Quando Jolene fece il suo ingresso, dalla sua andatura non si sarebbe detto che era in ritardo. Ne era inconsapevole, infatti, avendo completamente perso la cognizione del tempo. Non portava orologi con sé, e aveva calcolato solo sommariamente i minuti che le ci sarebbe voluti per percorrere il tragitto da casa propria fino al
Draft House. La donna era un'apparizione ingannevolmente vivace nell'azzurro della giacca e il rosso dei capelli, ma tra quei due bei colori fluttuava un viso pallido e spento, che ancora risentiva di molte notti insonni. Spinse le mani più a fondo nelle tasche, rimpicciolendo ulteriormente la sua figura già minuta, ormai aguzza. Si guardò intorno, e non le fu difficile scorgere Aiden prima ancora che un qualche cameriere avesse modo di accoglierla: con capelli e barba come quelli dell'uomo, era difficile passare inosservati. Jolene, tuttavia, esitò il tempo di qualche respiro. Era la prima volta che lo vedeva dopo tanto, tanto tempo – un tempo stirato e allungato all'inverosimile, giorni e settimane piegati in spirali interminabili che ora assomigliavano ad una stretta e ripida scala a chiocciola da risalire, ora ad uno scivolone in profondità che nessuno avrebbe mai desiderato esplorare. Durante tutto quel calvario, Aiden era stato lontano; come chiunque, del resto, ciascuno interrato nel proprio personale dolore, così totalizzante da non lasciare spazio per chicchessia. Per questo, quando aveva ricevuto la missiva dell'amico, Jolene se la era rigirata tra le mani per interi minuti prima di convincersi ad aprirla. Aveva qualcosa di rischioso, riprendere i contatti dopo un tempo del genere, oscurato com'era dalla lunga ombra di Hogsmeade; e Jolene, che ultimamente aveva paura di moltissime cose, aveva scoperto di temere il confronto più di molti demoni strettamente individuali.
Non sapeva ancora con quali parole esordire, quando infine si riscosse e cominciò a coprire la distanza che la separava dal tavolo di Aiden. Meno venti passi, meno diciannove. Quanto fingere di stare bene? Lui, tra tutti, avrebbe potuto capire se non si fosse sforzata. Dal lato opposto, però, non sarebbe stato da egoisti non tentare nemmeno un po' di tirarlo su di morale? Meno dieci, meno nove. Ormai poteva vedere i dettagli del suo viso, la sua aria disordinata ma curata, più di quanto appariva lei. Divenne acutamente consapevole dei propri capelli, che portava legati in una coda bassa, le ciocche che sfuggivano e di tanto in tanto andavano ricacciate dietro le orecchie; e la totale assenza di trucco sulla sua faccia, e i jeans che non stavano bene con il colore della giacca, e il maglioncino grigio che non aveva tentato di ravvivare nemmeno con una collana. Erano queste futilità, le sue preoccupazioni.
Meno tre passi, meno due. Si fermò davanti alla sedia libera, le mani ancora in tasca, l'espressione indecisa su qualcosa che somigliava ad un sorriso. Aiden le tolse l'imbarazzo di parlare per prima, ma il suo tono non era incoraggiante.
«Ehi», mormorò, rimanendo in piedi per una frazione di secondo di troppo. Non sapeva che cosa si fosse aspettata – ma, ora che il suo corpo si bloccava in un'inutile attesa, si rese conto che, qualsiasi fossero state le sue idee, non avevano contemplato quell'accoglienza così fredda. L'Aiden che conosceva l'avrebbe abbracciata, avrebbe fatto qualche battuta delle sue. Solo che, certo, nemmeno lei era la Jolene di allora.
«Sono in ritardo, davvero?» Genuinamente stupita, Jolene scostò la sedia e ci si lasciò cadere sopra.
«Scusami. Non ho un orologio con me.» Rimase in silenzio per qualche secondo, non sapeva cosa aggiungere. Se solo avesse scorto in Aiden un barlume di emozione, le sarebbe stato molto più semplice sciogliere il nodo in cui sentiva di essere aggrovigliata tanto nel corpo quanto nei pensieri. Ma, per quanto vi fissasse sopra il proprio sguardo, non riusciva a riconoscere nel volto di lui niente che potesse somigliare a sincerità.
«Ah, già, il lavoro...» Disse, mentre venivano raggiunti da un cameriere. L'uomo posò di fronte a loro due calici e una bottiglia di Chianti, che si apprestò poi ad aprire. Jolene rimase in silenzio per tutto il tempo che quello impiegò a versare il vino, rispondendo con un piccolo sorriso al suo successivo congedo. Era strano sentire così distintamente i suoni del locale quando era in compagnia di Aiden, di solito le loro voci coprivano il resto. Si affrettò allora a proseguire:
«Sono tornata a Hogwarts non molto tempo fa, dopo la pausa. È più tranquillo di quanto mi aspettassi, in realtà. Quasi nessuno degli studenti era presente. Sicuramente al Ministero le cose saranno diverse». Lo guardò, sperando che quell'accenno potesse sbloccare qualcosa.
Nel mentre, prese il suo calice, e cominciò a far roteare il vino al suo interno. Vi fissò lo sguardo per qualche istante, come se trovasse incredibilmente interessante il suo borgogna profondo. Ma poi sollevò gli occhi di scatto, in un guizzo di energia che d'un tratto la rese decisa.
«Non voglio chiederti come stai, perché nemmeno io vorrei rispondere. Ma, Aiden, per quanto anche io abbia avuto bisogno di quel tempo da sola, per riprendermi... Ecco, sono contenta di rivederti.» Quando sorrise, questa volta, era sincera.
«Non ho mai parlato con nessuno di cosa è successo, non per intero. Nessuno che non sia stato lì potrebbe capire, non credi? E mi dispiace, perché forse tu ne sarai pieno fin sopra i capelli, e vorrai che questa sia solo un'uscita tranquilla, dopo tanto tempo, e avresti ragione, ecco...» Si interruppe, perché nemmeno lei sapeva dove volesse arrivare. Ma Aiden avrebbe capito: avrebbe letto la sua confusione, e tutto ciò che vi era dietro, e vi sarebbe stato complice. Non poteva essere diversamente.