Broken and Lost, Privata

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view post Posted on 12/11/2020, 21:24
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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Aiden Weiss
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I
l Draft House, nei pressi di Tower Bridge, era un posto molto alla mano e sembrava garantire un clima tranquillo e più adatto ad una coppia di amici intenti a bere un bicchiere di vino tra una chiacchierata e l’altra; inoltre era certo che Jolene avrebbe apprezzato quello stile che richiamava molto i giovani odierni in ambito letterario.
Già. Jolene.
I mesi che erano seguiti al tragico evento di Hogsmeade erano trascorsi con una cadenza lenta e penosa, tra i mille - e quasi interminabili - grattacapi al Quartier Generale, mentre le ore libere passate a vagare per Londra senza una meta precisa con una bottiglia di Laphroaig in mano e la scatolina di latta sempre stracolma di sigarette che ultimava nell’arco dell’intero tragitto. Perché piuttosto che pensare agli orrori di quel giorno o al senso di colpa e di fallimento che lo logoravano nel profondo, preferiva di gran lunga non pensare affatto, e il lavoro e l’alcol erano l’unico sollievo che conosceva. Per tutto quel tempo non aveva intrapreso alcun tipo di contatto, se non con la sua famiglia, oberato com’era per potersi concentrare sugli altri, oltre a non averlo mai voluto davvero; si era preso i propri spazi per cercare un modo per tornare a galla, ma il punto cruciale era che si trovava in una fase di stallo, in cui non stava né emergendo né affondando. Eppure, anche se si trovava in una scomoda stasi, anche se non si sentiva ancora pronto a parlare con qualcuno di quanto lo affliggeva, sentiva di doversi mostrare propenso alla vita sociale, provarci almeno; per questo, alla fine, aveva deciso di mandare un gufo a Jolene per trovare un minimo di conforto in una sana bevuta con una faccia amica.
Si tolse la sciarpa e la lasciò appoggiata al tavolino mentre attendeva l’arrivo della White, restando con la giacca di pelle nonostante dentro al locale vi fosse sufficiente calore da poter stare in camicia senza temere il freddo. Eppure - si disse - l’unico senso di gelo che avrebbe dovuto temere era il proprio, quello che veniva dal cuore incapace di reagire e che si stava facendo sempre più distante, quasi insensibile. Si riavviò la chioma rossiccia all’indietro e tenne d’occhio la porta d’ingresso, mentre si domandò che tipo di aspetto avesse adesso l’amica o di come lei avrebbe visto lui. Di certo l’Auror era cambiato, sia fisicamente che nel comportamento, ma era più plausibile che Jolene avrebbe per lo più individuato il primo che il secondo, dato che l’uomo sapeva nascondere i propri sentimenti ed emozioni molto bene (o così almeno lui credeva).
Più Jolene tardava e più si sentiva irrequieto e pronto ad esplodere in un attacco di furia cieca: odiava i ritardi ma del resto vi erano ben poche cose che non odiava in quell’ultimo periodo, senza il rischio di farlo arrabbiare. Si toccò dunque l’orecchino di metallo nero e semplice che portava all’orecchio sinistro, nella speranza che il solo sfiorarlo riuscisse - quantomeno - a distrarlo quel tanto da permettere all’amica di guadagnare qualche minuto in più.
«Desidera qualcosa, signore? O sta aspettando qualcuno?» La voce improvvisa del cameriere riportò Aiden alla realtà e si scoprì osservato da un cameriere piuttosto perplesso dinanzi ad un nervosismo crescente, per non parlare di una vistosa vena grossa sulla tempia che aveva preso a pulsare e che minacciava di esplodere.
Strabuzzò gli occhi per qualche secondo, per poi cercare di allentare la tensione muscolare e apparire più calmo. «Oh… Ehm… Suppongo arriverà a momenti, ma se nel frattempo vuole portare due calici di vino rosso, il miglior italiano che avete, per favore.» Non aveva la minima idea quale fosse il tipo di vino che Jolene gradiva, ma provò a ipotizzare che il miglior italiano che la casa aveva da offrire sarebbe stato comunque adatto rispetto a molti altri vini.

Quando la chioma rossa della donna apparve, infine, sulla sua visuale Aiden Weiss non riuscì nemmeno a trattenere il fiato dallo stupore, né a reagire come era solito fare: con apprensione e sconvolgimento. Il fisico più magro del solito non passò inosservato allo sguardo vigile dell’Auror, né il fatto che si fosse presentata con la stessa cura di sempre, ma appariva infatti più trasandata e provata.
Il primo dei tanti campanelli d’allarme suonarono nella sua testa, eppure Aiden parve sordo ad essi e non si scompose di un millimetro nel trovarsela davanti, ma si limitò semplicemente ad abbozzare un sorriso forzato. «Ciao, Sweetie.» Era così che lui la chiamava e in circostanze normali sarebbe persino suonato come amorevole e affettuoso, invece ora sembrava talmente distaccato da sembrare quasi inumano; nemmeno si alzò per abbracciarla o sfiorarle la fronte con uno dei suoi delicati baci. Vi era un distaccamento assoluto che, se soltanto si fosse visto dall’esterno, si sarebbe fatto ribrezzo da solo, eppure era tutto ciò che in grado di offrire o - semplicemente - essere.
«Ho ordinato del rosso italiano per entrambi. Ti aspetto da un po’...» aggiunse poco dopo, invitandola con un gesto della mano ad unirsi a lui al tavolo. Poi, senza nemmeno chiederle come stava, perché ne temeva la risposta, l’Irlandese si umettò appena le labbra in quello che doveva essere una sorta di disagio. «Scusami se non mi sono fatto vivo prima, ma il lavoro mi ha completamente assorbito.» E viene prima delle persone, come ben saprai. aggiunse, però, soltanto mentalmente. Aveva avuto come l’impressione che semmai si fosse azzardato a dire una cosa simile davanti a lei, l’avrebbe certamente ferita per quella mancanza di sensibilità, cosa che - nell’effettivo - a lui stava iniziando a mancare.
«Come procedono le cose ad Hogwarts?»


La role è ambientata a pochi mesi dagli eventi accaduti in Narcisi e Fiamme.
Azioni concordate con la diretta intressata.
Si può avere il titolo in grassetto? Grazie.
 
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view post Posted on 16/11/2020, 21:31
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Jolene White

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Quando Jolene fece il suo ingresso, dalla sua andatura non si sarebbe detto che era in ritardo. Ne era inconsapevole, infatti, avendo completamente perso la cognizione del tempo. Non portava orologi con sé, e aveva calcolato solo sommariamente i minuti che le ci sarebbe voluti per percorrere il tragitto da casa propria fino al Draft House. La donna era un'apparizione ingannevolmente vivace nell'azzurro della giacca e il rosso dei capelli, ma tra quei due bei colori fluttuava un viso pallido e spento, che ancora risentiva di molte notti insonni. Spinse le mani più a fondo nelle tasche, rimpicciolendo ulteriormente la sua figura già minuta, ormai aguzza. Si guardò intorno, e non le fu difficile scorgere Aiden prima ancora che un qualche cameriere avesse modo di accoglierla: con capelli e barba come quelli dell'uomo, era difficile passare inosservati. Jolene, tuttavia, esitò il tempo di qualche respiro. Era la prima volta che lo vedeva dopo tanto, tanto tempo – un tempo stirato e allungato all'inverosimile, giorni e settimane piegati in spirali interminabili che ora assomigliavano ad una stretta e ripida scala a chiocciola da risalire, ora ad uno scivolone in profondità che nessuno avrebbe mai desiderato esplorare. Durante tutto quel calvario, Aiden era stato lontano; come chiunque, del resto, ciascuno interrato nel proprio personale dolore, così totalizzante da non lasciare spazio per chicchessia. Per questo, quando aveva ricevuto la missiva dell'amico, Jolene se la era rigirata tra le mani per interi minuti prima di convincersi ad aprirla. Aveva qualcosa di rischioso, riprendere i contatti dopo un tempo del genere, oscurato com'era dalla lunga ombra di Hogsmeade; e Jolene, che ultimamente aveva paura di moltissime cose, aveva scoperto di temere il confronto più di molti demoni strettamente individuali.
Non sapeva ancora con quali parole esordire, quando infine si riscosse e cominciò a coprire la distanza che la separava dal tavolo di Aiden. Meno venti passi, meno diciannove. Quanto fingere di stare bene? Lui, tra tutti, avrebbe potuto capire se non si fosse sforzata. Dal lato opposto, però, non sarebbe stato da egoisti non tentare nemmeno un po' di tirarlo su di morale? Meno dieci, meno nove. Ormai poteva vedere i dettagli del suo viso, la sua aria disordinata ma curata, più di quanto appariva lei. Divenne acutamente consapevole dei propri capelli, che portava legati in una coda bassa, le ciocche che sfuggivano e di tanto in tanto andavano ricacciate dietro le orecchie; e la totale assenza di trucco sulla sua faccia, e i jeans che non stavano bene con il colore della giacca, e il maglioncino grigio che non aveva tentato di ravvivare nemmeno con una collana. Erano queste futilità, le sue preoccupazioni.
Meno tre passi, meno due. Si fermò davanti alla sedia libera, le mani ancora in tasca, l'espressione indecisa su qualcosa che somigliava ad un sorriso. Aiden le tolse l'imbarazzo di parlare per prima, ma il suo tono non era incoraggiante. «Ehi», mormorò, rimanendo in piedi per una frazione di secondo di troppo. Non sapeva che cosa si fosse aspettata – ma, ora che il suo corpo si bloccava in un'inutile attesa, si rese conto che, qualsiasi fossero state le sue idee, non avevano contemplato quell'accoglienza così fredda. L'Aiden che conosceva l'avrebbe abbracciata, avrebbe fatto qualche battuta delle sue. Solo che, certo, nemmeno lei era la Jolene di allora.
«Sono in ritardo, davvero?» Genuinamente stupita, Jolene scostò la sedia e ci si lasciò cadere sopra. «Scusami. Non ho un orologio con me.» Rimase in silenzio per qualche secondo, non sapeva cosa aggiungere. Se solo avesse scorto in Aiden un barlume di emozione, le sarebbe stato molto più semplice sciogliere il nodo in cui sentiva di essere aggrovigliata tanto nel corpo quanto nei pensieri. Ma, per quanto vi fissasse sopra il proprio sguardo, non riusciva a riconoscere nel volto di lui niente che potesse somigliare a sincerità.
«Ah, già, il lavoro...» Disse, mentre venivano raggiunti da un cameriere. L'uomo posò di fronte a loro due calici e una bottiglia di Chianti, che si apprestò poi ad aprire. Jolene rimase in silenzio per tutto il tempo che quello impiegò a versare il vino, rispondendo con un piccolo sorriso al suo successivo congedo. Era strano sentire così distintamente i suoni del locale quando era in compagnia di Aiden, di solito le loro voci coprivano il resto. Si affrettò allora a proseguire: «Sono tornata a Hogwarts non molto tempo fa, dopo la pausa. È più tranquillo di quanto mi aspettassi, in realtà. Quasi nessuno degli studenti era presente. Sicuramente al Ministero le cose saranno diverse». Lo guardò, sperando che quell'accenno potesse sbloccare qualcosa.
Nel mentre, prese il suo calice, e cominciò a far roteare il vino al suo interno. Vi fissò lo sguardo per qualche istante, come se trovasse incredibilmente interessante il suo borgogna profondo. Ma poi sollevò gli occhi di scatto, in un guizzo di energia che d'un tratto la rese decisa. «Non voglio chiederti come stai, perché nemmeno io vorrei rispondere. Ma, Aiden, per quanto anche io abbia avuto bisogno di quel tempo da sola, per riprendermi... Ecco, sono contenta di rivederti.» Quando sorrise, questa volta, era sincera. «Non ho mai parlato con nessuno di cosa è successo, non per intero. Nessuno che non sia stato lì potrebbe capire, non credi? E mi dispiace, perché forse tu ne sarai pieno fin sopra i capelli, e vorrai che questa sia solo un'uscita tranquilla, dopo tanto tempo, e avresti ragione, ecco...» Si interruppe, perché nemmeno lei sapeva dove volesse arrivare. Ma Aiden avrebbe capito: avrebbe letto la sua confusione, e tutto ciò che vi era dietro, e vi sarebbe stato complice. Non poteva essere diversamente.


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Edited by Unconsoled - 17/11/2020, 10:32
 
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Aiden Weiss
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eguì con lo sguardo ogni movimento e ogni espressione, con lo stesso sguardo di una volpe famelica e in procinto di attaccare, ma quel suo essere acuto e penetrante al tempo stesso aveva il solo scopo di capire quanto Jolene fosse cambiata, devastata dagli orrori di quel giorno, affinché potesse ponderare al millimetro ogni parola che sarebbe seguita tra loro. Se c’era una lezione che aveva imparato nel corso di tutto quel tempo era che prima di parlare avrebbe contato fino a dieci e poi detto quello che doveva dire nel modo più giusto possibile, anche se persisteva un problema non da poco: mancava di tatto, lo sapeva, e in quell’ultimo periodo aveva solamente due possibili approcci da adottare, o limitarsi allo stretto indispensabile oppure tacere e basta. Era una forma di controllo che non sempre reggeva, a volte si doveva assorbire discorsi che lo mandavano letteralmente fuori di testa, al che scateneva il peggio di sé, ponendo fine al suo già precario autocontrollo.
Con gli occhi ancora incollati su di lei, Aiden la vide accomodarsi e non sembrò nemmeno accorgersi dell’arrivo del cameriere con i loro calici di vino, troppo occupato a domandarsi fino a che punto fosse cambiata, se si fosse spezzata in una qualche maniera e, soprattutto, se era possibile porvi rimedio. Ascoltò in silenzio, finché non si ritrovò a sospirare profondamente mentre afferrava il proprio calice, portandolo alle labbra per un primo piccolo sorso. «Quando mai il Ministero è stato tranquillo?» Era una frase impostata come una domanda, ma in verità non era altro che un’affermazione scontata. Non vi era altro da aggiungere, Jolene avrebbe compreso quanto il fulcro del sistema magico non fosse altro che un complesso formicaio e che, quando certi eventi accadevano, questo prendeva ad agitarsi; e qualsiasi persona, Ministeriale o meno, l’avrebbe senz’altro capito al volo. Le morti, i tradimenti, la presenza dell’ultima responsabile di quella strage ancora in libertà, avevano di certo sollevato un gran polverone, il che non rendeva le cose facili a nessuno.
Il volto di Cassandra Reeve si sovrappose a quello di Jolene e, per un brevissimo istante, serrò pericolosamente la mascella e strinse un pugno fino a sbiancare le nocche. Quanto desiderava avere tra le proprie grinfie quella donna, far assaporare a quella sporca assassina tutta la propria rabbia fino a metterla in ginocchio, completamente neutralizzata, per poi gettarla nella cella più buia di Azkaban e distruggere la chiave una volta per tutte. E, per quanto detestasse ammetterlo, era grazie a criminali come lei che aveva compreso di dover aspirare a una conoscenza, un potere superiore, se voleva davvero avere la forza necessaria per combattere il Male e proteggere un maggior numero di innocenti.
Sorrise appena a Jolene, anche se fu piuttosto palese quanto si stesse sforzando di non apparire a disagio o, nel peggiore dei casi, più freddo di quanto già non apparisse. Cercò di allentare la tensione dei propri muscoli facciali e sospirò con sincerità: «Lo sono anch’io, piccola.» Era contento di vederla, ma non poteva dirsi molto entusiasta nel trovarla ridotta in quello stato alquanto allarmante. «Dovresti mangiare...» aggiunse, sollevando nuovamente il calice e osservandola attraverso il bordo di esso.
Alle parole dell’amica, Aiden si lasciò sfuggire una smorfia colma di amarezza. Oh sì, chi meglio di lui avrebbe potuto capirla? Era stato addestrato a reggere situazioni come quelle, a non farsi travolgere dagli orrori vissuti, ma il dolore che provava lui era diverso; il suo tormento risiedeva in un senso di completo fallimento e impotenza, per questo voleva a tutti i costi catturare la Reeve, per pareggiare i conti e non doversi più sentire così, oltre che garantire la Giustizia per la quale si era completamente votato. «Non supporre… Parla se ne senti il bisogno.» grugnì con la stessa asprezza del vino. Si schiarì la voce e si affrettò ad aggiungere in tono ben più disteso: «Cosa c’è che ti angustia?»




Edited by Aiden Weiss - 18/11/2020, 11:05
 
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view post Posted on 28/11/2020, 18:02
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Jolene White

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Da quando aveva ripreso ad uscire, Jolene aveva scoperto in sé una consapevolezza del tutto nuova degli sconosciuti che la circondavano. Anche in quell'occasione, si domandò se gli avventori dei ristoranti fossero sempre stati così rumorosi, così esuberanti nelle incessanti risate che interrompevano, una dopo l'altra, conversazioni vivaci. Conscia della propria pesantezza, notava, per contrasto, la leggerezza di tutti gli altri. Era come se il tavolo che condivideva con Aiden fosse l'unico saldamente ancorato al suolo, mentre tutti gli altri avrebbero potuto alzarsi e fluttuare nell'aria da un momento all'altro.
Aiden, si rese presto conto, era nella sua medesima condizione. Il suo profondo sospiro, quel breve quanto improvviso attimo di tensione in cui parve attraversato da un moto incontrollabile di emozione: l'Auror, come lei, era un relitto che stava tentando di riemergere a galla. Per lui doveva essere ancora più difficile, costantemente a contatto com'era con le conseguenze della tragedia; o, forse, l'attività di investigazione gli permetteva di esorcizzare i demoni di domande prive di risposta. Jolene non aveva idea di quale condizione fosse la più auspicabile, se l'oblio forzato o il continuo rivangare di ciò che non poteva essere riscritto.
Annuì in silenzio, testimoniando così che immaginava perfettamente il caos che doveva regnare al Ministero. I suoi pensieri viaggiavano già su altre onde: c'era così tanto che le aveva frullato in testa nelle ultime settimane, e così poche parole per dargli voce. Sapeva che i testimoni di eventi terribili incorrono spesso in un paradosso simile, nato, da un lato, dalla necessità di raccontare, e, dall'altro, dall'impossibilità di farlo. Volumi e volumi di letteratura si basavano su quel principio, che, a ben pensarci, Jolene avrebbe preferito conoscere solo attraverso i libri. Non aveva altra scelta, tuttavia, se non quella di sperimentare sulla propria psiche e sul proprio corpo gli effetti di ciò che era diventato troppo reale per trovare conforto nelle parole stampate. Sapeva di non avere un bell'aspetto, e Aiden non fece che confermarglielo. Serrò le labbra, costringendosi a non dargli subito una rispostaccia. Pensava che avesse bisogno di qualcuno che le ricordasse di aver trascurato il proprio benessere? Lo vedeva ogni volta che passava davanti ad uno specchio e, per la verità, le bastava mettersi in ascolto di se stessa per capire quanto fosse andata alla deriva.
«Mi stavo giusto domandando dove siano i menù» si risolse a dire, prima di scomparire dietro al calice per un primo sorso. Il vino era aspro contro il palato, ma accolse di buon grado il suo calore nello stomaco vuoto. Doveva stare attenta, in quelle condizioni sarebbe stato fin troppo facile lasciarsi andare all'ebrezza. Avrebbe facilitato o peggiorato le cose? Così come stavano andando in quel momento, erano piuttosto penose. Il tono con cui Aiden le rispose non era ciò che si era aspettata, le parole scarne e distanti. Avrebbe pensato che l'altro approfittasse della sua introduzione per lasciarsi andare con maggiore libertà, ma così non fu. Per qualche secondo soppesò il suo volto, tentando di leggerne l'espressione. Quanto gli pesava distendere i muscoli per non serrare la mascella, non ridurre lo sguardo a due fessure? Stranamente, però, la consapevolezza che Aiden si stesse sforzando di controllarsi per lei la lasciava ancora più amareggiata. Significava che il suo istinto era di allontanarsi, di respingerla, e ciò faceva male.
Ad ogni modo, si fece coraggio ancora una volta. Bevve, sperando che potesse aiutare. «Tutto è una risposta valida?» Fu sarcastica, più di quanto avrebbe desiderato. Si schiarì la voce, ritrovando un tono più conciliante. «In queste settimane non ho fatto che rivivere ogni cosa.» Il terreno che tremava, si spaccava, si copriva di macerie. Le esplosioni assordanti, le urla, i pianti. E tutto il rosso, del sangue tanto quanto del fuoco. Era tutto di fronte a lei, anche in quel momento, con la coda dell'occhio poteva scorgere un uomo riverso a terra, le braccia vuote e inutilmente protese là dove solo qualche istante prima avevano stretto un cesto di fiori. Ma non doveva pensarci. «Mi chiedo come facciano gli altri, tutti quelli che erano lì e possono ricordare. Ne hai mai parlato con qualcun altro? Per davvero, voglio dire, non con il solo scopo delle indagini. Eravate un'intera squadra di Auror e Antimago, l'avete vissuta insieme dall'inizio alla fine. Per quel che mi riguarda, tu sei il primo che si fa vivo. Nemmeno Rowena lo ha fatto, e lei è stata con me per... beh, per quasi tutto il tempo.»
Ed eccolo, il nome che attendeva di lasciare le sue labbra fin dal primo di settembre: dov'era Rowena? Era con lei che Jolene aveva vissuto gli istanti più terribili, era affianco a lei che aveva guardato l'Ardemonio mietere le sue innumerevoli vittime. Se Jolene non poteva parlare di ogni momento – perché troppo doloroso, insopportabilmente attuale anche ora –, aveva però desiderio e bisogno di nominare la giornalista. A lei erano andate moltissime delle sue domande, come ad un personaggio tanto cruciale quanto sfuggente dell'intero dramma. Così, pur non avendolo preventivato, si lasciò sfuggire il suo nome. Aiden, probabilmente, non sapeva nemmeno di chi stesse parlando.


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view post Posted on 7/12/2020, 18:44
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N
on gli sfuggì la reazione di Jolene, anche se in realtà nulla sarebbe potuto sfuggire al suo vigile sguardo. Le labbra stirate dell’amica fecero capire all’uomo di aver appena sfiorato un tasto dolente, un nervo scoperto, che in circostanze diverse - e Aiden ne era quasi sicuro - avrebbe potuto benissimo ribeccarlo o, peggio ancora, punirlo per quel suo solito ardire da brava mamma chioccia. In un certo senso conservava ancora una buona dose di istinto protettivo, quello che di solito riservava alle proprie sorelle, e Jolene poteva quasi contare come una sorellina per lui.
La imitò quando si accinse a bere ma non diede troppo peso al sapore del vino: in quel momento, quando l’amica prese a parlare con una nota sarcastica che mai si sarebbe sognato di udire da lei, gli sembrò di avere in bocca il sapore della cenere; la stessa sostanza che aveva riempito l’aria di Hosgmeade una volta che il Fuoco era entrato in azione, riempiendo le sue narici e impastandogli la bocca ogni volta che aveva cercato di evocare la propria magia contro i responsabili o per proteggere i civili dalla catastrofe in atto. Erano bastate quelle poche frasi per rievocare tutto, per sentirsi ancora una volta al centro di quell’orrore ormai passato; ciò lo indusse ad irrigidirsi nella sedia, come a disagio, mentre i muscoli del viso si tesero per quello che per lui era un naturale impulso rabbioso, destabilizzando il proprio equilibrio.
Più Jolene parlava, più Aiden avrebbe voluto interromperla per dirle che non poteva parlarne con nessuno, che ad eccezione di una persona nessuno avrebbe potuto comprendere il suo tormento, né il senso d’impotenza che aveva avvertito nel rendersi conto che una Profezia a stento poteva essere influenzata o sventata. Ma la goccia che fece traboccare il vaso, se non addirittura la pietra che infranse ogni barriera del proprio autocontrollo, e che lo indusse a lasciar perdere il resto del discorso fu il solo udire un nome che mai avrebbe dovuto sentire.
Rowena...
Le dita, che ancora avvolgevano la superficie del calice, si serrarono maggiormente in una morsa pericolosa, fino a quando non sbiancarono per l’eccessiva applicazione di forza e non infransero il vetro con prepotenza; il vino si mischiò ben presto al rosso scarlatto del sangue, mentre prese a percorrere l’intero profilo del tavolino, fino a scivolare al suolo. «Cosa hai detto?» La voce gli uscì in un ringhio sommesso, quasi ferale, come se fosse in procinto di attaccarla. «Rowena? Rowena Abyss?» Pronunciò quel nome con maggiore intensità, mentre le pupille presero a dilatarsi a seguito di una solida e cieca rabbia.
Stupido, stupido, stupido continuava a ripetersi mentalmente. Ripensare a Rowena e alla sua raccolta firme contro il Ministero, contro il suo stesso Capo Auror, lo fece schiumare di rabbia, ma ancor di più di sapere che era stata ad Hogsmeade durante l’attacco e vicina a Jolene per quasi tutto il tempo. Stupido, stupido, stupido se ripensava ai momenti passati al San Mungo tra interrogatori e cure e il non averla mai vista o sentita nominare, troppo provato per le ferite e gli eventi accaduti. Stupido, stupido, stupido se ripensava al non aver ricontrollato i verbali di quel giorno e il non averne parlato con Rhaegar. La sua rabbia, dunque, non era destinata a Jolene, ma a se stesso per non aver fatto caso a quella mina vagante di Rowena, probabilmente a caccia di un qualche succulento scoop da utilizzare contro il Quartier Generale, se non contro l’intero Ministero della Magia. E il solo pensiero lo inorridiva oltre ogni immaginazione...
«Raccontami cos’è successo!»
Non fu propriamente una richiesta gentile, quella tipica di un amico che voleva dare modo ad un’amica di sfogarsi, bensì un ordine in piena regola: era l’Auror che stava parlando, non il solito Aiden. Non si fidava della Abyss, non si fidava del lavoro che svolgeva come giornalista, e qualsiasi parola spesa contro l’operato del Ministero avrebbe avuto un suo peso; le persone erano stupide - l’Irlandese lo sapeva - e sarebbe bastato dare loro un motivo valido per crederci, vuoi perché lo vogliano o perché essi hanno troppa paura che tutto ciò sia vero.
Non sembrò nemmeno accorgersi al dolore che i vetri stavano infliggendo alla sua mano: la sua collera era tutto ciò che provava in quel momento e la vena che gli pulsava violentemente sulla tempia ne era una diretta testimone.
Era semplicemente fuori di sé.


 
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Jolene White

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Non comprese subito che cosa avesse scatenato l'ira di Aiden. Come spesso accade di fronte agli eventi inaspettati, inizialmente tutto ciò che Jolene poté fare fu reagire, sentire le proprie emozioni virare violentemente in risposta ai gesti dell'Auror. Il primo moto fu di spavento: Jolene, che non aveva mai amato i rumori forti ed improvvisi, era arrivata ad associare al boato del vetro infranto un messaggio di vera e propria sciagura, di pericolo imminente. Il disastro era cominciato così, a Hogsmeade, tra le schegge che erano piovute dal cielo. In quel momento, come allora, rispose con un sussulto evidente, che le scosse la figura aguzza mentre il viso sembrava rimpicciolirsi intorno agli occhi sgranati. Invisibili ad Aiden, le piccole mani della donna stringevano il bordo della sua sedia nel tentativo di soffocare il desiderio di alzarsi e scappare. Perché? fu il primo pensiero razionale ad attraversarle la mente quando il sangue di Aiden cominciò a colare sulla tovaglia immacolata. Plic, plic le rose fiorirono sotto al suo sguardo sgomento.
Il rumore, naturalmente, attirò l'attenzione di ogni avventore intorno al loro tavolo. Innumerevoli paia d'occhi cominciarono a fissarli, quei due giovani che potevano sembrare fratelli e che dovevano essere nel mezzo di un litigio serio, guarda la faccia di lui, è distorta dalla furia, e lei? Lei sembra che voglia fuggire, ma aspetta, c'è qualcosa che sta cambiando, adesso si arrabbia anche lei.
Con la coda dell'occhio, Jolene vide un cameriere precipitarsi verso la cassa, probabilmente in cerca di qualcuno che potesse aiutarlo con la ferita di Aiden. In circostanze normali sarebbe stata lei la prima a muoversi in quella direzione, sarebbe scattata come una molla per correre in aiuto dell'amico, così come aveva già fatto ad una festa di Halloween. A ben pensarci, anche allora Aiden aveva infranto un bicchiere a mani nude: doveva essere un suo vizio, pensò pungente.
In quel momento Jolene non era disposta a comprendere. Non le importava nulla delle motivazioni dietro alla rabbia dell'altro, né voleva giustificarlo ricorrendo al suo carattere estremamente emotivo, sempre pronto ad accendersi come una miccia. Gli occhi di Jolene assecondarono il suo abbandono alla rabbia, testimoniandolo in una luce sinistra che sembrò incupire il verde delle iridi. «È così che tratti con i tuoi interrogati, Auror Weiss sibilò, protendendosi leggermente verso di lui. Le mani continuavano a stringere la sedia, ma questa volta era l'irritazione, non lo spavento, a sbiancarle le nocche. La bocca si era ridotta ad una linea dura, ogni parola che avrebbe fatto uscire sarebbe stata tagliente, sarebbe stata un'accusa. Non sopportava che si comportasse così con lei: non quando sapeva incontro a cosa era andata, non quando era lei, semplicemente, perché lei aveva imparato a conoscerlo e gli era stata accanto e aveva condiviso i suoi segreti. Non l'aveva mai visto perdere il controllo in quel modo per pura rabbia, nemmeno quando, al ballo delle spine, era stato testimone del suo stato vergognoso quando ciò avrebbe potuto compromettere una vita a cui entrambi tenevano. In quel momento Jolene si sentiva tradita, e ciò che era peggio era che non ne capiva il motivo. Aiden avrebbe fatto meglio a spiegarle cosa aveva contro Rowena, piuttosto che conficcarsi schegge di vetro nella carne e ringhiarle addosso.
«Non ti racconterò un bel niente» annunciò, tornando ad appoggiarsi rigidamente allo schienale della sedia. «Cosa ti fa credere di potermi parlare così? Qui sei tu quello che nasconde qualcosa, Aiden. E se parlassi, invece di abbaiare e spaccare cose come un cane rabbioso, potremmo anche avere una conversazione civile.»
Nel mentre, un altro cameriere piuttosto anziano si avvicinò ad Aiden. «Signore, lei necessita di medicazioni.» Jolene non gli fece caso mentre continuava a blaterare qualcosa di uno spiacevole incidente, il suo sguardo duro continuava a puntellare Aiden. Cosa sapeva di Rowena? Cosa poteva averlo indotto a perdere il controllo in quel modo? Ripensando alla giornalista in quello stato d'animo alterato, Jolene scoprì di essere furiosa anche con lei. Che la Abyss nascondesse più di un segreto era evidente, e ad Aiden doveva aver lasciato trapelare il sentore di quello sbagliato.


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L
a rabbia rendeva ciechi, impediva a chiunque di vedere al di là del proprio naso, di empatizzare, di rendersi conto di quanto male si stava recando alla persona che si aveva di fronte. Era quello che stava vivendo lui, guidato dall’unico e vero sentimento predominante e che lo aveva spinto a reagire in quel modo: la paura. Al di là di quelle che erano le emozioni che Rowena Abyss riusciva a suscitargli con così poco, era il timore riservato all’amica ad averlo strappato dal proprio autocontrollo: non l’orgoglio, non l’arroganza, non la scarsa fiducia nel prossimo, ma il genuino affetto che nutriva per Jolene. Il pensiero di averla saputa quasi tutto il tempo a contatto con Rowena l’aveva allarmato e non aveva la minima idea dei loro trascorsi, di cosa quella donna avrebbe potuto fare alla giovane Infermiera, anche semplicemente manipolandola in un qualche modo; era proprio questo ad inorridirlo di più, consapevole di quanto l’ex Serpeverde fosse brava nell’uso della parola, era una Giornalista dopotutto, e lui - di certo - non avrebbe ignorato facilmente un simile dettaglio.
Sicuramente, in circostanze normali, avrebbe riordinato le idee e si sarebbe focalizzato nel trovare uno straccio di prova a quelle che erano delle semplici supposizioni, ma attualmente non era nelle condizioni per farlo, così come non riuscì a mostrarsi sorpreso per l’inaspettato cambio di atteggiamento di Jolene.
Anziché mordere il freno e rallentare, l’Auror serrò maggiormente l’ascella e la propria carnagione divenne un concentrato di pura furia, con una tonalità non così dissimile dal color borgogna. Il fatto che Jolene gli stesse andando contro a muso duro, non semplificò le cose, neanche un po’. «Non burlarti di me, Jolene, non ti conviene!» sibilò a sua volta. Glaciale, non sentendosi più tenero come il burro, lo sguardo dell’uomo si ridusse ad una fessura dura e penetrante, completamente deciso a non lasciarsi mettere all’angolo proprio da lei.
Per tutto il tempo che il cameriere e un altro addetto alla cassa impiegarono a medicare come meglio potevano la mano del Mago e a sbarazzarsi dei vetri e della tovaglia sporca di due tonalità di rosso, Weiss si limitò a comunicare con lo sguardo. Si sentiva ferito dalla presa di posizione dell’amica, della sua scarsa capacità di comprensione e tradito per quello che lui reputò come un vero e proprio affronto: negargli delle risposte per proteggere Rowena o per semplice protesta; per l’uomo era troppo da digerire che per pochi secondi i suoi occhi brillarono a causa delle lacrime che represse con tanta fatica, sentendosi nervoso oltre che preoccupato.
Come poteva una donna dolce e sensibile come Jolene White a non capirlo? Possibile che gli eventi di Hogsmeade l’avessero così profondamente cambiata tanto quanto lui?
«L’unico segreto che ho con te, miss White, è quello che mi assicura che tu non rimanga compromessa. E Rowena Abyss non ha niente a che vedere con ciò!» Tagliente, l’Auror si avvolse maggiormente il rotolo di garze che l’addetto alla cassa era riuscito a reperire per lui in fretta e furia dalla cassetta del pronto soccorso, per poi sospirare con aria spazientita. Non avrebbe fiatato in merito alla propria Profezia, nemmeno sotto tortura, ma doveva far capire all’amica che stava dicendo il vero e che l’ex Serpeverde non rientrava in quel segreto. «Non mi fido di quella donna, contenta? Non mi piace l’idea che siate rimaste assieme per tutto il tempo, né tollero il pensiero che possa averti fatto qualcosa di cui magari non vuoi parlarmi! Dei del cielo, Jolene, voglio proteggerti!»
Esasperato, sentendosi sempre più provato da tutta scarica di rabbia e preoccupazione, il fulvo di Galway fissò la Strega con crescente impazienza: voleva semplicemente farla finita, ricevendo le risposte che sapeva di meritare.


 
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view post Posted on 10/1/2021, 19:34
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Jolene White

infermiera | 20 anni | scheda



Seduti a fronteggiarsi dalle due estremità del tavolo, Jolene e Aiden erano altrettanti fuochi decisi a divampare fino alla fine. Le mani dell'infermiera continuavano a stringere con forza la sua sedia perché, se fossero rimaste libere, sarebbero cadute preda di un tremito incontrollabile. Rabbia: una delle emozioni più primordiali in assoluto, immediata e devastatrice come solo l'istinto sapeva essere, per Jolene meno estranea in quelle settimane che in tutta la sua vita. Aveva vissuto un'ingiustizia grande quanto un palazzo di cinque piani rovinato sopra ad una folla di innocenti, e come vittima di un simile evento guardava impotente il dolore e la furia intrecciarsi indissolubilmente, consumarle il corpo fino a farle perdere l'appetito e ridurla a quella cosa smilza e pallida che era diventata. Jolene non sapeva come fronteggiare tutto ciò, non aveva né le risorse né la preparazione, così si piegava involontariamente a quell'istinto che porta gli esseri feriti a fare a loro volta del male. Giustificava la propria rabbia come una naturale reazione alla mancanza di contegno di Aiden, e si sforzava di rimanere cieca di fronte alla sofferenza gemella che poteva leggere in lui, appena oltre al furore, là dove i suoi occhi azzurri per un secondo sembrarono riempirsi di lacrime.
Né lui né lei spiccicarono parola durante l'intervento dei camerieri, Jolene a malapena badò a come avvolgevano la fasciatura. Il suo sguardo rimase asciutto, ma non per questo era meno carico di emozione. Detestava litigare, e in circostanze normali avrebbe cercato un punto di incontro, ma non quel giorno. La sua presa di posizione le sembrava non solo legittima, ma addirittura doverosa, come se non avesse altra scelta se non quella di spingere il proprio arbitrio fino agli estremi confini. Non si prese la briga di analizzare le proprie ragioni più nascoste, chi è furioso non lo fa mai; ma, se avesse avuto la forza di ammetterlo, avrebbe riconosciuto una rivendicazione delle proprie azioni, di quanto importassero e potessero fare la differenza – perché, certo, nelle circostanze veramente importanti si erano rivelate del tutto ininfluenti.
Quando finalmente rimasero soli – si fa per dire, dal momento che l'attenzione generale continuava a rivolgersi a loro, adesso in più velati sguardi occasionali –, quando i camerieri abbandonarono un tavolo nuovamente lindo come l'assenza di memoria, Aiden riprese a parlare. E così, ammetteva di nascondere altri segreti, e di farlo, all'apparenza, per il suo bene. Quante cose si prodigava di fare per il suo bene!, pensò sarcastica, così da ignorare quanto quella dichiarazione l'avesse toccata in un punto debole. Jolene comprendeva perfettamente la volontà di tenere al sicuro i propri cari, ma per qualche ragione la infastidiva che Aiden si prendesse cura di lei allo stesso modo e, soprattutto, che ciò comportasse un controllo sulle sue conoscenze. Era probabile che, se solo quella conversazione si fosse svolta in toni più pacati, Jolene non avrebbe trovato le preoccupazioni di Aiden altrettanto problematiche e, di conseguenza, si sarebbe mostrata più collaborativa. Ma ciò che più di tutto la colpiva ora non era l'affetto di lui, né le sue buone intenzioni, né tanto meno il suo ruolo di Auror che, se avesse avuto un qualche collegamento con la diffidenza verso Rowena, avrebbe contribuito ad allarmarla ancora di più; al contrario, in quel momento Jolene si sentiva soffocata e privata della fiducia che credeva di meritarsi.
«A me sembra che tu voglia controllarmi perché non ti fidi di me, Aiden.» Lo disse che nella sua voce c'era una nota troppo accentuata di debolezza, un tremolio che tradiva più di quanto avrebbe voluto. «Perché se ti fidassi mi diresti direttamente cosa non ti piace di Rowena, e perché la ritieni così pericolosa. Ma evidentemente non mi vuoi mettere al corrente. Sai cosa? Va bene.» Sputò quelle due parole come se le volesse allontanare da sé, al pari dell'intera faccenda. La rabbia si stava tingendo delle note più cupe di un dolore che assomigliava troppo alla cedevolezza, e nel far raschiare la sedia contro al pavimento Jolene intendeva scappare da tutto ciò. «Non credo di voler andare avanti in questa conversazione. Tu non mi vuoi ascoltare e io...» Ma scosse la testa, incapace di finire mentre già si alzava in piedi. Non aveva preso più di un sorso o due di vino, ma non avrebbe sopportato un momento di più in quella condizione. «Non sono venuta qui per questo, e scommetto che nemmeno tu. Ma se litigare è il meglio che possiamo fare, tanto vale salutarci.» Non attaccava più, Jolene, aveva perso l'aggressività diretta che le aveva strappato parole dure poco innanzi. Tuttavia, il suo tono attuale era quasi peggio, greve scorreva le sillabe troppo rapidamente, come se avesse fretta di andarsene prima di perdere qualcosa di importante.
Indugiò ancora per poco, sentiva che alle emozioni tumultuose che la scuotevano si aggiungeva anche il crescente fastidio per tutti quegli occhi sconosciuti puntati su di lei. Ma non li degnò nemmeno di uno sguardo, non lasciò nemmeno per un momento il viso di Aiden. Aveva sempre riconosciuto la sua bellezza, ma in quel momento le sembrava brutto, come un foglio che conservasse le pieghe di quando era stato violentemente stropicciato – quello gli avevano fatto le smorfie furiose. Le sembrò anche vecchio, almeno quanto si sentiva lei in quel momento di estrema pesantezza. Non voleva più vederlo così, faceva troppo male.
«Ciao» fu l'ultima cosa che disse prima di girarsi verso l'uscita. Non si sarebbe fermata, si disse. Nemmeno se lui avesse tentato di dissuaderla, nemmeno allora avrebbe ceduto, e anzi avrebbe proseguito verso la porta, per oltrepassarla senza voltarsi nemmeno una volta. Non voltarsi era essenziale, era tutto ciò che avrebbe nascosto il suo viso tirato e bianco, carico di cose che non voleva dire, di emozioni cui non intendeva abbandonarsi. Cacciò le mani tremanti nelle tasche.


I know the pieces fit
'cause I've watched them fall away.
 
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view post Posted on 11/1/2021, 12:38
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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~ Per il continuo cliccare qui.

 
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