Timeless, Privata

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view post Posted on 13/11/2020, 14:30
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Jolene White

infermiera | 21 anni | in un piovoso pomeriggio londinese




Londra sembrava più piccola, sotto alla coltre di grigio uniforme che, come una coperta intessuta di nubi, dava l'impressione di poggiare sulle costruzioni più alte, così vicina al suolo. I suoni stessi acquistavano una qualità peculiare, o forse era la mente ovattata di Jolene a percepirli in maniera diversa – fatto sta che il ticchettio dei suoi stivaletti contro al marciapiede le arrivava sordo, come attutito dall'aria in cui già si respirava la pioggia imminente. Jolene avanzava spedita e anonima, nulla che potesse distinguere la sua figura da quella di qualunque altro londinese di passaggio – un paio di jeans, un triangolo di dolcevita beige che si intravedeva sotto al cappotto lungo. Appena un po' insolito, un basco nero poggiava sulla massa vivace dei capelli, che aveva lasciato sciolti sulla schiena.
Si trovava dalle parti di East End, che nemmeno il più uggioso dei pomeriggi infrasettimanali poteva svuotare dei passanti. Diretta verso alcuni dei suoi negozi preferiti, Jolene non aveva, per le successive ore, prospettive diverse da una normale quanto soddisfacente sessione di shopping; così, quando decise di imboccare una stradina laterale e più solitaria, la sua unica intenzione era di farne una scorciatoia, un semplice punto di passaggio sul quale non trattenersi troppo a lungo.
Passò accanto ad un paio di bar, poi ad una piccola pasticceria davanti alla quale un cameriere stava aprendo i grossi ombrelloni a protezione dei tavolini esterni, ma presto si ritrovò ad essere l'unica persona in vista. Ora, ai suoi fianchi scorrevano vecchi negozi dall'aria abbandonata – quando le serrande non erano abbassate, le vetrine polverose si aprivano su interni non illuminati. Non c'era più il chiacchiericcio tipico della capitale ad accompagnare i suoi passi, anzi, a ben ascoltare, non si sentiva proprio nessun rumore. Inizialmente, non vi fece caso; ma la strada si stava rivelando più lunga di quanto avrebbe pensato, e allora cominciò a temere di aver sbagliato ad imboccarla. Non voleva tornare indietro, tuttavia, dicendosi che avrebbe potuto prendere la prima svolta che le si fosse presentata.
Così, quando il cielo infine cedette e le prime, grosse gocce di pioggia le picchiettarono sul cappello e sulle spalle, un paio anche sulle ciglia, Jolene stava ancora percorrendo quella stradina desolata. Ebbe appena il tempo di rammaricarsi di non aver portato un ombrello, o di non aver quantomeno coperto i vestiti con un Impervius, che si ritrovò nel mezzo di un acquazzone vero e proprio. La pioggia ora formava una cortina attraverso cui le costruzioni circostanti apparivano sfocate, immerse com'erano nella penombra di un cielo sempre più coperto. Lo scroscio dell'acqua diveniva via via più assordante, anche se, al di sotto di esso, si udiva come una pigra melodia distante. Jolene si chiese da dove provenisse, e se ci fosse sempre stata, ma il suo obiettivo primo era di trovare un riparo. Cominciava già ad inzupparsi, un brivido di freddo le corse lungo la schiena a dispetto della mancina stretta intorno al bavero del cappotto nel tentativo di coprirsi meglio. Si guardò intorno, ed in effetti, qualche metro di fronte a lei, la sporgenza di un tetto ritagliava un rettangolo di marciapiede asciutto in cui potersi stringere.
Lo raggiunse di corsa, tirando un sospiro di sollievo. Si scostò dagli occhi alcune ciocche bagnate, e al contempo si rese conto che la musica che le era sembrato di udire era ora più forte. Dette le spalle alla pioggia, sollevando gli occhi sulla costruzione che le aveva offerto riparo: sorprendentemente, questo sembrava l'unico negozio non abbandonato dei paraggi. La vetrina, ad ogni modo, doveva aver accumulato la polvere di anni interi, tanto che i bordi dei riquadri di vetro in cui era suddivisa apparivano quasi neri. Si riusciva, comunque, a scorgere l'interno, illuminato in tonalità calde. Una manciata di candele bruciava proprio davanti alle vetrine, creando ombre mutevoli intorno agli oggetti in esposizione: alcuni libri dall'aria antica – riconobbe titoli in latino, francese e inglese arcaico, ma c'erano anche lingue che non conosceva –, alcune porcellane dalle fini decorazioni di un blu brillante, un candelabro di cristallo che a sua volta reggeva altre candele, bianche come spettri. La musica proveniva dall'interno: note malinconiche senza parole, eleganti ed incantevoli nel mescolarsi alla pioggia battente, che sembrava quasi scandirne il ritmo.
Affascinata e oltremodo incuriosita, Jolene tirò indietro la testa per cercare un'insegna; a malapena leggibile in lettere che un tempo dovevano essere state dorate, scorse la scritta Antiquerie. Prima di approssimarsi alla porta, Jolene osservò ancora la vetrina. L'ambiente all'interno sembrava tanto ingombro quanto confusionario, all'apparenza deserto. Ma lo era davvero? Si avvicinò per guardare meglio, il naso che per poco non sfiorava il vetro. Strizzò gli occhi, cercando di scorgere qualcosa di più attraverso lo strato di polvere.



Si potrebbe avere il titolo in grassetto e corsivo, per piacere? :fru:

Edited by Unconsoled - 13/11/2020, 14:58
 
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view post Posted on 14/11/2020, 19:53
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Lucien Cravenmoore

mezzosangue | 25 anni | piovosa capitale britannica



La capitale britannica era forte di un'attrattiva senza eguali, che la rendeva meta principale tra maghi e babbani di ogni età, etnia ed estrazione sociale. Non aveva mai deluso le aspettative di Lucien -le volte in cui vi aveva perso i sensi, annebbiati dalle caleidoscopiche luci e dalle innumerevoli attrattive offerte. Al punto da averla presa in considerazione come meta di trasferimento, qualora il suo destino non fosse stato di mettere radici a Hogwarts o, nell'eventualità più compiacente, di ritagliarsi uno spazio dove rifugiarsi quando possibile. Aveva qualche contatto (vecchi conoscenti o compagni di scuola) ed i motivi che spingevano il mago a materializzarvisi spesso erano riconducibili a queste persone, perlopiù, oltre che per eventuali acquisti di ingredienti per le sue pozioni. Con il passare del tempo egli aveva imparato ad apprezzare ogni sfaccettatura di quella città cosmopolita e multiculturale, apprezzandone sia la fetta magica che quella babbana.
Ed era proprio la seconda ad animare i suoi passi, quel pomeriggio uggioso dove la consueta coperta di soffici nubi avvolgeva la capitale. Vecchie pozzanghere riflettevano il suo incidere sicuro ed affettato, regalandogli sfumature argentee a seconda delle angolazioni; l'aria si era fatta più gelida e perle d'acqua avevano preso a capitolare dal cielo fumoso.
Costretto a spostamenti scomodi e lunghi, per quelle che erano le sue abitudini, Lucien affrettò il passò quando avvertì la capigliatura farsi pesante per l'acqua, ma decelerando sensibilmente quando notò una figura di spalle stazionata di fronte ad Antiquerie. Il suo sguardo si assottigliò quando carpì la massa ramata che percorreva la schiena fine della figura femminile. Un fremitolo bersagliò nel petto nerboruto, come sempre accadeva quando scambiava una chioma vermiglia per quella di lei. *Impossibile* si disse, come sempre. Ormai le vesti babbane che gli coprivano il corpo (una semplice felpa petrolio e un paio di jeans consunti) erano zuppi, ma gli stivali resistevano al composto chimico, pressando le pozze che lo separavano dal negozio di antiquariato. La sua sagoma prese forma in un riflesso nebuloso nella vetrina rimirata dalla ragazza e, man mano che si avvicinava, avrebbe tratteggiato con maggior precisione i tratti fisiologici del mago. Al contempo, però, anche il riflesso della giovane si fece più vivido agli occhi color ghiaccio di Lucien. *Possibile...?* Un vortice di pensieri gli attraversò le sinapsi ed una consapevolezza si fece largo dentro di lui, assieme ad un calderone di emozioni che non riuscì a catalogare.
«Sebbene abbiamo entrambe sangue babbano che ci scorre nelle vene, ammetto che tra tutti i luoghi possibili, mai avrei pensato di rivederti qui, jolene.»
*E nemmeno di rivederti, dopo tutto questo tempo.* ma questo lo tenne per sé. Frappose pochi centimetri tra i loro corpi roridi, specchiandosi a sua volta nella vetrina impolverata e notando quanto il tempo non fosse stato clemente con le dissonanze di statura. Eppure il volto di Jolene tradiva quei quattro anni intercorsi, votandola ad una maturità che, era certo, non si limitasse al mero aspetto. Le sorrise come si faceva con una persona cara che si era stupiti ed al contempo enormemente felici di ritrovare.
«Ah, devo dire a Jacques di illuminare meglio questo posto.» borbottò tra sè, come se non avesse mille cose da dire all'ex concasata appena rivista. Esse brulicavano nel suo cranio come farfalle impazzite, ma riteneva necessario un luogo più asciutto ed appropriato per intavolare una conversazione degna di un momento assurdo come quello.
Circumnavigò l'esile figura di Jolene spostandosi alla sua destra, muovendo la mancina sulla maniglia scrostata della porta per aprirla, lasciando che un cigolio strascicato si unisse al canto della pioggia battente. Fece dunque cenno alla strega di entrare e così fece a sua volta, lasciando che l'odore di polvere e vecchio gli raschiasse le narici.
L'interno del negozio si presentò caotico e ricco di oggetti impilati gli uni sugli altri -taluni in bilico- illuminati da rade candele disseminate negli angoli più disparati. Non appena la loro presenza si fece udire, dall'ombra apparve un uomo dal fisico allampanato, il volto dai lineamenti asimmetrici e un naso adunco e leggermente storto.
«Che mi venga un colpo, Lucien! Sei proprio tu! Oh, ma vedo che sei in compagnia..»
La voce, degna di un doppiatore, fendette il silenzio. Lucien gli restituì il sorriso, inclinando appena il capo e passandovi sopra la mano per constatare quanto i capelli si fossero bagnati. «In carne ed ossa, zio. Scusa se non mi sono fatto vivo per un pò, ma sono stato parecchio indaffarato. La mamma ti porta i suoi saluti e...»
No, non aveva minimamente dimenticato Jolene e questo avrebbe potuto appurarlo lei stessa visto che, da quando si erano introdotti nel negozio, le aveva staccato gli occhi di dosso solo per accogliere l'arrivo di Jacques. Un pò, comunque, equivaleva all'incirca a due anni.
«Jo, ti presento Jacques Dubois, proprietario di questo negozio d'antiquariato nonché mio zio.» le rivelò con un ghigno indicando il parente con il braccio teso. «Zio, lei è Joline White, mia vecchia compagna di scuola cara amica.» Gli oggetti custoditi in quell'antico negozio parevano osservare silenziosi le premesse atte da Lucien. Negli anni passati aveva avuto modo di parlare con la ex concasata della fetta babbana della sua famiglia perciò era facile che ricordasse che sua madre era una babbana e, pertanto, anche l'uomo che li aveva accolti. Nessuna stilla di magia permeava nell'Antiquerie, ma ciò non voleva dire che non fosse un luogo estremamente interessare e ricco di sorprese.

 
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view post Posted on 17/11/2020, 23:03
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Jolene White

infermiera | 21 anni | in un piovoso pomeriggio londinese




Non era semplice scorgere i dettagli dell'interno attraverso i vetri opachi. Per una manciata di secondi non vi furono movimenti che potessero attirare la sua attenzione, ma, quando ciò avvenne, inizialmente pensò che il mutamento avesse luogo dall'altra parte della vetrina. L'illusione venne presto smentita, tuttavia, e le divenne chiaro che quello che stava guardando era un riflesso: un uomo si stava avvicinando, tratteggiato in contorni che, per quanto sfumati dal gioco di specchi, avevano in sé qualcosa di stranamente definito. Non era riconoscimento, non in quell'istante; tuttavia, qualcosa si era già mosso nella coscienza della White, attirata inconsapevolmente dalla familiarità che anche delle sagome sanno risvegliare, quando appartenenti a persone che abbiamo conosciuto a fondo. Il segreto stava in quelle proporzioni che difficilmente cambiano, perfino a distanza di anni, e nell'andatura – sai riconoscere i tuoi compagni di Casata chiudendo gli occhi, solo ascoltando i loro passi? –, o, forse, in qualcosa di meno definibile ancora.
Fatto sta che, quando quella figura solitaria fu abbastanza vicina da distinguerne il volto, Jolene ebbe la strana sensazione che sì, non avrebbe potuto trattarsi che di Lucien, e in qualche modo lo aveva saputo fin dal primo momento in cui lo aveva scorto. Non si voltò immediatamente ad accogliere il suo arrivo; trascorse pochi istanti a fiancheggiarlo, semplicemente, e guardarlo solo attraverso il suo riflesso. Le reazioni di Jolene venivano rallentate da una sorpresa totale, assolutamente spiazzante, mentre i suoi ricordi correvano lungo interi anni di quella che forse era stata la sua amicizia più importante ai tempi della scuola, e poi approdavano al periodo, ancora più esteso, di assenza. Quanti anni aveva quando si era rassegnata all'idea che lei e Lucien non avessero più nulla da dirsi, e che fossero ormai relegati uno al passato dell'altra? Sedici, forse diciassette, ovvero quasi due anni dopo che avevano smesso di sentirsi. E poi, così, dal nulla, una vecchia vetrina polverosa rievocava il suo fantasma per piazzarglielo proprio accanto, al punto che, se solo si fosse inclinata un po', avrebbe potuto sfiorare la sua spalla con la propria.
Quando parlò, la sua voce era come se la ricordava, e non aveva niente di spettrale. Lui era lì in carne ed ossa, naturalmente, e quando Jolene smise di dargli il profilo per guardarlo senza la mediazione del suo riflesso, si rese conto che riconosceva anche il sorriso. Le venne naturale ricambiarlo, anche se non si poteva dire lo stesso per il verbo, che sembrava essersele incastrato in gola. «Ciao», si risolse a dire, banalmente, e non era mai stata tanto consapevole della sua voce sottile e quasi infantile come in quel momento, quando, per abitudine, divenne acutamente consapevole di essere la più giovane dei due.
Proprio come ai tempi della scuola, Lucien sembrava ancora il più ancorato a terra. Borbottò qualcosa di un certo Jacques, poi aprì la porta dell'antiquariato e fece cenno a Jolene di entrare. Lei si mosse automaticamente, immersa in una sensazione di irrealtà che il curioso ambiente interno non fece che accentuare. La polvere le solleticò le narici, mentre il tepore in cui era immersa la sala fu un immediato sollievo per la sgradevole sensazione di vestiti zuppi. Jolene aveva un aspetto un po' disordinato, con ciocche di capelli attaccate alle tempie e il basco di sbieco per la corsa; sentì che la temperatura più alta le faceva tornare un po' di colore sulle guance.
Non sapeva come dividere la propria attenzione tra il negozio così curioso, la figura sconosciuta di Jacques, e Lucien, il cui sguardo si sentiva incollato addosso. Alla fine, quando questo la presentò allo zio, il sorriso che Jolene gli rivolse era raggiante: superata l'iniziale sorpresa, si scopriva felice. «Piacere di conoscerla, signore. Ha un negozio incantevole, ho visto la vetrina e non potevo più staccare gli occhi.»
«Ti ringrazio, ma ti prego, chiamami Jacques. Mi basta quello che vendo, non voglio sentirmi antico anche io. Ma voi due avete preso la pioggia, vero? Restate qua, vi preparo qualcosa di caldo da bere, prima che vi venga un accidenti.» Sorprendentemente rapido in quell'ambiente labirintico, Jacques scomparve in una porticina incastrata tra due enormi pile di libri.
Rimasta sola con Lucien, Jolene si rese conto che la musica che aveva sentito all'esterno era presente anche qui, e che, anzi, proveniva da un bel grammofono semi nascosto tra mille altri oggetti polverosi. Vi si avvicinò, e nel farlo passò accanto al ragazzo; ma non lo guardò ancora, concentrata sulla rotazione del largo disco, sfumature concentriche di ombra che danzavano rapidamente sotto alla puntina, mentre questa dava vita alle loro note. Il piano era delicato, gli archi parlavano con dolcezza di un pomeriggio di pioggia, proprio come quello. A destra del grammofono erano impilati alcuni dischi, tra cui Jolene cominciò a curiosare.
A dispetto del suo apparente distacco, in quel momento era incredibilmente allegra. Rivedere Lucien le faceva piacere più di quanto sapesse esprimere, e fu attraverso un sorriso involontario che parlò poco dopo: «Questo posto è così affascinante, non me ne avevi mai parlato. Quante probabilità c'erano che passassimo di qua nello stesso momento? Devo ringraziare la pioggia, immagino». La voce arrivava leggermente attutita, visto che al momento era intenta ad esaminare i dischi e stava dando le spalle all'altro. Ma, anche così, ogni parola era come un allegro tintinnio di monete. «Ho voglia di ballare. Questa musica non ti fa venire voglia di ballare? Ma di solito ci si racconta cosa si ha fatto per tanti anni, forse è meglio cominciare così. Non è da tanto che sei a Londra, vero?» Solo allora girò il viso, piegando il collo per riuscire a inquadrare la figura di Lucien. Era rimasto così simile ai tempi della scuola, eppure non mancavano i cambiamenti, alcuni più sottili di altri. Lo guardò con attenzione in volto, gli occhi che brillavano di tutta la curiosità di riscoprire un affetto ritrovato; si chiese come fosse cambiato il suo carattere, se lo avrebbe ancora riconosciuto come quello di così tanti anni addietro. Gli sorrise.

 
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view post Posted on 18/11/2020, 14:36
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Lucien Cravenmoore

mezzosangue | 25 anni | piovosa capitale britannica



Talvolta si ha la percezione che il tempo scorra cosi rapidamente da perdere la ricettività ad ogni stimolo al quale si viene sottoposti. Numerosi, rapidi, lì si accoglie come l'istinto suggerisce e si ha appena il tempo di reagire che uno nuovo irrompe con irruenza.
Questa consapevolezza si era insidiata a forza nella psiche del mago da tanti anni eppure riusciva ancora a sorprendersi per l'imprevedibilità dell'esistenza e di come, nonostante le numerose opportunità, non sempre gli riuscisse di reagire come avrebbe desiderato.
Senza una risposta ad un quesito senza voce, Lucien non aveva bombardato Jolene con domande che, in seguito, avrebbe posto lei a lui, ma aveva cercato di prendere in mano la situazione esattamente come avrebbe fatto se quell'incontro si fosse svolto tra le mura di Hogwarts otto anni prima.
Stoicamente, e senza averne coscienza, l'istinto lo aveva persuaso a rapportarsi alla strega come se il tempo intercorso non fosse stato che un'illusione. Ma le cose non stavano così e più ne osservava i mutamenti fisici maggiore era il desiderio di fare un passo indietro e comportarsi in maniera più prevedibile.
Ora erano entrambi adulti ed il divario d'età che un tempo si era mostrato così inflessibile nel loro rapporto, non era più un ostacolo bensì qualcosa di così poco conto da non essere nemmeno contemplato.
La rimirò mentre prendeva confidenza con l'ambiente curioso del negozio che l'ex Corvonero riteneva essere perfetto per un tipo come lei: ogni oggetto esposto aveva una propria storia ed una come Jolene di sicuro avrebbe inventato la più fantasiosa.
Zio Jacques si mostrò gentile e generoso con entrambi e bastarono poche parole per mettere in chiaro la sua discendenza babbana. Anche se non gli rispose oralmente si, era palese che entrambi avevano preso la pioggia. Le loro figure e gli abiti che indossavano ne erano muti testimoni ed un mago avrebbe estratto la propria bacchetta e castato un banale incantesimo per asciugarsi invece che "preparare qualcosa di caldo da bere" e quel qualcosa sarebbe stato del Whisky Incendiario.
«Grazie, zio. Sarebbe l'ideale.» visto che non avevano la possibilità di sistemarsi alla vecchia maniera. Lucien era cresciuto attorniato da babbani ma il periodo più lungo di formazione personale lo aveva trascorso tra maghi e streghe. Conosceva gli usi e costumi, sapeva come farsi passare per uno di loro, ma appena gli era possibile abbracciava le tradizione della metà sanguigna che prediligeva.
Osservò il parente sparire dietro una porticina e tornò a dedicarsi a Jolene, come un giocatore di scacchi interrotto nella partita più interessante della sua carriera. Com'era prevedibile, la curiosità aveva avuto la meglio facendola sprofondare in un'indagine appassionata di alcuni dischi in vinile dall'aria giurassica. La litania evocata dal grammofono pareva riproporre il loro incontro in chiave musicale, in perfetta armonia con l'aria antica che animava l'antico negozio impolverato. Lucien stava passando l'indice su due dita di polvere che oscuravano i testi di un menù di un'antica locanda quando la voce fine di Jolene ricatturò la sua attenzione. Ne scorse il sorriso e si sentì infervorato.
«Quante probabilità c'erano che avremmo calpestato un suolo babbano assieme, terminati gli studi?» la scimmiottò esponendo un concetto veritiero quanto pesante. Infondo, entrambi avevano sempre saputo in cuor loro che lasciare Hogwarts avrebbe equivalso a venir trascinati dal vortice di opportunità offerte a chi si affacciava per la prima volta nel mondo adulto. Molte volte Lucien si era domandato se si fossero trovati allo stesso anno, studiando le stesse cose e spronandosi a vicenda, magari non avrebbero trovato un canale per restare più in contatto, come la stessa città in cui vivere o la stessa professione. «Eravamo immersi nel presente, in un contesto magico, la componente babbana delle nostre vite era così sottile da inserirsi di rado nei nostri discorsi.» continuò, offrendo una sorta di motivazione al fatto di non averle mai parlato del fratello di sua madre. Conoscendo a fondo i due mondi, a differenza dei purosangue che di uno ne potevano avere una conoscenza sommaria almeno finché non decidevano di trasferirsi in luoghi abitati app da babbani, sorgeva spontaneo parlare quasi esclusivamente di magia e tutto ciò che la riguardava.
«Perciò, non avendotene mai parlato, considerando le cospicue dimensioni di questa città e tutta una serie di componenti, io più che ringraziare la pioggia ringrazio il destino.» capendo dalle parole della rossa che, a differenza sua, doveva essersi trovata lì per caso, scosse anche il capo divertito da quel meraviglioso scherzo del destino.
Mosse qualche passo verso di lei, attento a non scontrarsi con qualche oggetto. «Cosa te lo fa credere? Pensi che se mi fossi trovato a Londra da più tempo sarebbero state maggiori le possibilità di incontrarci?» domandò sardonico - più si faceva vicino, più si rendeva conto che per quanto risultasse ancora il più alto tra i due, ella si era alzata rispetto a come la ricordava. «Comunque hai indovinato. Sono ospite da un vecchio amico, alla ricerca di ingredienti per alcune pozioni. Mi sono messo in proprio con mio padre, sai? Siamo un'accoppiata vincente, abbiamo creato pozioni piuttosto elaborate, ma non ti nascondo che medito un cambiamento radicale nella mia vita lavorativa. Un cambiamento che spero mi riporterà a Hogwarts.» sottolineò le ultime parole per conferirvi la giusta importanza.
Con la coda dell'occhio notò la cera che colava copiosa da una candela impilata su dei vecchi tomi impolverati. Giunto a pochi centimetri da Jolene, senza darle tempo di ritrarsi le cinse i fianchi e l'alzò di qualche centimetro da terra, trovandola ancora molto leggera in termini di peso corporeo. Attento a non farle prendere contro alcun oggetto, la fece roteare un paio di volte, mostrandole la sua felicità nel rivederla con un sorriso caldo e sincero.
«Vuoi ballare? Balliamo! Almeno finché mio zio nom avrà fatto ritorno con qualche bevanda babbana in grado di scaldare più del nido di una fenice nel suo giorno di falò.» scherzò, mantenendo la presa salda sui fianchi esili della strega. «La canzone non si accorda ai miei gusti musicali, però. Ti andrebbe di cantarmi le cose più importanti che ti sono capitate in questi anni?»
L'imprevedibilità di Lucien trovava freno solo nel rischio di rompere qualche oggetto antico di suo zio, ma ad animare il suo spirito gaio, in quel momento, era l'enorme curiosità di scoprire chi fosse ora la sua compagna di avventure scolastiche. Perché era certo che il tempo non avesse fatto altro che renderla ancora più speciale di quanto ricordasse.

 
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view post Posted on 24/11/2020, 22:11
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Jolene White

infermiera | 21 anni | in un piovoso pomeriggio londinese




Quel giorno, Jolene era uscita animata da intenti assolutamente ordinari; sorprendentemente, invece, si ritrovava ad affacciarsi sulla meraviglia. Era meraviglia l'antiquariato, carico del peso di secoli passati e, ciò nonostante, animato da una vitalità concreta – un fascino che, come la musica, si insinuava tra carte vetuste e cimeli di epoche tramontate per spazzare via la polvere che ne appannava la superficie; ed era meraviglia l'incontro con Lucien, dopo così tanti anni di silenzio. Jolene lo ascoltava riflettere esattamente su quello, e la sua voce profonda faceva riemergere ricordi di così tante serate, così tanti pomeriggi in cui un cielo del medesimo grigio li aveva osservati non dalle vetrine di Antiquerie, ma dalle alte finestre di Hogwarts. Lucien era uno, ma per Jolene, in quel momento, era anche infinite memorie, mentre il ragazzo appena maggiorenne in divisa bronzo e blu si contendeva la realtà con il venticinquenne coperto da una felpa scurita dalla pioggia.
«Il destino sembra essere un grande fan di Coleman Hawkins» ribatté divertita, facendo scorrere tra le dita alcuni dischi del sassofonista. A dispetto del tono leggero, non poteva fare a meno di stupirsi delle coincidenze che avevano reso possibile quell'incontro. Si ritrovò a fantasticare di strani significati mistici: aveva sempre avuto il gusto dell'immaginazione, e le circostanze non potevano che incoraggiarla.
«Mi fai più egocentrica di quel che sono, Lucien» mormorò ai dischi di fronte a lei, sorridendo ancora. Le probabilità di incontrarlo per puro caso erano sempre state basse, non si illudeva. «L'ultima volta che ci siamo sentiti eri in Francia, a continuare gli studi di Erbologia. È passato molto tempo da allora, è vero, ma la mia mente è rimasta lì. E poi, da come vi siete salutati tu e tuo zio sembrava che non vi foste visti da un po'. Se vivessi in città credo che saresti qui dentro tutti i giorni dispari, o qualcosa del genere.»
Lei sicuramente non avrebbe perso occasione di recarsi in una simile grotta delle meraviglie, soprattutto se avesse saputo che un parente stretto le avrebbe dato il benvenuto. Il negozietto dello zio di Lucien le ricordava un po' la casa dei propri genitori: anch'essa carica di curiosi oggetti dalle provenienze più disparate, possedeva, in parte, il medesimo fascino disordinato che veniva dalla sensazione di poter scoprire, da un momento all'altro, un tesoro cui nessuno prima aveva dato l'importanza che realmente meritava. Eppure, rifletté, anche lei si era allontanata dalla piccola villetta di famiglia, per quanto essa potesse dare l'impressione di contenere tutto il mondo tra le sue quattro mura. Era innegabile che Jolene trascorresse più tempo a Hogwarts che a Londra, e che la vita più propriamente sua aveva sede tra le lande scozzesi. Quando queste ultime vennero nominate da Lucien, Jolene lo guardò con tanto d'occhi. Anche lui, dunque, avrebbe lavorato a Hogwarts? Era possibile che tornassero entrambi sullo sfondo che li aveva visti crescere?
Non ci fu tempo di elaborare quel pensiero, perché venne travolta dall'esuberanza dell'altro. Ne nacque una risata spontanea, calda di allegria, quando Jolene posò le mani sulle spalle del ragazzo per non compromettere il loro equilibrio mentre giravano una, due volte. Sentì la testa leggera e il petto ancora di più, al pari di una bambina. Sotto alle lentiggini, un velo di rosso le copriva le guance, ma non era imbarazzo: Jolene, infatti, scoprì il proprio comportamento molto più naturale di quanto avrebbe potuto essere otto anni addietro. Allora non sarebbe stata in grado di guardare i suoi occhi così da vicino senza sentire l'esigenza di distogliere i propri dopo pochi secondi, ma nel presente non vi furono esitazioni, né timidezze, mentre si soffermava sul volto del vecchio amico. Se prima si era sentita trascinata indietro nel tempo, in quel momento si rese conto di essere cresciuta.
«D'accordo, ti concedo un canto.» Dovette mordersi le labbra per non scoppiare a ridere, mentre cercava le parole per improvvisare dei versi. Aveva un'espressione buffa, con le sopracciglia teatralmente aggrottate. «Il primo verso è il più importante, deve dire tutto in una parola... Cerotti!» Si illuminò. Quando poi cominciò a dondolare – più o meno – a ritmo di musica, una mano ancora sulla spalla di Lucien e l'altra che cercava le sue dita, si mise a cantilenare: «Cerotti, nasi rotti, tanti decotti. Bava di Gorgol a pizzicotti, son questi i giorni dell'infermiera...». Scoppiò a ridere: era terribile. Non sarebbe riuscita ad intornarsi alla melodia nemmeno se lo avesse voluto, le facevano male le guance dal ridere e solo dopo un po' fu in grado di prendere fiato e riprendere: «Dai, trovami una rima con Livorno. È lì che sono stata dopo i M.A.G.O., ho fatto due anni di tirocinio in ospedale».
Rimase in silenzio qualche istante, la mente che ancora macinava quanto detto dal ragazzo poco innanzi. «Come mai proprio Hogwarts?» domandò a bruciapelo. «Vuoi insegnare? Erbologia è sempre stata la tua materia, e anche Pozioni, ho ancora i tuoi appunti da qualche... Oh!» In quella sorta di ballo, urtò per sbaglio un basso mobiletto, che, già sbilenco, ondeggiò fino a far cadere a terra l'orologio che fino ad allora era rimasto proprio sul bordo. Vi fu un gran tonfo quando l'oggetto colpì il pavimento.
«Oh, no, no, mi dispiace, Merlino...» Mortificata, Jolene si staccò da Lucien per potersi abbassare verso l'orologio. Sembrava ancora intero, tuttavia Jolene ritrasse le mani prima di raccoglierlo. «È normale che faccia così?» Il suo tono, gioioso fino a qualche attimo prima, era ora puro panico, e a ragione: l'orologio – da taschino, di un bell'ottone brunito e meravigliosamente decorato – aveva preso ad emettere dei ticchettii così furiosi che si sarebbe detto indignato per il trattamento subito. Ciò che era peggio, tremava ad ogni spostamento della lancetta dei secondi, sobbalzando per terra come a singhiozzi. Jolene era letteralmente terrorizzata. «L'ho rotto, vero?»

 
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view post Posted on 25/11/2020, 15:17
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Lucien Cravenmoore

mezzosangue | 25 anni | piovosa capitale britannica



Non sempre sfiorare qualcosa appartenuto al proprio passato era semplice. Si poteva finire per toccare tasti induriti dal peso delle scelte, in una diramazione infinita fatta di "se", "ma", "forse" e "però". Spesso richiedeva coraggio o un semplice atto di fede ma per fortuna, nel caso di Jolene White, Lucien non riusciva a discernere fatti tristi o negativi da un corollario di vissuto comune felice ed appagante (sperava) per entrambi.
La realtà dei fatti lo voleva cieco di fronte a ciò che aveva rappresentato per quella ragazzina dolce come il miele e buffa come una Puffola Pigmea, rispetto alla piena consapevolezza (ed allo sfruttamento della stessa) che aveva ai tempi della scuola. Era più comodo ripensare a quegli anni e a lei, nella fattispecie, selezionando solo gli episodi più positivi che si riusciva facilmente a ripescare nella memoria. Ascoltò cheto come la rosse fosse rimasta appigliata all'ultimo periodo in cui si erano scambiati fitte pergamene affidate a gufi maldestri mentre lui negli anni a venire non aveva mai smesso di chiedersi che fine avesse fatto la piccola Jo, facendosi promotore di buoni propositi nel riattivare i contatti che puntualmente, per un motivo o per un altro, non aveva mai concretizzato.
«In verità, sebbene per me questo negozio rappresenti una fonte di attrattiva che non mi è indifferente, se anche dimorassi a Londra spenderei più tempo in luoghi intrisi di magia come Diagon Alley e il Museo del Quidditch.» ammise scrollando le spalle, racchiudendo in un'unica frase quanto tra i due mondi che ben conosceva prediligesse quello magico. Non era un'informazione nuova per Jolene, dopotutto di tante cose avevano avuto occasione di confrontarsi durante quei sette anni di studi.
Molti degli oggetti esposti lo affascinavano, si era informato della loro storia attraverso lo zio e soprattutto dell'uso, laddove gli fosse sconosciuto. Ma per Jolene credeva fosse diverso perché lei aveva una vena sognatrice tale che riteneva potesse scrivere un libro di fantasiose supposizioni o usi alternativi, storie segrete e solo Merlino sapeva cos'altro riguardo ciascuno di quegli oggetti.
Le aveva sempre invidiato quella capacità di sognare ad occhi aperti e di lasciarsi stupire e trasportare dal mondo. Non sempre poteva essere una peculiarità positiva purtroppo, ma ugualmente la rendeva speciale ai suoi occhi.
Mentre la faceva volteggiare e ascoltava attento quel canto improvvisato, si ritrovò a ridere di gusto unendo le proprie risate alle sue. Tipico di Jolene, quella che ricordava, inserire puerili rime in un canto che altrimenti avrebbe potuto modularsi alla serietà della musica che aleggiava nella stanza. La vide muovere le dita affusolate nell'etere alla ricerca della sua mano, così la riportò a terra ed intrecciò la mancina nella sua.
Erano rare le occasioni in cui si era ritrovato a ballare; non era una materia di studio a Hogwarts e, che sapesse, il ballo era contemplato ed eventualmente insegnato solo in rare occasioni come eventi tradizionali (un esempio il ballo del ceppo in occasione del Torneo Tremaghi) e la sua famiglia non era abbastanza altolocata da presenziare a salotti di un certo livello che prevedevano la danza come elegante intrattenimento. In poche parole: non era per niente bravo e improvvisava maldestramente.
«Infermiera?» la sua fronte si aggrottò, domandandosi per un attimo se fosse corretto collegare la sua presenza a Londra e la sua professione al San Mungo, ma riflettè che nell'ospedale per ferite e malattie magiche operavano medimaghi, e che la parola infermiera la ricordava legata a.. «..a Hogwarts?» possibile che il destino li avesse fatti rincontrare quel giorno come presagio di un ritrovamento più consolidato e duraturo laddove la loro amicizia era principata?
Si pinzò la lingua con i canini mentre ragionava sulla richiesta della rima. «Livorno è dove hai salutato il giorno, ormai molto tempo fa, tante volte quante le lezioni apprese là, dove non credo farai più ritorno.»
Non l'aveva detto davvero. Se n'è vergognò all'istante, conscio di essere negato in quel genere di cose. Ad uno sguardo attento, si sarebbe potuto scongrere lo stiramento della mascella contratta a causa dei denti pressati con forza, uno dei segnali di impaccio del mezzosangue. Benedette Paracelso per quel cambio di rotta, affrettandosi a (ricomporsi) risponderle. «Ero tentato, ma temo non avrei abbastanza pazienza se le generazioni odierne sono anche solo vagamente come fu la nostra. In generale» si affrettò ad aggiungere visto che Jolene era sempre stata molto più tranquilla di lui sotto diversi aspetti ed essendoci passato, temeva come avrebbe potuto affrontare il trovarsi dalla parte opposta della cattedra. «Vorrei ottenere la carica di guardiacaccia. Sarebbe più nelle mie corde, potrei lavorare all'aria aperta, a contatto con la natura e le creature magiche, avrei tempo per dedicarmi alle mie passioni, il castello mi manca e l'idea di poter tornare ad abitarvi mi alletta da morire. Voglio anche tenere sotto controllo Safia, che pare stia diventando la versione esponenziale di me da studente. E poi...» fu sul punto di parlarle di suo padre, ma tentennò abbastanza perché un evento imprevisto si frapponesse ai suoi intenti.
Inavvertitamente Jolene urtò un orologio da taschino facendolo rovinare sul pavimento impolverato. I loro corpi si staccarono per gravitare verso l'oggetto apparentemente rotto. Lucien lo esiminò prendendolo in mano e scosse il capo con aria mesta. «Non me ne intendo molto, ma prima non produceva questo rumore..» perciò era ragionevole pensare che si fosse guastato o alterato in qualche modo.
Stava per aggiungere altro quando la voce di zio Jacques tornò ad inondare la stanza.
«Ehi ragazzo, non mi dire che sei riuscito ad aggiustarlo! Erano anni che quella cipolla non emetteva un suono, come hai fatto?!»
Inebetito, Lucien osservò il babbano avvicinarsi a loro reggendo un vassoio in policarbonato su cui troveggiavano due tazzine da Thè in porcellana finemente ricamate, la quintessenza dello stile inglese country, ispirate alle atmosfere di campagna di una volta.
«Ehm, è stato un caso.» farfugliò il nipote ma, a giudicare dall'aria di Jacques, sembrò che lo credesse un timido tentativo di modestia. «Che strano, perfino l'orologiaio che sta a Richmond lo aveva dato per causa persa. Lo avevo messo in vendita per i collezionisti, a cui non importa se sia funzionante o no, ma se ti piace te lo regalo. Ah, vi ho portato un po' di Thè fumante.» disse facendo cenno loro di raggiungerlo ed indicando con la gamba un paio di tavolini visibili solo se ci si posizionava vicino a lui, altrimenti oscurati dalla pila di oggetti. «Grazie zio, sei il migliore.»
Jacques sistemò il vassoio su uno di essi e Lucien notò oltre alla teiera e tazzine, anche un piattino con dei tipici butter cookies.
Si curvò verso Jolene, sussurrandole all'orecchio «Lo vuoi? In tal caso accetto l'offerta.»
 
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view post Posted on 2/12/2020, 12:35
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Jolene White

infermiera | 21 anni | in un piovoso pomeriggio londinese




Jolene si morse il labbro mentre, in un breve momento di silenzio, si soffermava con il pensiero sulla propria tendenza ad attribuire agli altri caratteristiche che appartenevano solo a lei. Lo aveva fatto in passato, ed era appena ricapitato quando, senza riflettere, aveva trasferito su Lucien la fascinazione estrema che l'antiquariato esercitava su di lei. Certo che ricordava quale fosse, tra la realtà magica e quella babbana, la prediletta del ragazzo; tuttavia, le veniva semplice scordarsi le distanze – le piccole ed insignificanti, come quella, così come altre, di ben maggiore importanza. Che Lucien fosse una persona diversa da lei in mentalità ed ideali lo aveva scoperto senza possibilità di dubbi ancora molti anni addietro, quando la constatazione l'aveva ferita più di quanto allora potesse esprimere. Pensava di aver imparato qualcosa, in tutto il tempo che era trascorso – un tempo che non le aveva risparmiato la propria natura mordace, e che la spronava a lasciare da parte gli errori da ragazzina. E poi si sorprendeva a fallire ancora in piccolezze come quella.
Ma non le piaceva la china per cui stavano scivolando i suoi pensieri, così li scacciò. Fu semplice: il negozio e Lucien riempivano tutta la sua attenzione, il buonumore la incalzava nei discorsi, nell'annuire all'ultima domanda del ragazzo – a Hogwarts? –, senza che per il momento desse grande importanza a quel particolare.
Lucien era un ballerino maldestro e Jolene – che pure possedeva, nei movimenti, una naturale leggerezza che si sarebbe potuta facilmente trasformare in grazia – non aveva interesse a prendersi troppo sul serio. Non le importava di essere buffa, o di rovinare, con la sua filastrocca, l'elegante fascino del disco. L'allegria era un incanto molto più potente, si tramutava addirittura in ilarità. Percepì l'impaccio di Lucien, ma continuò a ridere spensierata. «È terribile» pronunciò a voce alta il pensiero che l'aveva attraversata poco innanzi. «Le nostre rime sono assolutamente orripilanti.» Trovava ciò incredibilmente divertente, a giudicare dalla sua espressione. A Jolene piaceva giocare, anche ora che aveva più di vent'anni; e, al pari di quando ne contava appena tredici, cercava di trascinare il ben più serioso amico nei suoi slanci infantili.
«Oh, le nuove generazioni sono anche peggio» commentò spensieratamente, non appena cambiarono discorso. «Pensa che, da quel che si sente in giro, c'è perfino un ragazzo che sperimenta con delle pozioni piuttosto interessanti, diciamo così, e fa affari distribuendole ai suoi compagni. Inimmaginabile per noi vecchi, non è vero?» Sorridente, allegra, Jolene era l'immagine dell'innocenza mentre lo punzecchiava. Ai tempi della scuola non aveva mai approvato i traffici sottobanco del concasato, le voci che giravano sul suo conto la preoccupavano. In quel momento, invece, era in grado di guardare al passato con abbastanza distacco da poterne scherzare. Cercava così di comprendere la persona che aveva di fronte, capire fin dove si potesse spingere nel trattarla con familiarità. Dopo tutti quegli anni, in fondo, era semplice ridiventare estranei.
Ad ogni modo, non sembrava quello il caso. I due scivolarono dallo scherzo ad una maggiore serietà nel momento in cui Lucien prese a parlare dei suoi piani per l'immediato futuro. A Jolene sembrava che il filo del discorso si srotolasse con naturalezza, nel semplice piacere di aggiornarsi e di sfiorare, forse, anche dei momenti a venire. Lucien, come lei, sentiva il richiamo di Hogwarts, il suo invito a tornare. Avrebbe potuto parlare della malinconia che l'aveva riportata al castello per ore intere.
Purtroppo – o, piuttosto, per fortuna – non ve ne fu modo, nell'inaspettato incidente che seguì. Jolene era ancora inginocchiata accanto al mobile traballante da cui era caduto l'orologio, cercando di studiare l'oggetto mentre ticchettava nella mano di Lucien, quando l'arrivo di Jacques la fece trasalire. Parole di scuse si accalcavano già sulle sue labbra, ma l'uomo fu in grado di ammutolirla. Aggiustarlo? La sorpresa sul volto della rossa si tramutò in una comprensione inaspettatamente lieta, mentre tornava in piedi. Avrebbe voluto ridere, la sua preoccupazione le sembrava ora esagerata e superflua.
Si voltò appena in direzione di Lucien, così da poterlo guardare. Gli rispose a sua volta in un sussurro, approfittando del fatto che Jacques desse loro le spalle. «Oh, no. Tienilo tu, tuo zio lo ha regalato a te.» Era difficile da mettere a parole, ma Jolene aveva la sensazione che il giusto proprietario per quel prezioso orologio fosse Lucien, ben più di quanto non lo fosse lei. Le sembrava che il tempo, così com'era scandito dalla lancetta dei secondi, appartenesse a lui; Jolene aveva in mente un altro modo per ricordarsi di quel pomeriggio.
Si accostò al tavolino, ringraziando Jacques quando questi versò il tè fumante nelle due tazze. Jolene ne prese una, avvolgendovi intorno le mani per scaldarle. La sensazione della ceramica sotto alle dita era familiare e confortante. Soffiò sul tè, cercando nel mentre il modo migliore per formulare la propria richiesta. Venne anticipata da Jacques – che nel frattempo aveva dissotterrato, chissà da dove, tre sedie spaiate, e le stava disponendo intorno ai tavolini –, quando questi ruppe il silenzio: «Quindi dicevate che siete andati a scuola insieme, oui.
Jolene distolse l'attenzione dal proprio tè. «Esatto. E pensi, sembra che ora ci ritroveremo a lavorare nello stesso posto, un po' come allora...»
«E dove mai?» Fece loro cenno di sedersi.
Jolene cominciò a muoversi automaticamente verso il primo posto libero. «Beh...» Si rese conto troppo tardi di essersi lasciata sfuggire, nel suo entusiasmo, un'informazione potenzialmente problematica. Si ammutolì, lo sguardo che correva a cercare Lucien, così da capire dalla sua espressione quanto lo zio Jacques sapesse e quanto, invece, fosse per lui un mistero. Non osò dire altro, men che meno nominare Hogwarts, ma avrebbe dato man forte all'altro non appena avesse capito quale era la giusta strada da percorrere, quali i segreti da mantenere. Nel frattempo, la musica continuava a scorrere tra di loro, a riempire gli istanti di esitazione.

 
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view post Posted on 11/12/2020, 14:14
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Lucien Cravenmoore

mezzosangue | 25 anni | piovosa capitale britannica



Lucien aveva rincontrato diverse persone appartenenti al suo passato nel corso degli anni, ma nessuno come Jolene aveva la capacità di offrigli l'impressione che l'arco temporale che li aveva divisi non fosse mai esistito. Pur notando i cambiamenti fisici e caratteriali -molti dei quali probabilmente dovevano ancora palesarsi- l'essenza di quello che era stato il loro rapporto e la facilità con cui riuscivano ad esistere assieme, gli parve la medesima. La facilità con cui riuscivano a strapparsi sorrisi, superato l'iniziale imbarazzo, era qualcosa che si rendeva conto solo vivendolo di quanto gli fosse mancato.
Le vertebre tremarono scosse da un brivido mentre la memoria lo riportava ai loschi affari di cui aveva beneficiato ai tempi della scuola e che in modo sardonico la strega gli aveva fatto rimembrare. Quelli non erano segreti, ma lei ne conosceva diversi appartenenti all'enigmatico ex Corvonero; ed allo stesso modo lui. Un piccolo rantolo fintamente imbarazzato fu offerto in risposta all'osservazione dell'amica di vecchia data circa le generazioni che si erano succedute alla loro.
Riguardo l'orologio, non convinto flettè il busto in avanti per raggiungere il piccolo orecchio coperto dalla cascata rubiconda. «Facciamo come ai vecchi tempi: per adesso tienilo tu, me lo restituirai la prossima volta che ci incontreremo.» la carezza vellutata di un sussurro ricondusse l'argomento a quando, otto anni prima, il mago le aveva prestato gli appunti di Pozioni con la promessa di farseli restituire una volta che la strega avesse concluso i propri studi. Una promessa che attendeva ancora di essere mantenuta, ma per la quale Lucien non aveva mutato di una virgola la propria opinione dell'ex Concasata. Invece che fare scivolare l'orologio in una delle tasche del cappotto lungo dell'infermiera, ne circumnavigò i fianchi col lungo braccio e con nonchalance glielo incastrò nella tasca posteriore dei jeans.
Raggiunse il tavolino in ferro battuto i cui intarsi in rilievo riproponevano motivi naturali come edera e rose spinose, nel mentre ringraziò a sua volta il parente per la gentilezza accordatagli. Questi pose loro una seconda domanda semplice, a tratti scontata, ma per loro insidiosa. Le iridi oceaniche saettarono leste verso Jolene, valutandone la reazione e ritenendo giusto intervenire.
Come spesso accadeva, sentì la sedia cigolare sotto il peso della propria altezza ma non se ne curò, convinto che non avrebbe ceduto lasciandolo con le chiappe d'oro a fare un tet a tet col pavimento. Cinse la tazza da tè fumante con ambedue le mani, lasciando che si scottassero a contatto con il calore emanato dall'infuso aromatico.
«In Scozia. Si tratta di un collegio scolastico coeducativo piuttosto rinomato, dunque un'ottima opportunità di carriera per entrambi. Per questo sto soggiornando a Londra in questo periodo, in attesa di affrontare il colloquio. L'ho ritenuta una meta più familiare piuttosto che il Paese più settentrionale del Regno Unito che conosco molto poco, e poi non volevo perdere l'occasione di passare a salutarti.»
Impassibile ed apparentemente sereno nonostante non avesse accantonato l'ipotesi della successiva domanda "E come si chiama questa scuola?", reputò saggio virare su una strada amichevole che avrebbe forse distolto l'attenzione di Jacques dal soggetto dei loro discorsi.
«E hai fatto bene figliolo. Beh non voglio disturbarvi ulteriormente con la mia presenza; se quando avrete finito vorrete dare una migliore occhiata alla merce esposta, mi troverete a quel tavolo, caso mai aveste bisogno di informazioni.» L'ometto indicò un tavolo in mogano in fondo alla stanza sul quale erano riposte chincaglierie di ogni genere. Lucien suppose dovesse ancora catalogarle o prezzarle, ad ogni modo apprezzò la riservatezza assicurata e gli sorrise annuendo col capo.
Bevve un generoso sorso di scented tea, studiandone l'aroma ed individuando due componenti: l'osmanto e il gelsomino. Non tra i suoi favoriti, ma senza dubbio apprezzato per le proprietà erboristiche e per l'effetto riscaldante. Quasi dimenticò di avere ancora la zazzera e la felpa completamente fradici. Se solo avesse potuto sfruttare la bacchetta...
«Sai, l'unica cosa che mi fa tentennare rispetto all'impiego per il quale intendo propormi, è il fatto di dover alloggiare nella capanna.» le confidò, poggiando la tazza di porcellana sul ripiano intarsiato. «Non mi fraintendere, non sono uno che ha bisogno di grandi spazi e l'arredamento rustico è affine ai miei gusti. Non so nemmeno quante ore dovrei garantire di effettivo impiego o se dovrei essere reperibile giorno e notte.» presumeva, a logica, la seconda delle due opzioni, anche se di sicuro una volta svolte le mansioni canoniche avrebbe beneficiato di un po' di tempo per sè ed i propri affari. «La capanna è parecchio distante dal castello, sarei isolato per la maggior parte del tempo mentre vivere qui, ad esempio, mi permetterebbe uno stile di vita ben diverso.» Non era possibile materializzarsi o smaterializzarsi all'interno della scuola e dei confini di Hogwarts, dunque gli spostamenti per lui sarebbero stati piuttosto lunghi se avesse desiderato coprire grandi distanze. Metodi alternativi ne aveva a palate, ma sempre che per una serie di scomodità e tempistiche, sentiva che avrebbe finito per lasciare l'area della scuola molto di rado. «Tu dimori al castello?» aggiunse infine, ricordando che alcuni lavoratori del castello, per comodità, potevano usufruire di alloggi privati all'interno delle mura.
Non sapeva se Jolene fosse l'unica infermiera della scuola, ma anche nell'ottica di poter fruire di turni da giostrarsi con altri colleghi, dedusse che un minimo di reperibilità elastica dovesse garantirla anche lei.

 
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view post Posted on 26/12/2020, 18:07
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Jolene White

infermiera | 21 anni | in un piovoso pomeriggio londinese




Il sussurro di Lucien, così vicino da risultare concreto sulla pelle, le mandò una scarica elettrica lungo la spina dorsale. Jolene non osò voltarsi, il suo sguardo ostinatamente appuntato alla schiena dello zio Jacques che, pure, non riusciva a mettere del tutto a fuoco. Un tempo, sentire Lucien così vicino – il suo mormorio contro l'orecchio, la carezza leggera del suo braccio a cingerle i fianchi in un contatto sfacciatamente intimo –, avere il corpo di lui ad una distanza così prossima ad essere annullata avrebbe annientato qualsiasi pensiero razionale. La leggera riluttanza che la bloccava in quel momento, invece, nasceva da una diversa timidezza, una generale concezione degli spazi e del contatto, dove quest'ultimo aveva sempre una connotazione e un significato ben precisi. Nei brevi momenti del loro ballo improvvisato, Jolene non aveva percepito la stessa malizia che ora, invece, le fece sussurrare, con una voce in cui si intuiva un sorriso: «Così tanta confidenza dopo tutti questi anni, Lucien? Qualcuno potrebbe trovarlo sconveniente». Non vi fu il tempo per altre repliche, anche perché, non appena Jolene si scostò dal fianco del ragazzo, lo zio Jacques tornò a rivolgere loro la sua attenzione.
L'orologio venne presto eclissato dai pensieri di Jolene, che, dapprima appoggiata sul bordo della sedia come fosse sulle spine, riuscì a rilassarsi solo quando Lucien, con la sua favella ben allenata, evitò abilmente altre domande scomode da parte dello zio. Comprese allora che Jacques non era al corrente della natura magica di suo nipote, né tanto meno di Hogwarts. Per un secondo, allora, ebbe la sgradevole sensazione di star ingannando quell'uomo gentile e curioso che li aveva accolti così calorosamente – un rimprovero dal gusto amaro che Jolene si muoveva ogni volta che entrava in contatto con i parenti di suo padre, anch'essi babbani. Tuttavia, questo particolare discorso non la riguardava, e riuscì a rivolgere all'uomo un sorriso convincente quando questi decise di lasciarli a chiacchierare per conto loro.
Preferì non commentare a voce alta quanto aveva appena improvvisato Lucien, tra mezze verità ed elusioni: Jacques avrebbe potuto sentire ed intuire qualcosa. In compenso, però, offrì all'ex concasato un obliquo sorriso di intesa, che scomparve poco dopo dietro al bordo di ceramica quando prese il primo sorso di tè. Era così bollente da scottare, ma le grosse gocce di pioggia autunnale erano un ricordo abbastanza vivido da farle apprezzare anche quell'eccessivo calore. Riconobbe immediatamente il gelsomino, tanto sulla lingua quanto nelle narici mentre ne inalava il vapore – un aroma delicato e affascinante che, tra tutti, le piaceva particolarmente. Le capitò allora di pensare che tutto lì dentro sembrava essere stato pensato su misura per lei, e trovò l'idea piuttosto divertente. Più rilassata, si appoggiò allo schienale, e da quella nuova distanza diresse le pupille sul volto di Lucien, facendogli così capire che lo stava ascoltando.
Le sembrò di comprendere i suoi timori: in fondo avevano entrambi poco più di vent'anni, e si presupponeva che a quell'età il desiderio più comune fosse quello di immergersi quanto più a fondo possibile in una vita frenetica, sempre carica di sorprese. Hogwarts, invece, era un ambiente attentamente recintato, chi vi si chiudeva sapeva che per la maggior parte del tempo avrebbe sempre visto e rivisto le stesse facce. A dispetto di tali considerazioni, però, per lei la scuola non era una gabbia, e si adoperò per farlo comprendere all'altro.
«Riesco a tornare qui a Londra almeno due o tre volte alla settimana» cominciò a dire. A differenza di Lucien, non posò la tazzina sul tavolo, ma se la tenne in grembo, circondandola nella concavità delle due mani per meglio assorbirne il calore. «Ho un appartamento qui, e poi ci vivono i miei, non potrei trasferirmi definitivamente così lontano. Per te credo che sarebbe leggermente diverso, se sarai l'unica persona a svolgere quelle mansioni. Sono cose che richiedono un lavoro quotidiano.» Non che conoscesse nel dettaglio le mansioni del guardiacaccia, ma riguardando esse la natura e gli animali probabilmente non ammettevano nemmeno un giorno di trascuratezza. Si trattava di lavori pensanti, anche con l'ausilio della magia. E, come diceva Lucien stesso, erano anche piuttosto solitari. «Però non è detto che tu ti debba rinchiudere e rinunciare al resto del mondo. C'è il villaggio vicino, ti ricordi che ci passava sempre gente curiosa. È vero che per un po' abbiamo tutti avuto paura, dopo... Dopo l'anno scorso.» Fece un gesto vago. le labbra improvvisamente tese in una piega incerta. Lucien sapeva dell'attentato che aveva colpito Hogsmeade? Anche se non si trovava nel Regno Unito all'epoca dei fatti, la notizia doveva aver viaggiato per tutto il mondo magico. Jolene non intendeva inerpicarsi in discorsi che la rattristassero, ma le veniva naturale dare voce ai luoghi su cui la sua mente tornava in continuazione. Cercò di concludere in fretta: «Però per più di un anno è stato tutto tranquillo, i ragazzi sono tornati a farci le gite nei weekend, e insomma, è tutto tornato alla normalità, se vorrai andarci per staccare dalla monotonia della scuola». Sembrava semplice ridurre tutto a quelle poche parole, ma qualcosa nel modo in cui i muscoli si tendevano ora sul viso di Jolene suggeriva che il discorso non finisse affatto lì.
Lei, ad ogni modo, non aveva intenzione di insistere sull'argomento. Al contrario, fu con una fretta tangibile che affastellò le parole successive – con esse, tornò a porre l'accento su qualcosa che precedentemente l'aveva colpita, insinuatosi poi tra le pieghe delle sue riflessioni in attesa di poter essere esternato. «Il lavoro per cui ti vuoi proporre sarà pesante, lo sai. Ma sei comunque convinto, anche con la paura della solitudine? Io lavoro in infermeria, in mezzo a tutte le aule, e comunque mi sento isolata per la maggior parte del tempo. È un po' diverso, sai il senso di comunità che provavamo allora? Quando lì non ci studi, ma ci lavori, non voglio dire che viene guastato, ma, ecco... Di mezzo ci si mette una certa distanza.» Lasciò che intercorresse una breve pausa, e distrattamente si sistemò meglio il basco, che aveva preso a scivolarle da un lato. «E vuoi affrontare tutto questo solo per il gusto di crogiolarti nella malinconia, Lucien?» Lasciò cadere la provocazione con un piccolo sorriso che faceva intendere una presa in giro, un tono appena semiserio. Ma la verità era che Jolene era curiosa, curiosa di scucire al ragazzo una parte autentica di sé quando, come era sicura, l'avrebbe contraddetta in merito alle sue reali motivazioni.

 
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Lucien Cravenmoore

mezzosangue | 25 anni | piovosa capitale britannica



Sconveniente. Un aggettivo in disuso, sulla bocca di pochi ma che non era la prima volta che Lucien udiva accostato a qualcosa che aveva fatto. Era una parola che per la sua musicalità e per il suo significato lo faceva ridere. Alle parole di Jolene aveva risposto con qualcosa come: «Se quel qualcuno sei tu allora per me può avere una rilevanza, altrimenti che gli altri pensino ciò che vogliono.» che riassumeva bene o male quanto si infischiasse del parere altrui, con le sole eccezioni dei propri affetti. Di loro soltanto poteva importargli l'opinione che avevano di lui e delle sue azioni; anche, in seguito, con la segretaria della scuola dalla cui opinione sarebbe dipeso il suo ritorno a Hogwarts, Lucien si sarebbe mostrato nella sua genuina onestà. Una schiettezza che graffiava, talvolta importunava ma lo rendeva al contempo oltre che privo di filtri, anche privo di menzogne. Con zio Jacques omise l'indispensabile, cercando di offrirgli la versione più sicura e veritiera possibile, senza di fatto mentirgli. D'altronde l'omissione era l'unica strada per garantire al parente babbano una certa sicurezza, sebbene più di una volta, con lui e con altri intimi, fosse stato aggredito dall'impellente desiderio di rivelargli come stavano davvero le cose.
Prese un altro sorso di the e si perse nella visione dei centri concentrici che ne increspavano la superficie liquida e fumante. «Sei fortunata.» sentenziò, conscio delle severe imposizioni che facevano da collante ad un impiego difficile e dalla scarsa attrattiva per molti. Joline era molto più attaccata di lui alla famiglia, dunque non lo stupì quella scelta. «Mi farebbe piacere vedere la tua casa, un giorno.» tacque per un attimo, i palmi andarono a circoscrivere il perimetro della tazza, coprendola quasi per intero. «Una casa tutta tua, senza genitori intorno.. allora ci sembrava un sogno così lontano, uno dei tanti segni che avrebbero attestato il nostro essere diventati grandi e ora si è spogliato di quei connotati per tramutarsi nella realtà quotidiana.» In altre parole, erano spaventosamente lontani i giorni in cui Lucien e Jolene girovagavano per il castello indossando la divisa scolastica. Ormai erano ciò che allora avevano tanta fretta di diventare.
Captò del disagio quando la vecchia compagna di scuola citò l'esplosione avvenuta al noto villaggio magico e tutto ciò che ne era conseguito avvenuto l'anno prima. «Ho appreso quegli eventi leggendo la Gazzetta, sono lieto che le cose siano tornate alla normalità mimò le virgolette a mezz'aria, incerto su quanto quella questione risultasse di peso a Jolene e non desiderando porre domande non gradite. Era chiaro che voleva eludere la questione e Lucien non avrebbe insistito per conoscerne il motivo; suppose che qualche suo conoscente potesse essere stato presente e si fosse fatto male e ne fosse rimasta scossa. Non si avvicinò nemmeno a sfiorare la realtà dei fatti. «Sicuramente quando mi sarà possibile ci farò un salto. Così come qui o in Scozia dai miei, insomma non vedo il lavoro di Guardiacaccia come un isolamento tale da obbligarmi a frequentare sempre e solo gli abitanti del castello.» Forse era troppo ottimista? Solo il tempo avrebbe confermato o smentito la sua visione.
Il mago scosse il capo con aria seria, eludendo il sorriso di scherno offertole bonariamente dalla rossa. «Assolutamente. Lo faccio anche per...» ...cercare redenzione? Perché era masochista? Quanti ricordi e quanto dolore avrebbe disseppellito il suo ritorno tra le mura del castello? Prima Kira, poi suo padre...le sue mani si strinsero con maggior vigore attorno alla porcellana, le nocche sbiancarono. «...trovare un canale utile al prossimo dove convergere tutto il mio sapere per quanto concerne creature magiche, pozioni e rimedi erboristici.» un sorriso sghembo che solleticava il ricordo dell'uso poco legale che a suo tempo aveva fatto di esse proprio tra quelle mura disintegrò l'aurea marmorea che prima gli aveva irrigidito i tratti. Riprese «Per affinare tali conoscenze, apprenderne di nuove, avere un impiego dinamico a contatto con la natura senza eccessivi vincoli, per tenere sott'occhio la ribellione adolescenziale di Safia e scoprire alcune cose
Con un ultimo generoso sorso fece fuori ciò che restava del suo thè, osservando i resti delle foglie sul fondo della tazza. Inarcò le folte sopracciglia brune senza staccare lo sguardo. «La tasseomanzia mi suggerisce che se non termineremo in fretta le nostre chiacchiere abbandonandoci ad una proficua osservazione della merce, e ad ipotetici acquisti, ci toccherà sorbirci di nuovo la compagnia babbana di zio Jacques.» *..con tutti i rischi che ne conseguono, come abbiamo appurato poco fa.* avrebbe aggiunto, ma sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno.

 
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Jolene White

infermiera | 21 anni | in un piovoso pomeriggio londinese




Una curva leggera sollevò gli angoli delle labbra di Jolene mentre, taciturna, annuiva appena percettibilmente. Sapeva di essere fortunata a poter rimanere accanto alla sua famiglia, almeno quanto lo era nella possibilità di guadagnarsi la sua propria indipendenza. L'equilibrio le garantiva una serenità quasi costante, almeno da quel punto di vista, e non si illudeva che tutto ciò fosse un'esperienza comune. Più si cresce, più si va alla deriva – qualcuno lo chiamava esplorazione, ricerca senza confini delle opportunità, e Jolene ammirava chi sapeva allontanarsi senza soffrire. Pensò ad Ariel, che aveva lasciato i propri genitori in un altro paese; e poi sollevò lo sguardo su Lucien, immaginandoselo impiegato al Castello, a chiamare libertà dei recinti diversi da quelli che lo costringevano in quel momento. Si sentì pervadere da una pesantezza senza forma, al punto da esserne quasi sopraffatta: Lucien aveva colto in pieno, erano diventati grandi, con tutto quel che ne conseguiva.
«Diventare grandi è più banale di quanto potessi immaginare» commentò sardonica. «In compenso però l'appartamento è molto carino. Puoi venire quando vuoi, ci mettiamo d'accordo e organizziamo un pranzo. Tu porterai il vino e una pianta d'appartamento come segno di cortesia, e faremo tutti quei discorsi da vecchi, pieni di convenevoli.» Lasciò che l'inquietudine sfumasse via su una battuta, poi sulla risata che seguì.
A dispetto dei suoi tentativi di preservare intatto il buonumore, Jolene era sensibile a determinati argomenti, al punto che la loro comparsa in una conversazione significava per lei malinconia, o informe tristezza, o ancora pesante angoscia. Lo scorrere del tempo, con la consapevolezza dei propri fallimenti, era uno di tali argomenti; l'attentato di Hogsmeade costituiva un altro esempio, quello che più di tutti era difficile affrontare. Poteva anche sembrare che la situazione fosse tornata alla normalità ma, come Lucien non aveva mancato di rimarcare, l'espressione non poteva che essere racchiusa tra virgolette che di fatto ne smentissero il significato. A quel punto, a Jolene sfuggì un sorriso amaro, mentre il suo silenzio faceva spazio alle meditazioni dell'altro, lasciando che attraverso le sue parole scivolasse via ogni altro riferimento a ciò che non desiderava affrontare – non in quel momento, né con quella musica, che ancora la cullava, pur rimanendo da qualche parte appena fuori dalla sua attenzione diretta.
Assieme a Lucien, anche lei tornò seria, cancellandosi dal viso l'espressione scherzosa per dimostrare che lo ascoltava davvero. Le motivazioni che lo spingevano a farsi assumere come Guardiacaccia erano valide, sicuramente sufficienti a mobilitare una scelta di quel tipo. Al nome di Safia, un barlume di riconoscimento illuminò fugacemente gli occhi di Jolene: pur non avendo un contatto diretto e stabile con la studentessa, poteva immaginare perché alcuni suoi comportamenti potessero preoccupare il fratello. Ad ogni modo, non desiderava esprimersi senza avere un quadro sufficientemente chiaro della questione, così concentrò la propria curiosità sull'altra faccenda, quella riguardo allo scoprire alcune cose.
«I famosi misteri di Hogwarts» commentò, anche se non era sicura che fosse ciò che intendeva. Lo studiò con attenzione, inclinando appena la testa da una parte, gli occhi che brillavano di curiosità.
Alle parole successive di Lucien, Jolene lanciò una rapida occhiata nella direzione in cui era sparito Jacques. Poi, sorprendentemente, girò la testa verso il grammofono che continuava a suonare. Dopo un istante, con un ultimo sorso svuotò anche lei la propria tazza di tè, per poi fissarne con grande attenzione il fondo. «Qui dice che hai ragione». Suggellò la propria sentenza con il piccolo tonfo della ceramica, quando appoggiò la tazza sul tavolino. «E dice anche che so già che cosa comprare.»
Senza indugiare oltre, Jolene si alzò per andare alla ricerca di Jacques. Nei minuti che seguirono, l'uomo spese fiumi di parole cariche di entusiasmo nell'illustrare a lei e al nipote i modelli di grammofoni e giradischi disponibili – la loro provenienza, le storie curiose su come ne era entrato in possesso, oltre a molteplici lodi sulla qualità del suono, dovuta naturalmente ai loro materiali pregiati e alla sapiente lavorazione che li aveva assemblati nei piccoli gioielli che potevano ammirare con i loro occhi. Jolene, che ne era rimasta incantata fin da prima, non aveva bisogno di essere convinta per decidere di acquistarne uno: un giradischi dalle dimensioni relativamente ridotte, che, quando venne liberato dalla polvere, scintillava ancora come un prezioso monile. Ma Jolene non si limitò a questo: desiderosa di sigillare in un modo speciale quell'incontro fortuito, e la ripresa di una vecchia amicizia che avrebbe potuto conseguirne, la ragazza insistette perché anche Lucien scegliesse il modello che più preferiva, e che lo accettasse come dono da parte sua.
«Se non fosse stato per la musica che si sentiva fino in strada, probabilmente sarei passata oltre senza nemmeno guardare due volte il negozio» disse, e lasciò che la naturale prosecuzione di quel pensiero rimanesse taciuta: era anche grazie alla musica che avevano potuto rincontrarsi.
Aspettò che Jacques si allontanasse prima di abbassare la voce all'indirizzo del vecchio concasato: «E per ringraziarti dell'orologio». Tempo e musica, infine, sembravano la giusta cornice per quel pomeriggio sfumato nella pioggia. Mentre le lancette scandivano il filo degli anni passati, le note ne articolavano il ritmo in avvenimenti, emozioni, pensieri. In futuro Jolene si sarebbe ricordata di quell'occasione come di una parentesi che, per indefinitezza e suggestività, ricordava i contorni di un sogno – o forse il primo capitolo di un romanzo dal sapore nostalgico. La dolcezza degli ultimi minuti non temeva risvolti malinconici: in lontananza, il castello di Hogwarts costituiva la solida certezza che si sarebbero rivisti.

 
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