Inversum, Quest Legilimens Esperto

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view post Posted on 2/11/2020, 16:52
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Il Fato

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Il principio è la fine. La fine è il principio.
La verità è che per ogni singolo tempo esiste una sola ed unica via, determinata e tracciata dal principio alla fine e rappresentante a sua volta un inizio


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C'era presenza di antico, in quel luogo. Sulle pareti, sugli arazzi che le impreziosivano, sulle cornici di bronzo di ritratti e fotografie dormienti. Impregnava i ricami di tappeti indigeni, sul pavimento. Scivolava oltre, primordiale come soltanto il tempo sapeva essere: bagnava il legno di cedro di una mobilia divorata dai tarli, consumava vecchie copertine di volumi rilegati, scalfiva le ceramiche di tazze, piatti e lanternine già piene di crepe. In quello stanzino isolato dal resto non c'erano finestre, non c'erano specchi: l'unica luce era quella di una candela che andava consumandosi. L'aria era più sottile, ristretta in uno spazio angusto − tanti scaffali, tanti cassetti, e infinite scatole impilate in colonna. Risultava quasi impossibile muoversi liberamente, eppure una figura si era addentrata. Con invidiabile sicurezza aveva superato una fila di altri ninnoli, il passo deciso di chi ritrovava familiarità nell'ambiente, fino a fermarsi ad un tavolino. Vestiva d'oro, un lungo abito di pizzi e merletti che copriva fino alle caviglie e all'incedere nascondeva scarpette color pastello, di tela. Quando si arrestò, dal basso soffitto di travi un soffio di polvere sfuggì via: alla flebile luce della cera parve cristallizzarsi in una ragnatela, sospesa com'era ad un palmo dal volto della donna. Socchiuse gli occhi e si piegò a prendere una scatola tra le tante. Pesava per lei, le braccia infatti vacillarono per un istante. Si costrinse a sedersi sul resto della pila, poggiando così il contenitore di cartone sulle ginocchia. Le mani ne carezzavano la superficie, la pelle diafana mostrava l'intricato reticolo di venature, di rughe, e dei segni di un'età veneranda. In quella stanza che viveva d'antico, anche lei era tempo. Gli occhi cerulei sfidavano la cecità, il movimento delle dita si imponeva al di là di ogni tremito. Quando aprì il contenitore, ne ritrovò un libro di poesie che sollevò fino al petto, e lì lo tenne stretto, stretto al cuore. Accolse un singhiozzo e come lei, divenne suono assoluto tra quelle mura. Cominciò poi a sfilare via dalla scatola una serie di lettere, l'una sull'altra. Ne cercava così le indicazioni in frontespizio: il destinatario, il mittente, la data di consegna. Quando la donna sistemò le pergamene di lato, scegliendone alcune tra molte, un giovane uomo entrò nello stanzino. Con gentilezza, sorrise e si portò vicino. Le lasciò l'impronta di un bacio sulla guancia, e catturò via l'increspatura dell'altra. «Mamma, buongiorno.» Lei non rispose, sembrava persa in un mondo lontano. L'uomo, nel frattempo, recuperava altri oggetti con la stessa dimestichezza della vecchia donna. Con una statuetta d'ottone tra le mani, tentò un'ultima occhiata verso sua madre. Aveva tante domande, ne aveva così tante: prima di poter chiedere all'altra di andare via con lui, l'anziana accennò ad un sorriso triste. Batté sul contenuto della scatola e quando parlò, la sua voce era spezzata − tradiva il sospiro di un animato affaticato.
«Questa doveva essere spedita, bimbo.»
L'uomo le si accostò, ad un tratto più incuriosito. Sentiva che fosse un momento importante, sentiva che tra tutti proprio quello fosse il momento. C'era dolcezza nei suoi occhi, c'era un messaggio profondo nelle stesse iridi azzurre che aveva ereditato dalla donna lì con lui.
«Posso portarla alla posta stamane.» Ma la donna scosse il capo, di scatto. Suo figlio non poteva capire. La sua bocca si sciolse in un sussurro: una parola, un'unica parola. Un nome, ripeteva un nome. Mamma, chiamava l'uomo. La confusione sviscerò paure più grandi, fino alla preoccupazione che celava oramai da anni: la pandorica si apriva, era il momento. Mamma, chiamava ancora. Con maggiore insistenza, con gli occhi che sgusciavano via intimoriti e tornavano sempre a lei, sempre al suo volto. Mamma, chiamò.
«No, bimbo.» La risposta tranquillizzò la figura maschile. Bimbo, era così che lo chiamava, era l'unica nota familiare. Non aveva neanche mai visto quegli oggetti che la madre stringeva. La donna infine portò una mano alla bocca, tremante. Quando aprì bene gli occhi, una lacrima danzò in solitaria. Coinvolse ogni cosa, coinvolse ogni tempo: l'uomo di fronte, la fiammella della candela, le crepe delle ceramiche. Era una lacrima antica, perché di memoria. Batté così la mano sulla scatola, di nuovo. E per l'ultima volta.
«Questa andava consegnata trenta anni fa.»

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Una coppia di Gufi Reali sfrecciava nei cieli scozzesi, l'uno con una lettera e l'altro con un pacco − stretti tra gli artigli, lasciavano il marchio di un trasporto che imponeva rapidità. La consegna non poteva attendere, perché quello era il momento. Alla fine, la storia trovava sempre il suo modo, sempre il suo percorso. Il ventiquattro Ottobre, i messaggeri sorvolavano l'ultima stradina acciottolata del sobborgo: in lontananza, imponente, il profilo del Castello di Hogwarts porgeva saluti. Quando ne superarono i confini, virarono in alto verso la Torre di Divinazione. Di tardo pomeriggio, quando ormai tutte le lezioni scolastiche andavano concludendosi, i gufi raggiunsero la Sala Comune Corvonero e sul loro piumaggio sembrò sospendersi il riflesso del bronzo e del blu. Priscilla, vestita di regalità, era lungimirante e già sapeva. Concesse fortuna propizia ai due allocchi, entrarono infatti rapidamente al dormitorio maschile e lasciarono tutto sul letto di Daddy Toobl: una scatola di cartone e una pergamena, nulla di più. All'interno del contenitore, avvolta da fasci di giornale per evitare impatti durante il volo dei postini, c'era una borsa rettangolare di cuoio rigido, il cui odore sapeva di antico. Aveva una lunga cinghia che la rendeva all'occorrenza anche tracolla, era in ottime condizioni e ricordava uno dei manufatti in stile vintage che girava tra gli Studenti di Hogwarts. Ad eccezione di una targhetta dorata con la scritta Laura in incisione, non aveva altri segni distintivi. Dentro c'era un libro, soltanto un libro − la copertina era consumata, soprattutto ingiallita; era decorata da un drappello di fiori stilizzati nelle rifiniture smeraldo e con il titolo in oro: Poems, Emily Dickinson. Si trattava della raccolta di poesie di una delle più famose scrittrici statunitensi, c'era una parte in cui le pagine sembravano invece ripiegate da angoli come a formare un segnalibro. Se Daddy avesse aperto il libro in quel punto, al suo sguardo la carta si sarebbe animata a prendere la forma di una farfalla. L'inchiostro delle parole lì trascritte le scivolava sulle ali di pergamena, si addolciva di gocce scure. Sembrava così realistica da apparire viva e come se avesse atteso a lungo, finalmente spiccò il suo volo − primo ed ultimo, un sortilegio concluso. Sparì infatti in una danza veloce, una giravolta, e tutto quello che rimase era la poesia che aveva protetto sul libro. Si intitolava Poiché non potevo fermarmi per la Morte e la lettura esigeva attenzione, trasmetteva un'empatia così coinvolgente. Una strofa, tra tutte, risultava essere stata sottolineata con un filo di matita. Una strofa, una soltanto di una poesia che era eternità.

Oltrepassammo la scuola, dove i bambini si battevano
Nell’intervallo – in Cerchio
Oltrepassammo campi di grano che ci fissava
Oltrepassammo il sole calante


C'erano altre, tante altre poesie nel libro.
Ma nessuna aveva un appunto, nessuna celava un volo di farfalla. Nella scatola non c'era altro, tutte le tasche della borsa erano vuote. C'era però una lettera che era giunta con la consegna, la busta era totalmente bianca e non recava il nome del mittente. Al suo interno, un singolo foglio poté presentarsi altrettanto anonimo: una patina ocra svettava agli angoli, la lettera era stata piegata soltanto una volta. Conteneva un messaggio in calligrafia elegante, le -i erano così sinuose da sembrare piccole onde, e tutte le lettere -t, invece, concludevano un tratto in un ghirigoro svolazzante. L'inchiostro era lucente, il messaggio era unico. Poche frasi criptiche e un indirizzo.

Distinto Sig. Daddy E. Toobl,
buongiorno. Il nostro negozio di antiquariato "In Perpetuum" Le ha spedito la prima parte di una consegna a Lei destinata. Dalle direttive forniteci, la seconda parte potrà essere prelevata soltanto di persona e non prima del 31 Ottobre. I nostri orari di apertura sono dalle 8.00 alle 18.00, è pregato inoltre di portare con Lei quanto oggi ricevuto.

Subito dopo la libreria Foster Books, giri sulla destra ed entri nella parete.
In Sua attesa, i nostri migliori saluti.

In Perpetuum, Negozio Antiquariato
193 Chiswick High Road
Chiswick, Londra W4 2DR
Regno Unito


Procedemmo lentamente
– non aveva fretta
e l'Immortalità
La Carrozza portava solo noi due
lei gentilmente si fermò per me
Poiché non potevo fermarmi per la Morte
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Post Scriptum — Benvenuto alla tua Quest di Legilimens Esperto, Daddy. Il post d'apertura è più lungo per le linee guida, quanto da te ricevuto è nella seconda parte. Noterai alcuni estratti della poesia nei blocchi finali, di volta in volta sveleremo le strofe con una traduzione accurata, potrai leggerla per intero nel libro. Poche direttive: come d'accordo, la Quest si annida nella tua storia familiare e come tale risulta estremamente personale. Questa strada è una rivelazione ed è molto più di uno sblocco vocazione. Indagheremo la mente, sveleremo misteri e indugeremo in luoghi fino ad ora segreti. Questa è una strada complessa, intricata come un labirinto: non ti chiedo statistiche, non ti chiedo scadenze, con la promessa di mantenere anch'io un buon ritmo. Quello che chiedo è assoluta, profonda attenzione. Ad ogni dettaglio, ad ogni parola. Perché questa, Daddy, è la tua storia. E merita da entrambi rispetto. Sarà un piacere, buona avventura.
 
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view post Posted on 7/11/2020, 18:18
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24.10 Hogwarts,

Stava arrivando. Lo sapeva, stava arrivando e sarebbe arrivato.
Il suo compleanno, il momento che utilizzava per tirare le somme, per capire se era stato un anno positivo oppure no, un periodo pieno di gioie o di rimpianti.
Non credeva nella tristezza o meglio, cercava di non rimanervici intrappolato. Cercava di starne lontano, di spingerla via e farla volare distante da lui che provava quotidianamente ad attrarre pensieri felici, positività da quello che faceva.

Era stato un anno difficile, ma che aveva portato con sé grandi soddisfazioni. Un anno che lo aveva visto perdere la carica di Caposcuola, sostituendola con qualcosa di reale, vero e tangibile: la sua personalità.
Si amava per questo e non poteva fare a meno di pensare che dovesse essere grato a tanti piccoli fattori che lo avevano portato ad essere e non soltanto apparire.
Fino a pochi anni prima era stato solo un bambolotto di pezza, che aveva raggiunto i podi più alti, ora era una persona, qualcosa di etereo, ricco di soddisfazioni, critiche e di vita.

Era vivo.

Arrivò alla Torre di Divinazione senza curarsi del tempo, perché il tempo era un’arma a doppio taglio che accelerava quando ci pensavi e rallentava se respiravi, lentamente, scandendo i secondi, gli istanti, semplicemente gli attimi.
Vagò con i pensieri, con le sue idee, provò ad accarezzare la profondità del suo essere che finalmente stava maturando e lo riempiva di turbolente opinioni e viscerali considerazioni.
Quell’anno era stato un grande anno, ma c’era qualcosa che mancava. Doveva chiarire, doveva colmare quei vuoti dati dalla famiglia che era in lotta continua, che era costantemente disturbata da quel suo percorso di studi che a tratti veniva considerato pericoloso.
Effettivamente era pericoloso e non poteva negarlo; aveva non poche volte rischiato la vita, perso coscienza, perso persone vicino a lui, ma poteva dire allo stesso tempo che lo aveva strutturato, reso la persona che era, l’uomo che presto sarebbe diventato.

Dopo aver risolto l’enigma proposto dalla porta che gli permetteva di accedere alla Sala comune, passò la mano con leggerezza sul tavolo scuro che si trovava all’ingresso e dove più di una volta si era trovato piegato a leggere stralci di nozioni che sarebbero stati utili per qualche interrogazione o compito in classe.
Anche quello era stato tempo utile per lui per apprezzare quanto avesse intorno, quanta luce lo aveva portato a quel giorno, il giorno che presto lo avrebbe condotto fuori dalle mura del castello e ad una nuova strada.
Espirando con leggerezza, sentendo i polmoni svuotarsi di pensieri e sogni, salì con tranquillità nella sua stanza. Aprendo quel luogo, dopo aver fatto vagare lo sguardo nell’ambiente, si posizionò sul suo letto dove notò una scatola di cartone e una pergamena, qualcosa che raramente si poteva intravedere in quel posto.
Avvicinando le dita con delicatezza verso la scatola, l’aprì per poi spostare con delicatezza i fogli di giornale lontani da quanto stavano cercando di proteggere.
Non appena l’ultimo barlume di carta venne allontanato dal contenuto, un forte odore di cuoio gli pervase le narici, portandolo altrove, in un luogo lontano, in un posto in cui sapeva di essere stato ma che non si ricordava di aver mai visitato.
Le mani scorsero lentamente sulla tracolla, come a volerla accarezzare.


*Laura*

Pensò tra sé e sé, trovandosi dinanzi a quella targhetta, a quel segno distintivo che probabilmente indicava che la tracolla era stata precedentemente di una donna, magari di una ragazza con la sua stessa età.
Lentamente le dita si avvicinarono all’apertura di quell’accessorio, quindi lo aprirono, lasciando in lui la suspense del momento, l’istante in cui tutto poteva succedere ma dove niente era ancora successo.
La lentezza dei gesti, dei suoi movimenti, gli stava facendo apprezzare il momento, dandogli importanza, senza divorarlo come era solito a fare.
Infilando la mano all’interno della tracolla sentì, il suo indice entrare in contatto con qualcosa di ruvido. L’interesse si fece sempre più grande, aumentò con forza fino a che non tirò fuori un vecchio libro, leggermente deteriorato dal tempo, su cui vi erano una serie di fiori stilizzati.


*Poems*

La mano passò con cura sulle rifiniture smeraldo e oro, cercando di scorgere qualcosa di storico che ancora non gli era stato raccontato.
Amava provare ad andare oltre l’apparenza, specialmente con i libri. Quegli oggetti, seppur rovinati erano in grado di raccontare qualcosa.
A dirla tutta poteva essere così anche con le persone solo che queste, se rovinate, potevano anche cambiare. In peggio.
Aprendo il libro, proprio dove sembrava esservi stato lasciato il segno, notò la carta prendere vita e trasformarsi in farfalla.
Tra gli insetti, quello era forse il più apprezzato da lui, perché con poco tempo doveva cercare di conoscere quanto di più possibile, apprezzando il momento.
Gli occhi si mossero velocemente all’apparire dell’inchiostro, all’apparire delle parole, delle singole frasi che potevano significare per lui qualcosa, una risposta da tempo attesa.
Muovendo le dita sulla carta, superò il titolo della Poesia, andando oltre, cercando la profondità in quanto gli era stato evidenziato:


- Oltrepassammo la scuola, dove i bambini si battevano
Nell’intervallo – in Cerchio
Oltrepassammo campi di grano che ci fissava
Oltrepassammo il sole calante -


Disse a bassa voce, cercando di focalizzarsi sulle immagini che la mente gli proponeva.
Da piccolo si era battuto per mostrare agli altri quanto valeva, aveva osservato campi di grano dai colori splendenti e più di una volta aveva visto il Sole calare.
Con fare curioso, sfogliò le pagine, cercando altre nozioni, ma non trovò nulla se non una lettera, che lo invitata ad andare in un negozio di antiquariato il giorno del suo compleanno.
Prese la lettera e chiuse il libro.





31.10 Londra,

Partì presto per ritrovarsi nel retro del negozio W4 Bathrooms, alla fine della Devonshire Road.
Era strano apparire nel bel mezzo di Londra dal retro di un negozio di forniture idrauliche, ma quella era una delle posizioni maggiormente consone per arrivare a destinazione.
Infatti, In Perpetuum, era oramai a pochi passi da lui e presto avrebbe assopito gran parte delle sue curiosità, dettate principalmente dal capire chi gli avesse mandato quella missiva e cosa ci fosse nella seconda parte della consegna a lui designata.
Camminando a passo svelto in direzione della Chiswick High Road, girò con decisione a sinistra, per ritrovarsi accanto la libreria Foster Books.
Passo dopo passo, il forte odore di carne proveniente dal ristorante The Crown dall’altro lato della strada pervase le sue narici, portandolo quasi a sognare di mangiarsi un bel pezzo di stinco di maiale.
Dopotutto, se quello era il giorno del suo compleanno, doveva comunque trovare un modo per festeggiare.
Cercando di trovare il momento opportuno per entrare all’interno del muro, con fare disinvolto osservò il suo vestiario casual e la tracolla che si era appuntato alla spalla come se fosse stata sua proprietà da sempre.

*Quando sei pronto, entri.*

Disse tra sé e sé , mentre respirava a fondo. Una, due, tre volte.
Ci mise poco a spingersi contro il muro indicato nella lettera, dando completa fiducia a quanto gli era stato detto.
L’avventura era iniziata.


 
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view post Posted on 8/11/2020, 12:30
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Il principio è la fine. La fine è il principio.
La verità è che per ogni singolo tempo esiste una sola ed unica via, determinata e tracciata dal principio alla fine e rappresentante a sua volta un inizio


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Chiswick era un quartiere fiabesco, incastonato come una gemma preziosa nella West London. Con i suoi colori più brillanti, con il continuo viavai di turisti e semplici passanti, rappresentava un vero e proprio assaggio di una città che aveva così tanto da offrire. Si diceva che la Capitale Britannica non dormisse mai, che vestisse originalità perfino nelle ore più tranquille, tanto di notte quanto di giorno, e Chiswick altro non era che una conferma, uno dei suoi gusti più pregiati. Circondata da edifici che si perdevano in modernità e in antichità, era sospesa tra i tempi e diventava difficile distinguerne singoli tratti ad una rapida visita − l'imponente sagoma di una banca di ultima realizzazione si imbatteva nella più minuta, curvilinea rappresentazione di una fontanella in marmo; una catena di negozi di lusso si scontrava con quella di ristorantini alla moda, di stile retro'. Era soltanto l'inizio di un quartiere sufficientemente spazioso da contenere in sé il connubio delle epoche, ma se si procedeva lungo il viale principale, la High Road svelava infinita bellezza. Dai locali in vernice lucente al banchetti colmi di ceste di fiori coloratissimi, dai carretti di stagione con melagrane purpuree, zucche brillanti d'arancio e d'ocra, e tutti quei vasetti di terracotta per piantine, erbe profumate e spezie; e ancor più dalle librerie, con The Foster Books simile ad una madreperla smeraldo a fare da apripista, e il profumo di carta stampata che aleggiava intorno e in spirali si mischiava a quello dei piatti più deliziosi. Le tavole calde si preparavano infatti ad accogliere uno e più clienti, ed era tutto un turbinio di carne arrosto, pane appena sfornato, crostini e rustici, talvolta scivolando in note più arcigne di frittura, di pesce, di salse agrodolci. Chiswick custodiva l'imbarazzo della scelta, per chiunque vi fosse trovato anche soltanto di passaggio. Per Daddy Toobl, tuttavia, la direzione era un'altra, già scandita. Come scritto nella lettera che aveva ricevuto, dopo la libreria più famosa di tutto il circondario si snocciolava una stradina laterale. Curiosamente era a fondo chiuso, un vicolo cieco di mattoni smussati negli anni. Diverse pagine, giornali e scatole di cartone si intravedevano agli angoli, e gli effluvi d'inchiostro sancivano la vicinanza alla storica libreria. Nonostante criptiche, le parole lette fornivano un'indicazione. Quando Daddy tentò l'accesso alla parete, si accorse immediatamente di come la pietra al suo contatto mutasse in un velo impercettibile. Un battito di ciglia, una stravagante percezione simile a quando attraversava la barriera di King's Cross, e l'istante seguente batté piede in un ambiente piuttosto simile al quartiere già percorso. Magari si trattava di pura impressione, eppure il luogo raggiunto ricamava tempere autunnali in modo perfino più vivido, con una brillantezza esclusiva. Il marciapiede sul quale si trovava Daddy era in acciottolato come il resto del viale − alle sue spalle restava il muro, svettava sullo stesso un poster degli Skull&Roots che annunciavano un concerto imminente. Di fronte si apriva un viale alberato, intervallato da casette dai tetti a spiovente e una saletta da tè con diversi clienti seduti ai tavolini rotondi all'esterno. Una giovane cameriera uscì proprio in quel momento dalla porta vicina, trasportando ad un colpo di bacchetta un vassoio carico di pasticcini e di un bricco di latte. Si aggiungeva un ragazzino che passava di lì, sulla strada maestra, con uno skateboard che volteggiava a mezz'aria sotto di sé, e un Crup che gli correva alle gambe con la doppia coda al vento. Un tappeto di foglie rosseggianti, arancio, giallo e nocciola vestiva i sampietrini, e non un'automobile screziava la cornice d'insieme. Idilliaco o meno che potesse apparire, era ad ogni modo evidente di non essere più nella controparte popolata dai babbani. Alla destra di Daddy, comunque, si inerpicava un sentiero leggermente in salita, sfumava verso la fine in altre direzioni. Per lui, tuttavia, il percorso da compiere era minimo: era dalla parte in cui tanti negozietti, tutti in perfetto stile vintage, si stringevano gli uni agli altri. Sulla sinistra c'era una libreria così ampia da occupare altre tre strutture in successione, e di tanto in tanto alcuni volumi si libravano in volo ad attirare promettenti le occhiate incuriosite dei passanti. Sulla destra, invece, un fioraio sistemava fuori dal suo locale una talea di dente di leone che lasciava sfuggire un ruggito sommesso. Più in alto, ma subito dopo, l'insegna "In Perpetuum" svettava nitidamente. Se fosse stata raggiunta, così vicina com'era, sarebbe apparso subito chiaro si trattasse della propria destinazione: l'intera struttura era in legno verniciato di una profonda tonalità oltremarino; una finestra rettangolare mostrava uno scorcio all'interno, con tutta una serie di quadri, manufatti e mobilia d'antichità. Una pianta rampicante, priva di fiori, addolciva di verde tra foglie e rametti dai cornicioni, mentre la porta d'ingresso era leggermente più avanti, oltre una bicicletta in ferro con un cestino di vimini. C'era un problema, però. Dalla porta in vetro lucido pendeva un cartello, la cui scritta Chiuso poneva fine ad un inizio mai realizzato. Sulla lettera, tuttavia, l'orario d'apertura indicato era proprio quello. Spingere la maniglia d'ottone non sarebbe servito, la porta era chiusa. Un uomo si aggirava tra le mura e Daddy poté vederlo nitidamente.

Oltrepassammo
la scuola
per la Sua Cortesia
il mio lavoro
e il mio riposo
e io avevo abbandonato
Procedemmo lentamente
– non aveva fretta
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view post Posted on 8/11/2020, 19:42
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Quando si spostò verso il muro, il sapore urbano venne sostituito da uno maggiormente antico e sacro.
La Londra Magica, apparve a lui nella sua atipicità e non poté fare a meno di sorridere, apprezzarla e sentirla sua.
Ogni qual volta il panorama mutava in quel modo davanti a lui, Daddy, portava la sua mente alla prima visione di Diagon Alley.
Si ricordava bene quando pieno di dubbi si vide davanti a sé le mura vive del retro del Paiolo Magico spostarsi, dando l'accesso a quel Mondo fatto di stranezza e accettazione della diversità.
Difatti, mentre molti dei nati babbani ritenevano che il primo vero momento magico vissuto da loro fosse l'arrivo della lettera che gli diceva di essere stati scelti per andare a studiare ad Hogwarts, lui riteneva che il suo primo vero avvicendamento alla magia era stato dato da quello spostamento di semplici mattoni che fece apparire una realtà che mai si sarebbe immaginato potesse esistere.
Osservando il ragazzo con lo skateboard muoversi con leggiadria e sentì dentro di sé lo stesso profumo di libertà.
Lui era lì, era dove voleva essere, nel suo Mondo e non poteva chiedere di meglio.
Si spostò in avanti, sorrise in direzione del Crup vicino a lui, quindi alzò lo sguardo dirigendolo in direzione della via che si poneva davanti a lui.
Il manto invernale era qualcosa di speciale, difficile da descrivere, ma portava in lui energia e innata spensieratezza.
Quei colori accesi, quel giallo ocra e marrone castagno persistenti ai suoi occhi, permettevano di sentire con maggiore vigore l'aria fresca che gli entrava nei polmoni e inebriava il cervello.
Era leggero, curioso sì, ma anche leggero.
Ed era con quella leggerezza che si sarebbe diretto verso il negozio di antiquariato, verso quella insegna che gli cercava di ricordare che era per sempre, radicato in quel luogo, in quei modi di fare che pochi anni prima erano lontani da lui.
Camminò a passo lento, mettendo le mani nelle tasche come a voler tirare verso la vita l'indumento.
Era così che voleva vivere, voleva portare tutto quello che lo circondava con lui. Tutta quella meraviglia non poteva venir abbandonata.

Il vento levigava il suo volto, frusciava come a volerne addolcire i lineamenti che erano sereni e curiosi di quanto stesse accadendo.
Presto avrebbe scoperto qualcosa di nuovo, si sarebbe interessato di un altro oggetto o di qualche nuova nozione oltre quelle che aveva visto nel libro che gli era stato regalato.
La legnosa insegna dai colori marini rischiarava il suo cuore facendolo sentire a casa. Quello era il suo elemento, la sua certezza che aveva dovuto accettare, il colore che rappresentava una parte di lui.
Osservando dalla finestra cosa lo stava aspettando, notò diversa mobilia pararsi davanti a lui.
Era qualcosa di affascinante il passato. Descriveva il futuro, esprimeva il suo essere, gli permetteva di prendersi cura di qualcosa e di difenderlo dalle intemperie del tempo oltre che dal male del Mondo.
Osservando il cartello che diceva che il negozio era chiuso, decise di bussare con decisione tre volte.
Una per il passato, una per il presente e una per il futuro.
Il tre, il suo numero perfetto, la disparità che dentro di lui portava una certa regolarità.
Il tre che non definiva nell'essere il primo, né il secondo, ma comunque il podio, l'eccezionale impegno che portava comunque un risultato.
Respirò per vedere il suo volto riflesso nel vetro.

Si chiamava Daddy Toobl e aveva 20 anni.
Quello era il giorno del suo compleanno, ma poco importava.
Era il frutto di ferite e sorrisi, di gioie e dolori, di una serie di astratte vicissitudini che erano arrivate a lui e che aveva dovuto affrontare.
Era il risultato di un continuo scontro con il Mondo, con le persone care e con se stesso.

Soprattutto con se stesso.


 
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view post Posted on 11/11/2020, 11:36
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Il principio è la fine. La fine è il principio.
La verità è che per ogni singolo tempo esiste una sola ed unica via, determinata e tracciata dal principio alla fine e rappresentante a sua volta un inizio


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Al terzo battito, la porta si aprì in una soffusa armonia: in alto c'era infatti un campanello in ferro battuto, la cui catenina pendeva nella forma stilizzata di un becco curvilineo. Daddy poté proseguire, l'interno del negozio lo attendeva. Sarebbe stato subito evidente che lo spazio fosse ben più esteso di quanto previsto, la magia ne sfidava ogni architettura: si presentava ad ogni modo come una stanza circolare, dalle pareti della stessa tinta oltremarina vista all'esterno, inanellate da mensole, scaffali e dipinti ad olio. Di lato c'era una scala a chiocciola che sfumava in poche giravolte di poggiamano in legno, conduceva sinuosamente ai piani superiori. Il negozio ricordava un salone da ballo, ne custodiva la stessa solennità e la luce proveniente dalle vetrate d'ingresso creava effetti di chiaroscuro e riflessi perlacei che rendevano tutto ancor più mistico. C'era un passaggio libero al centro, lì si sparpagliava un lungo tappeto orientale in ricami oro e zaffiro, fino a carezzare il bancone principale. Si trattava di un mobile rettangolare di almeno un paio di metri, in quercia, ai lati del quale erano state intarsiate splendide raffigurazioni di corvi: le ali si dispiegavano in un piumaggio che scivolava fino al basso, offrivano così l'impressione di essere creature vive, di una materia che attendeva soltanto un comando per animarsi, per spiccare il volo. Nei tratti principali del becco e degli artigli si inserivano occhietti vispi in madreperla, l'unico colore sul legno: creavano uno sguardo brillante che scrutava fin dalla porta, invitando infine a farsi avanti. Dietro c'era una cristalliera, le cui ante proteggevano boccette, gioielli e ceramiche. Al di là del bancone e della scala a chiocciola, il resto del negozio era circondato da mobilia, statue e articoli d'antiquariato. Non tradiva disordine, anzi invitava ad un passo di danza tra le epoche. Lungo le pareti laterali il negozio svelava tesori di manifattura inestimabile − sedie, poltroncine e divanetti cingevano tavolini con ricami di pizzo, i lembi che si sollevavano appena a sistemare invisibili pieghe; seguivano bauli, armadietti e parafuochi francesi, perlopiù in legno con intarsi di scene fiabesche raffiguranti creature dei boschi, ninfe e fate in volo etereo; ancora oltre, in un angolo, c'erano paralumi di pergamena, la cui scintilla di luce dolcemente nascosta rivelava sulla carta promesse in rivoli d'inchiostro, parole in lingue romantiche che propiziavano il sonno; attirava poi un battito cadenzato di un secretaire à cylindre, uno scrittoio risalente al XV secolo, la cui anta si alzava e abbassava ad attirare attenzione: a sua volta, mobile d'incanto, voleva essere ammirato. Altri piani d'appoggio si incastonavano alle mura portanti, rivelavano libri in pelle, manuali antichi, rilegature di pergamene, scalpelli, pennelli e tavolozze di colori. Si scorgevano ancora cornici in più forme, in più materiali − alcune sospese gentilmente, in riflessi d'argento e d'oro, altre in legno, in rame. Mostravano scorci di volti, paesaggi, figure indimenticate, allo stesso modo degli scatti fotografici in fermacarte, spille e quadretti tutto intorno. All'approssimarsi di Daddy Toobl, il risveglio punse articoli dormienti. Un busto marmoreo, il più vicino alla porta d'ingresso, volse silenziosamente il capo verso il nuovo arrivato: era un'accoglienza, quella, che non aveva confronto. L'etichetta descrittiva identificava la candida testa al XVII secolo, seguiva una citazione in latino. Omnia mutantur, nihil interit.

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Tutto cambia, nulla perisce. Ed era vero, in quel luogo si respirava l'essenza del tempo. Era un ambiente vissuto, un ambiente che nutriva la testimonianza degli uomini. Mai una volta poté concedere l'idea di declino, perché quei manufatti − antiquati, dimessi, alcuni perfino smussati agli angoli dalle intemperie degli anni − dichiaravano la persistenza di quanto sopravvissuto. Lungo la stanza, dal pavimento alle mura portanti, aleggiava il mistero della ciclicità. Di quanto accaduto, di quanto conservato, di quanto presente. Di una resistenza che invocava potere. L'artigianato magico guizzava di sortilegi vetusti tra l'uno e l'altro punto, in un intervento che rendeva quel luogo manifesto, più vivido di quanto si potesse immaginare. Nelle tempere del legno, del rame e del ferro, e in quelle dell'oceano in vernice, dava la percezione di un grembo materno, di una grotta, di abissi che lenti andavano scoprendosi. Non c'era ancora un volto cui affidarsi, il profilo intravisto dalla porta d'ingresso sembrava scomparso − in quei pochi momenti di solitudine, erano soltanto loro, Daddy e il negozio d'antiquariato. Il contatto mutava in incontro, e l'incontro già tesseva quelle trame primordiali che per anni, per lunghi anni aveva conservato. Come un'epifania, giunse al giovane mago una sottile, velata impressione di familiarità. Così le narici pizzicarono di un profumo recondito, tanto innato da non apparire come nuovo. Ricordava Ars Arcana, ma era di più. C'era qualcosa, in quel negozio. Qualcosa che Daddy Toobl, paradossalmente, sentiva più vicino del solito. Quando il busto statuario cambiò direzione, nel vuoto battito di palpebre parve comunque mettere a fuoco un'altra presenza. Il leggero suono di passi in avvicinamento poté infine destare piena attenzione. Dalle scale a chiocciola, infatti, comparve un giovane uomo: vestiva un paio di stivaletti in pelle, di un nero intenso come il lungo cappotto, le cui pieghe coprivano fino alle caviglie; alamari d'argento ricamavano in arabeschi l'abito e il colletto inamidato di una camicia bianca, appuntata fino all'ultimo bottone. Sul lato sinistro del completo, una corolla di petali stilizzati si dischiudeva ad ornare in filamenti sottilissimi, altrettanto lucidi. Appariva slanciato, le gote leggermente più piene, capelli e occhi color dell'inchiostro, e nell'eleganza della sua gestualità − le mani sulla ringhiera, la postura perfetta, lo sguardo attento −, sembrava essere esattamente nel posto giusto. Sembrò studiare Daddy con attenzione, parlò poi con voce profonda, molto cordiale.
«Buongiorno, è qui per l'asta del pomeriggio?» Non poté fare a meno di notare la borsa a tracolla e sul suo volto si stagliò il primo sorriso.
«Quella è una borsa Aurélie del '50?» Animatosi di un interesse improvviso, percorse gli ultimi scalini fino all'atrio. Da vicino era sufficientemente alto, intorno un profumo delicato di resina sospirava dolcemente. Doveva essere un commesso, perché dal taschino spuntava una targhetta semi-nascosta, si scorgeva il nome in grassetto del negozio e quello successivo del ragazzo si perdeva fin dalle prime lettere. Continuava ad ammirare la borsa.
«Immagino lei sia un venditore, non un acquirente.»


Oltrepassammo
il sole calante
Oltrepassammo campi di grano
che ci fissava
Nell'intervallo
– in Cerchio
dove i bambini
si battevano
Oltrepassammo
la scuola
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view post Posted on 14/11/2020, 15:55
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Non si poteva negare che l’entrata era stata ad effetto.
Non appena la sua mano toccò per la terza volta la porta, questa si tirò all’indietro, come a volerlo fare accomodare.
Che fosse un ospite gradito? Qualcuno di tanto atteso?
Sinceramente Daddy non credeva che fosse così, anzi, credeva che quella fosse una mera e fortunata coincidenza.
Passo dopo passo, si addentrò nel luogo sentendo un insolito disagio pervaderlo e prender possesso di lui.
Che diamine ci faceva lì? Perché si trovava in quel luogo tanto distante dalla sua persona?

Eppure…

Quell’odore, quel misto di polvere e antichità, lo stava riportando indietro nel tempo, in una realtà che non conosceva, in un posto che non si ricorda, ma in cui sapeva di esser stato.
Aveva già avuto quella sensazione tenendo la tracolla tra le mani, aveva avuto quella stessa percezione sfogliando le pagine ingiallite di quel libro di poesie che, fino a prova contraria, non significava nulla per lui.
Si sentì strano, totalmente a disagio in quel posto che lo metteva a proprio agio.
Qualcosa non quadrava, c’era qualcosa di assolutamente assurdo in tutta quella storia che portava a farlo stare all’erta quando era comunque più delicato e sensibile del solito. C’era uno scollamento tra il suo essere e la persona che sapeva di essere, un vuoto che gli faceva capire che in quel luogo qualcosa stava avvenendo.
Muovendo gli occhi con lentezza nel posto, notò che questo aveva una forma circolare.

*Stupendo*

Pensò, mentre osservava la forma perfetta del locale e lo sguardo continuava a vagare lentamente alla ricerca di qualcosa che potesse richiamare la sua attenzione.
Non notò la forma familiare del campanello posto sulla porta, non notò molti piccoli dettagli di quel posto perché le pareti avevano per lui un non so ché di magnetico, non notò nemmeno il busto vicino l’ingresso fissarlo, forse oramai fin troppo abituato alle statue animate di Hogwarts, ma di certo non poté fare a meno di notare il bancone del locale.
Avvicinandosi a questo con soddisfazione, provò ad allungare la mano come a volerlo toccare.
Chi aveva cura di quel dono del genere, con quell’accurata rappresentazione di quei volatili, aveva il suo più profondo rispetto.
La delicatezza con la quale erano stati elaborati quei corvi era da ammirare; in quello specifico caso, gli ornamenti avevano dato al mobile modo di acquisire valore, di raggiungere la sua massima personalità, insomma, avevano fatto in modo che esprimessero a pieno lo spirito di chi lo aveva costruito.
Provò a passarvi una mano, per sentirne la superficie. C’era il rischio che sarebbe potuto passare per ladro, ma allo stesso tempo quello sarebbe potuto essere l’attimo per notare le raffigurazioni con maggiore enfasi.
Anche lui aveva un oggetto con una figura simile e lo aveva trovato per puro caso all’interno dell’ufficio del Guardiano di Hogwarts.
L’anello su cui sopra vi era raffigurato un Corvo, che portava con sé fin da quando aveva undici, era passato di dito in dito fino a trovare posto sul suo indice destro stabilmente.
Era assurdo vedere delle connessioni invisibili agli occhi di tutti così apertamente, gli facevano sentire che stranamente si trovava nel posto giusto.

Proprio mentre la mano continuava ad avvicinarsi al banco, una voce lo richiamò alla realtà.
Gli occhi scattarono nell’aria con fare infastidito, ma il suo volto cercò di evitare che sul suo volto apparisse del sincero disappunto.
In quegli anni scolastici aveva capito una cosa fondamentale; certe volte era meglio fingere e non mostrare i propri stati d’animo perché questi potevano incidere sulla vita ordinaria, alle volte era meglio apparire sereni per riuscire a raggiungere ciò che si voleva, piuttosto che mostrarsi infastiditi da subito.
Sorridendo, poggiando comunque una mano sul bancone, disse:


- Salve. -

Il contatto con la superficie lignea lo fece stare bene.
Con quel tocco era riuscito a percepire la delicatezza di quel mobile, l’amore che era stato messo nella sua costruzione e la cura negli addetti di quel negozio nel tenerlo in quella forma perfetta per anni.
Sentì dentro di sé quella sensazione salvifica che gli faceva pensare che bastava un tocco per capire tante emozioni e problematiche; bastava un tocco, uno sguardo diverso per capire ciò che le persone sono piuttosto che limitarsi a vedere ciò che mostrano.
Infilandosi la mano nella tasca, osservando il garzone avvicinarsi a lui con estrema curiosità, tirò fuori il messaggio che gli era stato recapitato e che gli diceva di recarsi nel negozio. Cercando di porgerglielo disse:


- No, non sono qui per l’asta, ma per ritirare la seconda parte della mia consegna. Saprebbe dirmi chi l’ha richiesta? Non ho ricevuto alcuna informazione al riguardo. -

Sorridendo leggermente al ragazzo, mentre attendeva la sua agognata risposta, iniziò a parlare del più e del meno. Nel corso degli anni aveva capito che questo tipo di atteggiamento poteva essere molto utile, specialmente con le persone a cui si richiedeva un qualche tipo di informazione:

- Sa, sinceramente non lo so se è una borsa Aurèlie del ’50, non mi sono informato al riguardo. L’ho portata solamente perché come vede mi è stato chiesto espressamente di riportarla qui.
Sicuramente è un bel pezzo di storia! Ho avuto proprio questa sensazione la prima volta che l’ho toccata. -


 
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La verità è che per ogni singolo tempo esiste una sola ed unica via, determinata e tracciata dal principio alla fine e rappresentante a sua volta un inizio


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Aurélie o meno che fosse, la borsa aveva guadagnato un'attenzione di rilievo. In mostra, la pelle tuttora lucida le concedeva un ristoro che in quel luogo convolava alla perfezione, quasi ad essere il tassello mancante dell'intera collezione presente. Il negozio di antiquariato avrebbe saputo accogliere un manufatto simile, ne avrebbe elogiato la raffinatezza del cuoio, la tessitura di ricami e di targhette in ferro argenteo. Il giovane commesso si scoprì come una pagina di libro aperto, il volto tradiva palesemente l'estasi di quanto visto: già mentre parlava e ancor più mentre ascoltava Daddy, si era soffermato a lungo sulla borsa. Nell'eleganza del suo aspetto, si premurò di non risultare invadente: così indietreggiò di un passo, semplicemente spostando il peso da una gamba all'altra. La mano destra, invece, scivolò lungo le pieghe dell'abito di tinte oceaniche, fino a nascondersi in una tasca − impaziente com'era nell'impulso di sfiorare la borsa, di arrivare a toccarla per davvero. Ne era come attratto, dovette infine accorgersi del nome sulla targhetta, l'espressione cangiante in un guizzo di curiosità. Laura, il nome zampillò come se pronunciato ad alta voce. Laura. Tornando sul volto di Daddy Toobl, il giovane di bell'aspetto annuì.
«Lo è, un bel pezzo di storia per davvero. Occorre che le chiami Wilfred allora, saprà spiegare tutto.» Lo disse con semplicità, come convinto che l'altro avesse naturalmente colto il resto. La mano tornò libera dalla tasca, passando sull'abito in un gesto casuale. Il ragazzo non sembrava intenzionato a dirigersi verso un punto del negozio in particolare, restava invece fermo, esattamente dov'era. Soltanto gli occhi si erano spostati altrove, a cercare un dipinto poco più in alto della porta d'ingresso. Per stemperare ogni possibile tensione, il giovane sorrise, e sollevò l'indice verso la cornice adocchiata. Anche Daddy, allora, avrebbe potuto voltarsi ad incontrare un unico, solitario dipinto: una natura ridente, uno scorcio paesaggistico, altro non mostrava tuttavia che un campo di grano. Ricamava sprazzi d'oro e aurei filamenti, il frumento che ondeggiava come sospinto da un soffio di vento. Ricordava il capolavoro di Van Gogh, tuttavia perdeva le tinte più cupe per tempere accese, gialle, luminose. Non c'erano sentieri, le spighe occupavano lo spazio, ad eccezione di un sprazzo d'azzurro di un cielo indimenticato. Come in richiamo dallo sguardo del commesso, una goccia d'inchiostro apparve in cornice: si piegò su di sé, in picchiata verso il campo d'ocra, e soltanto verso l'ultima giravolta acquisì la compostezza di un corvo. Le ali lucenti, il becco appuntito, velato di nero gracchiò sonoramente. Per nulla sorpreso, a quel punto, la voce del commesso sfumò subito dopo con gentilezza.
«Molto bene, Wilfred ci attende. La prego, mi segua.»

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Wilfred. Un nome recondito, trascinò con sé la stessa familiarità che Daddy aveva percepito con le note del legno, della mobilia, dell'antiquariato. C'era qualcosa di innato, in quel luogo. Qualcosa che travalicava i confini, che non ammetteva distinzione nei tempi: come quando di ritorno dalle aule scolastiche, Daddy rientrava in Sala Comune e l'accoglienza della statua di Priscilla gli concedeva ristoro, certezza, stabilità. Anche quelle stanze infondevano una nota simile, un déjà-vu che non avrebbe avuto ragione d'esistere. E che invece, imperterrito, esisteva. Antica magia tingeva l'incontro, influiva sui cardini di una coscienza che si contorceva in una ricerca che non aveva punti di contatto, né nel passato né nel presente. Quello era il momento, viscerale come una stretta al petto, intoccabile come il segreto di una sfinge. Il commesso svelava la strada, giungeva alla scala a chiocciola e volgendosi indietro, in sorriso, invitava a non fermarsi. Non c'era insicurezza, nell'incedere. Non c'era timore, in Daddy. Vibrante, un'impercettibile, incompresa aspettativa sfidava ogni altro battito. Qualora avesse acconsentito, il Corvonero avrebbe presto raggiunto il piano superiore. ll negozio, come aveva avuto modo di accorgersi prima, era chiuso: altri non c'erano che loro. All'ultimo gradino la nuova stanza si aprì in una forma altrettanto circolare, più stretta dell'atrio inferiore, e di certo meno occupata: le pareti ospitavano una serie di quadri, in una e più forme, tutti in legno. Adeguatamente distanziati gli uni dagli altri, già ad una prima analisi sarebbe apparso curioso come quelli circolari ritraessero personaggi − cavalieri, cortigiane, dame, molte figure regali che sedevano su poltroncine lì contenute, sui troni e seggi di tempera bronzea, alcuni stringendo corone e diademi tra le mani, sui capelli − e come quelli rettangolari e quadrati, al contrario, mostrassero paesaggi, nature, ambienti, luoghi. C'era inoltre un'armatura, alla destra della scala a chiocciola che ancora saliva verso un terzo piano fino ad incastonarsi in un soffitto altresì pieno di cornici. Era evidente si trattasse di una galleria d'arte, la mobilia restante si esprimeva infatti in poche sedie foderate in tessuti pastello, per tutti quei visitatori che avrebbero scelto di sedersi per ammirare la collezione. Sul fondo svettava un bancone in legno, identico a quello nel salone sottostante − era tuttavia più piccolo di dimensioni, ma parimenti intarsiato con i corvi dagli occhi di zaffiro. Un uomo più anziano vi sostava dietro, in piedi. Vestiva un completo sul nero sfumato, la giacca bene abbottonata rivelava una cravatta annodata con sicurezza; era sufficientemente alto per imporre la sua presenza, esigente e raffinata fin dall'impressione iniziale, dietro il mobile. Aveva capelli castani leggermente lunghi, velati di segni dell'argenteo grigio di un'età veneranda. Ciocche, quelle, che si scorgevano soltanto ad uno sguardo approfondito. Parlò in una voce ben modulata, senza sollevare gli occhi.
«Ti ringrazio, Theodore. Puoi andare.» Parve rivolgersi al ragazzo, perché con un cenno veloce del capo, una conferma educata, l'accompagnatore salutò indirettamente anche Daddy allo stesso modo e girò sui tacchi. Il suono dei suoi passi sulle scale verso l'atrio sfumò nel cicaleccio di sussurri e risatine leggere, tutte quelle dei personaggi nelle cornici. L'uomo non aveva ancora guardato Daddy, ma con la mano sinistra fece segno di avvicinarsi. Controllava un bagliore iridescente sul palmo della destra, invece, apertosi come a contenere un tesoro. Somigliava ad una goccia, e ad un'altra, e ad un'altra ancora − come un'onda del mare, sgorgava scintille perlacee, libera come una creatura abissale. L'uomo non stringeva la propria bacchetta magica, modulava il sortilegio invece in gesti delicati. Ne carezzava la superficie, ne sfiorava appena la pelle con quella che difatti somigliava ad acqua, pura e limpida acqua. Accennò un sorriso non appena Daddy gli fosse stato più vicino e subito dopo, di scatto, chiuse la mano a pugno. Qualsiasi cosa fosse stata, la magia si estinse tra le dita dell'uomo. Sollevò gli occhi, e parve che nell'azzurro delle iridi si celasse tuttora il bagliore scomparso. «Buongiorno, il mio nome è Wilfred.»
Le voci tacquero, i figuranti delle cornici si ritirarono. Il principio era silenzio, lo era sempre. E la fine, la fine era il suono. Come uno spillo a pungere la fronte, Daddy non poté comprendere cosa il suo cuore gli stesse comunicando. Qualcosa, di certo. Qualcosa di recondito, qualcosa di antico. La fronte pizzicò, mentre l'uomo scrutava il volto del ragazzo.
«Dovresti essere Daddy, ho inviato io la lettera. Hai portato tutto?»
Passò ad un tono confidenziale. Una coppia di sedie dal cuscinetto verdemarino, nel frattempo, si spostò da sé verso un tavolinetto al centro della sala. L'uomo lo indicò. «Ci vorrà un po' di tempo, spiegherò tutto. Posso offirti un tè? È sempre l'ora giusta.»

La mia stola -
solo tulle
Perché solo di garza la mia Veste
La Rugiada si posò rabbrividente e gelida
O piuttosto -
Lui oltrepassò noi
Oltrepassammo
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view post Posted on 28/11/2020, 18:08
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Il disagio era divenuto una componente costante in quel luogo.
Non sapeva spiegarsi perché, non riusciva a dire come mai, ma , il disagio, era entrato dentro di lui, fino a portarlo a sentirsi inadeguato.
Si fermò a fissare il giovane con aria sfrontata.
Era così che si comportava quando non si sentiva adatto a determinate situazioni. Si poneva con un atteggiamento duro, quasi astioso, nei confronti dell’interlocutore così da sembrare sicuro.
I secondi che passarono dalla risposta del commesso sembrarono durare un’eternità.
Come mai si sentiva così in difficoltà in quel luogo? Che cosa stava succedendo alla sua persona in quel posto?
Era innaturale la sensazione che provava sulla sua pelle, mentre era la normalità ciò che avvertiva nel suo naso.
Quei sapori, quegli odori. Era tutto così familiare, così vicino a lui. Era tutto così assolutamente suo che, quando vide i corvi, sentì di essere a casa.
La sensazione era strana e gli faceva pensare che ci fosse uno scollamento nella sua persona. Come era possibile che i suoi sensi si sentissero a loro agio, mentre lui nel pieno della sua consapevolezza non era ad agio per niente?

Proprio mentre il silenzio veniva spezzato dal giovane commesso per poi lasciarlo nuovamente ai suoi pensieri, gli occhi si spostarono verso di un quadro a cui prima non aveva fatto caso.
Il suo collo, come se fosse radiocomandato, si girò verso quel campo di grano. L’oro, riempiva le sue iridi, generando in lui la sensazione che non fossero più azzurre.
Il richiamo – perché così lo avvertiva – lo portò a vedere meglio quello che stava succedendo. Che cosa rappresentava quel frumento? Abbondanza? Pienezza della vita? L’accontentarsi delle piccole cose? Perché c’era quel campo?
Le domande erano tante, numerose, ma aumentarono al vedere il corvo arrivare e gracchiare sonoramente.
Era letteralmente affascinato da quanto stesse succedendo. Qualcosa di alquanto insolito e particolare stava contornando quel particolare momento della sua vita, dirottandolo in qualcosa a lui nuovo.
Non era un tipo facile da sorprendere. Oramai erano anni che non veniva più sorpreso da nulla e nessuno, perché quella magia la stava dando per scontata, cosa che non era assolutamente possibile per lui ad undici anni, età in cui scoprì di appartenere a quel Mondo.

Fece un passo, poi un altro.
Wilfred era il nome e per lui significava qualcosa.
Sentiva l’odore di antico, la solidità di quell’appellativo. Era una quercia, radicata nel suo essere.
Arrivò verso la scala e sentì dentro di sé qualcosa scalpitare.
Non aveva paura, non l’aveva mai avuta. Non aveva timore perchè quella situazione sentiva di averla già affrontata e apprezzata.
Rapidamente in lui sentì di venir coccolato. C’era stata una carezza invisibile, qualcosa di dolce che avvertì nel suo cullarsi in quel posto familiare.
Cosa stava succedendo? Dove si trovava realmente? Chi era?
Le risposte alle domande c’erano, solo che non se le ricordava. L’oro in lui si era acceso facendogli sentire che il momento atteso era arrivato e non c’era più da attendere.
Che poi si domandava; perché aveva atteso?
Cosa stava succedendo non lo riusciva a capire, ma sentiva di riempirsi di nuova forza passo dopo passo. Lui era arrivato lì, dove doveva essere, dove sapeva che doveva stare. La storia alle volte permetteva al destino di accadere e far verificare quanto di meraviglioso potesse succedere.

Mentre osservava il nuovo ambiente e sentiva la voce dell’uomo congedare il commesso fin dal principio gentile nei suoi confronti, sentì una fitta pervadergli lo scopo.
Sapeva che stava succedendo qualcosa di unico, qualcosa che stava aspettando da tempo e per cui era finalmente pronto.
La testa gli domandava come mai non avesse fatto prima quel passo, perché non fosse arrivato lì anni prima, ma il corpo rimaneva inerme, come se quella situazione non fosse mai stata vissuta da lui o conosciuta.
Sentì la voce e questo per lui fu già tanto.
Sentì la voce sicura e proporzionata, degna di un personaggio con carattere e questo lo fece star bene, facendogli però ricordare che lui in quella caratteristica aveva ricevuto la voce focosa e diretta della madre, donna molto diretta.
Sentì gli occhi bruciare nel vedere quell’uomo ben ordinato e vestito palesarsi a lui dietro quel bancone, quella volta più piccolo e con dei zaffiri incastonati come occhi sui corvi.
Non capiva perché ma quel volto di cui ancora non vedeva a pieno il viso gli donava stabilità; qualcosa che aveva per anni cercato e che mai era riuscito a rinvenire.
Era il pezzo mancante, il peso che portava in equilibrio la sua bilancia e ciò era assurdo dato che nemmeno lo conosceva.
Guardò il volto segnato dal tempo. Quei solchi sul viso non erano semplici rughe, ma segni di una vita vissuta a pieno, fatta di sorrisi e fatica, di sogni e dolori.
Osservò i capelli, lunghi e ordinati, i filamenti argentei che ne denotavano l’età.
Stava facendo attenzione ai dettagli come se fosse un investigatore privato e non riusciva a capire come mai.
Che voleva da quell’uomo?
Davanti a lui non era più un semplice ragazzo che voleva sapere cosa ci fosse nella sua seconda parte della consegna; era diventato un uomo impaziente di risposte.
Quando sentì l’anziano parlare nei suoi confronti deglutì. Come una costante, si sentiva a suo agio nel disagio, tant’è che rispose con immediatezza.


- Salve. Sono Daddy Toobl. -

Mentre il silenzio iniziava a farsi spazio, pensò a quanto aveva visto poco prima.
Quell’uomo sapeva maneggiare l’acqua.
Sorrise, pensando a quella capacità innata, quel gestire l’elemento che anche lui era in grado di fare, ma che cercava di non rendere fin troppo visibile.
Rimase fermo a pensare al tutto, con concentrazione, mentre l’insana situazione, diveniva per lui la normalità.
Non sapeva bene come mai quell’uomo sapesse gestire quell’elemento, ma poteva immaginare che ci potessero essere innumerevoli ragioni per cui avesse quel dono.


- Ho portato tutto. -

Aggiunse, spezzando il silenzio.
Se quella di prima era stata calma, probabilmente era giunto il momento della tempesta.
Che poi per quale motivo dovevano insorgere delle problematiche? Dopotutto lui era lì solo per ricevere un’ulteriore dono, nulla di più.
Alla richiesta del Tè, cercando di essere cortese rispose annuendo per poi dire:


- Grazie. -

La prima seduta verde marino divenne la sua, mentre con lo sguardo faceva intuire che pensava a ciò che doveva fare, alla mossa successiva da intraprendere.
Mentre il contatto visivo con l’uomo sembrava non esserci, domandò:


- Potrei sapere gentilmente chi mi ha mandato il dono? La missiva è stata molto misteriosa al riguardo.-

Il silenzio tornò a farsi presente e pesante.
Non sapeva per quale motivo, ma sentiva di aver sbagliato a domandare, come se non fosse necessario perché la risposta già la sapeva, da tempo.
Sospirando attese.


 
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view post Posted on 23/12/2020, 11:56
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Sono Daddy Toobl. La galleria d'arte di quel piano, come presenza vivente, batté invisibili ciglia di un risveglio − alcuni ritratti ne parvero deliziosamente incuriositi, i loro abitanti volgevano così occhietti singolari verso la stessa figura che aveva parlato; un'armatura solitaria indietreggiò di un passo fino alla parete, sistemandosi in un cigolio soffuso; ma in alto, inafferrabile, il soffitto turbinava in nuove forme, in nuovi colori. Adornava il tetto di un grazioso affresco, quale poteva certamente essere uno scorcio paesaggistico di un campo di grano. Ricordava il dipinto del pianoterra, lo stesso che aveva accolto una creatura d'inchiostro nella raffinata raffigurazione di un corvo. Fino a quel momento il soffitto era stato assente, spettatore indiscreto di un incontro che anticipava i tempi; ma alla presentazione del ragazzo, imprevedibile, sentì l'arte di una magia ereditiera, e brillò delle prime pennellate del passato. Ripristinava l'incanto che svelava, di cortesia, ad ogni cliente − quel mattino, però, la galleria e l'intero negozio d'antiquariato erano chiusi, e tutto sembrava punto da una delicata sonnolenza. Era come un ambiente vivo, tuttavia velatamente dormiente − alcuni scrittoi, paralumi e tavolinetti ottocenteschi erano già stati stuzzicati, qualche cornice tutto intorno tornava al visibilio dello sguardo, per il resto l'unica melodia era quella di un borbottio di voci lontanissime, insieme al fischio di una teiera che andava riscaldandosi. Accompagnando l'invito appena pronunciato, Wilfred prese posto all'altro capo, sulla sedia libera. Da vicino appariva perfino più elegante, le mani − entrambe in congiunzione, appena poggiate sul tavolino − erano spoglie di anelli e bracciali e lasciavano spazio a geometrie di rughe. Erano mani di un uomo anziano, ma erano mani semplici e ben curate: nessuna era bagnata, a conferma di come l'acqua iridescente di attimi prima fosse propriamente... sparita. Nell'elemento che apparteneva anche a lui, Daddy aveva già capito. Ma se quella poteva essere una bizzarra coincidenza, la sensazione crescente di familiarità − traversale, profondamente coinvolgente − tesseva una cornice d'insieme inusuale. Invece, ora che la vicinanza s'era affievolita, tutto prendeva concretezza. Come se quel luogo fosse stato già reale, come se l'azzurro degli occhi di Wilfred fosse stato già visto. Le domande del ragazzo, allora, sospesero intorno il vero motivo della visita; e mentre la teiera sfumava nell'essenza di un tè floreale, Wilfred annuì con un cenno leggero. Iniziò a parlare, la voce come in sussurro; e quando la mano destra parve sollevarsi, così fecero gli occhi. La gestualità della sua figura cercava qualcosa, chiedeva gentilmente qualcosa. Un bagliore cristallino, l'intreccio di sguardi. Un trasporto che affondava radici oltreconfine e che realizzò un contatto. Istintiva, la mente si impose. Incontrollabile, oltre ogni equilibrio raggiunto negli anni, il pensiero solidificò una direzione, e non ottenne incidente di percorso. Daddy non avrebbe potuto bloccare il legame instaurato, non ancora − quella era magia primordiale che aveva imparato a non sottovalutare, che aveva di certo scelto in prima linea, ma l'esperienza non sposava da sé l'affinità più inattesa. Così la voce di Wilfred divenne soffusa, una ninnananna di una fiaba senza epilogo, e conciliò l'arrivo di un indistinto, timido ricordo. La stanza perse consistenza fino a sfumare in un ambiente nuovo, e a dispetto della velocità del cambiamento, non una volta giunse come un distacco netto, come un assalto vero e proprio. Decorava il privilegio dei sensi, acquistava musicalità e visibilità − una vertigine sotto di sé, un brivido serpeggiante sulla terra sospinse dolcemente l'attenzione verso l'alto. La galleria d'arte si consumò al più ridente, luminoso cielo di meriggio. Nuvole fiammeggianti, adombrate di porpora e di tenui bagliori dorati, annunciavano il tramonto calante; lontano, lo sguardo di Daddy non metteva a fuoco, sembrava però distinguere il profilo di un maniero, di torrette, di giardini che avrebbe sempre riconosciuto. Davanti a sé un nutrito gruppo di adolescenti, alcuni in lunghi mantelli notturni, altri in maglioni più variopinti. Tra tutti, tre ragazzi erano i più vicini: una coppia con cravatte di tinte zaffiro e bronzo, un terzo curiosamente già con un maglione di lana violetta. Aveva capelli molto corti, era abbastanza alto per indicare un'età più matura, ma era di spalle e il volto si perdeva alla visuale d'insieme. Era l'ultimo di chi, insieme a lui, già andava inerpicandosi in una porticina in legno, entrando così nella carrozza lì presente. Una fila di altre carrozze, come in processione, attendeva semplicemente i suoi viaggiatori, e alcune già scendevano impercettibilmente sul sentiero che avrebbe condotto via dal maniero imponente. Non c'erano suoni, non da subito, e la voce di uno dei due ragazzi già sistematosi sui sedili si disperse come un soffio. Sembrava rivolgersi al terzo giovanotto, a passi più avanti dalla carrozza. Scrutava nel vuoto, come affascinato. Immobile, ancora di spalle, il corpo tradiva una tensione ferrea. Allungò una mano, come a sfiorare un'entità che nessun altro riusciva ad ammirare. Si assisteva con gli occhi, soltanto con gli occhi, nella quiete di una memoria che non aveva voce. Daddy, però, era intangibile − poté seguire la direzione individuata dall'adolescente. Così, mentre una farfalla si posava in volo sulle spalle dell'altro, e mentre dispiegava ali brillanti e colorati, l'immagine sembrò infondere nostalgia di una serenità che non avrebbe potuto provare, non lui. Ma di fronte, lì dove il ragazzo sostava, il vuoto offrì ugualmente visione al Corvonero. Un profilo di manto buio, spoglie di una creatura che somigliava ad un cavallo, e che nella pelle tesa richiamava uno scheletro. Un guizzo di occhi cavi, di pupille argentee, infine la carezza della mano del ragazzo sulle orecchie sottili della bestia. Nel volo di farfalla, dalle sue spalle, il ricordo si infranse. In silenzio, senza fretta, ma già impercettibile.

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«...sigilli di sangue.» La voce di Wilfred, presente, continuò ad essere guida. Riportò Daddy nella stessa galleria dov'era sempre stato, e se per lui poteva essere evidente cosa fosse appena accaduto, l'altro in realtà parve non averne percezione. Quanto poteva essere trascorso per non aver destato attenzione? C'era da chiedersi, tra l'altro, perché fosse accaduto, e come mai − in una vita nitidamente estesa, come le rughe e l'aspetto del mago rivelavano − proprio quella memoria fosse stata svelata. Non c'erano altre persone lì con loro − lo stesso Theodore, giovane commesso, aveva lasciato la sala, e molti abitanti delle cornici tutto intorno cominciavano ad allontanarsi. Forse, si dicevano, quello era un tè come tanti altri. Wilfred però aveva detto qualcosa, diede l'impressione di aver iniziato un discorso, probabilmente sulla scia delle domande del giovane che gli sedeva di fronte. La teiera, fumante, era sul tavolino ed era affiancata da un paio di tazze di porcellana − tutto in bianco, appena decorati da una ramificazione di bordi dorati. La stessa semplicità riguardava la zuccheriera al centro, ancora in porcellana, con un cucchiaino color rame. Una deliziosa nota floreale aleggiava intorno, al sospiro di un anello fumante dal beccuccio della teiera. Wilfred aveva sciolto le mani e scrutava attentamente il ragazzo. Parlò di nuovo, con gentilezza.
«Va tutto bene? Serviti pure, è un tè pregiato e spero possa piacerti.» Indicò sul tavolino: la teiera, le tazze e la zuccheriera semplicemente attendevano. Non c'era magia in atto, non in quel momento, e tutto quello che restava era una serie di quesiti irrisolti, al gusto di petali ambrati. Wilfred sembrò accorgersi di non essere stato ascoltato, perché riprese subito. «Come dicevo, il nostro negozio è aperto da generazioni e ammetto che la tua consegna sia da noi da molti, molti anni. Quella borsa, forse l'avrai già saputo, è un'Aurélie degli anni cinquanta. Introvabile ad oggi, la custodirei con molta attenzione. Il mittente, ad ogni modo, è nello scrigno che ti è stato destinato.» Si appuntò di recuperarlo, ma proseguì.
«Accennavo a come lo scrigno sia protetto da quelli che noi, in gergo colloquiale, chiamiamo sigilli di sangue. Nulla di preoccupante, semplicemente è una precauzione magica per evitare che tali manufatti vengano aperti e rivelati da chi non di famiglia. Capirai, allora, da chi possa arrivare questo dono.» Soppesò il volto del giovane, e lasciò una pausa consapevole, come a spingere l'altro ad esternare quanto appena sottinteso. Qualsiasi cosa fosse stata la seconda parte della consegna, era evidente non potesse essere casuale. Chi l'aveva mandato, chiedeva Daddy.
«Avrei bisogno del libro, Mr Toobl.» Concluse così, senza specificare altro per il momento. Confidava nel ragazzo, nel collegamento che avrebbe fatto. Aveva bisogno del libro, aveva detto. Né della borsa né delle lettere ricevute dal giovane, soltanto il libro: in qualche modo, infatti, Wilfred già sapeva.

Da allora
– sono secoli
il cornicione
– nel terreno
Il tetto era
appena visibile
che sembrava
un gonfiore della terra
Sostammo
davanti una casa
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Post Scriptum — Ti ringrazio sinceramente per l'attesa del turno, non capiterà più. Sei al primo accenno di Legilimanzia, tutto in testo è volutamente impercettibile − tanto nel ricordo quanto nella narrazione. Quello che andremo ad affrontare, come sai, è un equilibrio maggiore sull'arte della mente. Un equilibrio che in questo specifico caso risulta perfino più complicato; l'affinità che Daddy prova è un'affinità intima che stai rendendo magistralmente. Wilfred non sembra essersi accorto di nulla, questo è fondamentale.
 
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view post Posted on 27/2/2021, 15:59
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Il silenzio accecante stabilì tra di loro il primo contatto.
Se quel primo scambio di battute poteva essere a molti sinonimo di apprensione, per Daddy apparì come profondo rispetto per l’ambiente e i soggetti che vi erano all’interno.
Ci furono dei rapidi spostamenti, dei dettagli sparirono, ma lui non se ne accorse, allontanatosi da quella che poteva venir considerata realtà.
Era lui lì? Era il suo essere quello che si era seduto sulla seggiola oltremarino o era qualcun altro?
Spesso si era convinto che poteva essere lui in persona a presenziare a quei momenti, ma la vita gli aveva fatto capire che non era così. Poteva esserci la sua carne lì; la sua pelle, i suoi muscoli, le sue ossa, ma non lui. Il suo spirito era mutevole e spesso non gli permetteva a pieno di vivere il momento, separandolo dall’attimo come se fosse protetto da una bolla.
Mentre mutava il soffitto, denotando nuove sfumature personali, lui, Daddy Toobl, sentiva di viaggiare senza essere il viaggiatore, ma solamente l’osservatore.

La testa sembrò girargli, sentì la vita allontanarsi da lui, per concedergli un momento da essenza, da semplice aura, da flusso di pensieri, solamente spirituali, non fisici.
Cosa stava succedendo? Che arcana situazione era quella che stava vivendo?
Mentre il cuore batteva a ritmi accelerati, sentiva il suo essere fremere come quella teiera. Il suo Io bolliva, si muoveva sinuosamente, pronto ad accogliere nuovo spazio, nuova esistenza.
L’interlocutore era davanti a lui. I suoi occhi, i suoi denti e le sue rughe creavano uno spazio a lui congeniale, familiare, che gli portava sensazioni di affetto.
Come poteva essere possibile? Come poteva provare un sentimento così forte per una persona che nemmeno conosceva?
Sentì l’impulso irrefrenabile di andare avanti, di entrare in quella mente, di scoprire qualcosa che era stato nascosto a lui per tanto, troppo, tempo.
L’essenza floreale iniziava ad penetrare nelle sue narici, senza che nemmeno lo volesse, senza che avesse acconsentito a quell’attimo.
Era così che funzionavano i sentimenti? Entravano nel corpo senza farsi troppe domande e troppi perché? Il suo cuore palpitava, suonando musiche a lui sconosciute, fatte di ritmi diversi, di un’esperienza passata, una vita scordata da tempo. C’era qualcosa che gli consigliava di allontanarsi, ma lui voleva restare, capire cosa stesse per accadere.

La galleria sparì dalla sua vista, per far apparire quelle che dovevano essere nuvole di fuoco e contorni dai colori oceanici.
Era per caso un tramonto quello che stava scrutando? Non capiva come fosse arrivato lì, ma nemmeno gli interessava. Sapeva che di quel posto si poteva fidare e questo gli bastava a dargli la forza per proseguire.
Un gruppo di adolescenti era attorno a lui e questo non gli causava problemi. Era perché era abituato a quella vista? Non credeva, più che altro sentiva di fidarsi perché vicino a lui aveva tre persone con colori fin troppo amati.
Si spostò – o meglio, ci provò a spostarsi - voleva dare a quelle persone un volto, un’identificazione. Chi erano? Era con lui o erano lì per conto loro?
I capelli curati di quei giovani, le loro stature gli facevano capire che si trovava davanti a dei ragazzi maturi. Che fossero del sesto anno? O magari erano del settimo? Non lo capiva bene, ma gli interessò il giusto quando notò il sentiero su cui stavano proseguendo per arrivare alla carrozza.
Si mosse più velocemente, per quanto quegli spostamenti fossero per lo più imposti che decisi da lui. Doveva vedere cosa sarebbe successo, cosa sarebbe capitato, come sarebbe finita quella storia. Non era stanco e non lo sarebbe stato; era prossimo all’avere le risposte, il proseguo di quella storia, ma ne venne tirato fuori, proprio quando aveva visto quella creatura magica che conosceva fin troppo bene.

Tirò un respiro forte, proprio quando l’anziano gli disse una parola mai utilizzata da lui.
Sigilli di sangue, qualcosa di sacro e arcano secondo la sua persona, che ora si trovava a fronteggiare una novità.
Dove era stato? Si era assentato per tanto tempo? Quanto aveva parlato Wilfred? Era scosso, ma non poteva fermarsi, non ora, non in quel momento.
Si guardò attorno e notò l’assenza di Theodore e la presenza di quella teiera dal sapore mistico. La vita sembrava averlo assorbito per spostarlo altrove, ma dove? In che epoca?
I perché erano tanti, ma sapeva di doverli assimilare con tranquillità, creando in lui un flusso coerente di pensieri, ben più lineare di quel groviglio con cui sembrava dover combattere.


- Tutto ok. -

Rispose, mentre la sua pelle iniziava ad impregnarsi di sudore freddo.
Quello che aveva svolto era un viaggio nel tempo o nello spazio? Se avesse appreso qualche connotato di Divinazione? Possibile che avesse svolto qualche Profezia?
Non era possibile, lui non era dotato di quell’antico dono, anzi ne aveva anche imparato a disprezzare le diverse mantiche nel tempo.
Afferrando la teiera, versò parte del contenuto nella sua tazza, per poi osservare se anche l’anziano ne avesse un po'. Se non fosse stato così, per una questione di cortesia, avrebbe rivolto parte del contenuto della teiera anche nell’altra tazza, per poi riporre tutto sul tavolino.
I pensieri sembravano essere tanti, specialmente quelli rivolti al Thestral, creatura con cui aveva iniziato ad avere a che fare dopo l’invasione dei golem dentro la loro scuola.
Aveva avuto la sfortuna di conoscere la morte, di assaporarla da vicino, era successo lo stesso per quell’adolescente?
Mentre le domande si infittivano, lui continuava a pensare e parlare, come se fosse la cosa più semplice al Mondo.


- Mi è stato donato uno scrigno? -

Domandò con tono sorpreso, cercando di sembrare il più naturale possibile mentre provava ad afferrare il libro da quella borsetta.
Se quel tomo fosse stata la risposta a tutti i suoi quesiti era necessario porgerlo velocemente.
Provando a passare quanto richiesto all’uomo, rimase in silenzio con i suoi pensieri. Aveva tante domande, molti dubbi, ma doveva proseguire su quella strada se voleva sapere chi fosse stato a mandargli quella missiva.
Aveva bisogno di risposte, di togliersi quei dilemmi che erano arrivati tra capo e collo, ma doveva farlo con calma.
Ogni passo falso svolto sarebbe stato per lui la disfatta.


 
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view post Posted on 11/10/2021, 14:30
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La verità è che per ogni singolo tempo esiste una sola ed unica via, determinata e tracciata dal principio alla fine e rappresentante a sua volta un inizio


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Sulla fronte di Wilfred il tempo aveva lasciato un'impronta. Oltre la vecchiaia, oltre le rughe trattenute distintamente sulla pelle, scorgerne il filamento di tutta una vita era un onore riservato ai pochi. Dall'espressione pacata allo stile raffinato del proprio completo, dal tono modulato della voce alle accurate pause che concedeva alle parole, ogni valore in quella figura manifestava storia. Segreti e misteri sfidavano gli stessi sentieri sull'incarnato tenue, svelando l'incantesimo di un volto che prometteva ancora meraviglia. Aleggiava intorno, come mistica aurea, la consapevolezza di aver preso parte ad un incontro speciale. Nelle iridi cerulee dell'altro sembrava così facile perdersi, navigare lontano, fin troppo lontano − terre inesplorate, terre di memoria. Ovunque, tra le mura d'antiquariato, c'era il passaggio di Wilfred. E se anche per molti non potesse esserne evidente fin dal principio, per gli abitanti tra confini di tela, di mobilia e di vernice lo era di certo. Erano loro, gli stessi ritratti, ad aver assistito al cambiamento negli anni. Dalle cornici d'oro e d'argento, dai quadretti di legno e di bronzo, gli uni e gli altri osservavano clienti, ospiti, presenze. Spesso commentavano, un po' come a dare manforte allo stesso negoziante. Wilfred, d'altro canto, ne era sempre molto lusingato − ogni effigie che custodiva alle pareti aveva una trama e in quella stessa trama lui vi scorgeva un disegno completo, l'assoluta origine. Quel giorno, tuttavia, i quadri tacevano. Astanti di un incontro che assurgeva a storia a sua volta. Anche loro, di tempera brillante, avevano carpito quella stessa sensazione inusuale fin dall'ingresso di Daddy Toobl. Era più di una visita, era differente. Non aprivano bocca, Wilfred l'avrebbe fatto per loro. Soltanto un paralume francese soffiava scintille leggere, nella sua luce si udiva il canto soffuso di un bambino.
«Ti ringrazio.» Accennò alla teiera, lasciando che fosse l'altro a versare l'acqua bollente anche nella propria tazza. Si tinse di una spuma luminosa, al contatto con la ceramica: una goccia color dell'ambra, già sul fondo, sollevò in superficie il decoro del grano. Non appena Wilfred vi aggiunse un cucchiaino di zucchero, il tè si sciolse nella forma di una spiga.
«Si tratta di uno scrigno, esatto. Stimo che possa risalire ad almeno trenta anni fa, da qui la mia domanda.» C'era come una sfumatura di nostalgia, nella propria voce. Portò gli occhi sul volto di Daddy.
«Chi credi possa avertelo spedito? I sigilli di sangue ne vietano ogni apertura a chiunque non ne abbia diritto di eredità, si suppone sia qualcuno di famiglia.» Invitò a riflettere. Una pausa, prima di riprendere.
«Igor, lo scrigno.» Wilfred non aveva distolto lo sguardo dall'interlocutore, ma chi di dovuto aveva già accolto il richiamo. Ancor prima di esserne colto in dubbio, infatti, Daddy avrebbe potuto sentire dalle vicinanze lo scricchiolio di un legno in risveglio. Il suono si fece sempre più nitido, attirando origine dalla scrivania con la raffigurazione del corvo dagli occhi di zaffiro. Identica alla gemella al pianoterra, più contenuta però di grandezza, dalla stessa la creatura si animò per innata magia. Gli artigli si colorarono di bronzo, staccandosi nettamente dal legno; la coda, sinuosa, si contorse come spira demoniaca, mentre le pietre dei propri occhi brillavano ardentemente. L'attimo dopo la trasfigurazione si completò, così il rapace spiccò il volo. Si portò oltre la scrivania, oltre i ritratti, oltre l'armatura in ferro, proseguendo sulla scala a chiocciola verso l'ultimo piano seminascosto. L'aria, tutto intorno, si era fatta nel frattempo carica delle essenze delicate dei fiori primaverili; si riusciva quasi a distinguere il profumo dei boccioli di rosa: intenso, sempre più intenso, tanto da pizzicare il naso. Wilfred, però, non ne sembrava affatto corrucciato; la sua attenzione era tutta per il libro. Più le rose turbinavano, più Daddy perdeva contatto con il momento. Era dolce l'invito ad assopirsi.

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E dolcemente calarono le palpebre. Delicato, sugli effluvi del tè zuccherino, il viale dei ricordi prese forma in nuova scena. Mentre il Corvo assaliva ogni remota stregoneria, legno in carne, la lieve raffica delle sue ali trasportò gusti imprevedibili. Guidò altrove, cullando un sonno che sonno non era; la schiena all'antica poltrona, le mani al tepore della tazza in ceramica, l'ultimo sospiro di un animo in pace − Daddy Toobl s'acquietò involontariamente, le parole di Wilfred già come echi. Quando aprì gli occhi, In Perpetuum era scomparso: sarebbe stato chiaro, fin da subito, di essere da tutt'altra parte. Una stanzetta fiocamente illuminata da candele, una geometria di chiaroscuri lungo le pareti più strette. Il tetto, troppo basso per essere quello di una casa comune, dava l'impressione di trovarsi in una soffitta. Non c'erano finestre, non c'erano vetri: della mobilia del negozio d'antiquariato, a Londra, si scorgevano resti vanesi − simili, non identici. Un comodino in stile francese, d'ebano, sul quale sbocciava un groviglio di foglie dalle rifiniture in bronzo; uno specchio a mezzo busto, la cornice a sua volta in legno scuro, ai bordi della quale svettava il simulacro di un visetto d'angelo; un lampadario in ottone, ammantato di cera e lucerne, poggiato su quella che somigliava ad una trave scomposta: sulla stessa, di lato, sedeva un bambino. Le gambe penzoloni, avanti e indietro, a sollevare mulinelli di polvere e antichità − quella stanza era come abbandonata, spenta perfino nei suoi colori. Ma il bambino, tra la mobilia, attingeva alla vita. Vestiva un paio di pantaloncini corti, che mal nascondevano gambe un po' grassottelle; una maglietta a righe, azzurre e bianche, concludeva tutto. Era scalzo, infatti, i piedi già nerissimi fino alle dita; il volto, leggermente paffuto, svelava gote e bocca più rosee, e occhi color del cielo. Riconoscibili, e bellissimi, perfino alla flebile luce delle fiammelle. Stringeva le mani, l'una all'altra, come in preghiera. Ma sulla fronte era limpido il cruccio di una domanda che non riusciva più a trattenere.
«Mamma, tu ami Arthur?» Alla fine, sopraffatto, cacciò fuori quelle parole tutto d'un fiato. Anche dal fondo della stanza, lì dove Daddy era capitato, la scena catturava perfettamente tensione. Il bambino aveva bloccato le gambette, stringendosi alla scrivania come a carpirne sostegno. La donna alla quale si era rivolto guadagnava il fondo della stanzetta, vicinissima al punto in cui il Corvonero − intangibile − tutto osservava. Era in penombra, seduta su uno sgabello. Dava le spalle al bambino sulla scrivania, concentrata com'era verso il treppiedi che aveva di fronte: sullo stesso svettava una tela in parte già dipinta, lo scorcio di un vaso dai colori della terra e del tramonto. Era un'opera incompleta, l'odore della tempera fresca la circondava; nella mano sinistra, infatti, la donna stringeva un pennello, e con lo stesso tratteggiava filamenti d'ocra sulla propria realizzazione. Stava rifinendo un tratto difficile, quello di una corolla di petali di rose.
«Certo che sì, bimbo.» Bimbo. Così lo chiamava. Nel suo tono si palesava affetto, ma anche una nota... dispiaciuta. Si volse verso il piccolo, allontanandosi dal dipinto; ora che le candele ne illuminavano il profilo, la donna appariva incantevole. Era giovane, non tradiva segni del tempo; indossava una camicetta color panna che le cingeva il corpo fino alle caviglie, interamente in ricami di pizzo. A sua volta scalza come il bambino, al bagliore delle candele la sua pelle acquisiva una tinta diafana. I capelli biondi, lasciati sciolti lungo le spalle, attiravano i riflessi del fuoco tanto da brillare d'oro. Macchie di colore, di rosso, d'ocra e di nero, si notavano sulle dita, sui polsi e sulle mani, a riprova dell'attività da pittrice.
«E vorrà bene anche a me?» La bocca tremante, il bambino parlò ancora. E la donna, che ormai gli era accanto, sorrise mestamente. Lo strinse a sé, fortemente. Nel silenzio atipico della stanzetta, c'erano solo i loro respiri.
«Ti vuole già bene, bimbo. Altrimenti non lo sposerei.» Un bacio sulla testolina, i capelli ramati del bambino così simili a quelli della madre. Quando la donna uscì dalla porta, sciogliendo l'abbraccio, la scena rimase intatta. Qualsiasi parola avesse detto Daddy fino a quel momento, nessuno avrebbe potuto ascoltarlo. Era lì, v'era davvero. L'esperienza, dalla propria, cominciava a solidificare ipotesi. Perché, quando, come − e poi...
«Ciao.» Un brivido, l'impossibile.
«E tu cosa ci fai qui?» Un contatto, un vero contatto.
Il bambino guardava Daddy Toobl.

erano rivolte all'eterno
che le teste dei cavalli
che intuii
per la prima volta
eppure sembrano più brevi del giorno
Da allora
– sono secoli
rcTvk0u
Post Scriptum — Riprendiamo ufficialmente, le mie scuse ancora una volta per l'attesa. Quanto accaduto in questo intervento è molto singolare e pone un punto cardine: la differenza, ovvero, tra un Legilimens e un Legilimens Esperto. La domanda di Wilfred, nel concreto, potrebbe non ottenere risposta immediata: è una tua scelta, considera che il ricordo catturi Daddy in modo rapido. Ho apprezzato tantissimo la tua riflessione precedente in merito a cosa stia capitando, ora ne hai già più consapevolezza. Eppure qualcosa di inusuale è nella memoria. Ne sei all'interno, e non ne sei ancora riemerso.

Lasciamo che la storia riprenda.
Il principio, Daddy, è la fine.
 
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view post Posted on 14/10/2021, 09:21
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La stanza sembrava aver perso parola.
Le pareti, ricoperte di gingilli, sembravano essersi paralizzate al suo cospetto, dando ai presenti una visione immutabile di quanto stava accadendo.
Non disse nulla, né penso a qualcosa in particolare; versava solamente il liquido nell’involucro a lui offerto e il rumore lo tranquillizzava.
Amava i suoni perpetui, la costanza nel sentire e/o fare qualcosa, gli dava una sensazione di coerenza, coerenza che poi si tramutava in pace di pensieri.

Quando la domanda arrivò al suo cospetto, un sopracciglio si inarcò tra l’incuriosito e il dubbioso.
Chi poteva mai essere stato a donargli lo scrigno? Che fosse stato qualcuno a lui ignoto?
Con fare birichino, la mente lo portò subito a pensare al peggio.
Che quelli che conosceva come genitori non fossero tali? Che i suoi genitori fossero defunti e lui era stato adottato?
Per un solo secondo, un fiume di pensieri malinconici, arrivò sulle sue spalle, spingendolo nell’oblio.
Fortuna voleva che lui fosse una persona abbastanza sicura di sé e dei suoi genitori; certo era che se non lo fosse stato i suoi dubbi sarebbero rimasti in testa per giorni se non mesi.


- Sinceramente non so chi possa essere stato. Non conosco nessun parente che donerebbe questo per me oltre ai miei genitori .-

Certo c’era da dire che sotto quel punto di vista non era mai stato tanto fortunato.
Vuoi i parenti morti, vuoi i parenti che avevano litigato tra di loro e lui si era trovato a festeggiare Pasqua e Natale assieme ai suoi genitori e gli amici di Camdem Town.
Spingendo le mani verso i pantaloni, così da accarezzare leggermente le gambe e prendere tempo per riflettere meglio, sentì dei rumori arrivare alle sue orecchie e il sonno avvolgerlo in un mantello da cui era impossibile districarsi.
Il campanello d’allarme scattò subito nella sua testa, la sensazione di pericolo arrivò velocemente ad inglobarlo, ma cosa poteva fare se non arrendersi?
Più il sonno incombeva su di lui e più sentiva la forza venir meno.
Non poteva fare niente, solo lasciarsi abbandonare e di conseguenza dare la sua vita in mano ad uno sconosciuto.

Il viaggio durò poco.
Si trovò in un posto troppo stretto per lui, che gli permetteva movimenti poco fluidi.
Fortuna voleva che in quel momento gli servissero solamente gli occhi, i quali saettavano da un punto all’altro della stanza, individuando dati di suo interesse.
Quello che era certo è che non si trovasse in un posto a lui conosciuto e che per ora non correva nessun pericolo, ma sarebbe rimasta così quella situazione?
Cercando di affossare quel pensiero, gli occhi volteggiarono su ciò che di più colorato era presente in quel luogo; il bambino con la maglia a righe.
Chi era quel bambino? E chi era quella madre premurosa a cui faceva tante domande? Che fosse “Laura”?
Non sapeva bene cosa fare né come muoversi, sapeva solo che da quel posto poteva trarre delle risposte, una storia a lui ancora ignota.
Cercò nella sua mente di rinvenire un Arthur, di ricordare qualcuno che avesse quella vena artistica in famiglia, ma non arrivò nulla.
Che il negoziante si fosse sbagliato? Che quella missiva non fosse rivolta a lui?
Il tutto risultava impossibile, anche perché lo scrigno aveva un patto di sangue e se lui non ne fosse stato l’erede non si sarebbe mai aperto.

Vide la madre del “bimbo” levare le tende e andare oltre, tutto si stava per concludere per lui con un cumulo di dubbi in più quando, inaspettatamente, il bambino gli rivolse la parola.
Da quando in qua i ricordi potevano parlare? Non era che stava realmente sognando?
Con occhi sorpresi, Daddy si avviò verso il bambino.
Il pavimento scricchiolava al suo muoversi, ma sapeva che non era un problema.


- Ciao, sono venuto per conoscerti.
Mi chiamo Daddy, tu?-


Cercò di colloquiare con il piccolo come fosse un amico, mentre con lo sguardo cercava di trovare il contatto visivo così da estrapolare le parole da quel sogno anche se la risposta non usciva verbalmente.
Lo sapeva di avere delle capacità da Legilimens e le aveva sfruttate a dovere nel corso degli anni, che potessero tornargli utili anche in quel frangente?
L’azzurro dei suoi occhi cercava di inquadrare il bersaglio, pronto ad avere le risposte di cui necessitava.
Il tempo dell’attesa era finito, doveva arrivare al dunque .


 
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view post Posted on 17/10/2021, 18:51
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Negli occhi del bambino non dimorava paura. Grandi, luminosi, così attenti, si aprirono sul volto di Daddy Toobl come sullo scrigno di un tesoro ritrovato. Gli piaceva pensare che fosse un premio, un premio tutto per sé, per un pomeriggio di tranquillità; gli piaceva immaginare che fosse un'opera d'antica magia, una di quelle che lui − proprio lui − fosse in grado di realizzare da solo. Nelle iridi color del cielo, nelle gote paffute del volto, perfino nel brivido sulla bocca rosea, s'intrecciava il sorriso più sincero del mondo. Che fosse un sogno, un racconto oppure un ricordo, quasi non aveva più importanza. Perché lì di fronte, così reale, Daddy incontrava un bambino. E in quel bambino, immagine di meraviglia, si celava una caccia piena di sorprese, il mistero di una felicità che sapeva essere travolgente.
«Io sono...» Le gambe penzoloni, il dondolio riprendeva; le ginocchia sfioravano il legno della scrivania, lì dove l'ometto sedeva.
Le mani, sollevate in saluto, invitavano Daddy a farsi avanti. Vieni, dicevano. Non avere paura, sono qui. Io sono... Silenzio. Imprevedibile, disastroso, il tumulto di un cuore che esigeva di più. La mente si ribellava, così svegliando l'antitesi di ogni logica restante. Perché se Daddy attendeva in un negozio d'antiquariato di Londra, poteva mai essere anche altrove? L'esperienza gli aveva suggerito soluzione, quello era il secondo assaggio di un potere al quale aveva imparato ad avvicinarsi. Le pareti della stanzetta tremavano, il ricordo si rendeva incostante. Il bambino, ancora tangibile, continuava a parlare. Ma né la fine della sua risposta né il resto delle sue parole erano più udibili. Muoveva la bocca, articolava storie inavvertibili, e tutto cambiava.
Come in una tela lasciata al sole d'estate, macchie di colore scivolarono dal soffitto. L'ambiente scompariva rapidamente su di sé, oltre confini che nessuno forse avrebbe mai potuto raggiungere. Era come l'estasi del sacrilegio − il brivido di un'opera che veniva deturpata, e l'infinita bellezza della forma nuova. La tragedia della fine che sfidava l'incanto dell'inizio. Quale privilegio Daddy viveva, la memoria spezzava e ricompattava i suoi stessi cardini: non c'era modo di fermarla, non più a quel punto. Il profumo delle rose, del tè in infusione e del legno d'antiquariato, allora, pizzicò le narici del mago; la realtà s'intrometteva, pretendeva il distacco.
«Toobl.» Un grido, un grido disumano. Sfigurò le macerie del ricordo, imponendosi come il pianto di un'anima spezzata. Toobl, Toobl, Toobl. Gridava, gridava ancora. Non era la voce di Wilfred, non era lui a parlare. Il richiamo giungeva dalla stanza oscura, il richiamo era dentro il ricordo.

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Il bambino consumò l'ultimo dondolio, scomparve nel guizzo tenue di caviglie nude. Era da solo, Daddy Toobl. E qualcuno, una voce irriconoscibile, aveva chiamato il suo nome. Nel buio di un regno che non gli apparteneva, cambiava anche lui: vagabondo com'era, senza più direzione. Assaporava tuttavia nitidamente, come superstite, l'essenza dei fiori di maggio. Era il tè, era In Perpetuum. Era una tazza di ceramica, era una spiga di grano. Sarebbe stato facile tornare indietro: per lui, per un Legilimens, sarebbe stato facile. Ma il ricordo non aveva porte, e più restava, più n'era accolto. In alto, tra le tenebre, zampillavano scintille di fuoco; c'era odore di bruciato, odore di terra e di asfalto, odore di cenere. Nessuno gridava, non più, ma quella voce aveva lasciato un'impronta. Ovunque vibrava una sensazione estrema, l'animo di Daddy non ne poteva restare indifferente. Toobl, aveva sentito. Toobl. Come la strage di un cuore che non aveva più retto. Rabbrividiva. Tremava.
Lacerava il ricordo. Sentì il suono di passi in avvicinamento, l'idea di una presenza nascosta tra le pieghe di tempi già scritti. Ovunque avesse porto lo sguardo, altro non v'era che vuoto. Ma il ricordo era vivo, si rivelava lentamente: il profumo del legno e della pittura, la melodia soffusa di un carillon, il tepore gentile sulla pelle. La silhouette di una donna increspò le ombre, scendendo quelle che si consolidarono come vere e proprie scale; attorno a sé apparvero altre pareti, infine una casa interamente in legno. Daddy si trovò sull'ultimo gradino: sollevando lo sguardo, infatti, poteva scorgere la donna più nitidamente. Sul profilo delicato scivolava un abito bianco, come da sposa; le braccia scoperte, l'incarnato candido, si fermò davanti un'ampia vetrata, al collegamento di altre scale. La luce che filtrava dall'esterno creava pulviscoli sfavillanti attorno la sua figura, quasi a dipingerla come apparizione celeste; poggiò una mano, lentamente, sul vetro. Osservava al di là della finestra, come alla ricerca di qualcosa, forse di qualcuno − tutto quello che Daddy poteva vedere, invece, altro non era che un cielo assente, un cielo bianco. il ricordo nascondeva parte della trama.
A dispetto dell'aspetto più accurato, senza macchie di pittura sulla pelle, risultava evidente che fosse la stessa donna già incontrata da Daddy. Aveva gli stessi capelli d'oro, questa volta raccolti in onde leggere, un fermaglio simile a grappoli di grano a stringerle ciocche più lunghe.
«Mamma, sono pronto anch'io.» Una voce familiare, altri rapidi passi dalle scale superiori. Era impossibile non riconoscerlo dopo così breve tempo: il bambino dalla maglietta a righe, infatti, correva nuovamente verso la donna. Lasciò che l'altra si volgesse ad accoglierlo, le braccia aperte, perduta com'era in chissà quale sensazione.
«Bravo, bimbo.» La donna gli carezzava la fronte: dolcemente, senza fretta. Una e più crisalidi, ad un tratto, si districarono dalle pieghe dell'abito; la donna non sembrò accorgersene subito, seguì invece lo scintillio dei colori tutto intorno con un'espressione confusa. Di meraviglia, di sorpresa, di... di altro, come un fremito di rabbia e di dolore insieme. Guardò nei dintorni in modo frenetico, come ad assicurarsi di essere ancora da soli; spalancò la finestra e lasciò allora che le farfalle volassero via. L'ultima, solitaria, dispiegò le ali davanti lo sguardo della donna, quasi a chiederle il permesso di restare. Ma lei portò una mano al petto, stringendovi le dita come a placare un brivido. L'ultima creatura volò via e rimasero soli.
«Mamma, non ti piacciono?» chiese il bambino. Era sorpreso, un po' dispiaciuto. Aveva lo stesso aspetto di quando era nella stanzetta con i dipinti, l'unica differenza erano capelli ben lucidati e scarponcini neri ai piedi.
«Non farlo mai più, mai più!» La voce della donna tradiva impazienza. Lasciò il bambino da solo, scendendo le ultime scale. Quando passò via, pronta a dissolversi di nuovo, soltanto Daddy poté scorgere il bagliore di lacrime nei suoi occhi. Il ricordo, violato, cominciò a disperdersi: colori sovrapposti, suoni lontani, il vortice del vuoto che perdeva ogni forma. Il profumo del tè ai fiori s'impose distintamente, l'appello a lasciare quei luoghi era limpido: una forza sempre più imponente lo trascinava via, lo spintonava terribilmente. C'era da chiedersi perché Daddy fosse lì, cosa potesse significare. Era infine tempo di tornare? Alle sue spalle, una voce.
Toobl. La stessa di poco prima, più calma.
Il ricordo chiamava il suo nome.

Procedemmo lentamente
– non aveva fretta
e l'Immortalità
La Carrozza portava solo noi due
lei gentilmente si fermò per me
Poiché non potevo fermarmi per la Morte
rcTvk0u
Post Scriptum — Hai scritto un intervento bellissimo. Hai affinità con quanto stia accadendo intorno a te, il ricordo cambia di nuovo e si rende caotico: quello che vedi, quello che senti, è volutamente indistinto. La tua vocazione deve imporsi come una guida: alla fine, infatti, è forte il richiamo ad andare via.
 
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view post Posted on 20/10/2021, 18:14
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Più il nodo della questione arrivava a lui e più lui non capiva cosa volesse dirgli quel ricordo.
Che poi, era veramente un ricordo quello che stava vivendo o uno dei sogni più reconditi nel suo cervello?
Con decisione, aspettava l’arrivare di quella risposta, mentre il bambino, gioviale, lo invitava ad accomodarsi.
Non sapeva se quella fosse una trappola oppure no; non sapeva se quel bambino potesse trasformarsi in altro quindi, cauto, temporeggiò, mostrando tutta la sua diffidenza.
Facendo un passo, poi un altro, osservò il ragazzino con sguardo deciso, pronto ad accogliere il suo destino.

Io sono…

*Chi sei tu?*
Se lo stava per lo appunto domandando, mentre l’interessamento saliva ai suoi massimi livelli.
Cercando di inquadrare con maggiore decisione il bambino provó a cavargli quella risposta dalla bocca,ma essa non arrivò.

Fu rapido e deciso il cambiamento. Bianco.
Strappi di quella visione sembravano spingerlo altrove, lontano dal leggero dondolio del bambino,mentre odori a lui già noti arrivavano al naso.
Era in uno stato di trance? Era stato drogato con qualche profumo? La magia lo aveva paralizzato?
In cuor suo sapeva che quello poteva essere un problema, ma sapeva anche che forse se avesse concluso quel viaggio si sarebbe risvegliato nel negozio di antiquariato.

Mentre la visione si sbiadiva delle grida arrivarono a turbarlo. Da dove provenivano? Chi le stava proferendo?
Uno strano stato di angoscia lo prese alle spalle, per trascinarlo nuovamente altrove.
Oramai quella maglietta a righe non era più visibile a lui, mentre gli odori del negozio nel quale si trovava si mischiavano a quelli della cenere e del legno affumicato.
Perché si trovava lì? Che cosa significava tutto quel trambusto con la sua vita e quello scrigno?

Dalla distesa di bianco si ritrovò nell’ oscurità. Da solo.
Rapido si mosse in direzione del richiamo, pronto a trovare quanto gli serviva.
Chi era? Chi lo stava chiamando?
La voce non gli era familiare, ma tutto ciò lo aveva turbato, scosso come poteva fare solamente un incubo.
Si mosse in quella che sembrava ora essere una casa con delle rampe di scale, e senza soffermarsi su alcun dettaglio, arrivò dove aveva capito dovesse andare.
Un leggero abito bianco si paró davanti ai suoi occhi, nuovamente la donna si mise a parlare con il figlio, questa volta con l’intenzione di allontanarlo da lei, come se non gli interessasse di quei sentimenti.
Si avvicinò con attenzione a quella scena, osservò nuovamente la donna passare oltre e di nuovo apparve quella sensazione di allontanamento da parte di qualcuno lontano da lì.


- NO!-

Esclamò puntellando i piedi sul pavimento e concentrandosi al fine che la sua mente si ancorasse a quell’attimo, che arrivasse a scardinare la figura del giovane per arrivare a sapere.

Doveva sapere.

Il richiamo si faceva forte nella sua testa, ma era irrilevante.
Era lui che voleva decidere cosa volesse vedere e come voleva vederlo. Si era fatto un’idea riguardo a quanto fosse successo, ma poteva sapere di più, poteva avere la conferma di quei suoi sospetti.


- Non piangere, prima o poi capirà. Come ti chiami, bimbo?-

Il nomignolo poteva risultare una presa in giro ma, nella realtà dei fatti, era un modo per lui per rimanere legato a quella storia e quel momento.
Osservò le lacrime in silenzio, senza proferire parola, mentre la mente cercava di focalizzarsi sull’ottenere risposte. Se c’era una cosa che odiava era il non arrivare al nocciolo della questione specialmente se lo riguardava in prima persona.



 
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view post Posted on 2/11/2021, 19:58
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Il Fato

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Il principio è la fine. La fine è il principio.
La verità è che per ogni singolo tempo esiste una sola ed unica via, determinata e tracciata dal principio alla fine e rappresentante a sua volta un inizio


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Bimbo. Era il miglior punto di contatto, quello che Daddy aveva considerato. Un nome d'affetto, pieno di semplicità; un nome dolce, al quale il bambino si era facilmente, naturalmente legato. Per un attimo, infatti, sembrò accorgersi della presenza di un intruso − era oramai evidente che si trattasse di qualcosa di ben più articolato di un'illusione, e se si escludeva l'eventualità di essere stato vittima di una folle, imprevedibile stregoneria, altro non restava che una consapevolezza già propriamente assodata: era un ricordo. La familiarità labirintica della mente umana, d'altronde, trovava casa in chi come lui, in chi come Daddy. Era magia ancestrale, l'unica tanto abile da germogliare nel passato, ma fiorire nel presente. La bocca taceva la parola maestra, districandosi da un enigma che lentamente fomentava riflessioni corrette. Ma da quando, occorreva chiedersi, la memoria s'apriva come scrigno tangibile? Daddy non era soltanto un osservatore, non più. Ancora una volta, sorprendendo ogni logica, viveva un incontro privo di distacco: il bambino lo aveva visto e rapidamente, passetti così frenetici, lo raggiungeva.
«Mi chiamo Wilfred.» Aveva poche lacrime agli occhi, l'impronta brillante di una tristezza ben più profonda − per la madre, per la magia, per il diniego appena ricevuto, forse per altro. Poteva esserci una parte, in Daddy, già giunta alla stessa risposta: miraggio non era, ne ottenne conferma. Wilfred, il bimbo era Wilfred. La rivelazione non poté dirsi completamente fuori dall'ordinario, l'unica altra presenza nel negozio d'antiquariato era il vecchio, raffinato stregone. Il peso della scoperta, però, elaborò una voragine − Wilfred sapeva? Quali conseguenze, quali spiacevoli danni continuavano a compiersi? In quel momento, ad un tavolino da tè, tutto accadeva.
«La mia mamma deve sposarsi, sei invitato anche tu?»
Era quella, allora, la mente di Wilfred. E da vicino, forse alla luce della verità, il piccoletto già somigliava maggiormente all'uomo canuto. Molto, molto più giovane, tanti anni addietro, aveva tuttavia gli stessi occhi luminosi, cerulei e intensi della persona che sarebbe diventato. La bocca, il naso, il profilo del volto, ciascuno cesellava un richiamo nel tempo. Perché Daddy vagava nei ricordi dell'altro? Poteva essere stata una casualità, un contatto d'inesperienza nascente nei riguardi dell'arte della mente; e quel grido − Toobl, Toobl, Toobl − assumeva infine l'orrore di Wilfred, dall'esterno, che obbligava ad abbandonare i suoi luoghi? Quel nome, però. Quello era il suo nome, di Daddy. Ancor prima di farne i conti, il ricordo sfumò via. Il bambino lanciò un'ultima occhiata, infine andò dissolvendosi. Una girandola di colori, melodie, profumi − di grano, di legno, di vernice, quelli spiccavano tra tutti. Un refolo di vento estivo, così piacevole, carezzò le guance di Daddy Toobl e di lì a breve increspò le nere pieghe della memoria. Colonne portanti, di candido marmo, scolpirono un tempio d'antica maestosità: il tetto s'incurvò in una cupola dagli affreschi vivaci, scene bucoliche d'idilliaca felicità − l'incontro di ninfee bagnanti in un lago, il culto di un cervo e di un cacciatore vestito d'argento, il gioco spensierato di una giovinetta in altalena, e tante altre deliziose immagini in pittura. Adornavano le pareti dell'intera sala, cuore vivo di un ballo in atto. C'erano moltissime persone in abiti di gala, ondeggiando in raso, seta e chiffon parigino. Alcune si tenevano per mano, entrando in quel momento in pista da ballo; altre già erano al centro, cullandosi reciprocamente sulla scia di una soffusa, romantica melodia. In fondo, in un punto ben visibile della residenza, s'incastonava un drappello di musicisti: archetti in estasi, violini, arpe, la morbida voce di una cantante ad accompagnare gli strumenti. Gli altri invitati, in disparte, sedevano ai tavolini circolari, ricamati graziosamente e imbanditi in coppe di champagne − forse era l'inizio, forse la fine della cerimonia. Si comprendeva presto, seguendo gli sguardi di molti, quale fosse la perla d'eccezione: una coppia di sposi, lei nell'intramontabile abito bianco, lui nel tradizionale completo nero, danzava dolcemente tra amici, familiari e conoscenti. E lei, eternamente incantevole, poté riconoscersi come la stessa donna già incontrata dai precedenti ricordi; lungo il tessuto, tuttavia, non svettava crisalide: l'omaggio ultimo del suo bambino non trovava replica lì. L'uomo stretto a lei, invece, era un volto nuovo per Daddy − longilineo, slanciato, occhi neri, capelli scuri, spiccava perlopiù per un sorriso sinceramente felice. Era il giorno del loro matrimonio.
«Ciao.» La voce familiare di Wilfred, il bambino, poté attirare Daddy. Era accanto, vestito per bene: né piedi scalzi né magliette a righe, il piccolo era in un completino altrettanto elegante come tutti gli altri in sala. Le bretelle, che tirava con le mani per poi lasciarle andare via in uno schiocco, rendevano il suo aspetto perfino più maturo dell'età che aveva. Aveva lo sguardo triste, impossibile ignorarlo. Si guardava attorno, come sentendosi in imbarazzo.
«Qui non c'è magia.» Lo sussurrò. Un filo di voce, come un segreto − ed era vero, il luogo era meraviglioso, ma non reggeva alcun confronto con i matrimoni del mondo di maghi e streghe. Non un nastrino sospeso a mezz'aria, non una colomba trasfigurata in modo scintillante, non un fuoco fatuo in segno d'auspicio.
«Tu...» Wilfred, ad un tratto, sembrò spaventato. Aveva parlato velocemente, poco prima: non c'è magia, aveva detto, ma non era forse quello che sua madre chiedeva di nascondere? Guardava Daddy quasi di sottecchi.
«Tu sei come me?» Concluse, accostandosi.
La domanda più importante di sempre.

Oltrepassammo
la scuola
per la Sua Cortesia
il mio lavoro
e il mio riposo
e io avevo abbandonato
Procedemmo lentamente
– non aveva fretta
rcTvk0u
 
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