| Lucien Cravenmoore Beltà, il tuo sguardo, infernale e divino versa, mischiandoli, beneficio e delitto Finché la strega aveva tenuto torto il collo esile sulla copertina del libro, con la zazzera lucente ad oscurarne i tratti, Lucien aveva badato poco al suo aspetto fisico che, ad un'analisi più scrupolosa, avrebbe rivelato tratti singolari. A cominciare dalla frangetta approssimativa concludendosi su capi di vestiario tipicamente babbani e discordi con i dettami di quel periodo dell'anno. Gli anglosassoni avevano la nomea di girovagare in pieno inverno calzando infradito, ma per quella che era l'esperienza del mago, quella manifestazione di incuria del freddo era riconducibile più a paesi nordici come Norvegia e Svezia. Prestò più attenzione alla prontezza paventata dalla sconosciuta nel rispondergli citando con accuratezza la parte successiva della citazione, in un francese insaporito dall'accento tipico del massiccio centrale. Non gli era nuovo: tra i pellegrinaggi da bambino ed i viaggi nel corso degli anni aveva imparato a riconoscere una fetta delle inflessioni della sua terra natia. Il venticinquenne brindò alla giovane con un sorriso disteso, facendo scattare la mancina stesa per bloccare silenziosamente il gesto femminile. Contestualmente, ripescò la lingua che conosceva con la stessa perizia del francese, notando che molti stralci di questa sfumavano nella parlata della strega, comunque corretta sul piano lessicale. Azzardò che non doveva trovarsi in Gran Bretagna dallo stesso tempo in cui vi stava lui, o forse aveva avuto più difficoltà a sbrogliare le due lingue facendole proprie alla stregua di un madrelingua. «No, tranquilla. Non ero alla ricerca di un titolo in particolare, ma avevo piacere di leggere qualcosa nella mia lingua madre.» le spiegò scuotendo il capo con tono secco e definitivo. Si rese conto di quanto troneggiasse sulla bassa statura della sconosciuta, se rapportata alla propria altezza, ma era un dettaglio che di rado restava appigliato nella sua mente, che continuava a elaborare pensieri con la rapidità di un boccino.
Continuò a studiarne la fisionomia -risultando forse un poco sfrontati- scandagliando ogni dettaglio che potesse zittire quella vocina nella sua testa che gli sussurrava di aver già avuto un contatto con quella strega. Dove. Come. Quando. Perché. Si soffermò sulle iridi color ghiaccio, sull'incarnato opalino ed i capelli chiari come il sale e, da acuto osservatore, non aveva mancato di notare glifi e segni runici disegnati sul dorso della mano che si era protesa per offrirgli il libro. Immagini del proprio passato gli silurarono le sinapsi con foga ed una dopo l'altra diedero forma ad un piccolo puzzle mentale che fece tendere ancor di più le estremità delle labbra carnose. «Certo, Malecrit è artefice di opere bizzarre e spesso incomprese di mio grande interesse...» Il mantello color fumo, chiuso alla gola da alamari d’argento, cadeva in pieghe morbide dalle spalle dispiegandosi attorno alla sua lunga silhouette. «..perciò non dovrebbe sorprendermi vederlo tra le tue mani, Ariel.» Marcò il nome di battesimo, cosciente dell'azzardo ma altresì curioso di scoprire se fosse in errore o meno in un ennesimo gioco con sé stesso. Alla peggio gli sarebbe valsa una figuraccia, di cui beninteso non si sarebbe curato, e si sarebbe scusato per l'errore. Eppure più i secondi scorrevano, maggiori dettagli fisiologici carpiva, più credeva di star fissando la versione adulta di quella bambina che, da piccolo, era divenuta l'amica d'infanzia più preziosa. Per la sua spregiudicatezza, la sua originalità, il dinamismo, la sfacciata curiosità verso gli altri, la passione per la natura e la gentilezza con la quale, a suo tempo, aveva condiviso con un Lucien bambino le migliori cavalcate a piedi su una scopa spelacchiata finendo, talvolta, a centrare in pieno tronchi d'abeti larghi quanto loro. Conosciuta quando il mondo gli appariva tanto enorme e lui si sentiva, sebbene fosse già più alto della media, così piccolo, in un giorno di primavera durante un viaggio a nord della Loira alla ricerca di ingredienti per le pozioni paterne. La curiosità, fedele compagna di vita, aveva indotto Lucien a raggiungere la dimora dei Vinstav ed interagire per la prima volta con quella bambina che stava giocando nel giardino di casa, incurante di qualsiasi cosa che non fosse, in apparenza, il suo piccolo mondo perfetto. Un'amicizia puerile e sincer, destinata a scemare come le stagioni che, anno dopo anno, si susseguivano abbracciando i reciproci mutamenti fisici e caratteriali, ormai separati in terre diverse e costretti a tenere intrecciato quel sentimento attraverso le fitte pergamene di una corrispondenza che un giorno, come un albero sopraggiunto un rigido inverno, aveva visto cadere la sua ultima foglia sbiadita e accartocciata.
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