Petit monde, privata

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view post Posted on 8/11/2020, 15:07
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Lucien Cravenmoore
Beltà, il tuo sguardo, infernale e divino
versa, mischiandoli, beneficio e delitto
25 anni
mago
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Il clima si presentava mite quel giorno e i caldi raggi solari accarezzavano le pelli nivee degli albioni che passeggiavano quieti per le strade di Hogsmeade. Nonostante fossero illuminati in gran parte, Lucien non riusciva a scorgere negli edifici vittoriani dal sapore magico la stessa pennellata briosa che aveva visto in altri villaggi magici di quella fetta di mondo. Era stato un periodo particolarmente positivo per la sua crescita personale, aveva conosciuto persone appartenenti a culture e lingue diametralmente opposte e questo continuo scambio l'aveva indotto ad aprirsi ancor di più con il prossimo di quanto fosse stato naturalmente portato a fare. Si sentiva cresciuto, sebbene fosse ancora poco più che un giovane uomo pregno di sogni ed aspettative, con un cuore grande ma ancora poco modellato da poter conservare sentimenti troppo profondi. Ed era stato in questo turbinio di emozioni e cambiamenti -anche sul piano professionale- che il mago si era messo alla ricerca di scenari consolidati ed in qualche modo intimi, spogli dell'ignoto che in quel periodo stava avviluppando buona parte del suo mondo.
Finendo così ad Hogsmeade, scenario di innumerevoli episodi adolescenziali e non che lo avevano visto spettatore o protagonista e, più nello specifico, di fronte a BiblioMagic.
L'elegante edificio custodiva un sapere magico inestimabile e per un vorace divoratore di libri come Lucien, altro non rappresentava che un piccolo olimpo culturale. Le sue labbra, su cui aleggiava ancora un vago sapore di fumo, cioccolato e menta, si tesero in un sorriso disteso mentre faceva il suo ingresso nello storico negozio.
Fu investito dall'intenso profumo di pergamene che lo invogliarono come Veela a vagabondare alla ricerca di un personale diletto.
Deciso a dilettarsi in una lettura nella propria lingua madre (il francese) fece mentalmente una lista degli autori che avevano nutrito con maggior maestria la sua brama di conoscenza. Non essendoci nel negozio una sezione apposita per i libri in lingue che non fossero quella locale, Lucien principò la ricerca scandagliando i cognomi in ordine alfabetico sul dorso dei volumi, spostandosi nelle aree di suo interesse senza fretta alcuna.
Gli stivali calpestarono a lungo la pavimentazione, di pregio quanto l'edificio ospitante, finché non si inchiodarono alle spalle di una strega.
Dall'alto del suo 1.81m, l'ex figlio di Rowena colse la singolare copertina raffigurante un paio di piedi gialli che prendevano le sembianze di teiere su sfondo pervinca. Si trattava senza margine di errore di un testo che Lucien aveva letto ed apprezzato da ragazzo e che ora si trovava ghermito dalle dita affusolate di una papabile acquirente.
"Hélas, Je me suis Transfigurés Les Piedes" (trad: Ahimè, mi sono Trasfigurato i Piedi) tragedia francese del celeberrimo drammaturgo Malecrit. Se si trattasse dell'edizione in lingua originale o tradotta, era troppo lontano perché potesse asserirlo con certezza; decise dunque di scoprirlo per vie traverse.

«Mes pieds semblaient planer dans le ciel comme s'ils étaient suspendus à une corde invisible, pinçant la base dans un chatouillement timide.»
Tradotto "I miei piedi sembrarono librarsi nel cielo come appesi ad una corda invisibile, pizzicando la base in un timido solletico." citò a memoria un passaggio di quello che poteva considerarsi il cuore pulsante del libro.
Valutò la possibilità che la strega dai capelli così chiari da sembrare una Veela potesse tenere tra le mani proprio la versione originale che, da listino, avrebbe dovuto essere presente nel negozio.
Se avesse compreso ciò che aveva appena esposto in francese, dandolo a vedere in qualche modo, avrebbe aumentato le sue chance di aver indovinato quale delle versioni del tomo si fosse impossessata.
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Edited by Atonement. - 10/11/2020, 12:54
 
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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Ariel A. Vinstav
«Des tourbillons dorés de magie
ont attrapé mes jambes,
comme des sables dansant mes louanges»
23 anni
banshee
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«Vinstav, fuori da qua. Prenditi un giorno di pausa per la barba di Merlino, sembra che ti è corsa sopra una carica di Erumpent.»
Così uno dei suoi superiori si era gentilmente rivolto ad Ariel, non riuscendo a celare lecita preoccupazione nel ricevere la bozza rifinita di un articolo d'inchiesta.
Come ripetuto spesso di questi tempi, Ariel aveva cominciato a prendere troppo sul serio il suo lavoro: si era scoperta stacanovista, ma ancora in seria difficoltà con la lingua inglese; se fosse stata Madrelingua avrebbe indubbiamente portato in consegna molti più articoli di quanto le piacerebbe ammettere.
Eppure, nessuno se ne lamenta e nessuno sembrava spronare Ariel a fare di più – in realtà era molto probabile che la convinzione di non stare dando ancora il massimo delle sue potenzialità fosse un costrutto della sua mente, un modo molto subdolo del suo inconscio di spronarla sempre a di impegnarsi al massimo, dimentica di come a ventitré anni e poca esperienza nel settore non potesse ambire a Grandi titoli e uno stile raffinato senza fare prima della faticosa gavetta.

Il giorno dopo si era ritrovata ad Hogsmeade, incapace di rimanere troppo a lungo ferma dentro le mura di Bibury.
Aveva passato tanto di quel tempo al chiuso che il suo istinto d'esploratore la spronava a lasciarsi il cottage alle spalle e così in uno sbuffo di fiamme e metropolvere era finita ad Hogsmeade.
Dopo ore di bighellonare, però, aveva deciso di tornare al chiuso, scegliendo BiblioMagic come distrazione per la mente.
«Ho di nuovo fame.»
Borbottò fra le labbra, portando istintivamente il dorso della mano sinistra contro l'addome, accarezzando la felpa rosa pallido che indossava con gesti leggeri delle nocche.
I capelli biondi, schiariti da pozioni preconfezionate, erano lasciati andare lungo la schiena, liberi ad eccezione di alcune ciocche intrecciate ai lati del viso; a guardarla bene sarebbe stato possibile notare come la frangetta era stata tagliata da qualcuno (lei) di poco esperto perché irregolare nei bordi e risultando frastagliata qua e là, dove la forbice aveva spuntato troppo o troppo poco.
«Mh.» era intenta a rigirare fra le mani una copia di una nota tragedia di Malecrit "Hélas, Je me suis Transfigurés Les Piedes" che a vedere la sua espressione non sembrava entusiasmarla troppo: le labbra erano strette in una smorfia pensosa e la fronte aggrottata adombrava occhi grandi blu, carichi di perplessità.
Quando una voce maschile alle sue spalle recitò uno dei passi, si ritrovò ad aggiungere la parte dopo a mezza voce, borbottando in francese un
«Des tourbillons dorés de magie tournoyait autour de mes jambes, comme des sables dansant mes ordres.»
(Vortici dorati di magia volteggiarono attorno alle mie gambe, come sabbie danzanti ai miei ordini)
Aveva l'accento della Loira, diverso da quello di Lucien che in ogni caso suonava familiare, nostalgico.
Per un attimo confusa dall'aver sentito la propria lingua madre ebbe l'istinto di guardarsi attorno, incredula, prima di sollevare di scatto la testa verso il mago di fronte a lei.
«Oh!» Sfarfallò le ciglia chiare in un espressione sorpresa tanto espressiva da ricordare le caricature comiche dei fumetti per ragazzini, dove tutto è ostentato e surreale.
Sollevò la mano destra, allungando il libro verso Lucien come ad offrirglielo: la mano sinistra era occupata con un altro libro, quello che riportava chiaramente in copertina il titolo "Le Fiabe di Beda e il Bardo" un classico internazionale della letteratura magica; era un edizione inglese dalla copertina turchese e i fregi fra l'argento e l'antracite, niente speciale per il catalogo di una biblioteca magica inglese come quella.
«Cercavi questo? Lo stavo solo guardando!» Rimase con il braccio proteso verso il ragazzo e il libro di Malecrit all'altezza del petto altrui.

A guardarla bene Ariel sarebbe potuta apparire molto più giovane di quanto non fosse realmente, nonostante i tratti nordici potessero risultare ben più spigolosi di quelli britannici: l'unico indizio che rendeva chiaro come avesse almeno diciassette anni era il suo trovarsi ad Hogsmeade durante la settimana a quell'ora, invece che dentro le aule di Hogwarts; non aiutava la netta differenza d'altezza fra i due e il fatto che per guardarlo in volto Ariel dovesse tenere il naso lungo all'insù.

Non vestiva con abiti particolari, se non si prendeva in considerazione la palese influenza babbana nello stile: un'anonima felpa rosa chiaro cadeva morbida sul corpo sottile, coprendo parte di alcuni bermuda grigi in jeans che arrivavano a circondare parte delle ginocchia – la destra era segnata da un cerotto in garza attualmente intonso – e ai piedi portava il solito paio di stivaletti a stringhe neri. La tracolla di cuoio al fianco sinistro e il portabacchetta che affiorava da sotto le pieghe della felpa al destro erano invece discendenti di una moda più tradizionale.
Sottinteso era, ovviamente, come anche per un inglese andare a Novembre in pantaloncini fosse strano forte.
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Lucien Cravenmoore
Beltà, il tuo sguardo, infernale e divino
versa, mischiandoli, beneficio e delitto
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Finché la strega aveva tenuto torto il collo esile sulla copertina del libro, con la zazzera lucente ad oscurarne i tratti, Lucien aveva badato poco al suo aspetto fisico che, ad un'analisi più scrupolosa, avrebbe rivelato tratti singolari. A cominciare dalla frangetta approssimativa concludendosi su capi di vestiario tipicamente babbani e discordi con i dettami di quel periodo dell'anno. Gli anglosassoni avevano la nomea di girovagare in pieno inverno calzando infradito, ma per quella che era l'esperienza del mago, quella manifestazione di incuria del freddo era riconducibile più a paesi nordici come Norvegia e Svezia.
Prestò più attenzione alla prontezza paventata dalla sconosciuta nel rispondergli citando con accuratezza la parte successiva della citazione, in un francese insaporito dall'accento tipico del massiccio centrale.
Non gli era nuovo: tra i pellegrinaggi da bambino ed i viaggi nel corso degli anni aveva imparato a riconoscere una fetta delle inflessioni della sua terra natia.
Il venticinquenne brindò alla giovane con un sorriso disteso, facendo scattare la mancina stesa per bloccare silenziosamente il gesto femminile. Contestualmente, ripescò la lingua che conosceva con la stessa perizia del francese, notando che molti stralci di questa sfumavano nella parlata della strega, comunque corretta sul piano lessicale.
Azzardò che non doveva trovarsi in Gran Bretagna dallo stesso tempo in cui vi stava lui, o forse aveva avuto più difficoltà a sbrogliare le due lingue facendole proprie alla stregua di un madrelingua.

«No, tranquilla. Non ero alla ricerca di un titolo in particolare, ma avevo piacere di leggere qualcosa nella mia lingua madre.» le spiegò scuotendo il capo con tono secco e definitivo.
Si rese conto di quanto troneggiasse sulla bassa statura della sconosciuta, se rapportata alla propria altezza, ma era un dettaglio che di rado restava appigliato nella sua mente, che continuava a elaborare pensieri con la rapidità di un boccino.

Continuò a studiarne la fisionomia -risultando forse un poco sfrontati- scandagliando ogni dettaglio che potesse zittire quella vocina nella sua testa che gli sussurrava di aver già avuto un contatto con quella strega.
Dove. Come. Quando. Perché.
Si soffermò sulle iridi color ghiaccio, sull'incarnato opalino ed i capelli chiari come il sale e, da acuto osservatore, non aveva mancato di notare glifi e segni runici disegnati sul dorso della mano che si era protesa per offrirgli il libro.
Immagini del proprio passato gli silurarono le sinapsi con foga ed una dopo l'altra diedero forma ad un piccolo puzzle mentale che fece tendere ancor di più le estremità delle labbra carnose.

«Certo, Malecrit è artefice di opere bizzarre e spesso incomprese di mio grande interesse...»
Il mantello color fumo, chiuso alla gola da alamari d’argento, cadeva in pieghe morbide dalle spalle dispiegandosi attorno alla sua lunga silhouette. «..perciò non dovrebbe sorprendermi vederlo tra le tue mani, Ariel
Marcò il nome di battesimo, cosciente dell'azzardo ma altresì curioso di scoprire se fosse in errore o meno in un ennesimo gioco con sé stesso. Alla peggio gli sarebbe valsa una figuraccia, di cui beninteso non si sarebbe curato, e si sarebbe scusato per l'errore.
Eppure più i secondi scorrevano, maggiori dettagli fisiologici carpiva, più credeva di star fissando la versione adulta di quella bambina che, da piccolo, era divenuta l'amica d'infanzia più preziosa. Per la sua spregiudicatezza, la sua originalità, il dinamismo, la sfacciata curiosità verso gli altri, la passione per la natura e la gentilezza con la quale, a suo tempo, aveva condiviso con un Lucien bambino le migliori cavalcate a piedi su una scopa spelacchiata finendo, talvolta, a centrare in pieno tronchi d'abeti larghi quanto loro.
Conosciuta quando il mondo gli appariva tanto enorme e lui si sentiva, sebbene fosse già più alto della media, così piccolo, in un giorno di primavera durante un viaggio a nord della Loira alla ricerca di ingredienti per le pozioni paterne.
La curiosità, fedele compagna di vita, aveva indotto Lucien a raggiungere la dimora dei Vinstav ed interagire per la prima volta con quella bambina che stava giocando nel giardino di casa, incurante di qualsiasi cosa che non fosse, in apparenza, il suo piccolo mondo perfetto.
Un'amicizia puerile e sincer, destinata a scemare come le stagioni che, anno dopo anno, si susseguivano abbracciando i reciproci mutamenti fisici e caratteriali, ormai separati in terre diverse e costretti a tenere intrecciato quel sentimento attraverso le fitte pergamene di una corrispondenza che un giorno, come un albero sopraggiunto un rigido inverno, aveva visto cadere la sua ultima foglia sbiadita e accartocciata.
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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Ariel A. Vinstav
«Des tourbillons dorés de magie
ont attrapé mes jambes,
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Lo sguardo oscillò lentamente fra la copia intonsa nella sua mano e il volto di Lucien. Palesemente indecisa sul da farsi, riuscì a far tornare nello scaffale "Hélas, Je me suis Transfigurés Les Piedes" solo una decina di secondi dopo, riportandola di fianco ad una copia rigida di "Le Chevalier Dragon d'Alsace" (Il Cavaliere Drago dell'Alsazia) su cui non potè evitare di far soffermare la sua attenzione: la copia era in lingua inglese e la sua edizione diversa da quella che da piccola le venne regalata da suo nonno, ma il titolo finì col catturare il suo sguardo, trasmettendole immediatamente i ricordi d'infanzia nella Loira.
Era un titolo in voga fra i suoi coetanei quando non era nemmeno adolescente – e causa di non poche delle sue cadute di scopa (nella sua testa, il drago del romanzo) nell'inscenarne le scene più appassionanti del romanzo.
«Lo conosce?»
Le dita della mano sinistra andarono percorrendo il dorso rame del libro, sfiorando i nervi dorati in rilievo, fino a risalire le caselle scure decorate dal disegno d'oro della coda squamata di Custos, il Drago co-protagonista del libro.
Era un romanzo epico per ragazzi, incentrato sulle avventure di Roche e Custos; mago scapestrato e irruento il primo, drago solitario e pieno di senso di giustizia il secondo.
«Da piccola sostenevo di essere Custos, ma mia madre non era troppo entusiasta.»
Andava sottolineato, però, come nella memoria di molti fosse difficile descrivere Ragna come una persona capace di entusiasmo, composta e distaccata com'era: madre e figlia sembravano essere in contrasto fin da sempre nel carattere, finendo col venire accumunate solo da una distinta somiglianza fisica.
«Non vedevo questo libro da ...»
Le parole le morirono in gola. Aggrottò la fronte, disegnando un cipiglio espressivo carico di confusione, perplessità, la stessa che nel guardare Lucien in volto si manifestò con un «...ci conosciamo? Mi conosci?»
Il collegamento per lei non era immediato, anzi: non solo il loro ultimo contatto era durante gli anni dell'Accademia, tramite lettera – quando Lucien era già un giovane Corvonero –, ma Ariel era abituata fin da piccola a non riuscire a mantenere i contatti col prossimo.
Bauxbatons stessa era diventata negli anni la testimonianza della sua incapacità nel legare a lungo termine con le persone: se non erano gli altri ad allontanarsi nel trovarsi a disagio davanti alle sue stranezze e spigliatezza, erano gli altri a spronarla ad allontanarsi nel farla sentire fuori luogo; Lucien, a modo suo, era un numero in una lunga serie di fallimenti che dimostravano la sua incompatibilità con il prossimo, specialmente quando testata dalla distanza.
Non era tanto "chi fosse" la domanda che le ronzava nella testa, quanto il "te ne sei andato tu o me ne sono andata io?"
Un pensiero che inconsapevolmente espresse a voce. «Chi ha rotto i contatti prima di noi due?» Nemmeno suonava offesa o triste, quanto genuinamente curiosa.
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Lucien Cravenmoore
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Al suo cenno di diniego, il capolavoro di Malecrit ritrovò collocazione di fianco ad altri testi magici sostituito, per apparente interesse, dalla versione inglese di "Le Chevalier Dragon d'Alsace". Un libro che a suo tempo aveva riscosso maggior favore di lettori giovani ed appassionati ma che, per quanto lo riguardava, non aveva mai trovato posto nella libreria di famiglia nè nel comodino della sua camera a Hogwarts. Accolse dunque la domanda femminea scuotendo la zazzera scompigliata, gesto a cui fecero seguito le parole.
«Solo di fama, ma non ho mai avuto occasione di leggerlo.»
Salvo rare eccezioni, come l'opera di Malecrit, generalmente Lucien disegnava letture famose, sulla bocca di tutti e che ci si doveva sentire moralmente obbligati a leggere per stare al passo con le mode correnti. Un peccato visto che, se quelle letture erano divenute famose, un motivo doveva esserci.
«Lettura consigliata?» aggiunse, lasciando intendere tra le righe se la strega lo reputasse tale per proprio implicito apprezzamento, non una fetta di mondo che lo aveva impreziosito del proprio favore. Aveva riscontrato talvolta che le cose di massa potevano essere effettivamente pregevoli, ma non sempre incontravano il suo di apprezzamento. Tornando al tomo in questione, egli ne conosceva sommariamente la trama, ma quando la sconosciuta menzionò il nome di uno dei due protagonisti, non gli riuscì di collocarlo ad un contesto specifico.
Se le cose non fossero state così e Lucien l'avesse riconosciuta prima, senz'altro le avrebbe confidato che la rivedeva di più nel personaggio di Roche. Rimase muto, vigile a raccogliere sprazzi di memoria.
Quando, dopo che l'ebbe chiamata per nome, fu chiaro che era riuscito a ritrovare nel proprio passato una collocazione precisa per quella strega bizzarra, egli si affrettò a metterla al corrente.
«Ti conoscevo da bambina, in versione mini erumpent esplosivo. Eravamo soliti condividere una scopa e usarla per scoprire, a piedi, le meraviglie del bosco dietro casa. Ora noto che il tuo aspetto è ovviamente mutato e mi domando cosa sia rimasto caratterialmente di quel piccolo uragano vivente.»
Con leggerezza le lanciò qualche indizio su quelli che erano stati dei lontani trascorsi condivisi. Nel corso degli anni Lucien aveva spesso ripensato ad Ariel, trovandosi sul punto di afferrare piuma e pergamena e riprendere a scriverle. Poi si lasciava corrompere da pensieri come *Non riceverà mai la mia missiva, all'indirizzo dei suoi* o *Lo faccio domani* e alla fine le scuse e gli impegni adolescenziali avevano prevalso sulle buone intenzioni.
Si mosse appena al fine di non ostruire il passaggio di clienti in quella zona di BiblioMagic, ponendo meno distanza dalla vecchia compagna di giochi lieto, alla sua domanda, di essere riuscito a ravvivarle ricordi lontani. O forse non era così?
Sospinto dalla convinzione di essere stato riconosciuto, non si domandò se potesse essere in errore, concentrandosi piuttosto sul suo quesito.

«Mmh, non ne sono certo ma è facile che sia stato io.»
Nell'eventualità che fosse stato davvero lui a spezzare la catena di missive, non era certo che se ne fosse pentito nel corso degli anni. Per il semplice fatto che allora si lasciava trascinare dagli eventi perdendo la consapevolezza di cosa fosse realmente importante, ponendo assai meno giudizio nelle scelte e riflettendo poco sia su questioni importanti che su altre più futili.
«Eravamo bambini sedotti da mondi illusori, a cui piaceva sognare e trascrivere, in quelle lettere, le nostre fantasie più che i nostri reali vissuti. Lontani, con strade diverse da percorrere, persone diverse da conoscere, metodi differenti per occupare il tempo, alla fine è normale che la corrispondenza si sia interrotta.»
Più che scuse verso qualcosa di cui non era certo di essere stato il promotore, suonava come una sincera constatazione. Però sarebbe stato bello se per tutti quegli anni quelle lettere avessero continuato a rincorrersi: a Hogwarts, a Beauxbatons, in Francia, in Scozia.
«Ti trovo in forma, dove vivi adesso? Cosa fai nella vita?»
Una fetta di passato condiviso già la conoscevano e Lucien interessava più il presente di ciò che era accaduto ad Ariel nel tempo intercorso tra l'ultima lettera e quell'incontro fortuito.
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view post Posted on 25/11/2020, 18:57
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Ariel A. Vinstav
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Dire fosse sbigottita era un eufemismo.
Per una volta Ariel era rimasta senza parole, ma non per questo incapace di pensare.
Ad essere sinceri il motivo della sua stasi era forse dovuto più all'ingombrante corrente di immagini, suoni e parole che le avevano improvvisamente investito il cervello che l'effettiva incapacità di decidere e capire cosa fare e dire.
Lucien d'un tratto era tornato ai suoi occhi il bambino di un tempo, il brillante compagno di giochi che più volte aveva trascinato nel pericolo: si ricordava senza sforzo come una volta entrambi fossero "capicollati" da una scopa volante giocattolo durante un placido pomeriggio estivo, innescando il panico in Einar (suo padre) quando dovette ripescarla da dentro una botte con terriccio fresco pieno zeppo di bubotuberi; fu un miracolo se nessuno dei lumaconi entrò in contatto con la sua pelle o ne sarebbe uscita fuori con non pochi problemi.
«Potrei chiederti lo stesso: l'ultima volta che parlammo eri ... molto distratto da Hogwarts, no?»
Le sarebbe piaciuto non suonare amareggiata, eppure le emozioni con Ariel sapevano prendere il sopravvento con grande facilità, tranne quelle volte in cui per professionalità riusciva a tenere a freno la lingua.
Aggrottò la fronte, arricciando le labbra in un broncio infantile. Gonfiò le guance, accompagnando nel gesto il naso lungo.
«Non... non ce l'ho ancora, ecco. Non sono mica una bambina
Venne ora la volta delle braccia: le portò conserte contro il petto, stringendole quanto le bastasse per trasmettere a se stessa un labile senso di protezione e conforto.
«So che sono cose normali: ci si allontana e le amicizie si perdono facilmente quando si cresce.» Voleva essere razionale, ma linguaggio verbale e del corpo sembravano stare dicendo in contemporanea due cose totalmente opposto.
«Insomma, non sei di certo il primo a farlo.»
Ah, eccola. Eccola l'amara verità. Lo sibilò, forse per non farsi sentire dei clienti di passaggio (erano comunque in libreria, disturbare gli altri clienti non era proprio il caso), forse perché sperava che Lucien non la sentisse per magia.
Sospirò, poi, scuotendo leggermente il capo. Le braccia rimasero strette attorno al petto, bardato ora dalle maniche larghe della felpa.
"Non ho più quindici anni: ci vuole distacco. Ci vuole distacco."
Nemmeno si rese conto di non aver commentato più il libro "Le Chevalier Dragon d'Alsace", donando a questo giusto un'occhiata e annuendo leggermente col capo per confermare che sì, era une buona lettura – per quanto buono possa essere un libro per 10-14 anni letto da chi ne ha 25.
"Ok. Ok. Rispondi: non c'è scritto da nessuna parte che questa non possa essere una bella conversazione. E a me piace parlare, no? Su. Dii qualcosa. Qualunque cosa."
«Sto cercando di insegnare al mio serpente a fare gli addominali.»
Nella sua testa quella era d'impulso la risposta migliore per "Ti trovo in forma". Grandioso.
«Uhm. Bibury, è a Sud.» Nel Cotswold che decisamente non era vicino ad Hogsmeade sulla Cartina. Che si incontrassero al Villaggio, insomma, era una possibilità su cento. «Scusa, non volevo ... non mi aspettavo di vederti più, ecco. Sono ancora ... cioè sono un po' emotiva, ancora, ma non come prima, eh! Cioè sono molto molto più...» Si morse il labbro inferiore, fermando il fiume di parole e scuse che era abituata a dover sempre tirar fuori per dissimulare il modo atipico con cui ragionava e si esprimeva – seppur in questo caso non era tenuta a prendersela nonostante il tempo passato? Non era legittimo reagire così?
«Non chiedere sempre scusa.»
La voce di Jolene le tornò alla mente vivida con la sua dolcezza, accompagnata dallo sguardo critico dell'Infermiera.
«...più grande da sapere che è normale si perdano i contatti.» Si ridimensionò immediatamente, facendosi forza con il sostegno di qualcuno che non era nemmeno lì con loro.
Raddrizzò la schiena e lentamente portò la stretta delle braccia ad allentarsi, fino a sciogliersi.
«Sono una Fotogiornalista per la Gazzetta del Profeta. Tu, Luce
Si pentì subito dopo di aver parlato: le era scappato con naturalezza il nomignolo con cui era solita chiamarlo. Sussultò.
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Lucien Cravenmoore
Beltà, il tuo sguardo, infernale e divino
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Nel corso della vita Lucien aveva conosciuto le persone più disparate, ma in poche erano riuscite a destabilizzarlo come stava facendo Ariel tra le mura di BiblioMagic. Di indole sicura e a peopio agio in differenti contesti ed individui, rimase attonito di fronte alla fragile insicurezza mostrata da Ariel. Così genuina e sincera, non avrebbe potuto crederla un inganno; era palpabile.
Ma non si rivelò subito, tant'è che rispose alla sua prima domanda senza cogliere null'altro che un sottile avvilimento, forse perché da piccola l'aveva rattristata apprendere di doversi separare dall'amichetto perché questi si sarebbe trasferito in un altro Paese e frequentato un'altra scuola di magia e, con poco tatto, probabilmente gliene aveva decantato i pregi fino alla nausea. Che poi qualcosa doveva pure essersi immaginato, visto che suo padre gliene aveva parlato molto poco. Fu più concentrato a convincere la consorte babbana che quella fosse la scelta giusta per la loro famiglia, senza preoccuparsi troppo del terzo, vulnerabile elemento che la componeva.

«L'eccitazione verso un cambiamento a detta di mio padre positivo doveva essere stucchevole, eh? Mi spiace, sicuramente non devo aver avuto molto tatto ma anche se non si fosse percepito molto allora, l'idea di separarmi dalle mie radici e dalla mia amica di scopa mi divise tra tristezza ed impazienza.»
Era stato davvero dilaniato da due emozioni contrastanti e molto forti ed in principio il bambino aveva davvero creduto possibile restarle amico fino a quando sarebbe diventato grande. Suo padre gli aveva parlato di metodi magici assai rapidi per spostarsi e fare ritorno in Francia, ma alla fine i viaggi si erano drasticamente ridotti rispetto ai propositi iniziali, a causa del tempo in cui era obbligato a vivere tra le mura del castello. E niente era coinciso al punto da farli ritrovare; almeno fino a quel giorno.
«Che non sia stato il primo e magari nemmeno l'ultimo, non mi giustifica.» asserì in tono serio. Erano lemmi forti quelli enunciati dalla strega, se già da bambina lui non era stato il primo ad allontanarsi da lei. Percepì il non detto e sebbene non fosse in grado di sondarle la mente, Lucien credette che ci fosse molto di più dietro quelle parole. Accadimenti che dovevano averla ferita, alcuni più di altri, e resa così...insicura. Era quella la principale sensazione che le trasmisero, oltre che le parole, anche i gesti di Ariel atti ad auto-proteggerla dal rischio di venire nuovamente ferita o delusa dal prossimo. Da lui.
Le successive parole della francese si miscelarono senza un apparente senso logico, ad iniziare dalla confidenza riguardo al suo serpente. Un'affermazione quantomeno strana, curiosa e che sotto sotto accresceva la sensazione data dai tratti infantili di avere a che fare con una versione adulta eppure in un certo senso ancora bambina dell'amica d'infanzia. Perché una più maliziosa avrebbe potuto leggere del comico in quell'asserzione, invece il candore che adornava la voce di Ariel l'aveva vestita unicamente dell'eccentricità del cercare di insegnare una cosa simile ad un serpente. Un piccolo rantolo fuoriuscì dalle labbra del mago, succeduto da un prolungato sospiro.

«Non c'è niente di cui ti debba scusare. Mi spiace che le cose siano andate così, ma sono altresì felice di rivederti oggi.» Era sincero, lo avrebbe potuto capire chiunque. Sebbene il comportamento adottato da Ariel fosse riuscito a destabilizzarlo, vi era una componente di piacere data dall'altrui presenza. Forse data dai ricordi che la sua sola figura avevano smosso o anche dalla sua eccentricità.
Parve scossa da qualcosa di invisibile e per un attimo sembrò trovare sicurezza e stabilità, salvo poi sfuggirle un istante dopo. Luce, lux, ovvero il significato stesso del suo nome; un nomignolo che solo dalle labbra di Ariel Vinstav era stato proferito. Spalancò le iridi per una frazione di secondo. Un'altra scossa interiore.

«Caspita, complimenti! Una professione creativa che mette a contatto con diverse realtà del mondo magico e babbano.» riflettè, sorridendo e poggiando la spalla contro un espositore in quercia. «Lavoro come Pozionista indipendente da diversi anni, ma sono in procinto di provare a fare ritorno a Hogwarts in veste di guardiacaccia.» Di nuovo Hogwarts, si. «Non sono mai stato a Bibury, ma posso presumere si viva bene.» fece una pausa, immaginandosi Ariel immersa nel panorama verdeggiante tipico della contea inglese con gli occhi chiusi, i sensi acuiti, le braccia tese per lasciarle solleticare dalla brezza invernale. «Ascolta: finora non ho trovato nulla da acquistare. A casa ho alcuni libri mai aperti, se avessi trovato qualcosa di particolare in francese lo avrei aggiunto alla lista, ma siccome non è stato così, se stai cercando un testo specifico posso aiutarti nella ricerca.» Un modo come un altro per farle intendere che non desiderava privarsi troppo presto della sua compagnia. Sempre che il desio fosse reciproco.
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Ariel A. Vinstav
«Des tourbillons dorés de magie
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Le dita fremettero contro la costa di uno dei libri su cui aveva rifugiato lo sguardo.
"La Principessa che divenne un Troll" di Andromeda Flanders sostava sotto il suo indice e medio, scostato leggermente dal suo scaffale nel momento in cui le parole di Lucien la colsero in contropiede.
«(...) ma anche se non si fosse percepito molto allora, l'idea di separarmi dalle mie radici e dalla mia amica di scopa mi divise tra tristezza ed impazienza.»
Le labbra si schiusero per lasciar spazio ad un sospiro leggero «...» dopo il quale non poté evitare di scuotere leggermente il capo, quasi come se nella sua mancanza di parole volesse riuscire a scostare via quella brutta sensazione che ora le si arrampicava sul petto.
Il senso d'abbandono era diventato facilmente seme di una serpe più rognosa: empatizzare per chi sarebbe stato molto più facile gestire dietro i filtri della rabbia.
«Ma che io sbotti dopo anni contro qualcuno per una partenza che non avrebbe mai potuto fare è un po' ipocrita, no?» Mormorava, non tanto per rispetto del luogo in cui si trovavano, ma per necessità di mantenere contenute le sue reazioni.
Sentiva il cuore stringersi, accompagnato da immagini fittizie di un Lucien giovane, piccolo, lontano da ciò che aveva imparato a conoscere a malapena.
«Ma no, non ti giustifica.» Sospirò, ora più rumorosamente, prima di voltare il capo nuovamente dal libro al giovane mago.
Le labbra vennero torte, piegate in una smorfia leggera che voleva ricordare un sorriso: sembrava forzato e tremava nell'indecisione di come renderlo. Si arrese due secondi dopo, scuotendo il capo di nuovo, sconsolata.
«Non giustifica nessuno. Ma io d'altra parte non posso sapere cosa tutti pensano e cosa tutti sentano: posso intuirlo, ma non è detto possa sempre avere ragione.» La voce prendeva gradualmente nuovo spessore, sicurezza.
"Parlo più per me che per lui." Si disse, non potendo trattenere un'amata risata per se stessa che solo i suoi pensieri avrebbero udito.
Che l'espressione del ragazzo cambiò a quel soprannome non le sfuggì. D'istinto ritrasse la mano dal libro vicino, quasi come se avesse appena preso la scossa.
«Oh. Uhm. Ti ringrazio. Sono sempre stata ossessionata dal capire, lo sai.» Sollevò leggermente le spalle. «La cosa è andata solo peggiorando con l'avanzare degli anni, immagino.» Faceva autoironia probabilmente per cercare di alleggerire la leggera tensione che lei stessa aveva posto fra di loro.
Arretrò leggermente d'un passo, abbassandosi per grattare distrattamente la zona del ginocchio destro attorno cui era stato applicato un cerotto.
«Ricordi quando ti scrissi della mia Professoressa di Storia al quarto anno? Quel discorso sullo scrivere per la scuola e gli studenti per sfogare tutti i pensieri che avevo?» Le domande erano retoriche anche perché non teneva a controllare se Lucien ricordasse davvero cosa aveva scritto lui nelle ultime lettere
"Le ha mai lette, poi?"
«Ecco, è partito tutto da lì. Una cosa tira l'altra e sono finita anche con la macchina fotografica fra le mani.» Che fosse un tipo meno da bacchetta alla mano e più da mani nell'inchiostro e la terra, del resto, non era una novità: specialmente per chi come Luce si era abituato a conoscerla da piccola quando sapeva davvero essere un piccolo spirito caotico spericolato.
«Oh. Hogwarts.» Suonava comico il nome della Scuola di Magia con quel marcato accento francese a sporcarne la voce. «L'ho potuta vedere per lavoro qualche volta. E' ... piccola, Luce. E' veramente piccola.» Perché Beauxbatons, ovviamente, era più grande e quindi le sue aspettative del celebre castello scozzese erano finite infrante il giorno del Barnaby davanti all'evidente differenza nell'area coperta dalle due Scuole.
«Se ti assumeranno dove dovrai dormire? Nella voliera magica come voi Corvonero?»
Era uno sfotto. Il che poteva solo che essere una cosa positiva, visto che nel dirlo trattenne a malapena una risata: stava cercando di alleggerire la conversazione.
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view post Posted on 13/12/2020, 14:36
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Lucien Cravenmoore
Beltà, il tuo sguardo, infernale e divino
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Lucien non si era aspettato nè la reazione paventata da Ariel, nè quella che poi effettivamente aveva mostrato. Ciononostante i suoi modi erano la risultante del tempo che erano stati divisi poiché ben poco vi ritrovava rispetto alle proprie memorie. Com'era giusto che fosse, ogni accadimento del processo di crescita ed evoluzione di un individuo lo portava sempre più a distaccarsi da ciò che era da bambino, anche se alcuni lievi tratti spiccavano ancora nella vecchia compagna di giochi.
Avido, il mago avrebbe desiderato conoscere tutto ciò che l'aveva resa una strega che, senza dubbio, non passava inosservata nella massa, vuoi per l'esteriorità vuoi per i modi eccentrici; ma era anche il tipo di persona che amava farsi gli affari propri e che dunque non forzava l'altro ad esporglieli, ed allo stesso modo amava la propria privacy.
Aveva ragione, non lo giustificava e dunque non era nella posizione di richiederlo. L'idea stessa di una giustificazione nasceva da quell'incontro, senza il quale il pensiero non lo avrebbe sfiorato, dopotutto. Fu attratto da una parte delle parole di Ariel "posso intuirlo". Ricordò che già a suo tempo ella sembrava sondargli la mente o comunque capirlo in maniera assai accurata. Da come parlava, sembrava che tale caratteristica fosse rimasta scavata dentro di lei e, chissà, magari si era anche acuita.

«Sebbebene credo possa rivelarsi scomoda in alcune situazioni, la trovo una caratteristica pregevole il voler capire le cose, scavarle nel profondo, ghermendone ogni sfaccettatura.» Naturalmente nei riguardi di alcune persone, e lui per primo, sentirsi scavare a fondo non era propriamente piacevole. Quella peculiarità di Ariel di capire senza che le venisse detto, non sempre poteva portarle riscontri positivi. Si domandò se in qualche modo potesse c'entrare con la confessione che gli aveva fatto riguardo al non essere stato l'unico ad abbandonarla. Tuttavia decise di non indagare.
Si scansò quel tanto che bastava a far passare un mago di passaggio sentendosi di troppo in quel punto del negozio e facendo così segno ad Ariel di spostarsi in un angolo dove avrebbero dato meno fastidio ai presenti.
Alla domanda della strega un barlume di incertezza lo scosse, e non mancò di farsi notare.
«Mhh...no, temo di no.» disse con velato impaccio. Troppi anni e troppe cose si erano susseguite da quelle missive. Per quanto allora le avesse lette con attenzione, non poteva dire di ricordarne ogni punto. Erano state tante ed una più fitta dell'altra, contrariamente alle sue nelle quali traspariva una predilezione al contatto visivo, fisico e verbale alla scrittura. «Mi farebbe piacere vedere qualche tuo scatto. Che poi, sicuramente devo averli visti essendo abbonato alla Gazzetta, ma mannaggia a me non vado mai a leggere i nomi degli autori degli articoli o delle fotografie. Per lavorare per una testata così di spicco devi essere molto portata.»
Ma con la rapidità con cui passavano da un argomento all'altro, quasi quanto quella che aveva caratterizzato i loro giochi puerili, il discorso virò su Hogwarts. Era la prima strega con cui parlava a rivelare un apparente disinteresse nei confronti della nota scuola di magia e stregoneria e questo lo incuriosì.
«Caspita, sei la prima persona che conosco a reputarla piccola. Ricordo che la prima volta che vi misi piede, alto la metà di ora, mi sembrò immensa. Ma è anche vero che di Beauxbatons conosco solo le storie narrate da mio padre e non ci sono mai stato di persona. Ti credo sulla parola, se facendo un paragone tra le due, quella che hai frequentato ti risulta essere molto più grande.» Si grattò il capo, spostando lo sguardo per un attimo in un punto impreciso del soffitto riccamente dipinto. L’Accademia di Beauxbatons era ospitata anch'essa da un castello sulle montagne, evidentemente doveva essere molto ampio se ad Ariel Hogwarts aveva fatto quell'effetto. A parte suo padre non conosceva molte altre persone che l'avevano frequentata e che potevano offrirgli un secondo parere sulle sue dimensioni. «Tsk.» le labbra carnose si tesero in sorriso schermo. «No, sono finiti i tempi in cui gracchiavo stretto assieme ai miei simili, niente più camere condivise. Quando la frequentavo, il Guardiacaccia di allora viveva da solo in una capanna fuori dal castello, aveva la propria privacy ed uno spazio rustico a pochi metri dalla foresta. Conto e spero di potermi sistemare lì, anche se ciò mi porterebbe ad isolarmi non poco.» e quella era una condizione che un po' lo preoccupava. Ariel, perspicace com'era, di certo lo avrebbe intuito.
«La Gazzetta ha in programma qualcosa di particolare per il periodo Natalizio? Qualche articolo o intervista a tema, un'impaginazione rossa e bianca, non so..?» Non era male l'idea di poter scoprire qualche aneddoto e curiosità della testata giornalistica magica che prediligeva.
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view post Posted on 16/12/2020, 19:16
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Ariel A. Vinstav
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«Scomoda, forse, ma ogni volta che qualcosa va storto devo reinventarmi: è una sfida interessante; anche perché devo reinventarmi davvero spesso.»
Alcune immagini le passarono rapidamente per la mente, a partire da Octavian Smith – il suo supervisore diretto – che le chiede perché una bozza per un articolo di cronaca è composta per l'80% di commenti sui buffi baffi dell'intervistato o al Ballo di Fine anno d'Hogwarts dove per farsi gli affari degli altri, era finita col rovinare la serata ad una studentessa del Grifondoro e la sua amica Jolene.
«Una volta ho comprato delle informazioni con delle api frizzole, sai?»
O quello, sì. Reinventarsi era qualcosa che in un solo anno alla Gazzetta del Profeta aveva preso un sapore e un significato totalmente diverso.
Si scansò anche lei, portandosi lungo il fianco di uno dei corridoi della Libreria. Si voltò, adocchiando qualcuno dei clienti che di lì a poco sarebbe passato vicino a loro.
«Usciamo?»
Lo propose istintivamente, indicando con la mancina la porta del locale. Il libro prima adocchiato venne squadrato un ultima volta, prima di scuotere lentamente il capo in segno di diniego.
"Nah, non è la giornata per vecchi libri dell'infanzia.
Ne ho già uno davanti che basta e avanza."
«Ho delle foto con me, in realtà. Niente di particolare, sono scarti o cose che non ho mai voluto togliere dalla borsa.»
Istintivamente portò le mani attorno alla tracolla della borsa, accompagnandola lentamente verso il basso nell'allentare la presa del cuoio contro l'incavo del collo e la clavicola. «Mmh. Penso di essere più brava ad entrare nelle persone di quanto ci si aspetta. Questo non mi rende necessariamente il migliore dei giornalista: per ora penso solo di avere molto potenziale.»
Il fatto che esprimesse una considerazione simile con tanta nonchalance, mantenendo un tono leggero, sarebbe potuto sembrare strano, se non direttamente sorprendente.
Questo era uno dei tanti segnali di un cambiamento netto fra la lei dell'infanzia con Lucien e quella che ora si mostrava a lui nei borghi scozzesi, dieci anni più tardi.
Non c'era l'umiltà timida della lei bambina a schermarla: era lì per fare ciò che l'avrebbe fatta sentire felice, perché sapeva di meritarselo e di essere in grado.
«E' che voi avete solo Inglesi, Scozzesi e Irlandesi. Quanto sono due? Tre paesi? L'Academie non accoglie solo i francesi. Hanno dovuto allargare il palazzo lungo i Pirenei per accoglierci tutti. Quindi sì, Hogwarts è piccola, Luce.»
La bocca si era tesa in un sorriso trattenuto a fior di labbra, di chi stava facendo un pessimo lavoro a nascondere la nota divertita nelle sue parole; stava calcando sullo sfottò su Hogwarts anche un po' troppo, solo per stuzzicare lucien: quella sì che era una cosa che normalmente non faceva mai; era facile che se qualcuno ci rimanesse male per frasi del genere quando erano piccoli, lei reagisse scoppiando a piangere per empatia estremizzata.
«La propria privacy, eh?» A proposito di prendere in giro qualcuno, ecco che prendeva e rigirava le parole di Lucien, mostrando un sorrisone ruffiano a trentadue denti.
«Con quello che ho visto ad Hogwarts mi aspetto più esplosioni magiche nel tuo orto che una placida e riservata vita nella natura.»
Sollevò le mani di scatto, palmi rivolti verso Lucien, quasi come a volersi mettere sulla difensiva.
«E giuro che non è colpa mia se ho un'idea così negativa della tua scuola è che da me studiavamo magia, da voi sembra un Campo Avventura fra viaggi nel tempo, mangiamorte, sparizioni nella foresta e Centauri che —» Le parole le morirono in gola, mentre di scatto avrebbe cercato di allungare il braccio sinistro verso Lucien, per afferrarne un lembo delle vesti e con uno strattone cercare di avvicinarlo a sé.
«Aspetta. Guardiacaccia? Lo sai che l'ultimo che c'era si è svegliato con un sacco di frecce sulla porta di casa? Ma sei sicuro? E se poi ti succede qualcosa che dicono a tua madre? "Ci scusi, un Centauro ha calpestato accidentalmente suo figlio". Già era nel panico quando cadevi nei vermicoli di mio padre.»
Eccolo l'ennesimo cambio di stato emotivo: dallo sfottò alla preoccupazione; nemmeno il tempo di parlare con Lucien e sembrava già rinvangare i loro ricordi di infanzia come se non si fossero mai allontanati l'uno dall'altra.
«Ah! Natale?» La domanda la colse un po' in contropiede: reagì scuotendo leggermente la mano destra, mentre – qualora fosse riuscita ad afferrare Lucien per la veste – l'altra mano allentava la presa sul ragazzo, ritornando velocemente nella tasca dei pantaloncini. «Sto lavorando ad alcune inchieste e non ho molto tempo per dedicarmi ad altri pezzi, ma sono sicura verrà toccati da tanti putni l'argomento. Non penso nemmeno sarò in paese per Natale, in realtà. Dovrei tornare in Islanda.»
Che la sua famiglia fosse islandese, Lucien poteva averlo saputo fin dal loro primo incontro: i Vinstav in Francia erano solo loro tre: Ariel, Ragna ed Einar.
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view post Posted on 17/12/2020, 14:14
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Lucien Cravenmoore
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Lucien non conosceva da vicino il mondo del giornalismo, sebbene lo avesse sempre affascinato. Gli piaceva scrivere, trasformare i pensieri in parole, ma si domandava cosa comportasse farlo di mestiere, con la responsabilità di un ampio ventaglio di lettori quali erano quelli di una testata tanto famosa ed apprezzata quanto la Gazzetta del Profeta.
«Deve essere impegnativo, ma non monotono.» valutò con pacatezza, conscio della propria ignoranza e impilando le considerazioni di Ariel per farsi un'idea propria. Quando erano bambini non pensavano a cos'avrebbero fatto una volta diventati grandi; si godevano la spensieratezza della propria condizione di infanti e tanto bastava. In quel momento si trovavano a confrontarsi sull'argomento come forse andrebbe fatto chiunque altro al loro posto, come se ignorare ciò che era loro successo in quegli anni passasse in secondo luogo, di fronte a delle chiacchiere scorrevoli come un fiume privo di ostacoli.
«Non mi dire.. la gente si lascia corrempre dalle cose più piccole.» asserì scuotendo la massa ribelle, ghignando di gusto immaginando un ministeriale a caso con la lingua che si affacciava sui baffi curati mentre tentennava di fronte ai confetti frizzanti e levitanti.
Annuì alla proposta di Ariel, sentendosi ormai fuori luogo in quell'ambiente sacrale e sporcato da discorsi non idonei.

«È la mia giornata fortunata, allora.» commentò in risposta alla rivelazione degli scatti pronti ad abbracciare un nuovo osservatore, anche se risultava sibillino se quella frase non riguardasse anche in modo più generico il loro incontro.
Si portò al fianco dell'amica di infanzia, incurante dei centimetri che li separavano, giusto in tempo per notare i movimento della strega che però non portarono alla luce le fotografie. Prese piuttosto vita un monologo sulle capacità della giovane strega che ne evidenziavano una sicurezza in sé stessa e nel proprio potenziale che poco prima, vista la sua reazione, Lucien non si sarebbe mai sognato di vederle rivelare. Sembrava una scatola magica, Ariel: ogni volta che la scoperchiavi ne usciva qualcosa di inaspettato.

«È bello avere delle inclinazioni, credo che non tutti ne abbiano o se ne rendano conto. O, ancora, sprechino la propria attitudine nelle scelte meno indicate e per le più svariate ragioni.» Un peccato, non necessariamente qualcosa di cui farsi una colpa. «Ti invidio. Sembra proprio che tu abbia già trovato la tua strada.»
Sospirò alzando gli occhi sul soffitto smerigliato che venne sostituito da quello della coltre di nubi del cielo di Hogsmeade. Inspirò l'aria fresca d'inverno, gustandone l'aroma.
«Le dimensioni contano, offrirà sicuramente meno posti per giovani menti da plasmare, ma ti assicuro che ogni angolo di quella scuola trasuda un sapere smisurato.» Un sapere che sette anni erano troppo pochi per riuscire ad apprendere in maniera totale e forse nemmeno una vita intera spesa tra quelle mura lo avrebbe permesso. Era sicuro che se l'avesse frequentata, Ariel avrebbe avuto un opinione più entusiastiche nei confronti di Hogwarts, d'altra parte così non era stato e oltre ad appurare l'oggettività delle diverse metrature delle due scuole, reputava comprensibile quel distacco ideologico.
«Pff, mi riterrei già fortunato se non le ritrovassi "sporche".» bofonchiò, indeciso se difendere a spada tratta la scuola a fronte di vicissitudini realmente accadute ma che non ne facevano di certo uno stigma, né avrebbero dovuto indurre Ariel a pensare che fosse meno seria della scuola francese sul piano della formazione, o lasciare che lo divertisse con la sua ironia, quando il ricordo della massa informe di vermicoli lo riportò ad un lontano ricordo. Si abbandonò ad una risata di gusto, rimembrando la faccia di sua madre di fronte all'accaduto. «Guarda, se volessi prenderti l'onere di informarla tu di una mia ipotetica fine che abbia a che fare con creature che non ha mai sentito nominare, ti prego di scattarle una foto per immortalare la sua espressione, sicuramente esilarante. Troverei il modo di farmi resuscitare solo per vedere quello scatto e, a proposito, sto ancora aspettando di vedere gli "scarti o cose che non hai mai voluto togliere dalla borsa".» la scimmiottò guardandola di sottecchi, mentre si arrestava alla destra dell'entrata di BiblioMagic, lontano dal transito dei clienti. Nonostante stesse con suo padre da molti anni, la babbana Chouzette presentava ancora molte lacune riguardanti il mondo magico. Prima di riprendere parola, infossando il mento contro il pesante mantello, lasciò che l'argomento fosse passato sulle radici di Ariel, di cui conosceva/ricordava molto poco.
«Ci vai spesso? Io non sono mai stato in Islanda, ma dalle fotografie sembra un luogo incantevole.» tacque un attimo prima di aggiungere «Io penso di trascorrere il Natale in Scozia. Ormai io e la mia famiglia torniamo di rado in Francia.»
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view post Posted on 2/1/2021, 19:32
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Ariel A. Vinstav
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Ariel da piccola voleva diventare tante cose (suo padre aveva contato ben otto carriere da sogno diverse perseguite dalla bambina che questa aveva solo nove anni) fra le quali diventare un'alga, un postino gufo, un artigiano di giocattoli magici, la cicogna per portare bambini alle persone e un guidatore professionista di Draghi. Era quindi corretto dire che voler fare il giornalista per "diffondere le storie del prossimo" fosse il sogno più pragmatico che ci si potesse aspettare da uno spirito libero come lei.
«Bon, allora ci sediamo nella panchina qua di fronte!» Borbottò soddisfatta, mentre la mano destra veniva mossa dentro la borsa a caccia delle foto prima preannunciate.
Avrebbe cercato a quel punto di muoversi dall'atrio di Bibliomagic, diretta verso l'esterno e la panchina che sostava esattamente di fronte la bottega., fortunatamente vuota.
Mentre camminava svelta, sperando di rimanere al passo di Lucien, la mano destra continua a ricercare fra le falde della borsa qualcuna delle bozze sviluppate che si era portata accidentalmente dietro.
«Non ho idea di quali abbia con me, ma è difficile non ci sia sempre qualcosa sul fondo.» Nel dirlo alcune diapositive verrebbero tirate fuori, strette fra indice e medio contro il bordo lucido bianco. Tre in tutto, due delle quali paesaggi e una un ritratto di una donna anziana.
Li allungherebbe alla cieca verso il ragazzo, prima di cercare di prendere posto alla destra della panchina e stravaccarsi contro lo schienale di ferro battuto.
Era giusto fare nuovamente menzione del fatto che portasse a Novembre dei pantaloncini che seppur di velluto, non potevano offrire la protezione necessaria al freddo.
Per tutta risposta al primo gelo invernale, la ragazza tirò fuori dalla borsetta una piccola fiaschetta di metallo consunto, screziata al collo e alla base dalle tracce di uno strato di cuoio che doveva essersi scollato da un bel poco di tempo.
L'avrebbe svitata e portata alla bocca, mandando giù due sorsi, prima di richiuderla e rimetterla nella borsa.
Lucien avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per guardare le diapositive.
In ordine sparso, avrebbe potuto ammirare un paesaggio marino della bella Islanda: ritraeva una delle coste sabbiose, celebri per il colore nero ossidiana delle sue polveri in pieno contrasto con il blu del mare e la sua spuma bianca; il soggetto dello scatto era un cristallo di ghiaccio di grosse dimensioni che la corrente aveva abbandonato sulla terraferma.
Veniva poi la facciata di un edificio in pietra, percorso per la sua metà dall'edera rampicante che si era insinuata oltre gli archi di un portale, forse un tempo provvista di vetrate di cui ora non si vedeva più l'ombra.
Il terzo era un ritratto, riportava una vecchina che mostrava un sorrisone entusiasta alla fotografa, circondata da alcuni fiori arancioni.
«E' un posto pericoloso abbastanza da intrigarmi e preoccuparmi allo stesso tempo.» Arricciò leggermente il naso, mentre allungava il collo verso le foto e Lucien, cercando di scorgere di quest'ultimo la reazione ai suoi scatti.
«Gli eventi degli scorsi anni con il suo attacco, la situazione dei Centauri e la Foresta Proibita, o le pericolose attività extracurriculari che vengono tenute ... non so, una parte di me prova ammirazione per chi affronta e vive col sorriso sul volto la carriera nella vostra Accademia, ma dall'altra non riesco a smettere di preoccuparmi per chi conosco che lavora lì.» Sollevò leggermente le spalle, avendo cura di distogliere rapidamente lo sguardo e come nulla fosse, svitare nuovamente la fiaschetta e prenderne un altro sorso.
«Abbiamo delle tradizioni che ci piace mantenere quando possibili: chiamiamole riunioni di famiglia. Tecnicamente dovrei trascorrere con loro il Natale, ma la Redazione tende a organizzare Gala o riunioni per le vacanze e sarebbe decisamente poco professionale mancare, specialmente perché sono strana da morire e non voglio aggiungere altre scuse per commentare come mi comporto al carico.» Fece spallucce, di nuovo, tradendo una punta di fastidio nello storcere le labbra in una smorfia.
«Ma questo significa che dovrò passare più tempo in Inghilterra: quanto basti per sperare di poterti rivedere un'altra volta, no? In tempo per il necrologio per tua madre.» La prese a ridere, nonostante la pesantezza della battuta, costringendosi ad un sorriso ampio che per la mancanza di veridicità alle fondamenta risultò sghembo e tirato.
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view post Posted on 4/1/2021, 21:47
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Il mago prese posto su una panchina situata di fronte al negozio che aveva appena lasciato a mani vuote. Non aveva trovato alcun tomo che lo stimolasse a metter mano al portamonete in pelle di drago, ma aveva trovato qualcosa di ben più prezioso. Una fetta del proprio passato che avrebbe potuto accostarsi al suo futuro, se entrambi lo avessero desiderato. Una parte di lui conosceva già la sua risposta, visto che in altre situazioni analoghe non aveva scelto di spendere ulteriore tempo se non per qualche convenevole in compagnia di individui che non avevano più rincrociato il suo stesso cammino.
Ma Ariel con la sua estrosità lo aveva colpito, così come era riuscita a fare quando erano solo bambini avvinti dal desiderio di conquistare il mondo. Si ritrovò con gli scatti pinzati tra le lunghe dita, ma le contemplò solo quando ebbe preso posto a fianco della strega. Divenne una statua immobile ad eccezione delle pupille che scorrevano i dettagli.
Ne lesse una trasparente onestà, accurata professionalità, sobria eleganza e fresca innovazione. Non era esperto in quel campo, tutt'altro; si riteneva scarsamente preparato, ma nella sua ignoranza si riteneva capace di apprezzare. A modo suo.

«Devo farti i miei complimenti, Ariel. Posso offrirti un parere incolto ma sincero: credo tu abbia talento e non lo dico per mera cortesia.»
Il commento da profano fuoriuscì dalle labbra carnose assieme a piccole volute lattiscenti e, seppur lo sguardo parve non scostarsi dalle diapositive, non mancò di addocchiare la fiaschetta metallica che andò ad irrorare la gola della strega con un'ignota sostanza linquida.
La sua attenzione si focalizzò sulla diapositiva che ritraeva uno scorcio del mare islandico, con le sue sfumature dure dove la desolazione regnava sovrana.
Sfiorò la superfice traslucida, come se attraverso quel gesto avrebbe potuto affondare i polpastrelli nelle gelide acque marine, inspirare a pieni polmoni la salsedine e bearsi del richiamo marino.

«Sai guardare le persone, i paesaggi, gli oggetti con la curiosità dell’artista consapevole di scrutare oltre l’apparenza. Penso non si possa illudere il fotografo di fissare nell’immagine il divenire, ovvero ciò che mentre viene fotografato già è diverso, ma se ne è consapevole ogni volta che punta l’obiettivo crea a sua volta qualcosa di nuovo e lo consegna al futuro.» aggiunse quando finalmente si sentì sufficientemente appagato dalla visione da potersene staccare.
Restituì alla strega le diapositive con la cura che si rivela ad un oggetto fragile e meritevole di una particolare attenzione. Poggiò il gomito sulle assi di legno e su di esso fece convergere il peso del proprio busto. Lo intrigava come un'istituzione simile fosse vista con occhi differenti a seconda degli individui che la osservavano, dall'interno o dall'esterno; magari Ariel avrebbe mantenuto intatto il suo parere su Hogwarts anche se l'avesse vissuta come studentessa o come lavoratrice, magari no. Ovviamente rispettava la sua visione e pur nutrendone una differente ed affettiva, non l'avrebbe criticata ma anzi gli piaceva scoprire cosa l'avesse indotta a ponderarla.
«Nel mio caso la preoccupazione, oltre che lecita, è anche condivisa visto il tempo che spendo quotidianamente nella Foresta Proibita.» ironizzò inclinando il capo mentre le sorrideva bellicoso. Non era certo che Ariel conoscesse la nomea della Foresta, con le creature potenzialmente letali che la popolavano, e dunque potesse risultare chiara l'ironia intrinseca nella sua affermazione.
Rimase sbigottito dall'uscita di Ariel riguardo sua madre ma, con un empàs più riconducibile ad un britannico che ad un francese, non mostrò alcun segno che lasciasse trapelare una reazione. A parte indurire i tratti somatici.
«Essere strana da morire può comportare vantaggi e svantaggi, immagino, ma ti rende unica nel tuo genere. E questo tanto mi basta per desiderare di rivederti al più presto» disse dopo una pausa piuttosto lunga, durante la quale cercò le parole più adatte ad esprimere ciò che provava, senza riuscirci appieno.
Terminata la frase allungò l'indice per pigiarlo contro la punta del fine naso di Ariel, concedendosi un ghigno mefistofelico. Si sarebbero rivisti, se lo sentiva; come, quando e perché non gli era saperlo ma sentiva di non essere in errore. Il tempo gli avrebbe dato ragione.

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