L'indice della mano destra ticchettava ripetutamente sull'impugnatura di uno spadino che ricordava per forma una sciabola. Creava così un rumore ben cadenzato, infinitamente ordinato, mentre la lama catturava bagliori di fiammelle sempiterne: il camino scoppiettante, al pianoterra della Sala Comune, offriva riflessi che nessun'altra luce avrebbe mai potuto concedere, e così il vermiglio si tingeva d'argento, e l'ocra si impreziosiva delle ombre di tizzoni morenti. Un soffio di cenere sfuggiva al supplizio del fuoco, guadagnava l'estasi di un tormento. La bocca si tingeva del gusto dell'Artemisia - intenso, arcigno, dalle venature amare che il sigaro consumava. Era trascorsa l'una di notte, non c'era nessuno nei dintorni: il Preside Dippet era lontano, forse in visita ad un altro dei suoi ritratti, e Cassandra si era concessa al dormiveglia con gli occhietti socchiusi e la testolina sotto un'ala purpurea. Il Canto del Fwooper taceva, e il silenzio aveva il familiare scoppiettio delle fiamme. Sorrideva, il Caposcuola. La memoria della serata trascorsa continuava ad infondere un senso di spensieratezza che mai aveva sperimentato così pienamente nell'ultimo periodo. I festeggiamenti per il complemorte di Sir Nicholas erano una tradizione alla quale non avrebbe mai potuto mancare, ma a differenza di tante altre occasioni, lui non era stato l'anima dell'incontro. I pensieri convergevano là dove la mente invitava al diniego, e tutto in lui gridava all'assoluzione, al perdono, al silenzio. Aveva bisogno di dormire, lo sentiva. Le parole di Emma, tra tutte, avevano però fatto breccia in lui fino a mutare in germoglio, in una speranza, e infine in una promessa. Perché aveva detto di sì, aveva acconsentito al travestimento di gruppo; quella di Halloween era una festa che gli apparteneva, che aveva apprezzato nel corso degli anni, tuttavia non vi aveva pensato. Non era stato sicuro di parteciparvi fino a quando i suoi concasati non avevano confermato interesse, e l'idea di andare con loro, con tutti loro, anche per lui rappresentava una di quelle occasioni che non avrebbe potuto lasciarsi sfuggire. La famiglia Addams, come gli aveva raccontato Emma, faceva parte di un'identità culturale dei babbani da così tanto. Più ne era stato incuriosito, più ne era stato sorpreso: continuava a credere fermamente che potesse trattarsi di un'opera di un mago, i punti di contatto erano infiniti. Ma più di una mano animata, più di una sfrenata passione per la magia occulta, più di invocazioni e tombe da profanare, più di tutto quello, era la parola chiave d'esordio ad aver attirato Oliver. La consapevolezza che fosse una
famiglia, e la conseguente riflessione di rivedere in loro, nei Grifondoro, esattamente lo stesso. A lungo aveva allontanato i suoi concasati, e il rancore che in parte celava verso i più si esauriva fino a spegnersi, almeno con loro. Quello che gli era capitato, quello che aveva vissuto, e la serie di notti popolate da incubi e ancor più dall'insonnia. Per una sera,
soltanto per una sera, non l'avrebbero più condizionato. Per una sera, si disse. Per una sera sarebbe stato Gomez Addams.
Dormitorio N.2
Scherzava con il fuoco, lo sapeva. La mano destra impugnava la sciabola che aveva trasfigurato da un astuccio - di chi non l'aveva scoperto, e aveva taciuto ogni coinvolgimento. Era già vestito, mancavano circa venti minuti all'appuntamento con gli altri e rischiava di arrivare tardi per la prima volta in tutta la sua vita. Eppure, più studiava il suo riflesso nello specchio da parete dei bagni maschili, più si accorgeva di essere profondamente, stranamente
divertito. Il sorrisetto malandrino che puntellava il suo volto riusciva a rendersi perfino più accentuato con le fossette che si realizzavano sulle guance, e il trucco di Herbelia rifiniva tutto nel migliore dei modi: un velo di cipria risaltava gli zigomi, un filo di mascara agli occhi impreziosiva la tonalità smeraldina delle pupille, i capelli erano stati scuriti e tirati a lucido all'indietro, e parimenti aveva sfruttato un rapido colpo di bacchetta per ottenere un paio di baffi così...
setosi, di un nero più nero dell'inchiostro. Con un completo da smoking, una camicia candida, una cravatta annodata dolcemente al collo e un paio di francesine di vernice scura ai piedi, sembrava essere uscito direttamente da una sala di flamenco. O giù di lì, non ne era così convinto. Quello che il suo aspetto gli ricordava era in realtà uno di quei racconti che sua nonna Dominga snocciolava alle cene di famiglia, uno di quei racconti che custodivano in sé - per citarla - qualcosa di
caliente, di
apasionado, di
increíblemente romántico. E gli piaceva, a dirla tutta. Gli piaceva più del solito. Sistemò così una rosa vermiglia, leggermente appassita, nel taschino della giacca lucente. Un foulard sulle tonalità vibranti del rosso cingeva il bacino, e pendeva da un lato a coprire il fodero di una sciabola, e quello di un sacchetto pieno di finti galeoni. Si umettò la bocca, sentì lo specchio magico balbettare qualcosa che ignorò altrettanto in fretta, e sfrecciò via dal bagno. I suoi passi, per le francesine con tacchetti, battevano sul pavimento in un ritmo lussurioso, e con il petto ben sollevato Oliver sfilò via la bacchetta e la sciabola. Un colpetto deciso, una serie di disegni concentrici, e lasciò ai sortilegi il compito di rendere tutto un po' più scenico. Lo spadino volò fino alle tende fiammeggianti del dormitorio, e le tirò via - tagliandone una parte, a malincuore avrebbe dovuto poi provvedere. La luce del sole calante, nel meriggio, brillò in danza lungo le stanze, e Penny sollevò lo sguardo con un'espressione inebetita, e divertita a sua volta.
«Andale, Monsieur Soleil!» Incantò un bricco vuoto sul comodino, e subito dopo lo lasciò volteggiare con la stessa sciabola e il libro che il concasato stava leggendo, in perfetto silenzio.
«Olli, sei forse impazzito?»Zac. Un colpo secco, e la finestra perse consistenza: offrì il varco migliore per far spiccare il libro lontanissimo, giù dalla Torre Grifondoro. Si affacciò subito dopo, raggiunse la balaustra della finestra a passettini di danza. Con la mano libera a coppa sulla bocca, annunciò a grande voce un'altra tra le battute che si era segnato per il suo personaggio.
«Mi dispiace per la finestra, giudice. Tenga pure la palla, ne ho un secchio pieno!»«Tu-devi-farti-curare.» Penny era scattato, alla fine. Allibito, indicò oltre e sbottò subito dopo.
«Quello era il mio testo di Storia, lo dici tu a Peverell che-» Per tutta risposta, Oliver completò una giravolta su di sé, si piegò sulle ginocchia e balzò in fretta verso l'amico. Nelle sue più rosee aspettative stava imitando Gomez Addams in una delle piroette maggiori, tuttavia... aveva calcolato male il salto, e per giunta fu immediatamente chiaro di come gli mancasse la stessa elasticità del personaggio. Lo slancio era stato così fulmineo da non avergli concesso altra direzione, e con un cipiglio preoccupato sul volto finì dritto addosso all'altro ragazzo. Sotto di loro, per fortuna, l'ampio letto a baldacchino accolse il corpo prima dell'uno e poi dell'altro. Sentiva il respiro trattenere una grossa risata, stretto com'era a Penny Laurence. Il volto tradiva una scintilla di imbarazzo che, ne era certo, Gomez Addams non avrebbe avuto: l'amico, invece, appariva totalmente sbigottito. Ringraziò tacitamente che non vi fosse nessun altro in dormitorio, non avrebbe retto le risatine dei compagni, ma ancor più sorprendentemente si accorse di come nessuno dei due - per pochi istanti - stesse tentando di portarsi oltre, di spingere l'altro via in definitiva. Si scoprì di aver trattenuto il respiro, e nel contatto dei loro sguardi Oliver non sostenne quello oltremarino dell'amico. Ripristinò l'ironia degli Addams, e la mente gli giunse in soccorso immediato. Così ammiccò, inclinò il capo verso un lato e sussurrò all'orecchio di Penny.
«Tu mi hai stregato. Mi sono proposto quella sera.»Senza più concentrazione adeguata, l'incantesimo di librazione terminò e il suono del bricco che si frantumava sul pavimento si propagò lungo tutta la camerata. Una scheggia giunse sul letto, a pochi centimetri, e solo allora Penny sbottò a ridere fino a muoversi in modo isterico. Allontanò via il Caposcuola e prima che Oliver sfrecciasse via, la voce stridula di Penny lo raggiunse come un colpo.
«E comunque, Gomez.» *Non dirlo, non dirlo*
«Quelle battutine sono per Mary Grenger.»Hogwarts ✂ Zarathustra
Era in orario. Non in ritardo, non in anticipo, semplicemente in orario. Arrivò trafilato al pianoterra del Castello di Hogwarts e anche quella, per lui, parve una novità. Di solito era lui ad attendere gli altri, e ad ogni modo aveva occasione di sistemarsi, guardarsi attorno, modulare il respiro, e via discorrendo. Invece aveva percorso le scale dalla Torre d'Astronomia al portone d'ingresso con una tale frenesia da chiedersi se stesse sfuggendo. Per fortuna, il suo aspetto restava impeccabile: ebbe il tempo di specchiarsi in un'armatura, sistemare un riccio all'indietro e stringere meglio il nodo della cravatta. Era pronto, lo era davvero. Aveva visto nei dintorni altri studenti che avrebbero partecipato di gran lunga alla festa di Halloween, i loro costumi erano così accurati da aver desiderato scattare loro una fotografia, sebbene in segreto. Aveva portato con sé la sua macchinetta magica, nascosta per bene nel fodero insieme al resto dell'oggettistica - l'incantesimo di estensione era una benedizione per tutti loro. Quando poco dopo si ritrovò con gli altri concasati, il sorriso zampillò sulla sua bocca a coinvolgere di nuovo il volto per intero. Erano perfetti, tutti loro - dal primo all'ultimo tra gli arrivati. Sentì quello stesso moto di spensieratezza della sera precedente e gli parve di essere un'altra persona, per quella festa. Calò nei panni di Gomez Addams fin da subito, tutto quello che Emma gli aveva raccontato era stato poi approfondito dai fumetti, racconti e informazioni che si era fatto spedire da James, il suo collega allo store musicale londinese. Quando Mary Grenger scese le scale, lui l'attese come un gentiluomo d'altri tempi - la mano sinistra dietro la schiena, la mano destra già delicatamente sospesa ad accogliere quella dell'altra, non appena vicina.
«Oh Tish.»Un suono soffuso, armonioso,
vibrante - la lingua spagnola modulava le
-s, ne prolungava l'incantevole musicalità per un istante sfuggente. Seguì un baciamano, la delicatezza della sua bocca sulla pelle diafana della concasata. Era bellissima, lo era davvero: al di là della festa, al di là dell'interpretazione che avevano progettato tutti loro, Mary Grenger era bellissima. Non aveva bisogno di studiare il personaggio di Morticia Addams per cogliere la regalità che lei, l'amica, vestiva quella sera. L'abito sembrava tessuto nelle ombre, e come ombra ricamava l'eterna sensualità femminile; la cura dei dettagli che aveva scelto, il trucco che aveva considerato, le maniche più lunghe a cingerle i polsi, tutto era in lei incanto. Era fidanzato, ed era una pièce a tutto tondo: tuttavia, si sentì lusingato di essere al suo fianco; perché la sua ricerca di stile aveva da sempre avuto una ragione, e da sempre aveva chiarito un fondamento: da sé la bellezza non bastava, ed era un privilegio di pochi cambiarla in fascino, in eleganza, in raffinatezza. E per lui, quella sera, Mary Grenger era privilegio.
«Cara mia.»Apprezzava pienamente la Materializzazione Congiunta, era di certo il sistema di trasporto più rapido per tutti loro. Un paio di viaggi erano stati sufficienti, appena la certezza di non perdere qualche pezzo di qualcuno per strada,
anche se... I costumi dei suoi concasati, tutti loro, erano sorprendenti. Non riusciva a sostenere seriamente la figura di
Vivienne più a lungo di qualche secondo, senza scoppiare in una risatina che mal gli s'addiceva; aveva tentato di carezzarle una ciocca di capelli, mentre a braccetto con Mary proseguiva lungo il viale illuminato da lanterne, nella Londra serale.
«Cugina Itt, che delizia.» Mitigò perfino le
-z in un brusio più dolce, e ancora una volta fu grato alle sue origini in parte spagnole - il personaggio di Gomez racchiudeva in sé, in effetti, tante somiglianze con chi fosse per davvero. Ed era uno di quei vantaggi che avrebbe sfruttato fino a fondo. Suo fratello, vicino, avrebbe ricevuto una parte tutta propria durante la festa: lo spadino nel fodero attendeva soltanto di essere impugnato. Il maggiordomo,
Juliet, era per Oliver un cliché di stile che non avrebbe dovuto mancare in una famiglia come quella, e con Mano al seguito -
«Brava Mano, dai una mano! Scortaci lungo la via.» -, aveva un occhio di riguardo per i suoi figliuoli.
Emma era a suo avviso l'esatta, precisa,
meravigliosa terrificante copia di Mercoledì, mentre
Alice... lei era il suo Pugsley, quel marmocchietto che avrebbe dovuto istruire per bene ai piaceri della vita, e della morte. Nessuno avrebbe potuto interpretarlo meglio, nessuno di loro avrebbe potuto rendere meglio l'allegra, macabra famigliola. Alla festa, si premurò di avvicinarsi ad Alice e le affidò un sacchetto di galeoni finti.
«Bruciano le mani di chi li tocca.» Sussurrò veloce, e poi riprese ad alta voce.
«Marchiate tutti, bambini. E troviamo un tavolo per banchettare con i nostri nemici. Oh Tish.» Riprese, proseguendo verso il punto ristoro. Era stato già sorpreso dalle lanterne sospese per le strade, ma Zarathustra appariva nella sua più impressionante, spettrale scenografia. Sentiva di essere attratto dal richiamo orientale tanto quanto lo era stato durante l'esperienza nella Cina dei Ming, con la Scuola di Atene. Era ispirato dalle decorazioni visibili da un punto all'altro, e nella sua rappresentazione desiderò scoprirne di più. Si era ripromesso poi di fare un salto al punto vendita di oggettistica, quel negozio lo aveva da sempre affascinato. Al banco invece recuperò il bocciolo di rosa appassita e lo offrì a Mary, alla sua Morticia.
«Non trovi che sia perfetto, caro?»Un cenno leggero del capo, un sorrisetto che coinvolse in un tremito i baffi, mentre le labbra cercarono ancora una volta la mano dell'altra. Un bacio, ancora un bacio, e rispose restando in tema.
«Oh Tish. Quando ci siamo incontrati per la prima volta, anni fa, era una serata molto simile a questa.» Un sospiro, si volse leggermente di profilo. Lo sguardo catturò teatralmente la sala, e poi tornò sul volto della strega accanto.
«Magia nell'aria, una tomba aperta. È stato il tuo primo funerale. Eri così bella, Tish. Così pallida e misteriosa.» Si avvicinò di pochi centimetri, i loro corpi in leggero contatto. La mano sinistra, suadente, carezzò l'avambraccio della ragazza. Concluse in un sommesso filo di voce, sfumò via come un sortilegio occulto.
«Nessuno ha nemmeno guardato il cadavere.»Alla fine, però, cedette. Sentiva di essere calato nei panni di Gomez Addams e gli piaceva tantissimo, Mary poi era la compagna perfetta per una serata come quella e l'affetto che nutriva nei suoi confronti attingeva ad un'amicizia che a dispetto degli anni Oliver riteneva ormai pienamente consolidata. Era tra le persone che per lui, tra tutti, gli ricordava Hogwarts, ed era bello. Era fiducioso di non venir schiantato lontano, non si sarebbe spinto così oltre - restava un gioco, lo era per davvero, e cominciava a deliziarlo fin nel profondo. Schioccò la lingua, cercando il primo commesso disponibile. Un sacchetto di falci e galeoni, quelli veri, già era sul bancone.
«Un primo giro di Maotai, per favore.»Sorrise, sensuale.
«Para mi y mi querida»