Jolene si morse il labbro mentre, in un breve momento di silenzio, si soffermava con il pensiero sulla propria tendenza ad attribuire agli altri caratteristiche che appartenevano solo a lei. Lo aveva fatto in passato, ed era appena ricapitato quando, senza riflettere, aveva trasferito su Lucien la fascinazione estrema che l'antiquariato esercitava su di lei. Certo che ricordava quale fosse, tra la realtà magica e quella babbana, la prediletta del ragazzo; tuttavia, le veniva semplice scordarsi le distanze – le piccole ed insignificanti, come quella, così come altre, di ben maggiore importanza. Che Lucien fosse una persona diversa da lei in mentalità ed ideali lo aveva scoperto senza possibilità di dubbi ancora molti anni addietro, quando la constatazione l'aveva ferita più di quanto allora potesse esprimere. Pensava di aver imparato qualcosa, in tutto il tempo che era trascorso – un tempo che non le aveva risparmiato la propria natura mordace, e che la spronava a lasciare da parte gli errori da ragazzina. E poi si sorprendeva a fallire ancora in piccolezze come quella.
Ma non le piaceva la china per cui stavano scivolando i suoi pensieri, così li scacciò. Fu semplice: il negozio e Lucien riempivano tutta la sua attenzione, il buonumore la incalzava nei discorsi, nell'annuire all'ultima domanda del ragazzo –
a Hogwarts? –, senza che per il momento desse grande importanza a quel particolare.
Lucien era un ballerino maldestro e Jolene – che pure possedeva, nei movimenti, una naturale leggerezza che si sarebbe potuta facilmente trasformare in grazia – non aveva interesse a prendersi troppo sul serio. Non le importava di essere buffa, o di rovinare, con la sua filastrocca, l'elegante fascino del disco. L'allegria era un incanto molto più potente, si tramutava addirittura in ilarità. Percepì l'impaccio di Lucien, ma continuò a ridere spensierata.
«È terribile» pronunciò a voce alta il pensiero che l'aveva attraversata poco innanzi.
«Le nostre rime sono assolutamente orripilanti.» Trovava ciò incredibilmente divertente, a giudicare dalla sua espressione. A Jolene piaceva giocare, anche ora che aveva più di vent'anni; e, al pari di quando ne contava appena tredici, cercava di trascinare il ben più serioso amico nei suoi slanci infantili.
«Oh, le nuove generazioni sono anche peggio» commentò spensieratamente, non appena cambiarono discorso.
«Pensa che, da quel che si sente in giro, c'è perfino un ragazzo che sperimenta con delle pozioni piuttosto interessanti, diciamo così, e fa affari distribuendole ai suoi compagni. Inimmaginabile per noi vecchi, non è vero?» Sorridente, allegra, Jolene era l'immagine dell'innocenza mentre lo punzecchiava. Ai tempi della scuola non aveva mai approvato i traffici sottobanco del concasato, le voci che giravano sul suo conto la preoccupavano. In quel momento, invece, era in grado di guardare al passato con abbastanza distacco da poterne scherzare. Cercava così di comprendere la persona che aveva di fronte, capire fin dove si potesse spingere nel trattarla con familiarità. Dopo tutti quegli anni, in fondo, era semplice ridiventare estranei.
Ad ogni modo, non sembrava quello il caso. I due scivolarono dallo scherzo ad una maggiore serietà nel momento in cui Lucien prese a parlare dei suoi piani per l'immediato futuro. A Jolene sembrava che il filo del discorso si srotolasse con naturalezza, nel semplice piacere di aggiornarsi e di sfiorare, forse, anche dei momenti a venire. Lucien, come lei, sentiva il richiamo di Hogwarts, il suo invito a tornare. Avrebbe potuto parlare della malinconia che l'aveva riportata al castello per ore intere.
Purtroppo – o, piuttosto, per fortuna – non ve ne fu modo, nell'inaspettato incidente che seguì. Jolene era ancora inginocchiata accanto al mobile traballante da cui era caduto l'orologio, cercando di studiare l'oggetto mentre ticchettava nella mano di Lucien, quando l'arrivo di Jacques la fece trasalire. Parole di scuse si accalcavano già sulle sue labbra, ma l'uomo fu in grado di ammutolirla.
Aggiustarlo? La sorpresa sul volto della rossa si tramutò in una comprensione inaspettatamente lieta, mentre tornava in piedi. Avrebbe voluto ridere, la sua preoccupazione le sembrava ora esagerata e superflua.
Si voltò appena in direzione di Lucien, così da poterlo guardare. Gli rispose a sua volta in un sussurro, approfittando del fatto che Jacques desse loro le spalle.
«Oh, no. Tienilo tu, tuo zio lo ha regalato a te.» Era difficile da mettere a parole, ma Jolene aveva la sensazione che il giusto proprietario per quel prezioso orologio fosse Lucien, ben più di quanto non lo fosse lei. Le sembrava che il tempo, così com'era scandito dalla lancetta dei secondi, appartenesse a lui; Jolene aveva in mente un altro modo per ricordarsi di quel pomeriggio.
Si accostò al tavolino, ringraziando Jacques quando questi versò il tè fumante nelle due tazze. Jolene ne prese una, avvolgendovi intorno le mani per scaldarle. La sensazione della ceramica sotto alle dita era familiare e confortante. Soffiò sul tè, cercando nel mentre il modo migliore per formulare la propria richiesta. Venne anticipata da Jacques – che nel frattempo aveva dissotterrato, chissà da dove, tre sedie spaiate, e le stava disponendo intorno ai tavolini –, quando questi ruppe il silenzio:
«Quindi dicevate che siete andati a scuola insieme, oui?».
Jolene distolse l'attenzione dal proprio tè.
«Esatto. E pensi, sembra che ora ci ritroveremo a lavorare nello stesso posto, un po' come allora...»«E dove mai?» Fece loro cenno di sedersi.
Jolene cominciò a muoversi automaticamente verso il primo posto libero.
«Beh...» Si rese conto troppo tardi di essersi lasciata sfuggire, nel suo entusiasmo, un'informazione potenzialmente problematica. Si ammutolì, lo sguardo che correva a cercare Lucien, così da capire dalla sua espressione quanto lo zio Jacques sapesse e quanto, invece, fosse per lui un mistero. Non osò dire altro, men che meno nominare Hogwarts, ma avrebbe dato man forte all'altro non appena avesse capito quale era la giusta strada da percorrere, quali i segreti da mantenere. Nel frattempo, la musica continuava a scorrere tra di loro, a riempire gli istanti di esitazione.