male, come se avesse ascoltato una conversazione di troppo. Sul suo viso un’espressione sorpresa e in parte spaventata. Le sembrava di aver visto un fantasma, non sapeva se quell'ombra fosse reale o meno, quella che stava a pochi passi da lei, era davvero reale o la sua immaginazione la stava tradendo ancora una volta? Tutto intorno a lei, sembrava far parte di un sogno, un sogno buio e polveroso. Qualcosa le urlava di scappare ma la curiosità le impediva di muovere un passo. Voleva sapere cosa ci fosse oltre a quel velo. .
|