One night stand, Privata

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view post Posted on 16/12/2020, 18:31
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Oliver Brior » Castello di Hogwarts, Scozia
Insightfully the air strikes me, but my mind is crossed, I’m tired
But it remains, boy, what it was, a one-night-stand with love

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Intorno a sé, sulle coperte rubino del letto a baldacchino, si realizzava una ragnatela confusionaria di pergamene, mappe geografiche, spillette colorate e fermacarte in ferro battuto; solitaria, poco oltre, una boccetta d'inchiostro si ergeva come una vedetta sulla pila delle tragedie di Malécrit. Tutto era immobile, tutto era cristallizzato nel tempo - come permeato da una staticità che non aveva ragione d'esistere, lo stesso ragazzo lì sedutosi a gambe incrociate ne sembrava essere stato terribilmente coinvolto. Lo sguardo, vitreo, si perdeva nel vuoto onirico di fronte. Dava l'impressione di scorgere lontano, oltre la finestra circolare della camerata, oltre il vetro smerigliato, oltre il limitare dei boschi. Non batteva ciglia, il volto spento in un'espressione granitica, e soltanto la bocca veniva colta da un tremito - così stretta, tratteneva forse un grido inatteso, tanto intenso da screziare i tratti gentili. Perdutosi com'era, inconsapevolmente Oliver lasciava dominio al giorno morente: e le ombre, e il buio, e la notte, tutto tesseva ricami impercettibili, fin nel profondo. Stringeva tra le mani una piuma azzurra, soltanto in punta sfumava verso il bianco più candido; era una piuma di Diricawl, un regalo - quello - di un affetto prezioso che non aveva più rivisto. In dormitorio poteva non esserci nessun altro, così come potevano esserci tutti: per lui, ad ogni modo, non faceva differenza. Quando la cornea si impose sulle iridi di smeraldo, la Vista tinse incautamente le spoglie mortali: quello che ammirava, quello che conosceva, tutto era segreto. Nel contatto cui aveva attinto, già si ritrovava. Ma il culto dei misteri si infranse, di scatto, non appena in lontananza un gufo reale arrivò a bubolare sulle guglie più alte della Torre di Godric. Si risvegliò, lui che mai era dormiente. Il corpo si sciolse nella morsa cui si era costretto, involontariamente, fin quando gli occhi punsero la sera e di lì a breve, colmi di promessa, catturarono anche il chiarore delle stelle. Si portò una mano alla fronte e si accorse di un velo di sudore. Quando abbandonò la piuma sulle cartine più vicine, recuperò in fretta la bacchetta magica. Un movimento cadenzato, un cerchio esatto, e il braciere sul comodino brillò di una prima, sottile scintilla. Ovunque, nei letti a schiera tutto intorno, altri concasati dormivano: poteva immaginare i loro sogni, poteva auspicare ai loro stessi timori. Il piccolo Timothy, sulla destra, che non aveva superato l'ultima esercitazione di Trasfigurazione; il maldestro Brian, proprio accanto, che si girava e rigirava sul cuscino per il desiderio struggente di un provino di Quidditch; e tanti, tanti altri. Non aveva mai voluto cambiare dormitorio, percepiva la familiarità di quei volti come una costante, in una e infinite variabili. Sentì lo scricchiolio di un armadio, e gli parve che quel luogo vivesse a sua volta: sul punto di sistemare tutto e concedersi riposo, intravide però una figura sollevarsi fino a porsi seduta. Di fronte, sveglio, Penny Laurence incrociò il suo sguardo. Restarono così - per un istante, per un'ora, forse per una vita intera.
In silenzio, entrambi, e con la consapevolezza di un intreccio.
«Si avvicina.» Curiosamente, fu l'altro a spezzare il momento. Oliver spostò l'Abete di lato, e nel sortilegio in atto tutto quello che era sul letto cominciò delicatamente a sistemarsi sui rispettivi mobiletti. Soltanto una mappa, con una spilletta rossa appuntata in un luogo esatto, rimase sulla federa del cuscino. Un cenno improvviso, rivolto all'amico. La fiammella si spense ad un altro colpo di bacchetta, il dormitorio piombò nella notte. Si adagiò sul letto, stringendo la piuma e la cartina. E rimase a fissare il soffitto, sotto lo sguardo del compagno di stanza.
Si avvicina. Un sussurro, quello, ad accompagnare i suoi incubi.

***

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«Ti aspetto ai Cancelli alle sei. Mentre scendi, fai attenzione: c'è una buca poco più avanti, temo che gli Snasi del Castello abbiano continuato a fare danni durante il corso di Cura. Non inciampare, e... per favore, non mancare.»
La missiva che la civetta delle nevi aveva consegnato quel mattino, poco prima la campanella squillante, altro non custodiva che brevi frasi: un invito, una richiesta, un desiderio - tutto, per lui, non era più dato per scontato. Aveva lasciato la classe della Professoressa McLinder in saluto cordiale, trasportato com'era stato fino a quel momento dal racconto sui pianeti, sull'influenza che riversavano sulla magia e sulle leggende più vibranti. Venere, in memoria, esigeva attenzione e si era ripromesso di studiarlo a fondo, soprattutto per interesse. Era riuscito così a fare un salto in Sala Comune, sfuggendo rapidamente alle carole natalizie della Signora Grassa. In dormitorio si era concesso un attimo, favorito dall'assenza degli altri. Sapeva già cosa recuperare, così come già sapeva quali abiti vestire. Non impiegò molto, infatti, per essere pronto. La divisa scolastica lasciava posto, su di sé, ad un paio di jeans semplici e stretti, stivaletti color sabbia, un maglione di lana oltremarina e un cappotto sulle sfumature del marrone; quando si avviò fuori, con la borsa a tracolla pendente dalla spalla destra, ad un colpo di bacchetta chiamò a sé un cappello invernale blu e una sciarpa voluminosa sul nocciola, en pendant con tutto il resto. Molto più comodo di quanto non fosse stato prima, in effetti, Oliver proseguì a passo spedito giù verso le scale. Preferì un corridoio poco trafficato quando arrivò al terzo piano, la vocetta stridula di scherno del Poltergeist risuonava fino a quel punto e tutto avrebbe desiderato fuorché incontrarlo. Quando finalmente uscì all'esterno, superando il portone d'ingresso, non trovò ostacoli né persone fino a raggiungere il luogo d'appuntamento. Era in leggero anticipo e ne approfittò così per prendere un mazzolino di margherite celesti, alcune di una tonalità più scura delle altre. Una nota dolcissima si liberò dai petali, e nelle colorazioni accentuate del blu sembrò un fascio cristallino. Intorno, c'era ancora la neve del mattino e l'aria era gelida. Sollevò lo sguardo in alto, più in alto. Attendeva la sua figura come in principio, come tante volte.

 
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Leah‚
view post Posted on 16/12/2020, 22:14




Leah Elliott » Castello di Hogwarts, Scozia
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Leah si guardò un'ultima volta allo specchio prima di uscire. Se le avessero chiesto come si sentiva non sarebbe riuscita a descriverlo. Era felice dell'appuntamento che la aspettava. Non vedeva l'ora di passare un po' di tempo con Oliver. Eppure la vaga sensazione che fosse una specie di "ultima volta" le faceva attorcigliare lo stomaco. E dall'altra parte sapeva di stare facendo la cosa giusta, e questo le dava una sensazione di leggerezza e una buona dose di coraggio. Le sembrava una cosa così irreale e allo stesso tempo estremamente reale.

Chiuse un secondo gli occhi, appoggiando le mani sul cuore, che batteva come un thestral impazzito.
"Calmati, Leah Rose. Non c'è niente di cui preoccuparsi."
Infilò il cappotto e si calzò in testa il basco di lana azzurra. La sciarpa e i guanti erano coordinati e il cappotto blu era più elegante di quello nero che indossava di solito. Ci teneva ad essere carina, soprattutto perchè sapeva che Oliver sarebbe stato impeccabile come sempre. Ravviò i capelli ai lati del viso, inanellando una delle ciocche sul davanti. Aveva deciso di arricciare i capelli sulle lunghezze, in modo da lasciarli sciolti invece di fare la solita treccia.
Infilò la piccola tracolla di pelle e affondò la mano nella tasca del cappotto.
C'era tutto. Aveva tutto.
Per un secondo - un solo, piccolo secondo - le mancò solo il coraggio.
Forse, se non fosse andata, non avrebbe dovuto affrontare l'ondata di sentimenti che sarebbe arrivata a breve. Ma sarebbe stato come evitare l'inevitabile, e se c'era una cosa di cui era più che certa era che avrebbe sempre tenuto fede alla sua promessa: sarebbe rimasta al suo fianco, qualsiasi cosa fosse accaduta.
Forte di questo pensiero infilò la porta e, senza più fermarsi e senza più esitazioni raggiunse il portone del castello.

Una volta fuori, la luce del tramonto nel cielo terso rendeva il mondo viola e azzurro. Oliver era fermo ai cancelli, come sempre, come ogni volta. Il cuore di Leah, traditore, mancò un battito. Come sempre.
Non si sarebbe mai abituata al modo in cui la faceva sentire.
Attraversò il cortile - evitando la buca degli Snasi, ovviamente - e lo raggiunse sul vialetto coperto di neve fresca, battuta solo dai passi di qualche coraggioso che aveva deciso di affrontare il freddo pomeriggio scozzese.

Il sorriso che illuminava il volto di Leah quando quando raggiunse Oliver era il solito sorriso sincero e luminoso di sempre. Forse solo una lieve ombra negli occhi tradiva il confuso affollarsi di emozioni che le si agitavano dentro, tenute a bada dalla razionalità e dall'innegabile contentezza per quel pomeriggio all'aria aperta in compagnia della persona a cui si sentiva più legata al mondo.
Si fermò a un passo da lui, incerta se avesse potuto abbracciarlo o se farlo avrebbe incasinato ancora di più le cose. Non voleva drammi, ma quella sensazione di distanza le sembrava innaturale, non ne era abituata. Decise di trattenersi e con le mani affondate nelle tasche gli lanciò uno sguardo e un sorriso da sopra la sciarpa.
- Eccomi. -
Voleva godersi quel pomeriggio come e più di ogni altro momento passato insieme. Non sarebbe stato l'ultimo, si ripeteva. Non nel senso stretto del termine, almeno.
Sarebbe stato un bel pomeriggio.

 
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view post Posted on 17/12/2020, 11:58
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Oliver Brior » Castello di Hogwarts, Scozia
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Volgeva lo sguardo da una direzione all'altra, ad un tratto colto dall'impazienza; allo stesso modo spostava il peso del corpo da una gamba all'altra, scalciava con la punta degli stivaletti un cumulo di neve lì vicino e strofinava le mani, attento sempre a non compromettere l'eleganza del mazzolino di fiori. Quello non era un comportamento che gli apparteneva, non lo era mai stato. Pacato com'era fin da bambino, neanche l'insonnia era riuscita a compromettere l'equilibrio dei suoi movimenti; rinnegava allora il tormento di un animo che aveva paura, e che per la prima volta si rivelava punto da una nota di codardia. Se non fosse arrivata, ripeteva. Se non fosse arrivata... Un sassolino, solitario, spuntò dal manto innevato degli ultimi confini dei giardini, lì ai Cancelli di Hogwarts. Provò distrattamente a spingerlo via, accorgendosi che fosse fastidiosamente ancorato alla terra; accanto, proprio accanto, germogliava uno stelo smeraldino, e nel contrasto del colore sul bianco intorno sembrò ad Oliver una simbologia d'incanto. Si rasserenò, consapevole di un rimorso che non avrebbe potuto allontanare altrettanto facilmente. Non era mai stato così assente come in quel periodo: mancava di attenzioni, di piccoli gesti, di tutti quei segni accurati, tanto intimi e versatili per il suo carattere. Mancava di un'identità che sentiva spezzata, e chiunque vi fosse attorno avrebbe potuto carpirne i primi segnali, le prime avvisaglie. A lungo, infatti, aveva cercato di limitare gli incontri, aveva saltato eventi e occasioni di svago ai quali mai avrebbe rinunciato in precedenza; e soltanto nell'ultimo periodo, a partire soprattutto da Ottobre, aveva ripreso ad interessarsi ad una vita che continuava ad apparirgli troppo distante, poiché così cambiata. Una scoperta, quella, che aveva il senso di un ritorno, e di una familiarità che non ammetteva confronto. Non aveva colpe, sussurrava giorno e notte. La coscienza, rapida, si insinuava nel dubbio come un tarlo, ne divorava ogni razionale partecipazione. Non aveva colpe, non pragmaticamente. Ma dentro di sé, fin nel profondo, non aveva bisogno di indugiare troppo per accorgersi di giungere in errore. Aveva respinto l'uno e l'altro, l'aveva fatto. Così com'era stato respinto a sua volta, concludeva. Quando sollevò lo sguardo ad incontrare la figura di Leah, la vide prima dei tempi. Intimamente, ne era convinto, per lui sarebbe stato sempre così.

***

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Sollevò la mano destra in un cenno di saluto, fin da lontano. Mancavano pochi metri prima che l'altra potesse raggiungerlo, il cuore di Oliver già si stringeva in un'infida, maldestra morsa. Cercò di non imbattersi in riflessioni sporadiche, di non interrogare così rapidamente i battiti al petto. Era lei, e sempre lo sarebbe stata. Era lei, Leah Elliott, ad aver conquistato tutto di lui.
*Non farlo, Oliver* Come meschina, una melodia lontana andò affievolendosi. Lenta, così delicata, ricordava il singhiozzo di una creatura vestita di prodigio, e di un passerotto - si disse - all'ultimo volo. Sentì la gola stringersi all'arsura di parole che aveva a lungo trattenuto, e per la prima volta, per la prima volta in assoluto Oliver tacque. Restò così, per pochi attimi, forse per l'eternità - seguiva l'incedere di Leah, accompagnava il suo avvicinarsi fino a quando non lo raggiunse. Non abbassò lo sguardo, non una volta: avrebbe voluto dire si trattasse di coraggio, di fiducia, di semplice forza; in realtà era per altro, perché a dispetto dei tempi, mai avrebbe saputo sottrarsi ai suoi occhi. Rimase così, a sua volta, per un attimo incerto, bizzarramente impacciato: gli sembrò ad un tratto di tornare indietro, ad anni prima, quando vide l'altra nei pressi della Capanna del Guardiacaccia; quando ascoltò la sua voce, innamorandosi come un fulmine a cielsereno. Per un istante, tanto struggente da cristallizzarsi, desiderò essere lì nel passato, e di non crescere più. Ma quello che era stato, quello che gli era accaduto, tutto era in cornice sospesa. Non aveva pronunciato una parola da parte propria, e la voce dell'altra riuscì a riportarlo al presente, ancora una volta. Eccomi, aveva detto. Nella ridente bellezza di quel richiamo, Oliver vi catturò l'infinito. Eccomi, diceva. Leah era lì, lo era davvero.
«Eccoti.» Sorrise, il primo cenno ad ingentilire il volto. Spostò la sciarpa voluminosa dalla bocca, mostrandosi più liberamente. Le offrì così il mazzolino di margherite dalle tinte marine, e nell'omaggio rinverdì una tradizione, un rituale, una certezza. Quello che i fiori avevano significato per lui e per lei, quello che sempre avrebbero significato per loro... Leah avrebbe capito, ne era certo. Le gote, più rosee, accentuarono una nota d'imbarazzo che non avrebbero dovuto considerare, non dopo tutto il tempo in cui erano stati insieme. Ma lui, lui si sentiva terribilmente in colpa per non essere stato presente in quegli ultimi mesi, non come avrebbe voluto. Volse allora su di sé, indicando i Cancelli: oltre, senza la protezione dei sortilegi di Hogwarts, erano in balia dei pericoli, e del tempo, e del divenire. Sembrò vivere come in un sogno, un inizio che aveva l'esatto incedere di tanti altri incontri come quello. Dove si va oggi, sentiva in eco. Dove si va. Perché con Leah, da sempre, tutto era avventura. Le offrì il braccio destro, e le sorrise.
«Londra, la pista di pattinaggio.» Non c'era stata domanda, non occorreva.
«Ti fidi di me, Leah Elliott?» Era una scena che per loro continuava a ripetersi, e in parte Oliver sentì di aver chiesto troppo, spingendosi lì dove non vi fosse più certezza. Chiedeva all'altra di fidarsi, e in che modo avrebbe potuto farlo? In che modo, dopo che lei aveva giurato di essergli accanto, e dopo che lui - invece - si era sottratto? Strinse le labbra, e pregò intimamente di non essere posto alle strette, di non invischiarsi in una conversazione in cui non ci sarebbe stato alcun vincitore. Se l'altra avesse acconsentito, allora con l'Abete nella mano destra e con le tre indicazioni ben delineate come da esperienza, affidarsi alla Materializzazione Congiunta sarebbe stato un toccasana. Nel buio che ne conseguì, infatti, gli parve di respirare in fretta, più in fretta del solito. Né colore né suono, né forma né altro elemento, tutto era vuoto, e il vuoto - per lui - acquisiva approdo. Batterono piede in un vicolo solitario, sollevando un turbinio di fogli di giornale e una buccia di banana. Non c'era altro, al di là di cassonetti della spazzatura e alte, spesse pareti di calcestruzzo. Arricciò il naso, cercando Leah accanto.
«Ci sei? Questo è il punto più vicino che conosca per raggiungere la pista. Ma se ignori tutto questo.» Si girò attorno, allargando le braccia. La bacchetta magica, subito dopo, tornò nella manica del cappotto. Indicò oltre, verso l'apertura del vicolo. «La bellezza di Londra potrà svelarsi. Guarda lì, Leah.» Avanzando a passo spedito, infatti, Oliver poté raggiungere il marciapiede - passanti in abiti pesanti si aggiravano da uno e più punti, diverse vetture scivolavano sulla strada frontale, mentre oltre, ancora oltre si ergeva l'imponente profilo della Torre della Capitale. Un semaforo, alla loro destra, scattò sul verde per i pedoni.
«Corri, corri, la pista è dall'altra parte.» Le allungò la mano, rapidamente. Attendeva che l'altra la stringesse, il primo contatto, e il più delicato. A quel punto avrebbero potuto attraversare la strada fino all'altro capo. Come un velo impercettibile ai più, una cupola iridescente sarebbe apparsa allora ai loro occhi: per lui, per lei, la magia si svelava come ad accogliere promesse di un pomeriggio di grazia infinita. Potevano accedere ad un punto segreto all'intera Capitale, già si scorgevano il botteghino di una casupola in legno e il via vai di pattinatori in attesa di entrare in pista. Il cielo, delicato, sfumava di sera.

 
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Leah‚
view post Posted on 17/12/2020, 21:00




Leah Elliott » Castello di Hogwarts, Scozia
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Tutti i dettagli di quel pomeriggio le ricordavano il motivo per cui erano lì. Mentre infilava il mazzolino in tasca, Leah sapeva che avrebbe messo una di quelle margherite azzurre insieme a un gelsomino, a una rosa, a un paio di petali di girasole e a un'altra margherita, stavolta bianca. Sarebbero stati tutti insieme in una scatola che suonava quando la si apriva, intonando le note di Empty Handed. La prima canzone che aveva cantato per lui, più che con lui. Il gesto era consueto e ne ricordava molti altri.
Così come la sua risposta, arrivata prima della sua domanda o forse nonostante lei non avesse posto nessuna domanda. Era un rito, più che una routine. Qualcosa che rendeva più serio, e non più monotono, quello che stavano vivendo.
Alle parole "pista di pattinaggio di Londra", Leah si illuminò. Un passatempo così, semplice, Babbano, uno di quelli che perfino la nonna riusciva a capire. Il papà e la mamma le avevano insegnato a pattinare sullo stagno ghiacciato vicino a casa della nonna, e non c'era magia che servisse per divertirsi, coi pattini ai piedi. Sarebbe stato ancora più bello, perchè sarebbero stati due normali amici Babbani che andavano a pattinare. Niente Vista, magia, Casate, minacce o profezie. Suo malgrado, si sentì sollevata. Non pensava che avrebbe mai avuto bisogno di una pausa dal mondo in cui era nata.

«Ti fidi di me, Leah Elliott?»
La voce di Oliver pronunciò un'altra delle loro frasi. Chissà se Oliver la etichettava così anche lui.
Leah alzò gli occhi su di lui, due grandi occhi color cioccolata pieni di convinzione e certezza e malinconia. E amore.
- Sempre. - un attimo di pausa, un battito del cuore, poi continuò, sempre guardandolo negli occhi. - E per sempre. -
Forse era ridicola, una ragazzina come lei, mentre pronunciava con tanto calore e serietà una promessa così grande. Ma quella era la certezza a cui si era aggrappata per andare avanti tempo prima, e non l'avrebbe mollata in quel momento. Non l'avrebbe mai mollata, qualunque cosa fosse accaduta, dovunque lui fosse stato, con chiunque lui fosse stato.
Allungò un braccio e lo avvolse attorno a quello di Oliver. Sapeva che era necessario un contatto per la Smaterializzazione Congiunta, ma temeva quel momento. Incrociò il suo braccio con quello di lui, in un gesto affettuoso, di amichevole conoscenza, che non aveva nulla dell'intimo affetto con cui si era gettata tra le sue braccia le altre volte. Si strinse forte al suo braccio serrando gli occhi, attendendo di tornare a sentire la terra sotto i piedi prima di riaprirli, sforzandosi di non pensare a niente.

Una zaffata di odore nauseabondo la fece ondeggiare per un secondo, chiedendosi perchè provasse la stessa sensazione di mal di Passaporta con quel metodo di viaggio così sicuro e rapido. Poi si rese conto di essere in un fetido vicolo pieno di spazzatura.
«Ci sei? Questo è il punto più vicino che conosca per raggiungere la pista. Ma se ignori tutto questo. La bellezza di Londra potrà svelarsi. Guarda lì, Leah.»
In fondo al vicolo infatti si vedeva uno spicchio di Londra: gente coperta di cappotti e cappelli, pieni di sacchetti dell'inconfondile verde Harrods che piaceva tanto alla nonna quando le portavano qualcosa in regalo. E in fondo, al di là della strada, una casetta in legno e un po' di folla assiepata nei pressi.
Il cielo era indaco e lavanda sopra di loro, le luminarie Babbane - forse un po' misere, in effetti, ma con un loro fascino - ondeggiavano nell'aria fredda sopra le autocose che sfrecciavano in strada.
«Corri, la pista è dall'altra parte.» La invitò Oliver, tendendole la mano.
Un attimo di incertezza, solo un istante, e poi Leah la afferrò per farsi guidare al di là del fiume dei rumorosi, ingombranti veicoli Babbani.

La pista di pattinaggio sul ghiaccio di Londra non era poi così "Babbana" quanto Leah aveva immaginato: dalle acrobazie di alcuni dei pattinatori c'era decisamente della magia sotto i loro piedi, e le monete che tintinnavano alla cassa le erano decisamente note. Tuttavia per il resto sembrava del tutto ordinaria. Perfino le lanterne che ondeggiavano a mezz'aria, fluttuando sulla pista e riflettendosi sul ghiaccio lucido sembravano più Babbane delle migliaia di candele fluttuanti della Sala Grande.
Leah si avvicinò lentamente al parapetto della pista, guardando la gente che sfrecciava, piroettava, inciampava e cadeva. Erano passati anni dall'ultima volta che aveva indossato i pattini, ma probabilmente era come andare sulla scopa: quando imparavi, era impossibile dimenticarlo.
Appoggiata al parapetto, si rese conto che c'era della musica, che suonava in sottofondo. Non riusciva a distinguerne bene le parole, forse era magica, forse Babbana. Di sicuro la conosceva.
Tese l'orecchio, e le sue mani si strinsero alla balaustra di legno quando realizzò le parole della canzone.

I know it's late,
I know you're weary
I know your plans don't include me
Still here we are, both of us lonely


Si voltò all'improvviso, spaventata all'idea di fermarsi ad ascoltare troppo e di dare spazio a dei sentimenti che non erano quelli con cui si era presentata quel pomeriggio.
Scoccò un sorriso ad Oliver e gli indicò la casetta di legno con il capo.

- Noleggiamo i pattini? O tu nella tua capacità innata di rendere tutto perfetto hai portato anche quelli? Ti avviso però che i miei piedi sono più piccoli di quanto non sembrino, -
aggiunse con un sorrisetto. Poi si allontanò dalla balaustra, avvicinandosi a lui.
- E anche se ho pattinato da piccola, non so se mi ricordo bene come si fa! Tu sarai impeccabile anche in questo oppure i tuoi poteri da dio sole faranno sciogliere il ghiaccio? -

Ecco, parlare era sicuramente una buona idea. Il suo cervello era ancora troppo sintonizzato con quella musica, che forse veniva dalla pista, forse dalla filodiffusione di Londra, forse dalla sua stessa testa (non sarebbe stata la prima volta che il suo cervello iniziava a cantarle una canzone di sua spontanea volontà). Non voleva darle più spazio di quello che già si era presa. Affondò le mani nelle tasche, stringendo il contenuto della tasca destra in mano, chiedendosi per la milionesima, miliardesima volta se stava facendo la cosa giusta.


 
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view post Posted on 19/12/2020, 10:42
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Oliver Brior » Pista di Pattinaggio, Londra
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Spingersi in movimento oltre la strada, seguendo la fila di passanti davanti, riuscì a distrarre la sua mente a sufficienza e quasi gli parve un altro toccasana. L'aria fredda del meriggio, pungente sul volto, sferzava meno in effetti del battito del suo cuore, e del groppo in gola che a stento tentava di controllare. Non aveva immaginato un momento del genere, mai avrebbe desiderato esserne vinto dalla malinconia, dalla nostalgia, e dal rimorso. Mentre oltrepassava il percorso pedonale, fino a raggiungere il lato opposto, il profilo della Torre di Londra si svelò ai suoi occhi ben più nitidamente - le leggende che accoglieva al suo interno, la simbologia e il valore più prezioso che vestiva da sempre, l'incantevole espressione storica che aveva concesso in privilegio all'intera Capitale, tutto sapeva renderla artisticamente invidiabile; e in altre circostanze, in molte altre, avrebbe snocciolato qualche curiosità sulla struttura, sul passato che aveva vissuto, sulle peculiarità che si intrecciavano sulle sue pietre. Invece, stranamente, restava in silenzio, forse più del solito. Si affidava al cicaleccio intorno come un porto d'approdo, a riempire un vuoto che altrimenti sarebbe stato in grado di divorarlo. Avrebbe voluto fermarsi, il pensiero scalfì ogni reazione improvvisa. Avrebbe voluto arrestare la corsa, esattamente dov'erano, privi di considerazione per le automobili, il via vai di passanti, perfino per la stessa Torre di fronte. Avrebbe voluto circondare Leah con le braccia, portarla al petto, e sentire il suo profumo come già tante altre volte aveva avuto il privilegio di fare. Voleva... voleva lei. Voleva vivere lei, voleva stare con lei. Ma il cuore mal s'addiceva all'incauta consapevolezza della mente. Quello che era accaduto nel tempo, quello che il tempo aveva realizzato a sua volta; quelle trame che non era capace di mettere a fuoco, e tutte le sensazioni che annunciavano il cambiamento, tutto ripristinò ogni lucidità. Poteva essere in pericolo, ripeté tra sé. Mentre il semaforo scattava di rosso e loro arrivavano a destinazione, Oliver le strinse comunque più delicatamente la mano. Poteva essere in pericolo, continuò ancora.
Chi, però, rimase come una domanda sospesa.

***

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«Ammetto di non aver pattinato tante volte nella mia vita, soltanto a quel vecchio Ballo di Hogwarts, lo ricordi? Quello della Festa di Natale dove c'eravamo anche noi con il C.r.e.p.a., la prima vendita di beneficenza dei cuscini.» Lasciò che i ricordi, allora, sfumassero lì tra loro. «Che poi erano piume, forse te l'avevo detto. Che giorno, quello. Comunque no, non sono così bravo. E tu?» Ammiccò, un primo timido sorriso ad increspare la bocca. Aveva indagato il suo stato d'animo già prima del loro incontro: l'aveva fatto, non poteva negarlo, e ben più di una volta. Non era disagio quello che provava, talvolta catturava una scintilla di curioso, paradossale imbarazzo, ma non era propriamente così. Quello che sentiva fin nel petto, come un tormento, era nostalgia - di quello che aveva promesso e che non avrebbe potuto mantenere, e di quello che avrebbe voluto considerare e che non era riuscito a fare. Le accortezze che di solito ricamavano i suoi giorni, volta dopo volta, erano tutte scomparse: un semplice biglietto di buona giornata ad inizio colazione, un bocciolo di rosa ad accompagnare i passi dell'altra tra le aule scolastiche... aveva perfino immaginato di incantare un'armatura del Castello di Hogwarts, spingendola ad un gesto romantico nei confronti di Leah. Aveva sempre creduto, e ne era stato felice, che la poesia per lui fosse innata; tutte le avventure che avevano trascorso insieme, lui e la Tassina, e tutte le esperienze più belle che avrebbero potuto ancora inseguire, infatti, brillavano di spensieratezza e di un'affinità che a malincuore raramente Oliver aveva provato altrettanto intensamente. Quello che Leah era per lui, quello che sempre sarebbe stata per lui, tutto era vivido. Il ricordo, come germoglio, si spezzò sul nascere fino a coinvolgere lo sguardo in una nota di genuina, infida tristezza. Era proprio quello il punto, proprio quella era la cornice d'insieme: lui non poteva, non poteva più.
*Fermati, Oliver* Un monito, quello, che in assoluto aveva saputo gridare contro di sé. Scosse il capo, indicando poco avanti. Di fronte la pista di pattinaggio si apriva come un insolito scrigno, rivelando ad ogni più minuta attenzione una e più peculiarità che nessun altro luogo - in tutta Londra - avrebbe potuto eguagliare. Somigliava ad un circondario che si perdeva a vista d'occhio, appena delimitato da delicate staccionate in legno; tutto intorno si diceva vi fosse una cupola invisibile, Oliver l'aveva sentito in giro, e volgendo lo sguardo in alto, sempre più in alto, si domandò quale potente, magistrale sortilegio fosse in atto per non essere affatto percettibile. Stringeva ancora la mano di Leah e tutto, in lui, imponeva di non lasciarla andare. Batté l'altra mano sul petto, e infilandola sotto le pieghe della sciarpa e nel colletto, riuscì a liberare quella che somigliava ad una catenina argentea, e che rapidamente scivolò via - pendente nelle rifiniture del cuoio e del bronzo - in un vero e proprio medaglione. Il sigillo di un sole, di un arco, e di una cornice in corona d'alloro, infatti, catturò gli sprazzi del tramonto lì in cielo. E parve, perfino per Oliver, che divinità primordiali turbinassero ad un tratto tra loro. Lasciò il ciondolo in bella vista, proprio sulla sciarpa, e sorrise nuovamente.
«Questo è tra i regali più preziosi mai ricevuti, è sempre con me.» *Perché*, si interrogò. Perché allora... perché faceva così. Arricciò la bocca in una smorfia passeggera, raggiunto subito dopo da un motivetto di un brano che non conosceva e che in qualche modo sapeva adagiarsi come una colonna sonora del momento stesso. Soppesò il volto di Leah, per un attimo che si cristallizzò nel tempo. Alla fine, si disse, si era fermato. Al centro delle file dei pattinatori che giungevano alla pista, al centro di una Torre che tutto osservava, al centro di un botteghino in legno che continuava a gremirsi. Così lui, Viaggiatore dei tempi, si era fermato.
«Sei così bella, Leah.» Dolcemente, con tutto il suo cuore. Nell'intreccio di occhi smeraldo che non volevano lasciarla, che non volevano guardare avanti né indietro, che non volevano vedere oltre. Nella sorprendente armonia di una voce che si riduceva in sussurro, mentre la mano libera si sospendeva al volto dell'altra, in una carezza ad una ciocca di capelli di lato. Sentì un brivido lungo la schiena, avvisaglia di trame che si preparavano in vessilli di guerra, e così indietreggiò di un passo. Volse lo sguardo al botteghino, e annuì. Semplicemente... annuì.
Al casolare in legno, cercò di sorridere. Un cenno gentile verso le commesse, prima di schiarirsi la gola. Il medaglione, sul petto, brillava quasi di bagliore proprio. «Buonasera, vorrei per favore due biglietti d'ingresso. Come funziona, quanto potremo stare?» Non si preoccupò di come recuperare il Mokessino dalla tasca opposta alla mano libera, così da pagare. Non si preoccupò di lasciare la mano di Leah, non ancora. Non ancora. Attese informazioni anche sulla tipologia di pattini, che in effetti non conosceva, e soltanto allora poté rivolgersi a Leah. «Quali prendiamo? Sono tentato di considerare i Pattini Jump, ti immagini a fare acrobazie volanti? Ma solo se li prendi tu. Altrimenti per me andranno più che bene semplici pattini.» Sarebbe stata Leah a decidere per entrambi, lui avrebbe soltanto aggiunto quanto di necessario.
«Per me numero quarantuno, vi ringrazio.» Un occhiolino, veloce, e solo allora si costrinse a chiedere tacitamente di sciogliere il contatto delle loro mani. Da lì recuperare il portafoglio e pagare la somma richiesta - non avrebbe mai permesso a Leah di cacciare un solo zellino quella sera - non sarebbe stato così difficile.

 
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Leah‚
view post Posted on 30/1/2021, 15:28




Leah Elliott » Castello di Hogwarts, Scozia
People cross the streets in their own dance
Today it seems their bodies are light

PZcp62L
Quando il medaglione luccicò agli ultimi raggi del sole al tramonto, Leah lo riconobbe prima ancora di vederlo. Si ricordava di quel regalo, si ricordava bene cosa l'aveva spinta a comprarlo e come l'aveva scelto. Si ricordava di averglielo preso come un semplice gesto d'affetto, ma si rese conto in quel momento che sapere che lui lo portava ancora la faceva sentire meglio. Quel pensiero la rassicurava. Le faceva sperare che anche se non fosse più stata la sua ragazza, una parte di lei avrebbe sempre potuto stargli vicino e proteggerlo. Dovunque lui fosse andato, qualsiasi cosa avesse fatto, con chiunque fosse stato.
Sorrise, appoggiando le dita della mano guantata sul medaglione e così facendo posando la mano sul cuore di Oliver. In quel momento le dita del giovane scivolarono sui suoi capelli e un brivido le corse lungo la schiena, ricordandole che - per quanto la sua razionalità avesse deciso di prendere le redini del pomeriggio - lei era fatta soprattutto di emozioni. E niente e nessuno era riuscito a sfiorare le corde del suo cuore come Oliver. Forse nessun altro ci sarebbe mai riuscito, perchè le emozioni di quando si è adolescenti non tornano più. Leah rimase lì per un secondo, occhi color cioccolata fermi in occhi color smeraldo, con il desiderio di rompere quell'attimo di empasse ma senza volerlo davvero fare.

Si era ritrovata alla cassa della pista quasi senza accorgersene, confusa e smarrita tra i suoi pensieri, il cuore che le batteva forte e una marea di emozioni ingarbugliate che le sfrecciavano disordinatamente tra animo e mente, mentre Oliver la teneva ancora per mano.
Battè le ciglia un paio di volte mentre la sua mente elaborava al rallentatore la domanda del ragazzo.
- Io.. - inizio indecisa. Per un secondo ponderò l'idea di prendere un paio di Pattini Semprinpiedi, ma si disse che voleva davvero un pomeriggio senza magia. - Normali, grazie. Pattini normali. Numero trentacinque. -

Oliver pagò e la ragazza diede loro i pattini. Quelli di Leah erano bianchi, un po' usati in punta ma molto graziosi. Leah ricordava bene di avere usato quelli della mamma per tutta la sua infanzia; quando era molto piccola la nonna li aveva perfino dovuti riempire di ovatta per adattarli ai suoi piedini fuori misura. La sensazione di pattini scomodi l'aveva seguita per tutti gli inverni, ma quella volta fu diverso: forse era perchè erano comunque pattini magici, o forse erano solo della misura giusta, sta di fatto che le calzavano come un guanto. Erano perfetti. Per un secondo Leah decise di alzarsi e lanciarsi in mezzo ai pattinatori sulla pista senza indugiare ancora. Il secondo successivo cambiò idea.
Se si fosse alzata da quella panchina di legno senza fare ciò che doveva fare, non ne avrebbe mai più avuto il coraggio.
Il medaglione di Apollo occhieggiava ancora tra la sciarpa e il cappotto di Oliver e Leah prese il respiro necessario a radunare il coraggio che le serviva. Si sentiva il cuore stretto in una morsa, lo stomaco annodato e i polmoni pieni di ossigeno solo a metà. Sarebbe stato più facile lasciar perdere.
Ma Leah Elliott non era una che si faceva dominare dalla paura. Sarebbe andata fino in fondo.
Mentre Oliver era ancora intento a stringere i pattini, Leah sfilò i guanti, poi gli posò una mano sul braccio per attirare la sua attenzione.
- Ho una cosa per te, -
Non provava più imbarazzo da tanto tempo, con lui, ma l'antico disagio si era riaffacciato all'improvviso quando avevano deciso di vedersi per quell'ultimo appuntamento. Con un po' di timore a colorarle le guance tirò fuori la mano sinistra dalla tasca, mostrandogli una scatoletta di pelle nera.
- L'ho comprato per te un po' di tempo fa, aspettavo l'occasione giusta per dartelo. E credo... credo che sia venuto il momento. -
"Perchè se non lo faccio oggi non lo farò più," aggiunse mentalmente.
Dapeva che si sarebbero incrociati ancora, che si sarebbero visti, che l'avrebbe salutato con un sorriso nei corridoi e magari anche a qualche evento... ma non sarebbe più stata la stessa cosa. Non sarebbero stati più loro due insieme. Oliver aveva davanti a sè una strada di grandezza dove avrebbe vissuto emozioni incredibili, visto cose e incontrato persone che l'avrebbero cambiato per sempre.
Una strada che lei non poteva percorrere, che le piacesse o no.
Non ce l'aveva con lui, assolutamente. Non era mai stata arrabbiata, anzi. Lo capiva benissimo, e forse proprio per quello ci aveva sofferto tanto. Perchè si era resa conto che Oliver era fatto per la grandezza, mentre lei era la normalità. Forse era stato proprio quello, ciò che li aveva tenuti insieme. Forse lei era stata una parentesi di normalità per un ragazzo che era tutto, tranne che nella norma.
Lasciarsi era un momento doloroso, ma era giusto così. Come a Quidditch, a volte bisognava accettare di prendersi un Bolide nella schiena per deviarne un altro e permettere al Cercatore di acciuffare il boccino. Faceva male, certo, ma era la cosa giusta da fare. E alla fine, dopotutto, vinceva anche lei.
Ci mise qualche istante a raccogliere la voce, che si era persa chissà dove in mezzo ai suoi pensieri. Abbassò gli occhi verso la scatolina e la aprì, per porgere ad Oliver il contenuto sul palmo della mano.
- È un anello vegvisir. Serve ad infondere coraggio e fiducia in sè stessi. E aiuta chi si è perso a ritrovare la strada. -
Il fatto che gli stesse regalando un anello, simbolo universale di unione, nel momento in cui ufficializzavano il dividersi delle loro strade aveva qualcosa di ridicolmente triste. Però il significato di quell'oggetto era più intenso e importante che mai: Leah gli augurava coraggio e fiducia in sè stesso, ma soprattutto gli augurava di trovare la sua strada. E poi magari anche la strada che lo riportava a casa, dovunque lui sentisse che fosse.
Era come per il medaglione: a Leah importava che lui stesse bene e fosse felice, con o senza di lei. Quando sentiva le ragazze più grandi parlare di quelle cose le erano sembrate tutte sciocchezze, ma in realtà era la verità. Si era talmente innamorata di lui che per lei era più importante saperlo felice che averlo con lei.
Prese la mano di Oliver con la sua, le cui dita gelate non erano dovute certo alla temperatura esterna, e posò l'anello sul palmo della sua mano, chiudendo le dita del ragazzo sull'oggetto con le proprie. Tenne per un secondo la mano di Oliver tra le sue e poi si sporse a baciarlo all'angolo delle labbra.
- Ti amerò per sempre, Oliver Brior. E non mi dimenticherò mai di te. -
Poi, un respiro più tardi, si era alzata. Aveva passato le mani sulle guance con un gesto rapido, per cancellare qualsiasi traccia di tristezza e lacrime, e poi aveva sorriso. Un sorriso che ci aveva messo qualche istante ad arrivare agli occhi. Si era sistemata la sciarpa attorno al collo e aveva fatto cenno alla pista con la testa.
- Allora, vediamo se ci ricordiamo come si fa? - disse allegramente, la voce appena meno squillante del solito, un dettaglio percepibile solo da chi la conosceva davvero bene. - Prometto di farti cadere insieme a me, se perderò l'equilibrio! -
Si sentiva più leggera, ora che gli aveva dato l'anello e gli aveva detto che non si sarebbe mai dimenticata di lui. Fece un profondo respiro e si rese conto di riuscire di nuovo a sorridere sinceramente, mentre usciva sulla pista e lo attendeva sul ghiaccio, in quel piacevole precario equilibrio che si prova con i pattini ai piedi.
Chissà, forse un giorno si sarebbero rincontrati, grandi e cresciuti, con un sacco di esperienze alle spalle e qualche sogno realizzato in più, e si sarebbero ricordati di quel pomeriggio sulla pista di pattinaggio, avrebbero riso davanti ai loro paroloni di ragazzini e si sarebbero sentiti scaldare al ricordo di quel sentimento che c'era stato tra loro. Che cosa la vita avrebbe riservato loro, non lo potevano sapere.
Quello che Leah sapeva, era che voleva sfrecciare e piroettare e cadere e ridere e parlare per il resto del pomeriggio, dimenticandosi di tutto quello che sarebbe successo dopo.




Anello Vegvisir ⬦ Vegvisir è un simbolo runico conosciuto anche col nome di "bussola runica". Aiuta chi si è perso a ritrovare la strada, infondendo coraggio e fiducia in se stessi. | Salute + 1 Corpo +1 Mana +3
 
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view post Posted on 10/10/2021, 08:55
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Oliver Brior » Pista di Pattinaggio, Londra
Insightfully the air strikes me, but my mind is crossed, I’m tired
But it remains, boy, what it was, a one-night-stand with love

PZcp62L
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In sottofondo, lungo l'intera pista di pattinaggio, le note musicali dei brani di successo di Celestina Warbeck s'inseguivano tra di loro; sfumavano dai megafoni sospesi a mezz'aria, sospinti dalla magia da un punto all'altro di quel ritrovo. Era un canto così familiare, una melodia che aveva conquistato passione in tutto il mondo magico: e Oliver, che per Celestina provava da sempre una folle infatuazione, non poneva eccezione. Mentre ritirava i pattini al botteghino e gentilmente concludeva il prezzo del noleggio, nel proprio cuore s'inaspriva una conversazione che non credeva di aver mai fatto né di aver mai avuto il coraggio di ascoltare. Sapeva che quel momento, tra tutti, ben presto sarebbe arrivato; era il tacito segreto che sceglieva di ignorare, lo stesso turbamento che aveva nutrito un'insonnia già di per sé disastrosa nell'ultimo periodo. Aveva pensato a lungo alla relazione tra lui e Leah: l'affetto che custodiva per l'altra non aveva confronto e senza alcun dubbio sarebbe durato ancora. Non c'era risentimento, non poteva esserci - quello era stato per lui un tempo felice, dall'inizio alla fine. Per lui, infatti, Leah aveva rappresentato un risveglio - da ogni torpore, da ogni mancanza, talvolta da ogni estrema nostalgia. Un risveglio in termini d'identità vera e propria: come ragazzo, come fidanzato, come persona in generale. Leah Rose Elliott era una parte bellissima della sua vita, e nella semplicità di un'affermazione simile vi trovava altrettanta verità. Così Celestina cantava, e la sua voce svelava memorie mai sopite per davvero. Quelle stesse parole in musica, infatti, avevano cesellato tanti momenti tra lui e la Tassina - bastava socchiudere gli occhi per esserne completamente trasportato. Un battito di ciglia, un brivido lungo la schiena, un cuore in eterno visibilio: quello che era stato, quello che loro erano stati, tutto era storia. Una di quelle che non avevano fine, una di quelle che lasciavano il segno: in un modo o nell'altro, a dispetto del paradosso che andava formandosi quella sera, Oliver ne era fermamente convinto. Distanza o meno, comunque fosse andata, lui e Leah non si sarebbero esclusi a vicenda. Lui non l'avrebbe permesso, non contemplava la perdita. Allora perché, si chiedeva. Era un diverbio che affrontava ormai da giorni, crogiolandosi in un coraggio di cui era sempre stato convinto e di cui, invece, aveva cominciato terribilmente a peccare. Avrebbe voluto dire che fosse per egoismo, soltanto per sé - impossibile, però, per chi come lui aveva reso l'empatia un'armatura a doppio petto. Avrebbe voluto dire che fosse per necessità, pura necessità - un'idea altrettanto sciocca, che mal s'addiceva ad una motivazione ben più ancorata. La verità risiedeva nella solitudine: Oliver aveva bisogno di ritrovarsi. Quanto era capitato, negli ultimi tempi, aveva riversato una e più sensazioni così grevi da aver posto un marchio famelico. Di notte, mentre il sonno conciliava gli altri ed escludeva lui tra tutti, Oliver sentiva di essere divorato da incubi ad occhi aperti: di fuoco, di asfalto, di porte sbattute, di serrature impossibili, di mancanze. Ardeva della ricerca di rassicurazioni, le stesse che un tempo trovava in chi purtroppo lontano. Aveva bisogno di ritrovarsi, di interrompere ogni voracità. Aveva bisogno di tessere nuove fila, le stesse che erano andate dissolvendosi perfino nella sua famiglia; aveva bisogno di Loras, aveva bisogno di Jasdel, aveva bisogno di... di ritrovarsi.
Viveva l'armonia dei ricordi. Le parole di Leah, così cariche di significato per lui, cullavano promesse che aveva fatto a se stesso; ancora una volta, allora, catturò l'impressione che la Tassina - tra tutti - potesse vedere oltre, potesse vedere lui così nitidamente. Anche l'anello che aveva scelto come regalo, infatti, si trasformava metaforicamente in uno scrigno. Vegvisir, quello il nome: una strada, una guida, l'una e l'altra. Sentì il cuore stringersi in una morsa - di imbarazzo, perché per la prima volta lui non aveva nulla per lei; e quei fiori, di blu screziati, apparvero miseri al confronto dell'incanto di Leah Elliott; di nostalgia, perché un gesto di valore come quello non sarebbe capitato di nuovo così presto; di amore, sentì il cuore stringersi in una morsa di amore.
«Grazie, Leah.» Il suo nome, il suo nome. Addolciva la voce, lasciando sulla bocca il gusto dell'Estate, il gusto della natura libera; il gusto di cespugli carichi di bacche e di gelsi d'un rosso brillante, e quello del sole alto nel cielo fino a scottare la pelle, quello dei girasoli danzanti sulla cima di una collina, e quello di una Firebolt trascinata nel vento, e quello di un paracadute variopinto di uno e più colori; il gusto della pergamena che celava corridoi segreti, schemi e mappe di confini che avevano esplorato insieme; e quello dei biscotti alla cannella, i suoi preferiti, e quello della cera di candele che profumavano di fiori primaverili; il gusto della terra bagnata, della rugiada sulle querce sempiterne al limitare della Foresta Proibita, e quello delle zucche che tratteggiavano la Capanna del Guardiacaccia di Hogwarts, lì dove v'era stato il primo incontro; il gusto della musica migliore, delle fiabe d'amore di Celestina Warbeck e di Emily Vannet, di chitarre e strumenti animati dalla magia, di spartiti pieni di note e di appunti, e il gusto dell'Auditorium che sempre, sempre sarebbe stato soltanto loro; il gusto... il gusto delle api frizzole, il gusto del cuoio e della stoffa, il gusto del mare e del sale sulla bocca; il gusto della vita, Leah Elliott era il gusto della vita.
«Ti amerò per sempre, Leah Elliott.» Così com'era stato, così com'era. Sarebbe stato facile dire "anch'io", puntellando di solitudine le parole della Tassina. Ma non sarebbe stato giusto, non per lei. Aveva voluto dirlo a sua volta, aveva voluto dirlo almeno un'ultima volta. Ed era vero, lo era fin nel profondo del suo cuore. Si accorse di tremare: come un bambino, come un personaggio di un racconto senza lieto fine; avrebbe potuto addurre colpa al gelido inverno di quei mesi, avrebbe potuto dire che fosse colpa della pista di pattinaggio sul ghiaccio. La casetta in legno, tuttavia, accoglieva entrambi insieme a tanti, forse troppi spettatori. E per un attimo, attirando forse le occhiate indiscrete di streghe e stregoni lì nelle vicinanze, Oliver provò il rimorso di non aver scelto un luogo più solitario, un luogo che potesse rendere omaggio al loro incontro, alla loro tacita conversazione. E poi, e poi afferrò al volo. Leah era gioia, era presenza, era vita. Leah, per lui, era caotica bellezza. E se anche non fosse riuscita a capirlo per molto, molto tempo, per Oliver invece sarebbe sempre stato chiaro: tra i due, da sempre, era lei l'eterna, meravigliosa grandezza. E per quello le sarebbe sempre stato grato.
«Sei per me presente, Leah.» Le si accostò, prima che l'altra potesse sfrecciare via sulla pista di pattinaggio. Le si accostò, il volto a cercare il profilo delle sue guance, il profilo della sua bocca. Un bacio, un ultimo bacio, mentre le mani cercavano l'abbraccio che aveva trattenuto. E tremava, Oliver. E tremava, tremava così tanto da sentirsi stupido e sicuro insieme, da sentirsi innamorato e terribilmente, terribilmente impaurito. Per l'assenza, per la fine di una storia d'amore, per il cambiamento. Aveva bisogno di ritrovarsi, ne era consapevole. Forse lontano, forse altrove, non ne aveva la più pallida idea. Aveva bisogno di ritrovarsi, ma lei... lei sarebbe stata sempre con sé. Leah era presente.
«E per me, Leah. Per me anche il futuro è presente.»

La strinse a sé.
E per molto, moltissimo tempo, non la lasciò andare via.


Non volevo scrivere quest'ultimo intervento. Ne avevo paura, perché la storia di Oliver tocca chiaramente anche me fin nel profondo. Il tempo, poi, non è stato dei migliori e nonostante tutto ho voluto scrivere qualcosa a mia volta. Anche se non leggerai, voglio aggiungere qualcosa di personale: tutte le meravigliose esperienze che Oliver e Leah hanno vissuto insieme, sai, resteranno sempre nel mio cuore; il modo in cui tu sia riuscita a vedere Oliver, fin nel profondo, è unico e per me, suo narratore, è stato un infinito privilegio leggerti in questi anni. Sei stata per lui, e per me, un dono prezioso. E di questo ti sono grato, amica mia.
Sei sempre nel mio cuore, e questo già lo sai.

e ora corro a scriverti, ché mi manchi tantissimo.

 
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6 replies since 16/12/2020, 18:31   268 views
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