Inversum, Quest Legilimens Esperto

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view post Posted on 9/11/2021, 22:48
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Quel profumo che lo aveva portato a navigare in quei ricordi, cessò di esistere o, perlomeno, così lui credeva.
Forse, quella intensa situazione, lo aveva talmente tanto incuriosito che non riusciva più a percepire suoni o odori se non quelli che gli si palesavano nelle vicinanze.
Osservando il bambino con attenzione, percependone il nome, non gli fu difficile fare quel semplice “2+2” che poteva portarlo ad essere più consapevole che quello che stava facendo non era corretto.
Veramente si era intrufolato nella mente di quell’anziano venditore di antiquariato? Veramente era riuscito con le sue capacità ad insinuarsi nei ricordi del suo interlocutore?
Per un solo momento le parole del suo compagno di viaggio risultarono ovattate, sommerse dai suoi pensieri che non riuscivano a dirgli altro che ciò che stava facendo non era giusto, che andava gestito.
Certo c’era da domandarsi il perché il suo cognome fosse risuonato in lungo e in largo poco prima. Sinceramente aveva il timore che potesse essere perché Wilfred voleva farlo uscire dalla sua testa, ma c’erano tanti dubbi che lo assillavano, primo tra tutti quel legame con il simbolo della sua casata che poi era era diventato il suo simbolo di vita.


- No, in realtà sono di passaggio.-

Non fece in tempo a dire la sua che il viaggio lo portò nuovamente lontano, fino ad arrivare a quella che sembrava essere una cerimonia.
Rimase fermo sul posto, puntellando con cura i piedi sul pavimento.
Stava viaggiando nella mente di quella persona senza alcun rispetto e permesso e ciò non andava bene.
Eppure era così semplice muoversi nei meandri della mente di quella persona, sembrava essere una cosa naturale, chissà se fosse lo stesso per chi stava subendo quella procedura.
Mentre stava cercando di fare mente locale per uscire fuori da quei pensieri, la voce familiare tornò a punzecchiarlo.


- Ciao Wilfred, come va?-

La sua domanda di routine, venne rapidamente scavalcata senza remore dalla affermazione interessante del giovane.
Cosa intendeva dire con il “qui non c’è magia”? Che fosse nato come lui tra i babbani? Questo era impossibile, probabilmente ci era stato portato successivamente oppure aveva manifestato i primi accenni di magia e doveva tenerli nascosti al prossimo.
Rimase in silenzio, cercando la risposta migliore a quella domanda quindi disse:


- Probabilmente si, di che casata sei?-

E con quella domanda, era certo si sarebbe fatto un altro viaggio.


 
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view post Posted on 22/1/2022, 20:08
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La verità è che per ogni singolo tempo esiste una sola ed unica via, determinata e tracciata dal principio alla fine e rappresentante a sua volta un inizio


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Negli occhi color mare del bambino brillò l'entusiasmo più coinvolgente, misto ad un moto di tristezza che non sembrò tanto abile da nascondere. Si guardava intorno in modo frenetico, le mani avviluppate alle bretelle del panciotto – verso destra, inseguendo le figure vivaci di giovinette che cinguettavano spensierate; verso sinistra, adocchiando signorotti dagli abiti così eleganti, alle prese con il direttore d'orchestra poco più oltre. Tornava ciclicamente al centro della sala addobbata a festa, dove sua madre danzava tra le carezze del marito. Il matrimonio procedeva maestosamente, pur nell'apatia che avrebbe svelato all'attenzione di maghi e streghe: perché lì, in quei confini di memoria, non c'era sortilegio in atto. Fissate alle pareti, le decorazioni di perla e d'argento restavano incantevoli, perdendo tuttavia la vivacità che l'estro magico avrebbe saputo concedere. Non importava se Daddy avesse o meno assistito ad una cerimonia nuziale, quello era il primo ricordo in cui risultava totalmente lampante l'assenza – di crisalidi apparse in volo, di statue che s'animavano tra loro, di ogni occulta seduzione. Wilfred aveva avuto assaggio di cosa significasse, di cosa volesse dire essere di più, e scrutava la sua mamma con il timore d'esserne sgridato. Era felice, perché aveva trovato qualcuno – Daddy Toobl, proprio accanto a sé – che avrebbe potuto essere come lui. Nel fremito che coinvolse tutto il corpicino, si percepiva tuttavia una paura altrettanto pungente. Qualcuno si avvicinò a passo rapido, proprio mentre Wilfred muoveva il capo a confermare parole taciute verso Daddy. Voleva raccontargli tutto quello che non aveva mai potuto dire ad alta voce. Voleva portare alla luce quei segreti che confidava soltanto alla notte, quand'era sotto le coperte di un letto più grande di lui. Cpn un taschino dalle tempere oscure, dal quale pendeva un orologio bronzeo, un uomo entrò in scena. Non sapeva, poveretto, d'aver appena interrotto una conversazione importante. Non diede segno di accorgersi di Daddy – forse una forma di maleducazione, forse... non poteva, non lui.
«Piccoletto, la tua mamma e Arthur concluderanno il ballo, è tempo per la sorpresa.» Gli comunicò tutto d'un fiato qualcosa che il bambino, invece, già sapeva. Wilfred aveva gli occhi volti sulla punta degli stivaletti eleganti che indossava. Abbassò le mani, nel movimento scintillò una fiammella proprio nel palmo dell'una e dell'altra, una lucetta flebile che Daddy poté vedere. L'uomo, invece, gli diede un buffetto sulla testa e trottò via, consultando l'orologio da taschino. Un ticchettio estremo, così forte da sovrastare paradossalmente le melodie dei violini e delle arpe in sottofondo; un ticchettio famelico, il ritmo di un mostro in ombra. Tic, tic, tic. Non c'era tempo, metteva tensione. Poneva ogni senso in allerta, come... come ad anticipare un pericolo. Wilfred abbozzò un sorrisetto e parlò verso Daddy.
«Non sono più un bimbo.» Diede l'impressione d'aver gridato, nonostante la voce appena udibile oltre il frastuono incessante di archetti in sinfonia e del battito delle lancette. Da dove arrivavano quei suoni, quella era una domanda che non lo infastidiva. Il suo tono risultò molto più greve, quasi maturo. Era lui, la bocca articolava ogni sillaba. Allo stesso tempo sembrava un altro.
«Credi di poter invadere la mia mente.» Continuò così, il tonfo dell'orologio tanto violento da far rabbrividire. Wilfred sollevò le mani fino alla testa, quasi a tapparsi le orecchie. Invece ne aprì le dita chiuse a pugno, liberando l'illusione di un corvo nero, più della notte. Un corvo che poté essere risposta e promessa, un corvo inseguito da un nome gridato in lontananza. Igor, portalo via. Toobl, Toobl, Toobl. Memorie in contrasto, tutti cadevano nelle macerie del tempo. Invitati, musicisti, perfino la coppia di sposi. E lei danzava, circondata dall'abbraccio dell'uomo; e lui, Wilfred, parlava con la voce di un uomo adulto. Nelle mani scintillarono spighe di grano, che il corvo strappò via in volo. Capitombolò con gli artigli e il becco spalancato verso Daddy, come a colpirlo. Prima che potesse abbattersi per davvero, sparì in dissolvenza. Rimase una stanza vuota, nel silenzio ovattato che trascinò con sé. Né ticchettio d'orologio, né musica né cicaleccio di poco prima, nulla.
«Toobl.» Una voce di donna, la stessa che aveva già sentito. Non in grido, non di nuovo; la voce cambiava, era più sottile – primeggiava di un singhiozzo velato. Toobl, Toobl, Toobl. Era il nome che apparteneva Daddy, e allora... perché era in quei frammenti? Una punizione, forse. O una promessa.
«Sei nei miei ricordi.» Era lui, sempre il bambino. Ma il timbro divenne inconfondibile, la voce di un adulto, la voce di un anziano. Era Wilfred, lo era sempre. Non correre, sottintendeva. Non correre, non farlo. Perché il tessuto si strappò convulsamente, una sovrapposizione di suoni, profumi, voci che impazzivano già intorno, nello spazio assente. Il canto di un coro, il gracchiare di un corvo, il pianto di una madre, tutto cadenzava l'incostante forma della mente; le note del grano e dell'erba di campo, l'essenza dei fiori d'estate e il tepore dei raggi di sole sulla pelle; infine colpi d'arma da fuoco, l'esplosione di luce tra le tenebre, l'odore della cenere. Era difficile concentrarsi, non c'erano legami né punti d'approdo. Daddy poté sentire ancora la voce, l'unica guida più familiare – oramai un sospiro più basso, soltanto l'eco di quanto fuggito. Nella caotica rassegna si insinuò lo scalpiccio di zoccoli di cavallo, vicini, più vicini. Non c'era altro, soltanto suoni, suoni discordanti. Come pallida riproduzione, una carrozza tessé il sentiero fino a mostrarsi come macchia appena distinta. Era lontana, così lontana da fare fatica a scovarla al buio: il rintocco di zoccoli aumentò vertiginosamente, si impose così sugli altri rumori. Non c'era altro, soltanto la carrozza: se anche Daddy avesse tentato di raggiungerla a piedi, non ci sarebbe mai riuscito. Presto avrebbe scoperto che le distanze, in quel vuoto, non avevano concretezza. Cavalli candidi trottavano, bagliori di luce.
«È la mente a muoversi, non il corpo.» Oltre l'assenza.
Ovunque riverberò la voce di Wilfred.

Oltrepassammo
il sole calante
Oltrepassammo campi di grano
che ci fissava
Nell'intervallo
– in Cerchio
dove i bambini
si battevano
Oltrepassammo
la scuola
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view post Posted on 30/3/2022, 17:21
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Della festa gliene importava poco.
Non era arrivato lì per interessarsi della loro situazione sentimentale, bensì per uno scopo diverso, che poteva risultare sotto alcuni punti di vista fin troppo meschino da raccontare a voce.
Soffermandosi sul ragazzo dinanzi a lui, attese con trepidazione che questo si esponesse così da saperne di più.
In testa sua si domandava quanto ci sarebbe voluto per arrivare al quid della questione, quanto tempo sarebbe servito per cavare le risposte dalla bocca Wilfred, e quando ci stava per riuscire un uomo si frappose tra lui e i suoi sogni.
Fortuna volle che parte dei suoi gesti non passarono inosservati; era chiaro che Wilfred fosse un mago, un po’ di meno le capacità dello stesso.
Certo poteva inquadrarlo ai primi anni di Hogwarts, magari come uno studente di terzo anno, ma poteva sbagliarsi e su questo non vi erano dubbi.
Proprio quando stava per riprovare nuovamente ad attaccare la mente del suo interlocutore, il ticchettio dell’orologio passato poco prima sotto il suo naso si fece sempre più evidente.
I rintocchi superano la gioia del momento e il suo interesse per un attimo si distolse portandolo a provare un senso di smarrimento.
Cosa stava succedendo? Che stava accadendo?
Il cervello cercò una logica a quei momenti. Che fosse stato scoperto? Possibile? La voce di Wilfred, quel ticchettio ingigantito, quegli archi che suonavano freneticamente, gli diedero subito quell’idea, pertanto con la sua mente provò a rallentare il tutto.
Provò si, ma non riuscì. Come un onda venne colpito da quel baccano, sentendo lo smarrimento arrivare fin dentro la carne.


*Non devi spaventarti*

Disse a sé stesso, mentre con gli occhi cercava di focalizzare il suo obiettivo, di rallentarlo e renderlo suo.
Voleva rispondere all’affermazione categorica di Wilfred, come a fargli capire che niente e nessuno lo avrebbe fermato, ma quel corvo, che tutto legava, lo spiazzò.
Sentì i suoi pensieri provare ad essere respinti, ma non avrebbe ceduto.
Non sarebbero bastati duecento Igor a tirarlo fuori da quel luogo senza aver ottenuto risposte.
Mentre tutto attorno a lui si annullava, restò ad osservare il lento ballo degli sposi, fino a che Wilfred non provò a trasformarsi e a respingerlo lontano da quella storia.
Le spighe di grano vennero colte dalle palme di Wilfred dal Corvo il quale si avvicinò a lui con forza.


*Colpiscimi*

Pensò Daddy, con fare impavido mentre nulla accadde se non l’annientamento del ricordo delle nozze.
Si era distratto, su questo non vi era alcun dubbio. Qualcosa lo aveva respinto, forse Wilfred stesso lo aveva tolto da lì.
Una voce femminile portò a lui nuova concentrazione nel nulla di una stanza vuota.
Di chi era quel sussurro? Che fosse della madre? Che fosse una altro mezzo per allontanarlo da lì?
Sentì singhiozzi, una voce flebile e poi una adulta e profonda con una nuova affermazione, a conferma delle ipotesi. Lo sapeva che era nei ricordi di Wilfred, lo aveva sempre sospettato.
Pensieri di ogni tipo entrarono dentro di lui come spilli; strappi di vita vennero cuciti convulsamente nella sua mente in un mix di sensazioni e odori difficile da scindere e assaporare.
Cercando di rimanere in una condizione psicologica priva di emozioni, cercò di capire cosa doveva fare. Fino a poco prima aveva pensato a cosa dovesse dire per tirare fuori quei ricordi che gli servivano, ma se invece in realtà doveva muoversi lui con la mente alla ricerca dei ricordi che gli servivano?
Osservando la carrozza, sentendo il nuovo appello dell’uomo, cercò nei meandri della mente il suo cognome.
C’era di più in quella storia e lo aveva percepito fin dal principio, ma aveva cercato alla rinfusa, senza permettere alla sua mente di muoversi e andare dove serviva, dove voleva.


*Voglio avere risposte*

Pensò con vigore. Chissà se focalizzando le sue intenzioni queste sarebbero arrivate.


 
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view post Posted on 26/4/2022, 21:33
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Colonne portanti rase al suolo, inaudita violenza di una mente che proteggeva l'assenza − il battito d'ali del Corvo, triste superstite, in dissolvenza a sua volta, ennesima ombra. Igor tentennò, quasi arrestando la ferocia del volo: un becco che scattava come trappola, che fremeva nel vuoto circostante e che infine, in disgrazia, seguitava alla perdita. La memoria crollava, frammenti familiari di una vita che non bastava a raccontarsi − colpi d'arma, l'olezzo del bruciato e dell'incenso in preghiera; tremito di zoccoli, l'intangibile figura di un cavallo che trottava, trottava ancora, trottava lontano. Sempre, in eterno, fin quando non tirò a sé − simili a fila di gioco − il profilo di una carrozza. Nel raggiungerla non si presentò che necessità, ben oltre ogni più labile tentativo: era quello, il punto fisso nel tempo; la carrozza, il cavallo, e la testa mozzata da onde scure come pece. Non c'era altro, il buio s'incrostava lungo i bordi come una paura primogenita e tanto, tanto famelico ne divorava ogni vacua promessa. Non c'era altro, non più − né il bambino, né il vecchio. Ad un tratto parve che la stessa carrozza sparisse, la rovina di un luogo che negava presenza.
«La carrozza portava solo noi due / e l'immortalità»
Germogliò, delicatamente. Come una testimonianza, poiché non tutto era perduto: una voce spenta, affatto melodiosa pur nel sospiro che l'assecondava, era un canto di donna. Quella frase, altrettanto solitaria, fluttuò a mezz'aria priva di ogni confine; il tonfo assordante s'affievoliva, la musica del ballo sfumava lontana, lo scalpiccio della bestia attirava a sé il più dolce nitrito. Questa volta, Daddy poté notarlo subito, la memoria di Wilfred non sembrò accompagnarlo altrove − il cambiamento risultò di scatto, a tratti profanando tutto quello che il vuoto aveva paventato: un battito di ciglia l'attimo prima, una scena nuova l'attimo seguente. Sapori, gusti, profumi − di legno, di fiori primaverili, di pergamena. Era seduto in carrozza, un déjù-vu indietro nel tempo e tuttavia facile da identificare per chi, come Daddy, viveva d'antica bellezza. Erano in movimento, l'ondularsi delle pareti smaltate, il nitrito sbuffante dei cavalli al trotto − veloci, veloci, veloci. Il vetro delle finestre, quadrati limpidi sull'esterno, non mostrava nulla: una notte senza stelle, pur nella chiarezza solare all'interno dell'abitacolo.
«Madre.» Il suono di una bocca oramai matura, perfino nella scelta d'ogni saluto; accanto a Daddy, ben più cresciuto, sedeva un giovanotto: bastò un'occhiata per riconoscerne l'impronta del bimbo ch'era stato e quella dell'uomo che sarebbe diventato. Wilfred sostava attento, il corpo già più slanciato, il volto d'incanto aquilino − nei capelli lucidi, una ciocca in riccio sulla fronte, si scorgeva la conferma ultima: era lui, era la sua memoria.
«Perché Arthur non è partito con noi?» Volgeva avanti, le mani poggiate sulle ginocchia, l'abito cavalleresco di chi sembrava bizzarramente fuori contesto. Di fronte a sé, sulla panchina addolcita dal velluto color mogano, brillava il volto di una donna che Daddy poté subito riconoscere − la pittrice, la sposa, la madre. Svelava il candore di una veste estiva, gentile, elegante: rampicanti e boccioli in fiore ricamati lungo i bordi, un nastro bianco a cingerle capelli d'onda; era bellissima, nella semplicità dell'eterna giovinezza: le guance rosee, occhi in risalto, la brezza di una bocca ridente; una collana di perle, la fede nuziale e un fermaglio sul capo, nulla di più. Parlò proprio sfiorando l'ultimo monile, impreziosito dalla rifinitura d'una spiga d'avorio.
«Puoi smetterla di chiamarlo Arthur, bimbo.»
«Non è mio padre.» Passò un lampo di dolore, sul volto della donna; provò invano ad arginarne l'espressione, sollevando un libro che aveva in grembo fino al petto. Stretto, strettissimo, a dare l'idea di porlo come protezione tra lei e suo figlio; fu allora che Daddy poté scorgerne il titolo, intessuto sulla copertina che lui, lui stesso aveva già visto: Emily Dickinson. Un nome, una raccolta di poesie, quella raccolta di poesie. La voce tonante di una figura astratta, come da lontano, giunse salvifica.
«Madama Laura, siete arrivata.» Chiamò il cocchiere. Era quello, che Wilfred voleva comunicare? E perché? La memoria giocava a nascondino, era evidente: eppure la mente accorta avrebbe saputo cogliere quanto indicato.
Chi erano? Non parvero accorgersi di Daddy, affatto. La porta della carrozza si spalancò, inondando lo spazio della luce del mattino e del profumo del grano. Così entrambi, dapprima il figlio, poi la madre − che rifiutò, impercettibilmente, l'offerta della mano tesa di Wilfred − s'inerpicarono via, abbandonando la carrozza. Wilfred voleva, voleva che Daddy fosse nella sua memoria, altrimenti quanto avrebbe impiegato a respingerlo? Aveva colto un aspetto fondamentale: era lui, era sempre stato lui, a dover inseguire i ricordi.
«Ora basta.» Un'imposizione, l'ordine secco: l'adulto, Wilfred, infine cacciava. Ed era paradossale che a farlo, a ben vedere, fosse proprio sul momento più importante: c'era una rivelazione in atto − nei nomi, nei dettagli visti, nel quadro che iniziava a combaciare e a mostrarsi perfino più confusionario. Se Daddy avesse davvero voluto scoprirne di più, avrebbe dovuto inseguire Wilfred, la sua memoria, l'aveva compreso. Camminavano via, oltre la carrozza, lungo un sentiero di ghiaia: ai lati, soltanto il buio. Ad ogni movimento, tuttavia, Daddy avrebbe scoperto presto d'essere segregato, prigioniero del velluto e del legno dove sedeva: era attaccato, incollato, impossibilitato apparentemente a distaccarsi dalla carrozza. Pur se si fosse affidato al corpo, alla forza, alla magia, non avrebbe avuto soluzione.
La mente esigeva disciplina.

La mia stola -
solo tulle
Perché solo di garza la mia Veste
La Rugiada si posò rabbrividente e gelida
O piuttosto -
Lui oltrepassò noi
Oltrepassammo
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Post Scriptum — Siamo ad un punto cruciale, hai scovato dettagli molto importanti. Da ora in poi sarà una prova sempre più serrata, hai colto meravigliosamente il punto: Daddy deve imporsi alla memoria, il desiderio fomenta l'ordine. Guida la mente alla tua necessità, poni in atto la tua reazione: Wilfred ora ti sta respingendo con estrema forza, la memoria sta per dissolversi.
 
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view post Posted on 11/5/2022, 17:58
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Se pensava a quanto stava accadendo non ci credeva.
Non per un fatto di mancanza di sicurezza nelle sue capacità magiche, piuttosto per la sorpresa di sapere che quello che poteva fare la sua mente era estremamente affascinante.
Non sapeva da quanto tempo si trovasse in quel luogo, quanto tempo fosse realmente passato nel negozio di antiquariato, ma era riuscito a piegare al suo volere lo spazio e il tempo delle memorie, come se fosse stato il lettore di un libro che, annoiatosi di quel capitolo, si era spostato a leggerne uno successivo.
Ciò che lo affascinava oltre a quella scoperta era il fatto che i ricordi fossero nitidi. Li sentiva, li annusava, insomma, li viveva come fossero i propri.

Ci fu un battito di ciglia, nulla di più, e si trovò nella carrozza.
Il sapore acido dell’inchiostro cercava di legarsi armoniosamente con quello di legni da frutto per lui difficilmente riconoscibili .
Non era mai stato un vero e proprio amante della botanica; per quanto gli piacesse essere circondato dal verde degli alberi aveva sempre apprezzato di più il sapore della terra e quello del suo elemento.
Cercando di trovare un appiglio in quel luogo, seppur non fosse indispensabile per restare all’interno della carrozza, iniziò ad osservare i protagonisti della conversazione che poteva individuare come la madre e…


*Wilfred*

Finalmente quella che era una tiepida supposizione si era trasformata in certezza.
Era nella mente dell’anziano con cui stava parlando, l’uomo che gli aveva fatto inviare per conto di terzi le poesie e la borsa.
Proprio nel momento in cui stava ripescando nella mente quegli oggetti, uno di loro si palesò davanti ai suoi occhi.
Poems: la raccolta di poesie, quella raccolta che gli era stata affidata.
Perché ce l’aveva lui? Come mai sembrava essere di sua proprietà?
Mentre constatava la chiusura di un rapporto sentimentale, percepiva anche una nuova rivelazione, un nome che lo portava più vicino alla realtà odierna.
Laura.
Come il nome sulla borsa, come il nome che per diverso tempo aveva provato a capire a chi dovesse essere attribuito.
In un primo momento, dopo l’ultima scoperta si fermò a riflettere. Non si fermò tanto a pensare a come proseguire quella storia, piuttosto al perché Wilfred non gli avesse detto di chi fossero quelle proprietà al principio.
Che non volesse arrivare a quel punto tramite un’amabile conversazione? Che avesse spinto lui a farlo entrare in quei ricordi in maniera tale che non dovesse parlare? All’effettivo far vivere un momento era meglio di spiegarlo.
Proprio quando pensava che Wilfred fosse consenziente nel fargli vedere quella storia e che lo avesse spostato come una pallina da ping pong solo per fargli vedere ciò che doveva essere visto, venne nuovamente respinto.


*No*

Pensò Daddy, mentre sentiva la carrozza trasformarsi da mezzo di trasporto a trappola.
Ora che aveva raggiunto quella discussione non poteva fermarsi, non voleva fermarsi.
Oramai il danno era stato fatto, l’uomo aveva capito che si trovava nei suoi ricordi e non poteva far nient’altro se non proseguire.
Se si fosse fermato e fosse ritornato al negozio probabilmente sarebbe stato cacciato dal vecchio senza avere risposte, se fosse rimasto almeno avrebbe capito quale era il collegamento tra i doni arrivati e la sua persona.
Sentendo il velluto averlo bloccato come cemento, chiuse gli occhi per dar sfogo al suo potere, per potersi muovere assieme a loro e recepire quello che Wilfred sembrava non essere disposto a dirgli.
Aveva aspettato già troppo tempo per quelle risposte, aveva provato a spostare mari e monti per capire quale fosse il di più legato a lui e mai percepito.
Cercò di disinteressarsi della pressione che sentiva in quel momento. Il suo “io” vibrava ma andava gestito, calibrato al fine di scavalcare le volontà della persona che opponeva resistenza.
Lui era come un trapano e doveva ricordarselo, muovendosi con lentezza sarebbe riuscito ad entrare nella profondità di quei ricordi e trovare le sue risposte.


 
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view post Posted on 12/6/2022, 20:17
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Nell'incarnato diafano, gote dipinte di rosa e d'efelidi appena, l'incanto naturale dell'eterna giovinezza ammorbidiva il volto della pittrice. Laura, quello il suo nome, un nome che si offriva poetico, nell'armonia di storie senza fine. Divenne facile, allora, esserne affascinati: dal modo in cui accomodava le mani al grembo, abbozzate nell'intreccio leggero lungo il libretto; dal modo in cui comandava ciocche sfuggenti, nell'onda gentile che relegava dietro l'orecchio; dal modo in cui l'abito estivo scivolava sulle ginocchia, tessendo uno spazio soltanto tra scarpette sottili. Era lei, Laura. Era lei, l'incontro di tutti gli sguardi − di Daddy, che infine collegava magistralmente quello che la mente continuava a svelare; perfino di Wilfred, giovane uomo, già pentito dell'offesa sciorinata dalla bocca. Nel diniego che cessava la conversazione − non è mio padre, aveva sibilato − perdeva l'impronta del bambino ch'era stato, e le meravigliose scene che lo stesso Daddy aveva avuto privilegio di scorgere, ora s'ammantavano in un'ultima, triste eclissi. Wilfred era cresciuto, e con lui il dolore. C'era un punto fisso, in quella frenesia di memoria: l'assenza, la solitudine, il tormento d'escludersi e d'essere escluso − la magia che aveva dovuto nascondere in fretta, più di ogni altro aspetto, suonava come un campanello d'allarme. Perché.
Nell'asfissiante raffica di domande, quella sapeva imporsi: l'uomo che Laura aveva sposato, Daddy l'aveva scoperto, non era il padre di Wilfred. Pur nell'affetto tangibile che Arthur manifestava, era evidente che non avesse il dono della stregoneria − il matrimonio era asettico, immortalato nel tempo.
«Mamma, aspetta... perdonami Avanzi di parole, perdute nella miserabile rivolta della mente. La carrozza si oppose come corpo vivente, scuotendosi lungo i pioli d'ottone, spezzandosi nelle travi di sostegno, finché l'estrema protesta lacerò il velluto dei cuscini. C'era stato un momento, forse, in cui Wilfred aveva offerto la strada dei ricordi all'intruso: forse per una prova, prima della consegna ultima di quanto spettasse al ragazzo, forse... forse per ragioni differenti. Aveva centellinato le informazioni che desiderava svelare, fin quando − con sorpresa − aveva compreso l'inevitabile: Daddy, in quel labirinto, sapeva muoversi. L'abilità che condividevano, di conseguenza, non era più un segreto; avvinta all'imposizione di Daddy di restare, la rivelazione si risolse come uno scacco matto: la carrozza somigliò ad una gargantuesca figura, piegandosi, contorcendosi, riducendosi ad un cigolio che acquisì il vicino rimbombo di un motore, e di un colpo di fucile, e di un fischio lontano.

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«Sostammo / davanti una casa» ...il gonfiore della terra, ribollendo famelico, si avvinghiò alle caviglie di Daddy, avvizzendo in radici più nere della notte. Per un attimo, un lungo attimo, tutto s'estinse: luce, voce, colore, profumo, tutto mutò in vuoto, come sterpaglia. La mente si spegneva, nel battito di palpebra che preludeva l'abbandono: e infine, in estensione, riformò una scena, forse più vivida di quanto non fosse mai stato. Come un viale in festa, si distese un sentiero di ghiaia colorata − pietre sottili, incastrate come pepite d'oro le une alle altre, e di tanto in tanto unite in linee rossastre; vi si adagiavano rametti, guizzi d'erba e d'agrimonia gialla, mescolandosi all'aroma d'agrumeto lontano, di limone e d'arancia, l'essenza dell'estate. Il sentiero sfavillò, ad ambo i lati, nella schiera di statue marmoree − spettatori perpetui, distanti rispettivamente di pochi metri. Avevano forme ridenti, quasi burlesche: corpetti versatili, in parte come giovinetti prestanti, in parte come bestie giocose; nell'estro scultoreo, infatti, si scorgevano il torso nudo e fitto di peluria, le braccia possenti, il volto gioioso − con orecchie sottili, il naso adunco, la bocca beffarda di chi partecipava all'estasi della vita; la parte inferiore, dal busto alle gambe, ricordava quella di un capro, a tratti di un cavallo: la pietra s'inaspriva in segmenti ferrei, realizzandosi in zoccoli e in corna sporgenti, e s'addolciva invece nelle vertigini di ciocche, ricci e capelli più simili a voluttuosa criniera. Chi stringeva un'armonica, chi un oboe, chi semplicemente sostava − gli occhietti segretamente volti a padroneggiare l'arcano del loro mito.
Satiretti, circa una decina, che cantavano a voce unanime, e silenziosa, il benvenuto. Daddy poté scorgere, infine, la coppia perduta: Wilfred, Laura, valigette strette alle mani, e il cocchiere poco dietro trascinandosi bagagli più pesanti. Mentre avanzavano, la memoria tinteggiava richiami pastello, pavoneggiandosi nell'incantesimo del luogo. Oltre il viale di statue, la natura si offriva come un prodigio: alberi d'ulivo così alti, accostati a viti, querce e all'aranceto promesso; il canto grazioso di tortore, passerotti e allodole in volo, e quello più insistente di cicale tra i rami; il respiro caldo di una stagione nuova, il bagliore di raggi di sole in un cielo diamante, d'azzurro splendido. Il sentiero conduceva ad una conchiglia in pietra, una struttura simile ad una cupola aperta sull'infinito e circondata da colonne in tufo: appariva come vestigia quasi antica, un ritrovo che accoglieva con pochi, semplici gradini davanti, e altri sempreverdi in cornice. Al centro s'innalzava una concordanza architettonica che attirava nell'immediato: si trattava di una fontana impreziosita da figure scultoree d'avvenenza travolgente; tutto intorno ai bordi di marmo s'arrampicavano altri satiretti, gli zoccoli stretti alla superficie come a non scivolare via; in alto, gorgoglianti d'acqua iridescente, tre figure si accostavano garbatamente come in un triangolo. Sulla destra c'era la statua di una fanciulla, spensierata nell'abito regale intessuto di tralicci e rampicanti, e tristemente velata nello sguardo lontano: era lei, Persefone, che temeva il regno d'averno, colta dall'impazienza fin nelle pieghe marmoree, sulle quali zampillavano gocce brillanti; sulla sinistra, ben più appagato, c'era un ragazzotto abbondante, le guance piene come il risolino di letizia a stento trattenuto: coperto unicamente da una cinta d'uva e foglie di vite, il dio Bacco ammiccava dolcemente, l'acqua in cascata dai grappoli in una mano e dalla coppa di vino nell'altra; e infine, al centro e già in avanti sporgente, sostava in piedi una donna gioconda e raffinata: nella nudità del seno in parte scoperto, vestita di tunica in pietra bianca, era più alta e limpida dei figuranti, con una corona di spighe sul capo e le mani di doni occupate − un mazzolino di grano nella destra, una fiaccola invece nella sinistra. Cerere, dea materna, giungeva in legame ultimo. Oltre la fontana, si sparpagliava il giardino in festa: come un richiamo, si sentì l'abbaiare di un cane, cui seguì una voce affettuosa.
«Wilfred, Wilfred!» Bastò volgersi sulla destra per individuare l'ultimo tratto di viale verso una villa, sullo sfondo; alberi d'arancio, macchie di colore, sfumavano intorno: proprio da uno di quelli, quasi nascosto da rami e frutti, qualcuno ripeteva il nome di Wilfred a tutta voce. C'era una giovinetta, in bilico sulla scala in legno che guidava all'albero di arance; stringeva un cesto traboccante d'agrumi raccolti e subito volse indietro come vinta dall'emozione. Sullo sfondo s'estendeva una villa in fermento, poco nitida nel ricordo.
«Wilfred!» La giovinetta, alla fine, si apprestò alla discesa: com'era prevedibile nella foga del momento, il cesto le sfuggì di mano, impigliandosi ad un ramo più spesso, e perse così l'equilibrio. Le arance, moltissime, piovvero dall'alto, una colpendo la povera testolina del cagnolino di sotto.
«No, Giulia!» Suonò meraviglioso, quel nome, sulla bocca di Wilfred − nel modo in cui cadenzava la -g, addolcendolo in un accento nuovo; improvvisamente, spaventato, la bacchetta già serrata tracciò scatti d'aria; evocò una rete spessa, sospesa in volo, a frenare così l'inevitabile caduta della ragazza − per tutta risposta, Giulia rideva.
Quando scattò in piedi, sistemandosi appena la veste marrone, si affrettò verso Wilfred con le braccia aperte. Una farfalla, un'altra, un'altra ancora, apparvero in magia dal desiderio di Wilfred, e crebbero in un turbinio dal profumo d'arancia e di campo di grano, tutte volteggianti nella corsa di Giulia. Subito, annerite dalla rabbia pulsante di chi si era stancato, cambiarono rotta − infinite nel numero, soffiarono nel vento caldo fino a cercare lui, soltanto lui.
La mente, infine, tornava all'assalto. Ben prima che potesse trovare rifugio, Daddy fu investito dalle farfalle, e il ricordo cominciò a stracciarsi, e lui a graffiarsi, a perdersi, a sanguinare. Aveva saputo difendersi, fino ad allora.
Sapeva anche attaccare?

Da allora
– sono secoli
il cornicione
– nel terreno
Il tetto era
appena visibile
che sembrava
un gonfiore della terra
Sostammo
davanti una casa
rcTvk0u
Post Scriptum — Perdona la descrizione un po' prolissa, è necessaria per l'ambientazione in cui siamo: Daddy è di nuovo sotto attacco, la difesa non basta più, ricorda che non hai con te né bacchetta né altro. La tua abilità è la risposta.
 
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view post Posted on 15/6/2022, 07:53
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Era in quelle situazioni che capiva come si sentissero gli animali in trappola.
Incapaci di scappare, dovevano attendere il momento giusto per agire e ottenere nuovamente quello che avevano sempre avuto: la libertà.
In quel caso, l’attimo buono arrivò velocemente . Bastò concentrarsi che l’adesione sulla sua seduta sparì e che potè uscire da quella carrozza destinata ad andare in un’altro ricordo.

Senza soffermarsi su quell’ennesimo buon risultato, osservò dove si trovava e come fossero vestiti i personaggi di quella avventura.
Era primavera o inizio estate, questo era fuori di dubbio, come fuori di dubbio era che si trovavano in un luogo lontano da quelli che abitualmente visitava.
Odori acri e pieni di vita avvolgevano le sue narici, facendogli inaspettatamente vivere un intenso istante senza lo smog cittadino.
Era strano essere in un contesto privo di tumulti, sereno, completamente diverso dagli animi dei personaggi principali di quella storia.

Osservando prima Laura e poi Wilfred capì che i tempi erano cambiati.
Lui non era più un bambino da gestire con poche parole, ma era diventato un uomo e come tale cercava delle risposte.
Quel fare ribelle non era un semplice essere contro ai modi di fare della madre, piuttosto un farle vedere che aveva un pensiero, che lui esisteva, che lui voleva verità e non più illusioni.
Daddy capiva lo stato d’animo di Wilfred, lo sentiva stranamente vicino e decisamente contemporaneo, seppur i tempi fossero ben diversi.

Cercando di inoltrarsi con rispetto in quella storia, iniziò a domandarsi anche lui che fine avesse fatto il padre di quel ragazzo e come mai Arthur non li avesse seguiti anche in quella avventura.
Che Wilfred non avesse mai conosciuto il padre? Che lo stesse tenendo nascosto ai suoi occhi? Oppure non lo aveva conosciuto e Arthur -scoperto meglio il suo fare magico- aveva iniziato a prendere le distanze?
Non lo capiva ancora, ma capiva che Laura era stata ferita dal suo atteggiamento, da quel suo modo di comportarsi che era volto solamente al tutelarlo e a dargli una vita maggiormente agita di quella che aveva inizialmente avuto.
Sospirò.
Quelle erano le classiche situazioni dove nessuna delle parti aveva totale ragione; tutti e due avevano avuto dei motivi logici e razionali per comportarsi in un determinato modo.
Proprio quando il discorso stava per giungere ad un punto di svolta, nuovamente si fece tutto buio per poi farlo riapparire avvolto negli odori di agrumi.
Era lampante che la mente di Wilfred aveva agito nuovamente, ma questa volta lui sapeva che quello era un momento focale e che avrebbe dovuto riagguantarlo successivamente, al momento più opportuno.

Fece finta di niente, annusando quelle piante rustiche dai profumi forti.
Gli agrumi avevano avuto sempre poco fascino in lui, anche se era innegabile che fossero piante dai sapori unici e fiori dai colori sbalorditivi.
Attorno a lui e la natura, tante, troppe sculture. Sapeva che l’estro di Laura era importante, ma come faceva a non capire che quella era esagerazione?
Mentre camminava a rilento tra loro e il cocchiere, continuava ad osservare meravigliato quel luogo, dalla natura prorompente e il cielo limpido che gli faceva capire di trovarsi ben lontano dalla Londra che conosceva.
A suo avviso potevano trovarsi ovunque, in Italia, in Spagna o In Africa,insomma, nelle vicinanze del Mediterraneo.
Arrivarono all’altezza di una fontana, luogo di pace in quel lungo e continuo scontro con la mente di Wilfred.
Era assurdo pensare che in tutto quel caos vi potesse essere un posto così rilassante e pieno di meraviglie.
Non si soffermò troppo ad osservare le statue, piuttosto si mise a pensare come mai si fossero avviati lì.
Che stessero andando da qualcuno? Che qualcuno li stesse aspettando?
Bastò il tempo che i suoi pensieri trovassero una logica, che l’abbaiare di un cane giunse alle sue orecchie, seguito da una voce gioiosa.


*E tu chi sei?*

Si domandò, mentre si iniziava a preparare ad agire.
Lo schema che fino a quel momento aveva usato Wilfred era stato prevedibile e puntava a farlo schiodare da lì sempre nel momento in cui si interfacciava con qualcuno.
Focalizzando al meglio il punto esatto in cui si voleva spostare nella mente dell’anziano attese che il tutto avvenisse.
Certo un po’ la sequenza arrivo della ragazza, caduta e magia lo scosse ma cercò di rimanere sull’attenti pronto a saltare nell’ignoto dove aveva stabilito.
La risata, il volo della farfalla e infine, l’attacco.


*Ecco che arriva*

Pensò, mentre vedeva Wilfred sviluppare il suo tentativo offensivo.
Fino a quel momento aveva provato a restare nella mente dell’uomo e ci era riuscito, ora però voleva usare quell’attacco per spostarsi pochi minuti all’indietro per riprendere il discorso che gli era stato oscurato.


* Mamma, aspetta... perdonami.*

Pensò furbescamente, mentre le farfalle lo attaccavano.
Potevano provarci ma, in realtà, lo avrebbero aiutato a volare altrove a fargli scoprire un’altra verità, un altro piccolo pezzo di quella conversazione che non poteva essersi conclusa in quel modo, non doveva essersi conclusa in quel modo.
Cercò di opporre resistenza solamente al dolore fisico e sfruttare l’attacco di lui per agire indisturbato nella mente.
Non se lo doveva aspettare, doveva coglierlo in flagrante, proprio quando era sicuro di riuscire.
Rimanendo inerme,attese. Presto avrebbe scoperto anche chi era Giulia, ma prima doveva provare a percepire chi fosse il vero padre di Wilfred, il perchè Arthur non fosse andato e perché Laura tenesse così tanto a dimenticare piuttosto che a ricordare.



 
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view post Posted on 21/6/2022, 21:43
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Il principio è la fine. La fine è il principio.
La verità è che per ogni singolo tempo esiste una sola ed unica via, determinata e tracciata dal principio alla fine e rappresentante a sua volta un inizio


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Il contrattacco non era mai stato così violento: un velo d'ombra ricamava memorie in disfacimento, strappava il tessuto del tempo già scritto, ripiegandosi infine verso una vita in contrasto. Dalla mente, come terra fertile, germogliarono pensieri di vendetta nei riguardi di chi aveva osato spingersi oltre. Nell'idillio di una natura che non ammetteva disarmonia, l'esito sembrò tuttavia già tracciato: una crepa in crescendo imprigionò il complesso marmoreo, e Cerere cadde per prima − divinità di vita condannata all'eclissi. Seguì sua figlia, e l'amato Bacco, e il nugolo di Satiretti, nell'allegria di un naufragio che vedeva l'acqua gorgogliare famelica per l'ultima volta. Costretto com'era alla rincorsa, Daddy non aveva potuto rimirare la fantasia d'equilibrio delle statue, e ora sprofondavano come mattoncini di domino − pur nella lunga processione che formavano, le sculture non erano fonte casuale in cornice né erano state realizzate da Laura. Una voce gioviale, eppure distorta in un grido, vi diede conferma nell'immediato.
«Benvenuti a Villa Cerere.» C'era un legame prossimo a svelarsi: le spighe, le poesie, le parti coinvolte. Sebbene la voce avesse parlato in una lingua conosciuta, l'accento ricordava quello di Giulia, giovinetta tra i fiori d'arancio. Scivolò via, dissolvendosi tra le braccia di Wilfred: un terremoto d'intensità disumana spogliò allora il frutteto, le note d'agrumi marcirono completamente − una polpa grumosa, di steli d'erba e d'arance, si stagliò sotto le scarpe di Daddy, cibando d'improvviso le crisalidi. Continuavano a graffiarlo, battevano freneticamente ali d'artiglio: pur piccole che erano, lasciarono il segno. Il dolore, curiosamente, risultò reale sul corpo di Daddy. Il giardino perdeva ogni meraviglia, il canto d'allodole stravolto nel colpo di un fucile.
Toobl, Toobl, Toobl. Avvolgere il nastro dei ricordi − era possibile? La memoria non aveva confini scanditi, pretendeva invece una guida continua che solo Daddy, di nuovo, dimostrò d'essere. Abbandonando ogni rovina, poté indietreggiare ancora, e ancora, e ancora. Il cocchiere sedeva nuovamente sulla carrozza, Laura primeggiava nell'offesa che aveva ascoltato, finché Wilfred sembrò proseguire un discorso mai interrotto davvero.
«Mamma, aspetta... perdonami...» Le stesse parole, eppure più nitide.
«Voglio bene ad Arthur, e tanto. Ma...» Il nitrito di cavalli, teste volte all'eterno ricordo. Laura rallentò il passo, accostandosi al figlio: addolorata com'era, appariva eterea. Avvolta dal vento d'Estate, brillava di una nostalgia che spinse Wilfred a guardare in basso, a disagio. Fu lei, invece, a prendere il filo e poggiare delicatamente una mano sulla guancia del giovanotto.
«Ma lui non è tuo padre. Lo so, bimbo... lo so.»
Il cielo, velluto nero, si lacerò l'istante seguente. La mente si rendeva daccapo caotica, privandosi tuttavia del consueto assalto. Si inseguirono ricordi, figure, voci − scene già viste, scene in composizione. Daddy tornò nella stanzetta di pittura, uno dei primi incontri nella mente: Laura sostava di spalle e dipingeva una tela, il piccolo Wilfred dondolava le gambe e chiedeva a mezza voce Mamma, tu ami Arthur? Un battito prima d'essere altrove. La stessa stanzetta, tuttavia sfidata dalle intemperie del tempo trascorso: uno spesso strato di polvere copriva la mobilia, il legno appariva divorato dalle tarme e i quadri scorticati da spettri; una donna anziana cullava il proprio corpo, avanti e indietro, affranta intimamente: pur nella ragnatela di rughe sul volto e i capelli bianchi, si distingueva in lei l'impronta di Laura.
Sul comodino c'erano fotografie indistinguibili, evidenti però erano il libro di poesie e la statuetta della dea Cerere, un fascio di grano tra le braccia. Laura piangeva, una litania bassa e disperata, e chiamava un nome, soltanto un nome, continuamente. La bocca articolava suoni, però, che Daddy non poteva udire. Accanto alla donna, l'adulto ch'era stato Wilfred portava le mani alla testa e lasciava abbracciarsi da una donna dai capelli di fiamma. Giulia, tuttora giovanissima, era nel ricordo. L'immagine sfilò via prima che Daddy potesse reagire − s'acquietò tutto, alla fine, in un campo di grano. Così stabilizzandosi, la memoria si colorò come in un acquerello: gocce di verde, d'azzurro, d'ocra, traboccanti in un'infinita primavera. Erano di nuovo a Villa Cerere, che tutto osservava sullo sfondo: era chiaro che quel luogo fosse stato importante. L'agrumeto s'addolciva delle tinte dorate del grano, in cespuglietti così alti da formare un tappeto luminoso; scivolava dolcemente verso un'altalena sospinta dal vento. Era una scena conosciuta, ricordava il soffitto dipinto al negozio di Wilfred. Alcune farfalle, libere e innocue, adornavano l'incantesimo. Ben presto, ad ogni modo, Daddy poté scorgere le figure nei dintorni: Wilfred e Giulia, nascosti dalla cascata di foglie e di grano, erano accanto e quando l'uno sfiorava l'altra e viceversa, ridevano tra loro come complici di segreti d'amore. Spensierati com'erano, non davano peso alla coppia poco dietro di loro: Laura sostava in piedi accanto ad un uomo, i cui lineamenti richiamavano un legame con Giulia. Capelli castani, occhi d'ambra, il profilo del volto così simile all'altra ragazza, con la quale non condivideva invece la gioia del momento. Mostrava un portamento rigido, il corpo snello serrato in una posa granitica − la stessa tensione di Laura.
«Non l'ho più rivisto, Adam.» La donna parlava in un filo di voce, ma Daddy avrebbe potuto sentire. C'era... rabbia, dolore, frustrazione nel tono di Laura.
«Non è mai tornato a casa, non ha mai scritto neanche una lettera. Ho cercato così a lungo, ho temuto il peggio... Il dolore mi perseguita ogni giorno e ogni notte della mia vita. Arthur invece è...» La bocca arginava un sospiro che saliva dal cuore, mentre Laura univa le mani al petto.
«Arthur non capirebbe, lui non è come te e Wilfred. Non capirebbe i vostri poteri, neanche io sono riuscita a capirli e mi chiedo come possa farlo Giulia. Vorrei che tu fossi il fratello maggiore che Wilfred non abbia mai avuto. Ha già perso un padre, il dolore della sua morte...»
L'uomo al suo fianco, Adam, sembrò sul punto di dire qualcosa, Laura cercò il suo sguardo finché non vi catturò che un lamento spezzato. Riprese subito.
«Avresti dovuto conoscerlo. Era... era...» Non vi fu un cambiamento netto, come al solito. Eppure, il ricordo parve vacillare su di sé: Laura lasciò scivolare le braccia lungo l'abito caffellatte che indossava quel giorno, l'espressione ad un tratto mutata in un misto d'orrore e sorpresa. Guardava appena di lato, non più verso Wlfred e Giulia. Di lato, come una bambola dagli occhi sospesi nel vuoto, incontrando una figura che ora, soltanto ora vedeva.
«Sei tu.» Un brivido le spense la voce, perse ogni bellezza.
Oscura presenza, Laura guardava lui. Guardava Daddy.

erano rivolte all'eterno
che le teste dei cavalli
che intuii
per la prima volta
eppure sembrano più brevi del giorno
Da allora
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view post Posted on 25/7/2022, 17:45
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Dannata era la mente, in grado di plasmare ciò che aveva costruito senza troppi problemi; dannato era Wilfred, con una capacità tale da metterlo alle strette ogni volta.
Vedendo i Satiretti crollare come le sue certezze, Daddy, cercò di convincersi che quanto aveva provato a fare fosse possibile.
Non aveva mai scavato così in profondità nelle memorie di un uomo: il solo pensare di riuscire a muovercisi all’interno era pura follia.
Sapeva bene che un’infinità di discorsi potevano incastonarsi nella mente e pertanto stava cercando di diventare analizzatore preciso, lui, che solitamente non riusciva neanche a ritrovare una frase scritta in un punto specifico di un determinato libro.

Sentì il benvenuto a Villa Cerere, poi vide il tenero abbraccio.
Tra i crolli delle sculture, era innegabile che la dolcezza tra Wilfred e Giulia fosse quella tipica degli amori più puri, quelli dove si combatte anche solo per avere un momento, un caldo sorriso.
Mentre il cuore si addolciva, il terreno franava, come in un intenso collegamento con le sue emozioni.
I suoi pensieri felici vennero spazzati dall’intensa nota di agrumi che divenne sempre più aspra fino a portare un gusto di morte. Il marcio delle arance era ovunque, persino sulle suole delle sue scarpe, come a dare l’impressione di aver calpestato le interiora di un corpo umano .
Fu in quel momento che le farfalle lo attaccarono, il momento in cui il dolore iniziò ad avvolgerlo in maniera intensa, come a provarlo a convincere che doveva uscire da lì, che quel luogo non era per lui.
Certo era che la volontà di restare era ben più forte del suo soffrire; doveva sapere, doveva realmente capire che cosa stava succedendo e cosa Wilfred cercasse di tenergli cosi ostinatamente nascosto.

* Mamma, aspetta... perdonami.*

I suoi pensieri si legarono alle parole di Wilfred, come a convincerlo a completare quel discorso.
I dolori, il suo cognome ripetuto, sembrarono lontani mentre il Mondo attorno a lui nuovamente si colorava di ciò che voleva.
Gli occhi vagarono per pochi istanti prima di prendere consapevolezza che era riuscito nel suo intento: si trovava nella scena precedente.
Senza risultare invadente captò il malincuore di Wilfred, forse anche la nota di rabbia che poteva esserci in lui nel sentirsi abbandonato.
Che poi…era stato abbandonato? Suo padre era morto?
Era incredibile notare come in quell’aurea di misteri la sua schiettezza si facesse sempre più imponente.
Socchiudendo gli occhi, nel cercare di farsi rivelare un qualche dettaglio, si fermò barcollante dinanzi a quella signora anziana, che ricordava Laura.
Era andato avanti nella storia, in un momento diverso dove Wilfred non era più un bambino o un ragazzo, bensì un uomo e vi era quel nuovo personaggio: Adam.
Restò in silenzio, avvertendo nuovamente la magia come una nemica in quelle persone piuttosto che un supporto.
La magia aveva diviso, li aveva resi distanti e lui non poteva fare nulla per poterli aiutare.
Osservando la scena, ipotizzò che l’interlocutore della donna fosse il fratello di Giulia, ma tutto fu annullato nel momento in cui la voce di Laura sembrò accusarlo.
Che Wilfred avesse usato lo sgomento per tirarlo fuori da lì , che fosse quella la mossa studiata per allontanarlo?
Non si fidò troppo di quello che disse la donna - o meglio, cercò di non dargli peso- per poi focalizzare il suo pensiero nel solo successo di quella che a tutti gli effetti era diventata una missione.
Socchiudendo gli occhi provò ad andare più a fondo, provò a percepire il momento in cui il padre di Wilfred se ne era andato.
Che fosse quella la chiave di volta per capire quella storia? Che fosse quella la mossa per capire cosa stesse succedendo in quel negozio.
Provò ad incanalarsi nelle profondità della mente, come uno spillo si potrebbe infilare nella carne della mano.
Era invadente, fastidioso, forte.
Si spinse con la mente verso l’ignoto, verso oltre, alla ricerca di qualcosa che non c’era ma sapeva che ci fosse.
Il suo obbiettivo era sapere e avrebbe saputo.



 
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view post Posted on 6/8/2022, 20:16
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Il principio è la fine. La fine è il principio.
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Il volto di Laura, un tempo ridente di vita, manifestava il dolore dell'abbandono. Come una delle sue tele più riuscite, svelava allora i segni dell'età avanzata – una ragnatela di rughe increspava le gote e le palpebre fino a coinvolgere gli occhi in un tremito stridente. Così com'era apparso, spegneva il sorriso di un giorno felice. Appariva tangibile, ancor più del paesaggio condannato all'eclissi: le collinette si coprivano d'ombra, il fascio di rametti e di foglie brillanti già in dispersione. Il ricordo rovinava vertiginosamente, avviluppando voci graziose. Non guizzò tuttavia in pericolo, non trasformò il peso dell'intromissione nell'usuale battaglia – per la prima volta la memoria accoglieva Daddy gentilmente.
Laura gli si accostò di un passo, anche lei tuttavia meno nitida; oscillava la mano, come sospesa in una carezza di cui aveva timore: nell'intreccio di sguardi, Daddy poté custodirne come un'epifania – c'era qualcosa di familiare, nell'altra. Qualcosa che ricordava... lui. Nel modo in cui le guance si tingevano rosee, nel modo in cui reclinava la testa, Laura gli era più vicina di quanto non fosse mai stata. Portò sensazioni impossibili, scandite da un tempo che Daddy avrebbe giurato di non aver mai vissuto: e allora, nel contatto della mano della donna sulla sua guancia, cos'era quella stretta al cuore, e quella ninnananna che sfumava via, via da lui, via da loro?
«Tu gli somigli così tanto» sussurrò in un filo di voce. Imprevedibile, il ricordo piangeva: una goccia soltanto, perla d'anima, scivolava via dall'ultimo battito di ciglia della donna. L'attimo seguente la scena cominciò a dileguarsi, la mano di Laura a guidare Daddy nell'assenza. Capitarono sull'uscio di un cottage, nella semplicità del legno di travi e pareti – il tetto a spiovente, mattoni in argilla rossa, con un caminetto appena accostato dal quale saliva un pennacchio di fumo. Poteva essere sera oppure le prime ore dell'alba, il cielo rosato e celestino, sbiadito da frammenti notturni. Ovunque s'espandeva l'essenza del granoturco, il campo color dell'oro ne circondava il casolare – all'ingresso, in piedi, l'inconfondibile figura di Laura stringeva un bambino tra le braccia e ne cullava il sonno, dondolandosi appena. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto, come chi cerca di ricordare qualcosa che è appena sfuggito; si perdeva all'orizzonte delle spighe, dove nulla attendeva: soltanto una farfalla, le ali vivaci, volteggiava intorno fino a poggiarsi tra i capelli.
Come poteva Wilfred, appena bambino, avere ricordi così nitidi di sua madre?
Oltre il fascio luminoso dove Daddy assisteva, si realizzò un fruscìo – prima che potesse essere scambiato come refolo di vento, si scoprì una coppia di uomini con bacchette magiche strette tra le mani. Nel salto nel vuoto che terminarono, scomparvero come spettri. Laura, alla porta, nulla vedeva.
Si lasciò andare ad un sospiro, riprendendosi come dal dormiveglia – nel battito confuso di ciglia strinse meglio a sé il bambino, lasciando indirettamente scivolare un anello dalle dita. Nel tintinnio che conseguì all'impatto del monile sulla pietra, la farfalla volò subito via e la memoria si consumò nuovamente. A differenza dei momenti precedenti, il percorso che si tratteggiava attorno Daddy non risultava più un assalto – aveva avuto già il presentimento di essere nella mente di Wilfred per un motivo; pur reticente ch'era stato, l'anziano collezionista non lo aveva ancora del tutto... respinto. Non mostrò segni di cedimento, tutto sommato, così parve guidarlo nella cornice ben dinstinguibile di Villa Cerere – quello era stato un luogo importante nella sua vita, non c'era dubbio. L'immagine traboccava d'armonia, colori e melodie rinfrescavano il passato nel più gioviale degli esiti: la residenza in tufo, così imponente, ora si svelava in primo piano sullo sfondo; si scorgeva movimento tra gli interni – schiere di camerieri in livrea, di cuochi e di ospiti dagli abiti coloratissimi, tutti inseguivano i convenevoli di voci allegre, abbracci e baci sulle guance. Nei dintorni c'erano diversi tavolinetti, tutti circolari e in legno, sui quali statuette di Satiretti suonavano flauti, arpe e lire in motivetti giocosi. Era evidente fossero stati animati, d'altronde l'impronta della magia germogliava un po' ovunque: lanterne luminose portate in volo dalle Fate, lampi di fuoco e di cenere di Fenici nascenti, ceramiche di piatti di autentiche prelibatezze volteggianti tra gli invitati, e tanto ancora. Le radici di una quercia secolare serpeggiavano lungo un tappeto dorato, impreziosito da cespugli di grano e di fiori d'arancio: folletti curiosi, le manine tozze avvinghiate al tronco, si sporgevano come partecipanti a loro volta. Nella folla che prendeva infine posto, in sedie avvolte da boccioli dorati, si scorgeva Laura in compagnia di Adam – aggrappatasi all'avambraccio dell'altro, sembrava saettare da un punto all'altro come in preda ad un colpo al cuore. La magia, d'altronde, non le apparteneva così direttamente. Né lo faceva per Giulia, al centro di una pedana in fiore – nell'emozione di chi non credeva ai suoi occhi, non riusciva a smettere di sorridere e catturare da lontano la danza delle creature fatate. Nell'incanto dell'abito bianco che turbinava lungo la sua figura, appariva ninfa a sua volta. Era il giorno del suo matrimonio e Wilfred, elegantissimo nel completo scuro che indossava, le sostava di fronte con l'espressione felice di chi realizzava il sogno d'una vita. Se prima Villa Cerere non aveva svelato magia, ora tutto si capovolgeva – le parole di Laura e di Adam, in un frammento precedente, erano state in parte chiarificatrici. In volo, in un colpetto di bacchetta, il sacerdote tra la coppia attirò a sé una scatoletta in legno: la musica d'archetti giocondi si affievolì e la voce di Wilfred, mentre raccoglieva il primo anello, si sollevò amabilmente.
«Invero Sum.» Ora, per sempre. Wilfred cominciò così, mentre l'anello mutava sotto gli sguardi di tutti in una crisalide. Brillava dei colori dell'estate, del grano dorato e del cielo blu notte, sulle ali vorticava il chiarore delle stelle. Circondò maestosa il viso di Giulia, come in giravolta; vi si adagiò infine sulla pelle, sulle mani che già cercavano quelle di Wilfred: nel contatto, improvvisamente, la creatura scintillò fino a mutare nuovamente in anello. Inversum, la trasfigurazione chiudeva il cerchio.
«La fine è il principio. E tu, Giulia, sei ogni mio tempo continuo.»
Le si accostò di un passo, convolando così in eterne promesse.
Vuoi tu prenderla come sposa?, chiedeva il sacerdote.
Non esitò. Nel sorriso che guidò le sue parole, la scena già si dissolveva.
«Io, Wilfred Toobl, lo voglio.»

Un colpo di fucile, le teste di cavalli volte all'eternità.
Il nitrito di bestie in fuga, il brivido di una carrozza oramai spezzata.
Il buio impazziva, la memoria scossa fino alle fondamenta.
Toobl, Toobl, Toobl gridava la voce di Laura.

Non c'era resistenza contro il dolore.
Nel negozio d'antiquariato, il risveglio risultò imprevedibile.
Wilfred Toobl, stravolto, puntava la bacchetta contro il petto di Daddy.


Procedemmo lentamente
– non aveva fretta
e l'Immortalità
La Carrozza portava solo noi due
lei gentilmente si fermò per me
Poiché non potevo fermarmi per la Morte
rcTvk0u
Post Scriptum — Perdona l'intervento prolisso, era necessario per avviarci alla fine. Sei nel punto più importante della rivelazione: per la vocazione che si è fortificata, per la scoperta che hai fatto. Puoi trarre più di una conclusione, al seguito delle informazioni ricevute. Continua così, ormai ci siamo.
 
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view post Posted on 26/8/2022, 08:34
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Quel flebile momento lo lasciò di sasso.
Laura, della quale fino a poco tempo prima ne era riuscito solamente a vedere l’immagine nei ricordi di Wilfred, si stava avvicinando a lui e con essa un’insieme di sensazioni che lo colpivano dritto al cuore.
Non era più sicuro che quella fosse solamente una scena della memoria di Wilfred; riusciva a percepire di più, toccava corde che fino a quel momento non era mai riuscito a percepire con la Legilimanzia.
Più la mano si avvicinava e più lui si sentiva protetto, cullato da un legame viscerale di cui non aveva mai avuto bisogno fino a quel momento.
I suoi occhi cercarono di specchiarsi in quelli di lei, di avvicinarla a lui. Erano simili, di tempi diversi, ma legati da un filo invisibile che sembrava non volersi spezzare.

Tu gli somigli così tanto.

A chi? A Wilfred? Al marito? Non riusciva a capire. Per quanto il tutto fosse chiaro, non riusciva ancora ad avvicinarsi alla verità che era lì, ad un palmo dal naso.
Una goccia di lacrima annullò tutto. Annullò la paura di un nuovo attacco di Wilfred, annullò la scena che era stata disegnata davanti a lui e lo lasciò in un limbo dove avvertiva ancora la presenza della donna che lo guidava altrove, verso una risposta.

Si trovò davanti ad un cottage. L’aria fresca e pungente penetrò nella sua pelle rendendolo nuovamente attento, guardingo su ciò che sarebbe potuto accadere.
Vallate di granoturco riempivano di colore quell’immagine come se un pittore avesse voluto concedere più di quel che poteva con la sua tavolozza.
Il blu scuro della notte si legava ad un rosso passionale per poi avvicinarsi implacabile verso l’oro de grano e lì rimettere una figura con una farfalla tra i capelli.
Laura sembrava assorta nei pensieri, con la mente altrove quando un soffio di vento fece intravedere due uomini con delle bacchette magiche. Il tutto venne accolto con una serie di sentimenti contrastanti; prima lo stupore lo colse di sorpresa, poi la paura e quindi l’istinto di dover intervenire lo accalappiarono allo stomaco e infine la calma quando notò le figure sparire, la farfalla volare e l’anello cadere.
Guardava nel vuoto Toobl, mentre cercava di capire cosa fosse successo.
Che quello fosse il momento in cui gli avevano detto che era sparito suo marito? Che fosse qualche funzionario del Ministero con qualche missiva per lei? O che fosse qualcuno di oscuro, volto a piegare lei e suo figlio?

Il tempo sembrò cambiare e così il panorama.
L’edificio di tufo che aveva visto poco tempo prima era riapparso. Questa volta era addobbato a festa, pieno di persone cordiali e sguardi felici che lo avvolgevano e che dominavano su quella natura incontaminata.
Notó Adam e Laura, appoggiati l’uno sull’altro, ma non si mosse verso di loro, piuttosto girò il capo verso Giulia, al centro di una pedana in fiore.
Un sorriso non potè fare a meno di nascere sul suo volto al vederla, mentre sentiva Wilfred, vestito di tutto punto, iniziare il suo discorso conciso ma profondo.
Il bambino che aveva visto poco prima, ora adulto, aveva reso quel momento magico indubbiamente intimo, pieno di significato con la spiegazione di un solo incantesimo che, fino a quel momento, per lui era stato solamente un semplice modo di rimettere tutto in ordine.
Mentre sentiva i voti, al pronunciar il cognome di Wilfred, qualcosa si spezzò.
Rumore e buio fu quello che avvertì mentre la mente elaborava quanto appena scoperto.
Chi era per lui Wilfred? Un nonno, uno zio, un parente di secondo grado? Cosa voleva da lui? Perché gli era stata in dono quella borsa e quel libro senza spiegargliene il senso?
Mentre annaspava sulla poltrona trovò Wilfred con la bacchetta puntata con il suo petto.
Daddy era sudato, confuso, eppure sapeva di essere tornato al negozio di antiquariato e che ora doveva tirare fuori una parola, un qualcosa che colpisse nel profondo, come una magia:


- Hai fatto tanto per avermi qui da te e ora mi punti la bacchetta contro? Wilfred Toobl.-

Mentre provava a ritrovare una corretta postura sulla sua poltrona aspettava una risposta.
Erano arrivati al dunque di quella storia. Anche se non si erano parlati, si erano detti più di ciò che si sarebbe potuto dire in una semplice conversazione.
Ora lui sapeva e potevano discuterne, forse riuscire a comunicare anche senza bacchetta.


 
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view post Posted on 19/9/2022, 18:43
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Il principio è la fine. La fine è il principio.
La verità è che per ogni singolo tempo esiste una sola ed unica via, determinata e tracciata dal principio alla fine e rappresentante a sua volta un inizio


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Il volto di Wilfred, ora così vicino, svelava l'insidia dell'età veneranda: un reticolo di rughe, una barba lanuginosa, un tremito lungo pupille acquamarina. Nel viaggio che Daddy aveva compiuto tra i ricordi, tuttavia, risultò d'improvviso facile individuarvi l'impronta di giovinezza, ancor più nell'espressione vivida che l'anziano non aveva perduto. Vi turbinava, sul momento, il peso di una rivelazione che tardava a raffinarsi e che, oramai, si percepiva come giunta al termine. Chi era Wilfred, chi era davvero? Non tremò neanche una volta, impugnando la bacchetta contro il petto di Daddy.
Il corpo era sigillato in una posa granitica, la tensione vertiginosa mutata in un'asfissia di movimenti. La bocca, strettissima, tradiva invece una smorfia: né imbarazzo né rabbia per aver condiviso le sue memorie, come c'era d'aspettarsi. Sulle labbra, inaspettatamente, aleggiava il dolore. Era come se Wilfred, ad un tratto, fosse intimamente combattuto: stille nevrotiche, nel tremito di sopracciglia e di palpebre, infrangevano l'equilibrio che l'uomo aveva riguadagnato. Dietro di sé, in colori cangianti, la saletta d'arte piombava in silenzio − cornici vuote, armature spente, non c'era rumore. Perfino la teiera, sul tavolino condiviso, tratteneva l'ultimo sbuffo di vapore. Ogni cosa, ogni figura, tutto attendeva.
Le parole di Daddy echeggiarono in condanna, mai così veritiere. Wilfred parve non saper rispondere, indugiando nello sguardo vitreo di chi riconosceva qualcuno per la prima volta. Gocce d'ombra, rapidissime, annebbiarono il volto. Di qualunque natura fosse originaria, la sofferenza non mostrava pietà e Wilfred, inerme, si costrinse − come colpito profondamente − a chiudere gli occhi per un istante. Quando trovò forza, la risposta suonò infinitamente pungente, guidata dal lampo trasversale di occhi gelidi.
«Mio figlio Robert non ti ha insegnato nulla.» Non lasciò tempo per accogliere il senso della sua frase, non più. Ogni ruga s'increspò maggiormente, adombrando la gentilezza del principio; le guance liberarono il soffio di un respiro, in un rantolo che accennava un singhiozzo; tutto, in Wilfred, impallidiva − vedeva Daddy come non aveva mai fatto e di pari modo, scosso dal ricongiungimento, gli appariva simile ad uno spettro.
Wilfred Toobl, non c'era dubbio, era suo nonno.
«Legilimens» La bacchetta sferzò l'aria, affidandosi nuovamente al sortilegio sì familiare ad entrambi. Non era mai tornato davvero alla realtà, Daddy. Lo si scopriva, invero, nell'apatia che strideva sull'antiquariato. Mani, braccia, corpi nuovi − demoni d'oltremondo − ghermirono il tavolino, tirando via ogni oggetto che vi era poggiato: il tintinnio delle tazze, il tè versato alla rinfusa, il libro di poesie, perfino lo scrigno conteso, tutto rovinò verso il basso. Una stregoneria potente, quella, poiché plasmava e rimodellava la mente. Era tutto vero?
Il ricordo emergeva in frammenti − ombre, continue ombre, sbiadivano la scena per l'ennesima volta. Era quello, allora, il prezzo dell'incontro? Sbalzato altrove, Daddy ritrovò la figura familiare di Adam. Non differiva troppo dall'ultima memoria, forse svelava pochi anni in più. Al centro di una stanza anonima, pareti offuscate in tinte buie, Adam tradiva impazienza. Andava avanti e indietro, di qualche passo, tornando con lo sguardo alla figura di Wilfred − di nuovo giovane, alterato tuttavia da una furia inusuale.
«Come hai potuto nasconderlo per tutti questi anni? A me, Adam. A mia madre...» La voce di Wilfred era spezzata, traboccava d'offesa e rimpianto. Le vene del collo erano gonfie, il volto arrossato. Stringeva la bacchetta in modo febbrile, anche nel ricordo. Sotto tiro, di nuovo, c'erano Adam e involontariamente anche Daddy. La stanza non aveva via di fuga.
«Io ho sposato tua sorella, maledizione. E tu... tu Scintille purpuree, in fiamme impudenti, zampillarono dalla punta dell'arma. Adam parve accorgersene, fermandosi e poggiando la schiena contro il mobile retrostante.
«Tu conoscevi mio padre, Adam.» Si sentì l'olezzo della polvere da sparo.
«Ti sbagli. Non ho mai conosciuto Arthur.» Adam scoprì d'aver superato il limite ancor prima di chiudere bocca. Lo scatto di Wilfred, infatti, lo travolse. Lo bloccò contro il mobile, in una frenesia che serpeggiò sul legno − spinto con il torace contro la superficie, Wilfred lo aveva intrappolato. La bacchetta magica era vicinissima alla gola, e Daddy poté vedere tutto.
«Il mio vero padre» Nel sibilo pronunciato, Wilfred fece pressione. Inerme, privo d'ogni sostegno, Adam boccheggiò un'ultima volta. Le ciocche ramate, così simili a quelle della sorella Giulia, scivolarono disordinatamente.
«Io...» Tremava, ora. Così forte da coinvolgere l'intera memoria, avviluppata dall'esterno da suoni familiari, tuttavia incostanti: il trotto di cavalli in marcia, il clangore delle armi da fuoco, il pianto d'eco distante. Il mio vero padre, aveva detto Wilfred. Sì, Daddy poté comprenderne il senso sottile dietro le parole. Conosceva Arthur, lo aveva incontrato.
Nella morsa costante, Adam respirava a fatica. Continuò, senza scelta.
«È stata colpa mia, solo colpa mia.» Il corpo si abbandonò ai singhiozzi.
«Io, io, solo io. Io... l'ho condannato a morte.»
Oscillarono insieme, oltre un campo di grano. Nell'eterna giovinezza che rideva sui loro volti, l'uno stretto al passato, l'altro in corsa al presente. La memoria si spezzava e ricompattava di continuo: la confusione di una mente che affrontava l'incubo peggiore. Cavalli in testa, statue di fauni e di satiri, il suono di feste dimentiche, finché... finché Adam guizzò, ora libero, in uno spiraglio d'ombra. Scappava, la bacchetta volta dietro di sé. Lampi di luce, maledizioni che brillavano nell'oblio circostante. Infuriava una battaglia priva di dettagli, Daddy era l'unico superstite. Poteva essere colpito dai sortilegi di Adam da un momento all'altro, l'altro spariva tra le pieghe, sempre più scostante. La voce di Wilfred lo raggiunse subito.
«Controlla la mente. Trova Adam e avrai la verità.»
La verità. Una promessa che abitava perfino la memoria.

Oltrepassammo
la scuola
per la Sua Cortesia
il mio lavoro
e il mio riposo
e io avevo abbandonato
Procedemmo lentamente
– non aveva fretta
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Post Scriptum — Siamo ad un passo dalla fine, l'unica tua arma a disposizione è la tua Legilimanzia. Sfrutta la mente, imponiti sul ricordo in modo assoluto.
 
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view post Posted on 23/9/2022, 08:44
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Il tempo logora la mente, ma non i ricordi infantili più importanti, seppur di questi non se ne possa definire né il luogo né l’esatto momento.
Sono lì come pietre miliari e riaffiorano o in circostanze improbabili o se i personaggi del ricordo si trovano nelle immediate vicinanze.

Era piccolo eppure se lo ricordava di aver preso un gelato con suo nonno, con quel personaggio eclettico che lo aveva tenuto felicemente per mano per poi non tornare più.
Se lo ricordava che con lui si sentiva al sicuro e compreso, come si ricordava il dolore che aveva patito alla sua sparizione, mai troppo giustificata dai genitori.
Come mai si era allontanato? Come mai si era fatto vivo solamente dopo una decina di anni?
Dal volto stanco del suo interlocutore non riusciva a percepire altro se non rabbia e incredulità. Era sparito, si era allontanato dalla sua famiglia e ora riappariva per donargli una borsa e un libro di poesie?
Per quanto la logica fosse ben sostenuta dai ricordi di Wilfred, lui non riusciva ad accettare l’abbandono, quell’allontanamento, che fino a poco prima era coperto da cumuli di pensieri.
Era incredibile notare come tutto tornasse a galla nella mente. Non era come trovarsi in una casa, dove persa una cosa la trovi solo dopo un accurata ricerca, lì bastava solamente pensare, muoversi che ciò che si voleva ricevere veniva attratto come un Accio richiama una scopa.

- Tuo figlio mi avrebbe potuto insegnare di più se fossi stato presente.-

Il veleno in quelle parole fu palpabile.
Aveva vissuto anni ad esser convinto che fosse un nato babbano e invece suo nonno era un Mago?
Aveva passato momenti terribili senza una guida sul come andare avanti in quel luogo e ora la trovava in prossimità di chiudere il ciclo di studi?
Il sangue ribolliva; il corpo era scosso, pronto per eruttare.
In quella condizione non doveva gestire solo le sue emozioni, ma anche quell’elementalismo così pronunciato.
Frenando il corpo, provando a recuperare un barlume di razionalità, notò che non era ritornato alla vita reale, ma che il nonno aveva usato la sua mente per creare se stesso in quel luogo.
Ma di cosa stavano parlando? A che livello si poteva estendere quella vocazione?
Non disse molto, anzi, rimase incredulo al punto tale che la rabbia temporaneamente svanì in favore della logica, della voglia di arrivare alla fine della questione; voleva capire come si concludesse la storia di suo nonno, parte della storia dei Toobl.

Il luogo si spezzò nuovamente. Acre gli parve che fosse l’odore di quella nuova scena che vedeva un Wilfred irato parlare con Adam.
Nel silenzio totale, percepì un’insolita nausea a sapere quanto fosse successo, quanto Adam avesse fatto.
Aveva condannato a morte il suo bisnonno? Cosa aveva fatto per meritarsi quella punizione?
Non osò immaginare la rabbia di Wilfred in quel contesto, il tradimento che era arrivato solo per la paura di non dire quanto era stato fatto prima di conoscere lui e la madre.
Dopo aver sentito il consiglio del nonno, tirando fuori dal pantalone la sua bacchetta, disse l’unica formula in grado di aiutarlo in quel momento.


- Legilimens .-

Sapeva che non gli serviva quello strumento magico, sapeva che sarebbe entrato in qualsiasi caso nella mente di quell’uomo cogliendone i ricordi come fossero frutti, ma voleva che tutto filasse liscio, che nulla arrivasse a lui in maniera distorta.
Che il padre di Wilfred, assomigliasse a lui? Che fosse quello che cercava di dirgli Laura?
Sforzò la mente ad inoltrarsi in quella del ricordo, provò a fare in modo di carpire totalmente quello che Wilfred era riuscito a fare durante quella discussione.
La mente era labile, i ricordi potevano essere sfuggenti, ma lui con quella lotta della mente voleva snocciolare ogni singola frase, ogni singolo movimento di labbra, insomma, la vera essenza del sapere.
Senza spegnere mai il flusso magico e la sua correlata concentrazione si soffermò sull’obiettivo.
Adam gli avrebbe mostrato la realtà dei fatti e tutto sarebbe stato più chiaro.


 
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view post Posted on 26/9/2022, 12:39
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Io... l'ho condannato a morte. La voce di Adam bersagliava il ricordo, ripristinandosi nel vincolo del tempo vissuto. Colonne d'ombra, serpentine, abbandonavano l'ultima tana – la memoria si contorceva come una bestia, la cattura della linea che tutto aveva guidato e che ora, venefica, si piegava sotto il peso del dolore. I punti di contatto spezzavano l'enigma dell'ignoto, imbevendosi della tensione che anticipava la rivelazione finale: mancava poco, si comprendeva dalla caotica esplosione della mente di Wilfred. Ovunque nel passato, l'esperienza sollevava barriere credute invalicabili – il sortilegio di Daddy s'impose, l'attenzione schivò il buio per l'ennesima volta. Il comando della vocazione, l'identità viscerale che non lo aveva mai rinnegato, tutto fomentò l'esperienza nella guida necessaria.
Era lui, era sempre stato lui. Daddy Toobl, colui ch'era stato atteso.
Il negozio d'antiquariato impallidiva, avvinto dalla dissolvenza del momento. Il profumo del tè, oramai freddo, già era sostituito dall'olezzo pungente della polvere da sparo, e di cenere, e di terra bruciata. Si addentrava nei recessi della memoria, le parti recondite di una mente infinitamente versatile.
«Adam... non farlo.» Il richiamo di una voce nuova e profonda, il singulto di un'assenza che soffriva. Così vicina da risultare in qualche modo familiare. Si spingeva oltre, oltre ogni confine già concesso – il buio si puntellò di scintille, il firmamento di una mente che bruciava. Colpi di cannone, grida disumane, il nitrito dei cavalli al galoppo, tutto stillava inquietudine. Il profilo di Adam, d'un tratto, riapparve all'intimo comando. Correva, correva lontano – di tanto in tanto si girava, freneticamente, come consapevole d'essere pedinato. Mirava l'oblio dei sensi, la bacchetta verso nemici invisibili, talvolta verso Daddy.
Adam aveva paura. Tremava, nell'appello di maledizioni già spente sulla bocca. Caddero via, lui e Daddy, nella gola del tempo – sprazzi di visioni, immagini alla rinfusa, ricordi già conosciuti. Nel turbinio in cui precipitarono entrambi, il punto fisso restava Adam. Ovunque, c'era sempre.
La presenza che la mente, finalmente, spogliava d'ogni arcano. Si ritrovarono al frammento del matrimonio di Wilfred e Giulia, lei in abito elegantissimo, lui avvolto da convenevoli di delizia – il cicaleccio di voci di congratulazioni, i primi ospiti che giungevano al convivio d'incanto. Le sedie si sistemavano in volo lungo il tappeto in festa, di fiori e di spighe di grano, l'officiante già sul pulpito ad accendere alcune candele sospese a mezz'aria. Era il momento precedente la cerimonia, Wilfred stringeva uno scrigno cinto da una corona di granoturco: gli anelli, brillanti, erano lì contenuti. Lasciava che gli invitati lo abbracciassero, felice com'era. Ignaro, invece, del battibecco di Giulia e Adam a pochi metri di distanza, sotto i rami di una quercia solitaria. Giulia era già in abito matrimoniale, celata alla vista da damigelle e dal fratello maggiore. Proprio Adam, infatti, la tratteneva con cenni d'impazienza.
«Pensaci, Giulia. Tu... tu non dovresti sposarlo.» L'espressione gioviale, sul volto della sposa, s'adombrò immediatamente. Daddy vi era accanto.
«Ora basta, Adam.» Stravolta, preda d'imbarazzo, rabbia e dolore, Giulia scioglieva maldestramente le mani da quelle del fratello. Gli parlò con tale minaccia, nella voce, da credere d'essere sul punto di crollare a piangere.
«Credi che lui non possa essere degno di me? O che io non possa esserlo per lui, solo perché... solo perché non sono come voi. La magia, Adam, non mi spaventa. Tu più di tutti dovresti saperlo.»
Il ricordo cominciava a scolorirsi. Giulia spariva verso l'altare, la melodia del corteo nuziale ad annunciarne il passo. Daddy sentì l'ultima frase di Adam.
«Non puoi sposarlo, perché ho ucciso suo padre.» Mentre il buio spingeva altrove, i collegamenti fino ad allora si concretizzarono d'esperienza: Giulia e Adam erano imparentati, fratello e sorella. Giulia non aveva mai avuto il dono della magia, a differenza del fratello e del futuro marito. Quell'incontro, però... come faceva ad essere parte della memoria di Wilfred?
Avvolsero il filo del tempo, indietro, sempre più indietro. Daddy tornò al giardino vivace, tinteggiato dal salice piangente, dal grano e dall'altalena sulla quale Wilfred e Giulia si dondolavano. Giovani amanti, ridevano con spensieratezza. Laura e Adam, poco dietro, sedevano sullo stesso tronco dov'erano già stati, e guardavano – chi con dolcezza, chi con apatia – la coppia promessa. Il ricordo si ricompattava nella parte che prima era stata spezzata. Laura ripeté le stesse parole, senza interrompersi per cercare il volto di Daddy – la mente non poneva assalto, ora.
«Vorrei che tu fossi il fratello maggiore che Wilfred non abbia mai avuto. Ha già perso un padre, il dolore della sua morte...» Laura sospirava, guardando suo figlio Wilfred. Parlava verso Adam, che sostava accanto.
«Avresti dovuto conoscerlo. Era... era... un uomo perfetto, un marito, un soldato. Sarebbe stato anche un padre perfetto. È morto in guerra, senza neanche sapere di Wilfred.» Tutto intorno volteggiava un nugolo di farfalle, opera d'incantesimo di Wilfred. Il suono giocoso di Giulia che rideva contenta, allora, contrastava il singulto nel petto di Laura. Nomi, volti, suoni, tutto si disperse come soffio di vento d'estate. Adam, lo sguardo basso, restava in silenzio: tra le sue mani si posò una farfalla e lui, senza che nessuno lo notasse, l'avvolse nel pugno fino a schiacciarla tristemente.
La bocca di Adam si punse di una smorfia, trattenuto da un singhiozzo disperato che facilmente poté scambiarsi come reazione alla verità ascoltata. In realtà, Adam sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, di spiegarsi. Conosceva il padre di Wilfred, conosceva il marito di Laura. Per Daddy, dopo i ricordi affrontati, diveniva una certezza. Seguì uno strappo, nel tessuto circostante – un colpo estremo, un rimbombo che martellava le pareti. Si propagava ovunque, un suono forte come il rimbombo di un temporale, finché divampò in un bagliore insistente – il prato avvizziva, lambito d'un tratto da lingue di fuoco. Il buio si rischiarò in un giorno senza fine, crivellato da lampi di luce. Il terreno tremava, trasformandosi in roccia e in cenere, mentre in alto si manifestava una volta notturna, di stelle offuscate da spirali di fumo e di polvere. Ovunque, allora, imperversava una battaglia – figure spettrali, una dopo l'altra, scivolarono nella memoria. Cozzarono tutti insieme tra loro, battendo la terra al passo d'infida marcia – volti spenti, inesatti, dettagli scoloriti dal tempo. Si distinguevano, tuttavia, cenni di abiti identici di forma e di colore, spille di bronzo come costellazioni distrutte. Formavano un reggimento di soldati, spuntavano ovunque. Fiamme vertiginose tentavano di bloccarne la via, sollevandosi come bocche voraci da uno e più punti. Esplodeva, il ricordo. Dilagava nel terrore, inseguendo presto l'impronta di Daddy. Le prime scintille, allora, gli soffiarono vicine – pur nel ricordo, erano vivide. L'incendio scottava la pelle, i soldati già si preparavano: le bacchette strette come armi nelle mani, tutte volte verso l'ignoto. Puntavano oltre le fiamme, come in attesa. I primi sortilegi s'abbatterono, come dardi d'argento, lungo la frontiera. E altri, altri, altri in successione – il grido di una voce conosciuta, infine, si innalzò sulla distruzione in atto.
Toobl, Toobl, Toobl. Era Laura, inconfondibile. Chiamava Wilfred?
Oppure Daddy? Chiamava suo marito? Forse, disperata, chiamava tutti loro.

Adam si gettò nelle fiamme. Bruciava, nel ricordo. Bruciava in eterno.
Il pericolo non ammetteva confine, Daddy avrebbe voluto ancora seguirlo?
Non era solo, non lo era mai stato.

«Distingui il reale.»
Wilfred Toobl, lontano, guidava suo nipote.

Oltrepassammo
il sole calante
Oltrepassammo campi di grano
che ci fissava
Nell'intervallo
– in Cerchio
dove i bambini
si battevano
Oltrepassammo
la scuola
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view post Posted on 29/9/2022, 08:22
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Caos.
Lampi di memoria, frecce di pensieri, singulti di ricordo e si trovò ad attraversare nuovamente lo spazio e il tempo.
Odori, sapori e visioni venivano saggiati sapientemente, come fosse un sommelier in grado di riconoscere e disprezzare ciò che al momento non serviva.
Toobl si trovava in un turbine di pensieri, un labirinto fatto di schemi e logiche non scritti da lui, ma nel quale sapeva riconoscere e muoversi.
Ci stava riuscendo.
Non voleva dirlo a voce troppo alta, non voleva ancora ammettere quella realtà, ma stava riuscendo nel suo intento; stava finalmente riuscendo a gestire al meglio quel potere che dieci anni prima era divenuto fonte di pensieri e paure.

Senza star a quantificare il tempo perso a muoversi nella mente di Wilfred che aveva lacerato la mente di Adam, osservò ciò che lo circondava con fare circospetto.
Sembrava che Adam avesse paura, il timore di fronteggiare qualcuno da cui stava provando a scappare.
Possibile che tenesse lontano il bis nonno? Possibile che lo temesse?
L’ odore di polvere da sparo accarezzava lentamente le sue narici, solleticandogli la fantasia.
In che epoca si trovavano? Erano nella seconda guerra magica o in un tempo ancor più remoto?
Il senso di terrore si percepiva nell’aria, il velluto della spietatezza si riusciva ad avvertire pur non avendolo sott’occhio.
La paura era del colore del sangue.
Cadde nel pieno di quell’epoca passata e quando successe si trovò in momenti già vissuti.
Era nuovamente al matrimonio di Wilfred e Giulia ma, questa volta, riusciva a vedere con chiarezza con chi avesse a che fare suo nonno, capiva di che pasta fosse fatto il parente acquisito.
Subdolo, cercava di convincere la sposa a non andare a nozze, aveva fino all’ultimo provato a non dichiarare la scomoda verità.
Come poteva un fratello annichilire la felicità della sorella in favore della menzogna? Come si poteva scappare dalla realtà piuttosto che affrontarla?
Capiva che era una questione complessa, ma il passato era passato; non si poteva condannare una persona che aveva agito con risolutezza in un contesto ben più complesso rispetto a quello che stava vivendo.
I ricordi si fecero diversi, la realtà si spostò dalle nozze alla giovane infatuazione dove Laura parlò ad Adam del marito.
Come poteva non dirle la verità? Come poteva celargli quanto sapeva?
Quella farfalla che lentamente veniva stritolata non era nient’altro che la metafora del suo essere, che preferiva venir imprigionato dalle finte parole piuttosto che volgere alla libertà. Si stava rovinando la vita da solo, senza pensare minimamente a perseguire la strada della redenzione.

- ORA BASTA-

Tuonò Daddy, mentre come tuoni cadevano quelle ombre attorno a lui.
Era stata la guerra a portare Adam a quella decisione? La guerra gli aveva tolto quel barlume di umanità o era stata una scelta voluta quella di far fuori il marito di Laura?
Daddy si era imposto di non giudicare un libro dalla copertina. Doveva avere la certezza di quanto era successo per giungere a conclusione, per dare la ragione ad una delle parti.
Ignorò la voce di Wilfred, ignorò l’eco del suo cognome per imporsi nuovamente, con fermezza.
Se era capace a muoversi tra i ricordi era altrettanto bravo a fermarsi e trovare quelli che gli servivano, la realtà che veniva offuscata da milioni di immagini e che non si voleva far trapelare.
La sua concentrazione venne incanalata in maniera costante in un solo pensiero quello di trovare Adam, quello di capire che rapporto aveva questo con il padre di Wilfred e soprattutto trovare il momento, l’atto in cui questa morte accadde, se questa fosse accidentale o dolosa.
Ci doveva essere un motivo per cui Adam aveva ucciso il padre di Wilfred, una logica in un gesto cosi efferato in un uomo mentalmente stabile.
I suoi occhi azzurri seguivano le linee del tempo, gli stralci del passato alla ricerca della giusta via, della strada che l’avrebbe condotto dove voleva andare.
Cercò di allentare il respiro, di districarsi dalla situazione che lo cercava di coinvolgere in prima persona.
In quegli attimi il suo essere avventato poteva portarlo a sbagliare e lui non poteva permetterselo, non poteva permettersi di far si che le sue emozioni inficiassero sulle sue capacità magiche.
La base per quello che poteva essere uno degli ultimi spostamenti era stata gettata. La razionalità, la concretezza nell’esecuzione dovevano far sì che non fallisse che quello che aveva fatto si riducesse in un clamoroso flop.
Con sguardo severo ora fissava le fiamme convintosi che queste si sarebbero aperte in favore di ciò che voleva, di quello che realmente ora voleva sapere.
Wilfred esigeva spiegazioni e così lui.


 
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