Bastarono pochi minuti in compagnia dei due perché Jolene si sentisse rasserenata. Rideva alle loro battute, adattava il proprio passo al loro e, man mano che macinavano la strada fino alla collinetta della Stamberga, vedeva crescere in se stessa una confortevole sensazione di calore. La reciprocità con cui lei e Ariel cercavano il contatto una dell'altra riuscì ad addolcirle lo sguardo. Sotto alla carezza gentile dell'altra, la pelle di Jolene sarebbe potuta diventare trasparente, tale era la sua impressione di divenire luogo di luce, quasi che la giornata potesse attraversarla senza perdere nemmeno un filo del suo splendore.
Solo quando giunsero a destinazione, e scoprirono di non essere affatto gli unici ad aver avuto la stessa idea, Jolene ripiombò nello stato di una cosa fisica, opaca e pesante. Avere intorno così tanti sconosciuti guastava la piacevole illusione che ci fosse spazio solo per il buonumore del loro terzetto. Jolene cercò di pilotare gli altri due verso la postazione più isolata: le coppiette la mettevano un po' a disagio, facendole tornare una certa reticenza nel guardare Ariel negli occhi, mentre i gruppi più numerosi erano anche quelli che facevano più rumore.
Prese posto sulla coperta e distese le gambe di fronte a sé, prendendosi un momento per esaminare lo spazio circostante. Poi, cominciò ad estrarre le vivande dai loro sacchetti: spacchettò i suoi biscotti fatti in casa e le ali di cupido appena comprate. Ora che aveva le mani più libere, prese finalmente un sorso del suo tè da asporto, che a quel punto era tiepido. Tuttavia, lungi dall'essere di aiuto, il tè di Ginevra non fece che acuire un certo senso di disagio. Delicato, suscettibile e malinconico: da una parte era la bevanda fatta su misura per lei, dall'altra solo un segno di gran masochismo.
Dopo essersi leggermente distratta, tornò ad ascoltare le battute degli altri due. Non era esattamente in vena di scherzare sulle cotte degli studenti verso il personale scolastico, ma nondimeno commentò da dietro un sorriso divertito: «Chissà se la signorina Darmont ha già sentito del dibattito sulla sfumatura esatta degli occhi del Guardiacaccia». Puntellò i palmi dietro di sé, reclinandosi per sollevare il mento verso Lucien. «Azzurro, ma con quell'esatta sfumatura di pietra delle scale del quinto piano», scimmiottò, sfociando poi in una risata. «La segretaria è fissata con le scale» spiegò poi ad Ariel. «Ma, dico, davvero fissata. A quel che dice Luce il suo ufficio ne è pieno, deve venirti il mal di testa solo a starci dentro cinque minuti.»
Ariel si accese una sigaretta e l'aria cominciò a trasportarne l'odore di erbe bruciate. Jolene vi era abituata: fin dall'infanzia i vestiti di sua madre conservavano, sotto al profumo di detersivo, l'aroma forte del tabacco e delle altre piante che vi mescolava. Le piaceva, era un odore caldo.
«Jolene: guancia.»
Come se nulla fosse, Jolene si allungò di lato per porgere ad Ariel la guancia sinistra, su cui l'altra scoccò un bacio che si lasciò dietro una vaga traccia di rossetto. «E una prova anche per Ariel» esclamò. «Voglio un riconoscimento come acchiappa-bacini ufficiale.» Nel tornare con la schiena dritta alla sua postazione, Jolene si prese un'ala di Cupido. Il tè giaceva ancora accanto a lei, leggermente inclinato sull'erba, e non sembrava intenzionata a berne ancora.
Lasciò che la pasta di zucchero le si sciogliesse sulla lingua mentre, ancora seduta sulla coperta, osservava i goffi tentativi di Lucien di improvvisare un balletto. Alla fine, scoppiò a ridere, e non era l'unica a mostrarsi divertita: più di una testa di era voltata a guardare i due amici d'infanzia, Jolene poteva vedere qualche sorriso con la coda dell'occhio. Quasi che avesse atteso il loro segnale, qualcuno da qualche parte accese una radio, o alzò il volume al punto da far arrivare fino a loro la voce un po' disturbata di Celestina Warbeck. Jolene si guardò intorno, cercando di individuare quel terzo complice, e d'un tratto si sentì molto più rilassata nei confronti di tutte quelle persone. La linea delle spalle si ammorbidì sotto al cappotto scuro, mentre una luminosità divertita nello sguardo annunciava la decisione di unirsi ai suoi amici.
«E d'accordo» fece finta di sospirare, tirandosi rapidamente in piedi. Un po' troppo rapidamente, tanto che si sorprese della sua stessa leggerezza. Il motivo era presto detto: le ali di Cupido avevano fatto il loro effetto, e la schiena di Jolene era adorna di candide piume. «Oh. OH, guardate, sono un pollo.» Si lanciò in una piroetta un po' sbilenca, così da mostrare in tutta la loro maestosità le alucce, che sbattevano freneticamente, senza tuttavia sollevarla di un centimetro da terra.
«È come al ballo delle fate» prese a straparlare, «solo che questo è il ballo dei polli. Signore, signorina.» Abbozzò un inchino, porgendo una mano a ciascuno. Si sentiva incredibilmente stupida e se solo avesse incrociato lo sguardo di qualche estraneo probabilmente avrebbe usato la coperta di Ariel per nascondercisi dentro, quindi evitò accuratamente di guardare qualcuno che non fossero i due pazzi che erano con lei. E poi, ecco, Jolene si unì al ballo. Così, senza che vi fosse una vera coordinazione, e non c'erano dubbi che offrissero uno spettacolo penoso. Lucien aveva sempre sfoggiato la fluidità di movimenti di un tronco di pino, e l'imbarazzo rendeva Jolene piuttosto scattante, tanto che, a dire la verità, la sua intenzione era di ritirarsi dopo appena qualche passo di danza. Se non l'avessero fermata, lei e le sue ali si sarebbero presto ritirate al ruolo di semplici spettatori incoraggianti – con tanto di battito di mani fuori tempo, proprio così.
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