D o l e n t, privata

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Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

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Draven Enrik Shaw
Studente, III° anno ‹ 14 anni ‹ Garzone da Magie Sinister

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Nemmeno quest’anno il Natale era stato memorabile. Piuttosto, un giorno come qualsiasi altro in cui aveva semplicemente dovuto svegliarsi presto per accogliere l’arrivo di nonna Lilien. Ogni pasto nei seguenti dieci giorni si era svolto nell’assoluto silenzio, ai limiti dell’imbarazzante. Doveva essere successo qualcosa tra sua madre e Lilien, ma non aveva voluto indagare. Aveva ricevuto un sacco di regali da entrambe e, in più di un’occasione, si era ritrovato maliziosamente a pensare che tra le due fosse in atto un qualche tipo di competizione col fine di arruffianarlo. Nonostante il pensiero, però, Draven aveva continuato a ignorare la situazione. Per non restare coinvolto nell’aria pesante che circolava in casa, era uscito spesso con la scusa di recuperare qualche partita di calcio con i ragazzi del vicinato, con i quali era cresciuto; li aveva visti davvero, un paio di volte, ma in realtà aveva passato la maggior parte di quel tempo libero fuori a leggere. Il parco vicino casa sua era sempre stato poco frequentato, ma con la neve che ricopriva le panchine fino all’orlo, nessuno in quei giorni aveva avuto il pensiero di andarci a fare un salto. Solo lui. E lo aveva fatto fin quasi allo scadere delle vacanze, fin quando sua nonna si era fatta coraggio e, non avendo più tempo per rimandare la questione, aveva deciso di rivelargli a cosa fosse dovuto il malumore generale.
Di ritorno a casa, diretto verso la propria camera dopo un intenso pomeriggio passato a rileggere per l’ennesima volta Il Grande Gatsby che, per qualche motivo che razionalmente non aveva alcun senso, si era prefissato di finire prima del rientro a Hogwarts, era stato intercettato da Lilien. Era stata una bella giornata. Gli mancavano poche pagine per finire il libro e portare a compimento quella stupida missione personale e la cosa lo aveva messo di buonumore. Lilien gli aveva chiesto di sedersi e lui lo aveva fatto senza replicare, in maniera abitudinaria come ogni altra volta in cui la nonna gli aveva dato un ordine; il fatto che assecondandola avesse scelto il bordo del letto e schiacciato la coda del povero Donut, o il fatto che avrebbe preferito almeno potersi cambiare e indossare vestiti caldi e asciutti prima di intavolare una qualsivoglia conversazione… Passò tutto in secondo piano nel momento in cui gli passò un pacchetto. C’erano scritti sopra il nome e l’indirizzo di Narcissa. Li aveva scritti lui. Il pacchetto lo aveva fatto lui. Lo aveva spedito il giorno dopo che era tornato a casa, quando aveva ricevuto il regalo di Natale di Narcissa. Aveva ricevuto altri regali dai compagni di Hogwarts, ma li aveva ignorati tutti. Non essendo bravo in questo genere di cose, aveva semplicemente pensato che avrebbe ringraziato i vari mittenti di persona, una volta finite le vacanze. Non aveva pensato nemmeno a un regalo di Natale per Narcissa, ovviamente; il fatto che in quel particolare periodo dell’anno ci si scambiassero doni gli aveva semplicemente dato la spinta di cui aveva bisogno, perché era da settimane che pensava di darle quell’oggetto. Era una cosa talmente stupida che l’idea di darglielo di persona lo aveva fatto sentire una specie di fratello maggiore sfigato e aveva sempre finito col rimandare.


Perché mi è tornato indietro?era stata l’unica cosa che aveva detto, dopo aver passato diversi istanti in silenzio a rigirarsi quella scatola tra le mani.
Alla fine, se l’era portata con sé. Quando era arrivato il momento di riprendere il treno per Hogwarts, aveva lasciato fuori dalla valigia quel pacchetto con l’intento di darlo di persona a Narcissa. L’aveva cercata in ogni carrozza del treno, al punto da aver esitato così a lungo a prendere un posto che, alla partenza, si era ritrovato come un ebete nel bel mezzo del corridoio. Per fortuna, almeno, non era l’unico; per non essere superato dai ritardatari, si era affrettato a raggiungere le ultime carrozze. Non si era dato per vinto, ma non c’era nessuna traccia di Narcissa sul treno. Forse sua nonna gli aveva detto la verità. Nonostante ciò, comunque, finché non lo avesse letto sul Profeta o glielo avesse comunicato qualcuno a scuola, come un Professore o il Preside, non ci avrebbe creduto sul serio.
Come aveva previsto, nelle ultimissime carrozze non c’era ancora arrivato nessuno. Ne trovò una completamente vuota e ci si accomodò. Tolta di mezzo la valigia e la gabbietta di Donut, che aveva lasciato libero di vagare nella carrozza, si era disteso sui sedili. Le braccia incrociate al petto, gli occhi chiusi e le ginocchia piegate, per fare spazio in un angoletto a quel pacco che gli era tornato indietro e cominciava quasi ad essere una presenza ingombrante.


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Sotto consiglio, spiego in spoiler la questione Narcissa.
Prima che la roler comunicasse il suo abbandono definitivo dal gdr, ho parlato con lei per chiederle come muovermi in una role attualmente in corso insieme e, oltre ad avermi chiarito questa cosa che specificherò poi nella suddetta role, mi ha detto "a breve posterò nei frammenti l’uscita di scena: Narcissa decederà insieme alla madre in un incidente". Però non lo ha mai fatto e ha cancellato subito il suo account di forumcommunity rendendomi palese il non voler più parlare del pg. Il punto è che, in game, Draven aveva instaurato un rapporto piuttosto stretto d'amicizia con Narcissa. Per coerenza, non posso ignorare la cosa e mi sento in dovere di accennarla in game, così da dare un senso al perché, da un giorno all'altro, Draven non bazzica più con Narcissa, quando sono stati sempre insieme nella maggior parte delle mie role. Non sentendomi molto a mio agio all'idea di parlare di morte del pg, quando lei stessa non lo ha reso pubblico, mi limiterò a dire che è sparita insieme alla madre, ma resterò nel generico sul come/quando/perché, così da dare semplicemente una sorta di chiusura al loro rapporto e mandare avanti la trama di Draven senza di lei.
Spero vada bene agire così, ma in caso - ovviamente - modificherò in base a varie/eventuali esigenze di gdr.
 
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view post Posted on 19/3/2021, 23:25
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n saluto veloce e aveva lasciato la porta sbattere alle proprie spalle, finalmente libera. Un sospiro di sollievo e un tentativo vano di reggersi alla ringhiera prima di scivolare con il sedere a terra a causa del ghiaccio. Maledizione, imprecò silenziosamente mentre Damon la fissava curioso all’interno della gabbia, proprio vicino al grande cancello in ferro battuto. Megan si alzò, scrollandosi da dosso la neve e, sistemando gli spallacci dello zaino calati oltre le spalle, si avviò verso l’uscita, zoppicante. Era di certo una bella botta quella che aveva preso, i lividi avrebbero ben presto macchiato la pelle candida lungo il polso destro e sotto i lunghi e stretti jeans.
Avvolta da un pesante cappotto, camminava diretta alla stazione più vicina. Le impronte date dai pesanti boots neri segnavano la neve fresca che era arrivata a bagnarle parte dell’orlo dei pantaloni. Il tragitto da Kensington fino a King’s Cross, era abbastanza lungo e attraversando i distretti, prendendo ben due linee di metro, Megan impiegò all’incirca mezz’ora. Quando mise piede alla stazione era in orario, come sempre, e prima di attraversare il muro che l’avrebbe condotta al treno, si prese una pausa caffè in un comune Starbucks della zona. Con molta curiosità spiò alcuni giovani babbani alle prese con i computer, utilizzati per lavoro o per studio. Aveva comprato anche lei un apparecchio del genere durante le vacanze natalizie, giusto per curiosità. Aveva imparato ad accenderlo e molto sommariamente a utilizzare internet, meravigliata dalla semplicità con la quale si trovavano le cose. Aveva pensato a quanto doveva essere facile per gli studenti No-Mag fare ricerche, trovare cose utili senza rinchiudersi per forza di cose nella biblioteca della zona. Probabilmente, però, lei avrebbe finito per stufarsi presto, perché l’odore dei libri non aveva eguali a confronto con la tecnologia di cui il mondo babbano si vantava gloriosamente. O forse ci avrebbe fatto l’abitudine? Tuttavia, l’acquisto del computer, fu anche una piacevole rivelazione per quel che riguardava la musica. I brani che ascoltava durante le uscite nei locali del quartiere, ora poteva ascoltarli liberamente su una piattaforma apposita. Questo le aveva permesso di conoscere alcuni degli artisti più in voga della città e si era divertita a riprodurre le note di canzoni al pianoforte, quelle che le erano rimaste impresse, estraniandosi totalmente dallo studio classico dal quale veniva. Finita l’ultima goccia di caffè americano, Megan si diresse verso il centro della stazione, il binario 9 e ¾ la sua meta, pronta a lasciare Londra. Le vacanze invernali si erano rivelate più interessanti del solito: aveva avuto tempo di fare un viaggio in solitaria tra le coste del Sud dell’Inghilterra e di mettere in ordine i pensieri; riscoprire se stessa persino. Una parte del suo essere si era rivelata a lei, inaspettata, e accoglierla fu l’unico modo per non farsi sopraffare.
Oltrepassato il muro, a circa una decina di minuti dalla partenza del treno, Megan percorse l’intera banchina desiderando di riservarsi un posto tra le ultime carrozze. Le più tranquille, da quel che le era sempre parso durante anni di viaggio. Quando salì al terzultimo vagone, però, la speranza che le cuccette fossero vuote si sgretolò come un mucchio di granelli di sabbia tra le dita. Fu costretta, in tal modo, a percorrere lo stretto corridoio fino a trovare l’unica cuccetta che riservava qualche posto libero, sperando che nessun altro decidesse di unirsi a lei. All’interno un ragazzo, che non riconobbe subito, era sdraiato comodamente sui sedili.
«Scusami, posso?» chiese mentre con la mano libera apriva la porta scorrevole. Lasciò passare dapprima la gabbia con Damon al suo interno e poi passò lei. Il gatto si mise a soffiare vedendo il famiglio dello studente libero di vagare in quel piccolo spazio. «Buono Damon. Non è così socievole, devo ammetterlo» sorrise nell'imbarazzo di quella scena, senza minimamente osservare la figura presente e le sue probabili espressioni fronte all’accaduto. In tal modo, Megan, sistemò lo zaino e la gabbia al proprio fianco; sedendosi, si spogliò della giacca, che lasciò scorrere dietro la schiena, e incrociò le gambe l’una sull’altra. Lo sguardo si perse fuori dal finestrino per qualche secondo, poi condusse la mano sinistra a massaggiare la parte livida del polso destro, scoprendolo dal maglione invernale. Accidenti, bella botta. Fece una smorfia osservando la chiazza bluastra che le copriva gran parte della superficie appena sotto il palmo. Cercò di reprimere il dolore che sentiva all’altezza del coccige e cercò di posizionarsi al meglio. Solo in quel momento spostò realmente lo sguardo sul giovane di fronte a lei. «Spero siano andate bene le vacanze, Draven. Giusto?» Chiese cordialmente, attendendo di incrociare le iridi verde chiaro. Ora lo aveva riconosciuto.




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Al buio delle palpebre chiuse, continuava a rimuginare sull’espressione afflitta di sua nonna. Era sicuro che sapesse qualcosa che non aveva voluto dirgli e che lui, per timore di sapere, non aveva voluto chiedere. Col senno di poi, cominciava a pentirsi di non aver sfruttato il momento per tempestarla di domande. La famiglia di Narcissa, a detta di sua nonna, aveva una certa fama nel mondo magico o, almeno da quello che aveva potuto constatare, nella cerchia di maghi che Lilien era solita frequentare; era sicuro che, curiosa com’era, aveva trovato un modo per scavare nella vicenda… Narcissa era sparita nel nulla insieme a sua madre. Solo questo gli era stato detto. Di conseguenza, era stato facile intuire che il pacchetto regalo che le aveva fatto era stato restituito direttamente a sua nonna. Probabilmente, Narcissa aveva parlato alla sua famiglia di lui e ne avevano parlato con Lilien, perché a giudicare da quella sua espressione che non riusciva più a togliersi dalla testa, la nonna gli era sembrata ben conscia dello stretto rapporto di amicizia che si era instaurato tra loro due, nonostante lui non ne avesse mai fatto parola.
Come di riflesso a quella constatazione, sentì lo stomaco contorcersi in una morsa dolorosa e strinse un po’ più forte le braccia intorno al petto. Questo era il preciso motivo per cui, a un certo punto della sua vita, crescendo, si era imposto di non affezionarsi alle persone e restare da solo. Pensare esclusivamente a sé stessi non avrebbe mai fatto così male. Perché, sì… Non lo avrebbe mai ammesso, ma si era affezionato a quella fastidiosa ragazzina che per quasi un intero anno lo aveva seguito ovunque come un’ombra. E ora, ci stava male, tanto, nel non sapere cosa le fosse accaduto.
Il pensiero che avrebbe anche potuto non scoprirlo mai, gli indusse un’ulteriore morsa alla bocca dello stomaco. Faceva proprio male. E in pochi mesi, era già la seconda volta che permetteva a un essere umano di avere quel potere su di lui.
Finiva sempre così: con lui che stava male, nessuno a cui fregava niente, lui che si rialzava da solo e si isolava per ritrovare sé stesso finché, senza che se ne rendesse conto, qualcuno non tornava a disturbare il suo status quo.
Odiava quel tipo di dolore. E, per quanto si sforzasse di controllarli, odiava che i sentimenti potessero avere un tale potere su di sé.
Si passò due dita a sfregarsi le palpebre chiuse, sbuffando sonoramente.


Che situazione del cazzo… - bisbigliò tra sé e sé, nel babbano tono scurrile che era solito contenere tra le mura di Hogwarts.
Avrebbe fatto meglio a farsene una ragione e dimenticarsi della questione, ma era più facile a dirsi che a farsi. Narcissa non sarebbe mai entrata dalla porta di quel vagone, sfoggiando la sua solita espressione annoiata, per condividere con lui il fastidio che le davano gli altri primini… Doveva accettarlo e basta.
Ma la porta si aprì e, con falsa speranza, Draven vi puntò subito gli occhi.
Con una mano ancora sospesa sul viso, rimase come paralizzato sul posto: da una parte la delusione nel constatare che non era Narcissa, da un’altra parte il fastidio di ritrovarsi in compagnia di qualcuno in un momento in cui avrebbe solo voluto essere lasciato in pace, da un’altra ancora l’improvvisa ansia nel ritrovarsi di fronte, tra tanti, proprio Megan, misto al sollievo che, perlomeno, fosse lei e non qualcuno di irritante.


Si…rispose, incerto, dopo qualche istante di silenzio da quando gli aveva rivolto la parola.
Di nuovo conscio di dove fosse, si affrettò a mettersi seduto composto. Sentì come uno shock termico nel togliersi di dosso le braccia incrociate e, istintivamente, si chinò su sé stesso, abbassando lo sguardo. Donat era lì, in direzione del proprio sguardo: aveva preso a camminare intorno ai suoi piedi, scuotendo minacciosamente la coda. Non che lui fosse un gatto socievole, ma perlomeno non aveva mai attaccato briga con altri animali… Sperò vivamente che non avesse deciso di iniziare a essere antipatico proprio col gatto di Megan.


Sono animali territoriali… - si limitò a risponderle, facendo spallucce e alzando lo sguardo su di lei per ricambiare il sorriso. Un angolo delle labbra gli si era alzato a fatica, ma con discreto successo, forse nel tentativo di dare alla propria espressione un tono meno triste.
Non era proprio dell’umore adatto per intavolare una conversazione decente, cosa in cui era pessimo già in condizioni normali. Che avrebbe detto? Di cosa avrebbero potuto parlare per non creare silenzi imbarazzanti? A concludere quella giornata di merda ci mancava solo l’offendere Megan…
Si schiarì la voce. Si grattò la nuca in un tic di nervosismo. E non si accorse minimamente di essere rimasto a fissarla, finché non incrociò il suo sguardo.


Giusto.rispose di getto e con un tono di voce piuttosto alto. Non seppe dire se la pronta reazione fosse dovuta più per la sorpresa che lei ricordasse il proprio nome o se più per l’angoscia alla sola idea di dover parlare delle vacanze. Comunque, si alzò di scatto, quasi rischiando di sbattere la testa sul vano bagagli e prese la gabbietta di Donut. Il suo gatto odiava quel trasportino, ma non appena aprì la porticina, lo vide superarla di sua spontanea volontà; forse la presenza del gatto di Megan lo aveva irritato al punto da volersene stare al sicuro. In ogni caso, gli fu grato per non aver fatto l’isterico e scatenato una presumibile figuraccia di fronte alla ragazza.
Cazzo! La ragazza! Quanti secondi di silenzio aveva fatto passare? Doveva sembrargli un tipo così strano… Maledizione. Doveva dirle qualcosa! Mancavano ore prima dell’arrivo a Hogwarts! Doveva dire qualcosa!


Tu come stai?si affrettò a dirle, voltandosi a cercare di nuovo il suo sguardo, mentre si rimise a sedere di fronte a lei, appoggiando la gabbietta di Donut al suo fianco, lì dove ancora c’era l’ingombrante presenza del regalo per Narcissa. Appena arrivato a Hogsmade, lo avrebbe gettato nel primo cestino disponibile.

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raven Shawn. Ricordava il suo nome.
Non molto tempo prima lo aveva beccato sulla Torre di Divinazione fuori dall’orario consentito. Ricordava anche la ragazzina che le era affianco quella notte, Narcissa Miller. Non aveva tolto alcun punto a Serpeverde data la situazione in cui si era ritrovata: il viso turbato di lei, la lettera che teneva stretta tra le dita e l’espressione che in qualche modo le tornava familiare.
Megan sorrise teneramente vedendo il giovane in leggera difficoltà. Sembrava essere agitato, così distolse lo sguardo tornando a guardare al di là del vetro. Dinanzi a lei il paesaggio di un quadro espressionista: colpi di spatola in velocità che dipingevano la vegetazione ricoperta dalla neve davanti a un treno in movimento. Il candore illuminava ogni centimetro della scena e in Megan scaturiva un senso di pace e desiderio di silenzio.
«Tu come stai?» lui parlò. Lei sbatté le palpebre rivolgendogli lo sguardo: «Sto bene, grazie per averlo chiesto.», sorrise appena. In tal modo, tornò a guardare il finestrino massaggiandosi ancora una volta la parte lesa dalla caduta. «Anche se… Se avessi evitato di cadere starei ancora meglio» rise di sé scuotendo la testa. «Spero che anche tu te la stia passando bene» aggiunse con gentilezza.
«Come si chiama?» chiese poi. Il cobalto tornò a fissare le iridi del ragazzo, per poi spostarsi sul felino al suo fianco. «Mi spiace che Damon l’abbia spaventato.» All’interno della gabbietta il manto cinereo dell’animale si confondeva con le sbarre in metallo del trasportino; gli occhi, color ambra, grandi e rotondi, spiccavano nell’ombra. «È un bellissimo Certosino. Il Serraglio ha degli ottimi esemplari, ammetto che quando scelsi Damon ebbi non poca difficoltà » abbozzò un sorriso abbandonando quella visione e concentrandosi sull’ingombrante pacchetto regalo poco distante. Incuriosita dal contenuto Megan avrebbe voluto chiedergli per chi fosse ma sapeva di non avere una confidenza tale da potersi permettere un intervento simile. Così, rimase in silenzio per qualche istante e solo dopo aver ascoltato le eventuali risposte del Serpeverde avrebbe azzardato a chiedergli: «Narcissa? Come sta?»
L’abbandono della studentessa non era passato inosservato, la carica che ricopriva le permetteva di sapere eventuali abbandoni, espulsioni o problemi degli studenti. La piccola Serpeverde, poi, aveva fatto parlare di lei all’interno della scuola rivelandosi protagonista di numerosi eventi non sempre piacevoli. Non doveva essere un tipo facile ma Megan non aveva mai dato il suo parere in merito, nemmeno quando in Sala Comune si era parlato di alcuni incontri con gli studenti della propria casata. Il modo di comportarsi della studentessa le aveva dato l’idea di essere una persona che non faceva altro che proteggersi dietro un muro le cui fondamenta vacillavano febbrilmente.




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Era bastato un attimo, uno sguardo, per mandare in tilt il proprio cervello. Eppure, non aveva mai avuto particolari problemi ad approcciarsi alle ragazze, o alle persone in generale, perché non gli importava mai di chi fossero o di cosa pensassero di lui e rispondeva sempre, o quasi, con indisponente freddezza. Forse stava proprio lì il glitch mentale: a differenza di chiunque altro, di Megan gli importava eccome. Avrebbe voluto sapere tutto di lei, dagli hobby alle passioni. Era felice? Cosa la metteva di buon umore? Cosa la metteva, invece, di pessimo umore? Sebbene fosse abbastanza intelligente e razionale da capire da solo che non aveva alcuna chance di successo con una come lei, comunque gli piaceva anche solo l’idea di poterla vedere e poterla conoscere. Era una sensazione nuova… e non sapeva proprio come gestirla. Non ci pensava quando si trovava nei corridoi di Hogwarts e tenersi distratto tra lezioni, compiti e lavoro lo aiutava parecchio a non pensarci, ma ritrovarsela davanti così, senza preavviso, lo aveva mandato in palla!
Si sentì improvvisamente come il protagonista nerd di una commedia romantica, in cui il ragazzo sfigato vuole conquistare la ragazza popolare della scuola e deve combattere contro una sfilza di tizi sportivi super fisicati e odiosi. Nel suo caso, si trattava presumibilmente di giocatori di quidditch o di maghi ben più esperti e fighi di lui.
Che amarezza…
Ma non poteva permettersi di isolarsi nei propri pensieri quando ce l’aveva così vicina. Poteva essere la sua unica occasione per diventarci, almeno, amico.
Concentrazione.
La situazione richiedeva tanta concentrazione. Più per non sembrare un idiota strambo, che per altro.
E come a voler dare retta alla propria mente, il cuore, che aveva avuto un picco di battiti un po’ anomalo, riprese a funzionare come di consueto, regolarizzando il battito e infondendogli un po’ di tranquillità che, vista la situazione, gli ci voleva proprio.
Seguendo la direzione del suo sguardo, nel breve istante di silenzio che seguì le proprie parole, la vide osservare il panorama fuori dal finestrino del vagone. Il treno andava talmente veloce che a malapena si riuscivano a scorgere i dettagli di quel qualsiasi cosa ci fosse là fuori, eppure, a lei sembrava piacere quella vista. Le piaceva la natura? O il modo in cui veniva distorta dalla percezione umana in base alle circostanze? No, quest’ultima ipotesi era un po’ troppo specifica… Forse voleva solo e semplicemente deviare altrove lo sguardo per evitare imbarazzi? E non poteva darle torto: in effetti, ritrovarsi costretta a parlare con uno sconosciuto non doveva essere proprio il massimo.
Accennò un sorriso, un po’ più rilassato stavolta, in risposta alle sue parole. Un paio di fossette gli addolcirono il viso. Era sincero, nel sorriderle silenziosamente come a dirle “mi fa piacere che tu stia bene”, ma non era nella sua indole rispondere con quel tipo di frasi fatte, perché di solito la gente rispondeva di stare bene nelle chiacchiere di circostanza solo per evitare di affrontare argomenti che non aveva voglia di affrontare con quel determinato interlocutore.
E stava di nuovo pensando troppo.
Concentrazione, sulla situazione. Scioltezza, nel comunicare.
Gli esseri umani lo facevano costantemente, non poteva esserci nato proprio negatissimo.
Con un sospiro profondo, come a volersi infondere del coraggio, si voltò di nuovo a guardarla.
Quanto era difficile, però, mantenere lucidità quando il cervello in loop continuava a dirgli che era bella. Ma le sue parole seguenti furono di estremo aiuto per ritrovare la concentrazione. Scattò sul bordo del sedile, quasi se d’impulso avesse voluto avvicinarsi a lei per assicurarsi che stesse davvero bene, per davvero! Ma fortunatamente si fermò in tempo, prima di apparire inopportuno e si limitò poi ad annuirle. Era una ragazza spigliata, a differenza di lui. Sarebbe stato normale chiederle come fosse caduta? Magari glielo avrebbe chiesto non appena avesse acquisito un altro po’ di sicurezza.


Non ti preoccupare. In realtà, è un gatto molto socievole, sia con le persone che con gli altri animali. Si sarà solo intimidito un po’… Anche se, più che socievole, direi che è ruffiano.disse poi, deviando la conversazione lì dove, molto carinamente, lei stessa aveva voluto portarla. Perché si, parlare di cose più superficiali, come i loro gatti, aiutava.

Ti sono sempre piaciuti i gatti? Cioè, quando andasti a Il Serraglio, eri sicura che avresti preso un gatto oppure no? Perché io, per niente. Cioè, mi piacciono i gatti, mi piacciono gli animali in generale, ma di solito non piaccio io a loro, quindi evito di averli intorno. Donut è stato un regalo.proseguì a dire, nel susseguirsi di parole presumibilmente più lungo che avesse mai fatto nella vita.
Allo stesso modo in cui sentiva la gran voglia di conoscerla, qualcosa dentro di lui gli aveva appena fatto capire che voleva che lei conoscesse lui.
Stava già andando meglio. Anzi, stava andando alla grande. Ora che si era tranquillizzato, sapeva di non doversi sentire più a disagio. Qualsiasi argomento avesse voluto affrontare Megan, lo avrebbe accolto di buon grado come un’occasione per entrare in confidenza l’uno con l’altra. Ma dovette ricredersi pochi istanti dopo, quando Megan gli chiese di parlare di quell’unico argomento che, da quando era entrata lei in cabina, Draven aveva dimenticato.


Na… Narcissa?sentì la propria voce ripetere il nome con lo stesso timore di quando si sente pronunciare una maledizione. La convinzione che le fosse successo qualcosa di brutto, che addirittura fosse morta, riemerse in tutto il suo splendore...
Lo sguardo, involontariamente, si posò per un istante sul pacco regalo nel sedile di fianco, prima di posarsi a terra.


Non mi è dato saperlo. disse d’impulso, scrollando le spalle. Per un istante era stato impossibile evitare di lasciar trasparire quella frustrazione, ma pochi istanti dopo riportò alto lo sguardo su di lei, speranzoso che nei propri occhi non ci fosse tristezza. Era sicuro, però, che l’espressione sul proprio viso si fosse indurita.

Mi hanno detto che ha lasciato la scuola.rispose poi, indicandole il pacchetto regalo lì vicino.

Era fastidioso averla sempre intorno, mi chiedeva un sacco di cose, costantemente, non stava mai zitta… Mi aveva fatto un regalo di Natale. Una graffetta decorata in maniera ridicola… Siccome era in fissa con i miei libri, gliene avevo regalato uno, ma mi è tornato indietro. A casa sua non c’è più nessuno.continuò a dire, rendendosi conto troppo tardi di aver detto più di quanto Megan gli avesse chiesto. Era strano? L’aveva messa a disagio? Doveva chiederle scusa o cambiare discorso?

Sai quando ci hai trovati quella volta oltre il coprifuoco? Era sparito suo padre. Ora sono sparite lei e sua madre… - invece, proseguì.
Sperò vivamente di non averle scaturito troppo disagio con quel discorso, ma la vera essenza menefreghista di Draven risorse come un fiume in piena, per via della frustrazione che quella situazione con Narcissa gli causava. Il discorso lo aveva cacciato lei. Lui non era in grado di mentire. Aveva parlato più del necessario? Si, ma a volte dava fastidio addirittura a lui tenere la bocca chiusa.


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e parole di Draven diedero a Megan delle chiare risposte su di lui. Non aveva fatto fatica a comprendere cosa si nascondesse al di là del muro ch’egli metteva. La frustrazione e la rabbia ribollire come lava ardente. Così, sollevò il capo ponendo sul ragazzo tutta l’attenzione. Narcissa aveva abbandonato la scuola e non ne sapeva nulla. Megan ascoltava ogni parola, cercando di comprenderne il significato più profondo. La difficoltà che riuscì ad avvertire non fu poca, ma tentò di nasconderla mantenendo un’espressione distaccata.
«Mi spiace. Non ne sapevo nulla » appoggiò la testa contro il sedile e chiuse gli occhi. La voce pareva essere stanca, quasi come se le parole appena pronunciate fossero più una forma di cortesia che di interesse. «Quando è successo?» un sospiro e tornò a guardare avanti. Non le sembrava una situazione tanto inverosimile. Tuttavia, se fosse successo qualcosa a Narcissa, alla sua famiglia, il Ministero avrebbe ben presto aperto un’indagine! Scosse il capo al solo pensiero, senza riuscire a trattenere un leggero sorriso. Bello schifo, pensò. Se fosse accaduto qualcosa ai Miller di certo il Ministero non avrebbe fatto un bel niente. Ne era certa. Così come si era occupato di lei, della tragedia che l’aveva colta a soli dodici anni. Cinque anni erano passati e ancora oggi tutto le era sconosciuto.
«Immagino che tu le volessi molto bene» lei tornò a guardarlo, « spero non sia successo qualcosa di grave.» Era sincera. Nel tempo aveva perso molte persone a lei care. Abbandoni improvvisi, nessun messaggio di spiegazione accompagnata dalla propria disperata ricerca con lo scopo ultimo di ottenere delle risposte.
«So come ci si sente. Veder sparire qualcuno senza sapere il perché ti logora dentro. Mi auguro solamente che tu possa essere più fortunato» gli sorride, spezzando il filo teso che fino a quel momento aveva stabilito una precisa distanza.
«E quello? Se posso...» sollevò la mano ad indicare il pacchetto regalo sul sedile. Le iridi oltremare si spostarono poi velocemente sul volto del ragazzo, cercando di vederne l’espressione. «Che stupida… Certo.» Si rimproverò scuotendo il capo lentamente, poi la domanda: «È per lei non è vero?»
Il silenzio si sarebbe fatto spazio, guadagnando terreno fino al probabile intervento futuro del ragazzo. Prima ancora che quest’ultimo potesse fare qualcosa, però, lei sarebbe tornata a guardare oltre il finestrino: il paesaggio in velocità ora lasciava un’inquieta sensazione. Certi fantasmi non l’avrebbero mai abbandonata.
«Risulterebbe banale dirti di “andare avanti”, eppure è l’unico modo» parlò ancora, senza distogliere lo sguardo.
Curioso. Lei riusciva a sapere cosa dire agli altri e ad aiutarli. Quando si trattava di sé, però, pareva impossibile seguire determinati passi, ascoltare precisi consigli. In quel momento, Megan si chiese se fosse stato giusto intervenire a gamba tesa ma non si soffermò più di tanto nel cercare una risposta. Nel tempo aveva tentato di non bloccare l’istinto, fare ciò che meglio credesse essere giusto per se stessa e per gli altri. Non sempre le scelte erano state delle più giuste, né erano state delle più oneste, ma poco le era importato e altrettanto le interessava adesso. Quel di cui era certa, però, era di voler indirizzare chi aveva intorno su scelte diverse dalle sue.




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Era strana la sensazione che scaturiva dal lasciarsi andare e parlare. Parlare dei propri pensieri, in parte rivelare le proprie emozioni, condividere le preoccupazioni. Non ci era abituato. Lui era il tipo di persona che, quando succedeva qualcosa di brutto o di diverso dal consueto, dopo un attimo di instabilità, si rimboccava le maniche e proseguiva dritto per la propria strada; perché nessuno ti dà la mano per spingerti ad andare avanti. Era a questo, che era abituato. Guardare dritto e proseguire, senza voltarsi indietro. Di rimpianti ne aveva eccome, ma era bravo a fingere di non averne, perché se erano riguardo un qualcosa del passato che mai sarebbe potuto cambiare, era inutile sprecarci tempo a pensarci sopra. Con i ‘ma’ e con i ‘se’ non si andava da nessuna parte… Lo sapeva benissimo, ma per qualche motivo, non riusciva ad accettare le condizioni in cui era sparita Narcissa. Voleva risposte?
No, sapere per certo cosa le fosse accaduto molto probabilmente non l’avrebbe portata indietro lo stesso. No, non le voleva bene, voleva bene a malapena a sé stesso. No, il regalo non era per lei, era per sé stesso, così lei avrebbe potuto imparare da sola senza dover chiedere aiuto a lui per ogni singola cosa. No, non ti logora dentro non sapere, ti sembra semplicemente ingiusto e l’ingiustizia è da vigliacchi.
Era questo, ciò che sentiva o che, forse, si stava convincendo di dover sentire. Ma non disse niente. Non rispose alle parole di Megan.
Rimase immobile, concentrato solo sul realizzare ciò che avrebbe dovuto capire ore prima, evitandosi parecchi pensieri disturbanti e deprimenti.
L’imbarazzo scaturito dall’avere davanti a sé la ragazza per la quale si era preso una cotta, era sparito nel momento in cui era iniziato quel discorso ed era stato gradualmente rimpiazzato da quello che, ad ora, poteva considerare essere… nulla. Quel nulla che, ormai, era un amico fraterno per Draven e veniva ad abbracciarlo tutte le volte in cui qualcuno o qualcosa osava mettersi in mezzo tra lui e la propria sensibilità.


Cosa ti ha fatto pensare che non possa andare avanti? furono le prime parole che disse, freddamente, dopo quelle che le erano sembrate ore di silenzio.
I movimenti nervosi del viso che Megan stava cercando un po’ troppo di far apparire come naturali. L’improvviso cambio di luce nel suo sguardo. L’assenza di un gesticolare che accompagnasse il dare voce ai suoi pensieri.
Draven sapeva osservare e, inevitabilmente, si chiese cosa potesse esserci dietro quel cambio repentino di carattere. Se quella reazione al discorso da parte della ragazza fosse capitato in un momento di migliore stabilità emotiva da parte di Draven, avrebbe fatto di tutto pur di cambiare discorso o fare o dire qualsiasi cosa potesse farla sorridere, perché ci teneva davvero. Ora che ci pensava più attentamente, però… Non l’aveva mai vista sorridere. Ma a malapena poteva dire di conoscerla, in fin dei conti…
Nei propri pensieri aveva fantasticato tanto sul portarla fuori a cena, chiedendosi quali fossero i suoi gusti, o accompagnarla a fare shopping a Hogsmeade, chiedendosi se fosse una di quelle ragazze a cui piaceva andare in giro per negozi oppure no.
Che pensieri inutili, in vista del fatto che sarebbe stato meglio per entrambi se il discorso Narcissa non fosse mai venuto fuori.
Schiuse le labbra, pronto a dire altro, e in quel preciso istante realizzò che, con molta probabilità e se era la ragazza intelligente che credeva che fosse, si sarebbe tenuta per sempre a debita distanza da un ragazzino problematico e incapace di parlare dei propri sentimenti senza sentirsi attaccato e, quindi, in dovere di vendicarsi.


Le persone hanno uno strano modo di mostrare empatia. Lo fanno per i motivi più disparati, ma di solito è per una base di egocentrica realizzazione di sé. Perché non ti dà fastidio parlare di una persona scomparsa, se non hai provato sulla tua stessa pelle quanto faccia male. E non ti aspettavi che il discorso potesse divergere su un simile argomento o non mi avresti mai chiesto di lei. Me l’hai chiesto per educazione e te ne sei pentita nell’istante in cui ti ho risposto. proseguì, istigandola con una saccenza e un’arroganza che, in condizioni emotive più normali, avrebbero dato fastidio a lui stesso.

Per chiedermelo, vuol dire che lo sai... Cos’è che non fa andare avanti te? La rabbia o il rimpianto?continuò, ormai troppo dentro l’argomento per uscirne indenne.
Questo era il tipo di pensieri su cui Draven si arrovellava per ore e ore, quando aveva a che fare con persone ma che, per disinteresse o per mero istinto di sopravvivenza, non rivelava mai ad alta voce.
Qualcosa, nel tono delle parole di Megan, aveva fatto scattare il nervosismo di Draven allo stadio successivo. Se ne sarebbe pentito… se ne sarebbe pentito così tanto di averla trattata con una simile freddezza da non riuscire più a guardarla in faccia. Ma era troppo tardi. Il danno era fatto.
Incredibile quanto la sua capacità di mandare a puttane qualcosa che non aveva ancora nemmeno avuto un inizio fosse in grado di distruggergli ogni aspettativa nel giro di soli pochi minuti.


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*abbraccia Meganì perché Draven è una merda*
Chiedo scusa anche da parte sua :cry2: Giuro che è una persona migliore di così :cry4:
 
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l lungo silenzio placò i sensi. Respiri lenti in cerca di una calma che, di fatto, l’aveva abbandonata nel momento in cui il passato aveva bussato alle proprie spalle. Megan aveva cercato di non voltarsi, eppure... Eppure non aveva avuto coraggio di prendere ed alzarsi da lì, andare via semplicemente. Non distolse in alcun modo lo sguardo da quel paesaggio astratto, né alcuna espressione curvò le labbra, adombrò il volto e tirò la pelle diafana. Le prime parole di Draven non la coinvolsero in alcun modo, sebbene l’asprezza di ogni sillaba pronunciata le avesse contorto lo stomaco. Continuò a guardare fuori dal finestrino, semplicemente. Sistemò i capelli, lasciandoli cadere lungo la schiena, scoprendo completamente il viso, mentre a tratti scorgeva la sua immagine riflessa nel vetro. Era vero, lei non poteva sapere se Draven sarebbe stato in grado di andare avanti o meno. Si pentì. Aveva parlato troppo e tratto conclusioni affrettate. Doveva smetterla. Ma proprio mentre pensava di dare un fermo a tutta quella situazione, con l’obiettivo di non aprire più bocca da lì fino all’arrivo al castello, lui parlò ancora. Fu in quel momento che Megan tornò a guardarlo. Le iridi cobalto si scontrarono con il verde smeraldino e le palpebre si chiusero appena dando vita ad un'espressione severa. L’irriverenza e l’arroganza con le quali Draven si stava rivolgendo a lei la sorprese. Strinse le dita in un pugno tirando il busto in avanti.
«Sai, non credo che abbia mai dubitato del fatto che tu possa o meno andare avanti. Ho solo detto che è l’unico modo» rispose con tono calmo.
«Comunque, mi chiedo per quale motivo ti aspetti delle risposte da me quando tu stesso non hai avuto coraggio di rispondere», dritta al punto. Tornò ad appoggiare la schiena al sedile senza distogliere lo sguardo. Un sospiro silente, le mani allentarono la presa e la pelle tornò rosa lungo le giunture.
«C’è stato un momento in cui ho pensato fosse colpa mia, che quella sbagliata ero io, che quella stronza ero io » alzò le spalle scuotendo il capo con un sorriso di scena. «Ma ho capito che non è così. Le scelte degli altri non dipendono da noi» e ad oggi Megan ne era fermamente convinta nonostante le ferite, seppur rimarginate, rimanessero tali. «Mi chiedi cosa non mi faccia andare avanti? È la rabbia. La vita mi ha portata a questo, a togliermi tutto e... » distolse lo sguardo. Per la prima volta non guardò fuori, bensì abbassò le palpebre in direzione del pavimento. «Va bene così» concluse.
Megan non si aspettava niente da Draven ma almeno sperava avesse capito che un simile atteggiamento non l’avrebbe portato da nessuna parte, non con lei.



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Gli adulti avevano la pessima abitudine di sfruttare luoghi comuni e modi di dire per spiegare le loro ragioni, la loro esperienza e insegnare cose che loro stessi, probabilmente, avevano imparato attraverso la dura realtà; perché non puoi capire qualcosa, se non ci sei passato in prima persona. Odiava le persone che davano consigli attraverso frasi fatte e giudicava male chiunque rispondesse con espressioni tipo “lo capisco, ci sono passato anche io” come se la conversazione mirasse a raccontare le proprie esperienze col fine di vincere una competizione a chi avesse sofferto di più. In breve, parlare di ciò che lo faceva star male non aveva mai portato a niente di buono, perché inevitabilmente gli veniva detto qualcosa che lo infastidiva… Ogni volta che provava ad aprirsi, non andava mai bene. Era come se parlare di argomenti che gli toccavano il cuore, finisse col toccare anche il suo lato peggiore, quello impulsivo, arrogante e pretenzioso.
Forse il problema vero è che aveva il cuore già marcio alla sua età. E continuava a commettere errori che ne deteriorassero le condizioni, piuttosto che provare a risanarlo.
Vedere Megan lo aveva reso immediatamente felice e, un attimo dopo, immediatamente triste, ma invece di concentrarsi su di lei, aveva lasciato che il proprio modo di fare gli rovinasse anche questa opportunità.
Non gli era sembrato vero di poter parlare da pari con la ragazza che ai propri occhi era più una divinità eterea che una donna in carne e ossa: immensamente bella, più grande e più capace di lui, anche caposcuola! E qualcosa in lui era scattato… La voglia di conoscerla e di farsi conoscere, nella speranza che qualcosa potesse scattare anche in lei. Ma non aveva minimamente pensato che avrebbe nominato Narcissa o che, il solo nominarla, avrebbe potuto scatenare quella catastrofe.
Lui, che non aveva mai sofferto i mezzi, improvvisamente sentì lo stomaco attorcigliarsi per la nausea. Non era colpa del treno, ma era ciò che si disse per evitare di deludere ulteriormente sé stesso realizzando quanto fosse stato stronzo con l’unica persona che avrebbe voluto abbracciare e consolare.
Si sentiva tanto intelligente e grande, ma non era altro che un ragazzino permaloso e immaturo.
Si sentì immediatamente in colpa per aver lasciato andare le parole a ruota libera, al punto da non riuscire a sostenere lo sguardo di Megan quando la ragazza decise di voltarsi a guardarlo. Draven chinò la testa e fissò gli occhi su un punto indefinito del pavimento in legno. Si riappoggiò allo schienale del sedile e si ritrovò, istintivamente, a giocherellare con l’anello di famiglia che portava nella mano sinistra, come faceva ogni volta che si sentiva teso; lo aiutava a calmare i nervi.
Dal momento in cui aveva incontrato lo sguardo di Megan per la prima volta, si era subito reso conto di quanto dolore si nascondesse dietro a quegli splendidi occhi. Era stata una delle cose che lo avevano lasciato senza fiato a fissarla come un ebete quando aveva beccato lui e Narcissa…
Basta. Basta pensare a Narcissa. Gli stava causando solo problemi.
Qualsiasi cosa gli fosse successa, non poteva accollarsene lui la responsabilità. Non spettava a lui, che già di per sé aveva un sacco di casini per la testa.
Che poteva fare per rimediare con Megan? Chiederle scusa come prima cosa era fuori discussione, non perché fosse uno di quelli che non chiedeva scusa quando sbagliava, anzi, ma perché non serviva chiedere scusa per aver offeso qualcuno e aver sbagliato se non si faceva niente per porvi rimedio. Era un uomo d’azione, non uno di parole.
Tra tutti gli stupidi detti babbani che sua madre e altri adulti gli avevano propinato nel corso degli anni per impartirgli nuove ed entusiasmanti lezioni di vita, ce n’era uno che, a differenza di tutti gli altri, trovava estremamente vero e intelligente: “le parole se le porta via il vento”. Ma visto che non aveva altro modo di comunicare con lei, almeno per il momento, avrebbe fatto lo sforzo di spiegare le proprie ragioni: non per giustificarsi, ma per scusarsi in maniera che avesse senso nella situazione che aveva creato lui e la sua stupida indole.

Le scelte degli altri non dipendono da noi, ma odio subirne le conseguenze. Ero nervoso per questo da prima che entrassi in carrozza. – esordì, dopo aver ascoltato le parole della ragazza.

Non era un motivo valido per prendermela con te. Non c’entri niente e proprio per questo non avrei dovuto tirarti in ballo. È solo più facile ascoltare i problemi degli altri, che affrontare i propri. Anche se è una frase fatta, è dannatamente vera. E fa schifo. – proseguì a dire, sospirando, con lo sguardo che dal pavimento, si spostò per un attimo sull’anello, prima di rivolgersi a Donut che, dall’alto della sua felina natura orgogliosa, miagolò come a volergli ricordare della sua esistenza. In quel momento, ci mancava solo un’altra lite tra gatti a completare il quadretto.

Mi dispiace di aver fatto lo stronzo. Se vuoi, cambio carrozza… - concluse poi, rialzando lo sguardo di lei, ma con ancora la testa china in una postura quasi remissiva, triste e rassegnato a subire le conseguenze irrimediabili delle proprie e immature azioni.

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a risposta di Draven non tardò ad arrivare e subito percepì il cambio di atteggiamento nel tono e nell’espressione che, adesso, adombrava il suo volto. Era vergogna quella che provava, mortificazione. Megan alzò lo sguardo, cingendo le mani in grembo, provando a scaricare la tensione che quella confessione le aveva portato. Ascoltò con attenzione. Fu lieta che, sebbene non avesse fatto presente il fastidio che aveva provato nel vederlo comportarsi in quel modo, lui si fosse accorto di essersi spinto oltre. Respirò profondamente e chiuse gli occhi per qualche istante. Si concentrò sul rumore del treno, il vociare lontano di qualche studente al di là della porta e Damon al proprio fianco che sbatteva la coda infastidito nella gabbia.
«Non preoccuparti» disse tornando a prestare attenzione, «essere stronzi ha i suoi vantaggi» abbozzò un mezzo sorriso.
«Desiderate qualcosa dal carrello?»
La voce di una donna interruppe la conversazione. Megan si voltò ad osservarla e ricambiò il dolce sorriso che la donna aveva rivolto con cordialità. Aveva un aspetto piacevole e ordinato, sicuramente non passava inosservata. Un tailleur in velluto rosso aderiva perfettamente alla sua silhouette, scarpe tacco medio e guanti bianchi che ricoprivano mani piccole e dita affusolate. Non l’aveva mai vista, forse era stata assunta recentemente.
Megan meditò per un po’ sulla decisione da prendere mentre gli occhi seguivano le file di pietanze poste sul mezzo a rotelle. Aveva un leggero languorino e i lievi crampi che colpivano il suo stomaco ne erano la prova. Così fece leva sulle gambe e si avvicinò.
«Prenderei due deliziosi Calderotti e delle gelatine tuttigusti +1, grazie» disse allungando i galeoni necessari. In attesa di ricevere quanto aveva appena chiesto si voltò per pochi secondi in direzione del Serpeverde. Avrebbe voluto chiedergli se avesse avuto intenzione di prendere qualcosa ma non riuscì a dire nulla e afferrò la busta di carta con all’interno i Calderotti, la scatola con le gelatine e tornò al proprio posto in silenzio.
La donna del carrello avrebbe atteso alcuni secondi il ragazzo se avesse voluto fare scorta di qualche dolce da viaggio. Al contrario, avrebbe proseguito il suo giro verso le altre carrozze.
In ogni caso, Megan seduta al proprio posto avrebbe aperto la busta e teso sorprendentemente il sacchetto dei Calderotti verso Draven: «Se ti piacciono uno è per te, prendi pure» avrebbe affermato. Il braccio destro teso in direzione del compagno di viaggio e la manica del maglione a scoprire il polso livido e ancora dolorante.

Potevano forse aver iniziato con il piede sbagliato e Megan poteva sentirsi in parte infastidita dal comportamento che lui aveva avuto con lei, ma nel verde cristallino di quegli occhi tutto ciò che vedeva era paura e rabbia; un muro alto e solido difficile da abbattere. Non poteva esserne pienamente sicura ma determinati atteggiamenti era in grado di riconoscerli perché lei stessa ne era stata vittima, perché ne era ancora. Oppressa da una vita ingiusta colma di rimpianti e rimorsi, in eterna lotta con i propri mostri e in cerca di una vendetta ancora lontana.
Draven stava combattendo proprio come lei una guerra che, se privata di alcuna resistenza al fronte di nuove albe, l’avrebbe seppellito sotto cumuli interminabili di macerie.



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Le oscillazioni del treno stavano iniziando a fargli venire la nausea. Il modo in cui il paesaggio si deformava davanti ai propri occhi era affascinante, indubbiamente, ma guardarlo troppo a lungo non era proprio il massimo. Aveva sempre odiato i mezzi di trasporto, per lo più per via dell’alta possibilità di incappare in tanta gente sconosciuta tutta insieme… Ma, con molta probabilità, quella brutta sensazione alla bocca dello stomaco non era dovuta al treno.
Dal momento in cui aveva visto Megan era stato come abbagliato dalla sua bellezza, perché era indubbiamente bella da mozzare il fiato, ma erano stati il tono della sua voce e la velata tristezza nei suoi occhi ad ammaliarlo. C’era qualcosa in lei che gliela faceva sentire affine, come se in lei fosse racchiuso il segreto per essere compreso, come se lei fosse l’unica a poterlo capire. Non aveva mai provato niente del genere per nessuno prima.
Averla lì, così vicina e allo stesso tempo così lontana lo aveva mandato completamente nel pallone. Il cervello e il cuore completamente in tilt, avevano avviato una battaglia tutta loro e lui si era ritrovato completamente solo a sproloquiare e inveire contro l’unica donna per la quale avesse mai provato un interesse vero. Se avesse potuto, sarebbe scappato via e sarebbe sparito per sempre dalla sua vista, ma dato che non era fattibile, era intervenuto lo stomaco a farlo sentire anche peggio.
Sospirò, provando a riattivare il cervello per trovare le giuste parole da dire, perché non era sostenibile comportarsi così da decerebrati. Si stava comportando da codardo nei confronti di sé stesso e da stronzo nei confronti di lei, senza alcun motivo; non ci vedeva niente di vantaggioso nell’essere così.
L’arrivo della signora del carrello irruppe nel filo dei propri pensieri come una boccata d’aria fresca. Quell’attimo di pausa fu un toccasana! Aveva avuto più sbalzi d’umore in quelle ore lì con lei che nel resto della settimana. Era sfiancante.
Scosse la testa per dire no, rivolto alla signora, e si sforzò anche di abbozzare un sorriso di gentilezza, ma si voltò subito a guardare Megan: per quanta dolcezza fosse riuscita a esprimere con il suo sorriso, i suoi profondi occhi blu non si accesero minimamente. Quanto avrebbe dato pure di vedere quegli occhi accendersi di vera gioia? Nemmeno gli interessava di sapere cosa o chi l’avesse resa così triste nell’animo, voleva solo sapere di cosa avesse bisogno per farla sorridere davvero.
Alternò per qualche istante lo sguardo tra lei e la signora finché non la vide andare via e lo riportò su Megan quando gli rivolse la parola. Iniziò a scuotere la testa per dirle di no, considerata la nausea ci mancavano solo dei dolci a peggiorare la situazione, e schiuse le labbra per dire qualcosa, con l’intenzione di essere un po’ più gentile con lei, ma la propria attenzione cadde velocemente verso i lividi e un misto di rabbia e tristezza deformarono per un istante l’espressione sul proprio viso. Aveva già sufficientemente fatto lo stronzo e, a quanto sembrava, diventava incapace di guardarla e parlare sensatamente allo stesso tempo; diventava stupido! Quindi si affrettò ad abbassare lo sguardo per non darle l’idea sbagliata, per quanto sicuro che anche quel gesto potesse essere frainteso. Come si poteva ferire qualcuno di così speciale? Doveva essere abbracciata, riverita e rispettata e protetta a ogni costo.
Era terribilmente difficile fare la cosa giusta, comportarsi bene e apparire interessato senza essere indiscreto… Ma, forse, il problema era che ci stava provando troppo?
Ormai doveva essersi fatta una certa idea su di lui, di quanto fosse lunatico e instabile nel cambiare così drasticamente personalità… Cosa avrebbe potuto dire per essere solo sincero con lei? Sarebbe stato inopportuno essere davvero sé stesso e confidarle tutta la sfilza di pensieri discordanti che lo avevano afflitto durante quel viaggio? Decisamente si, non poteva passare da un eccesso a un altro.
Ricominciare tutto da capo non era possibile, ma almeno spiegarle che non era completamente pazzo, forse, sarebbe stato d’aiuto a chiarire la situazione?


Senti, io… - esordì, ma si fermò subito nel constatare quanto aggressivo quell’incipit potesse risultare.
Cazzo, se era difficile parlare come un normale essere umano.
Sospirò, scuotendo la testa tra sé e sé, e si chinò su se stesso per appoggiarsi con i gomiti sulle ginocchia.


Faccio schifo a parlare. Non volevo esordire… così… - provò subito a spiegare, sfregandosi poi gli occhi tra due dita in un gesto spazientito.
Non poteva essere un buon segno se si iniziava a sentirsi irritati anche da sé stessi… ma non era questo il momento di pensarci.
Concentrazione.
E un altro sospiro.
Sguardo fisso sul pavimento, ora che aveva constatato che guardandola perdeva ogni capacità cognitiva.


Quando ti ho visto alla torre… Quando ho visto i tuoi occhi alla torre… non ho mai smesso di pensarci da allora. Emani un’aura speciale. Hai qualcosa di magnifico, che va oltre il fatto che tu sia stupenda. È che… divento scemo ogni volta che ti vedo e anche più stronzo di quanto non sia di consueto… è che… non ci so fare, con le persone! Sono tutte diverse e ognuna ha la propria preferenza caratteriale e non riesco… - cominciò a dire, sospirando per l’ennesima volta, ormai con entrambe le mani a sfregarsi il viso. Disperato. Non c’era via di scampo ed esprimersi a parole era di una difficoltà inconcepibile.

Volevo solo provare a conoscerti, ma non lo avevo mai fatto prima, con nessuno… Mi dispiace…? Non so nemmeno se sia il modo giusto di scusarmi. - concluse, raddrizzandosi con la schiena, afflitto, con lo sguardo ancora fisso sul fantastico parquet scuro del treno.
Quella doveva essere stata la peggiore confessione d'amore di tutti i tempi.
Decisamente.


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Peccato li mangerò entrambi» rispose Megan facendo le spallucce accompagnata da un sorriso, al chiaro segno di negazione da parte di Draven all’invito di prendere un dolce dal sacchetto. Non badò molto allo sguardo del ragazzo ma ebbe la sensazione che qualcosa continuava ad essere irrisolta tra loro. Appoggiò le spalle contro il sedile tornando in una posizione più comoda, poi diede un morso al calderotto beandosi dell’esplosione di sapore al caramello; il suo stomaco ringraziò.
Tornò a guardare fuori mentre il silenzio di nuovo si faceva spazio tra lei e il ragazzo, tormentando i pensieri dell’uno e dell’altro. Megan non lo conosceva affatto, eppure nel suo sguardo tormentato poteva trovare parti del suo essere. Una sensazione che trovava fondamento nell’incertezza alla quale lei si aggrappò fin dal primo momento in cui aveva incontrato il giovane sulla Torre di Divinazione. C’era di più sotto l’aspetto tenebroso di Shawn e questo era certo; si dimostrava una persona forte e impassibile ma a fianco a Narcissa non le era sembrato altro che un fratello maggiore dedito a proteggere la sua amata sorellina. Ed era questo che vedeva: protezione e un amore nascosto da ferite, difficile da far emergere ma in grado di travolgere chiunque fosse stato disposto a portare il peso dei suoi mostri e a combatterli insieme a lui.
Megan si voltò a guardarlo quando richiamò la sua attenzione. Era complicato studiarne i movimenti e percepire la più impercettibile smorfia del viso. Con i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa rivolta verso il pavimento lo ascoltò parlare. Nel flusso delle parole che, tra una pausa di imbarazzo e l’altra, uscivamo dalle labbra del ragazzo Megan si sentì avvampare. Non si aspettava di certo una confessione da parte sua e per qualche istante il panico sopraggiunse lasciando i battiti del proprio cuore accelerare improvvisamente e il respiro mancare. Lasciò il sacchetto che stringeva tra le dita che si piegò in prossimità delle ginocchia lasciando scivolare l’ultimo calderotto. Il tonfo la risvegliò dal flusso emotivo mentre a fatica ingoiò il nodo che le si era formato in gola. Era la prima volta che riceveva una dichiarazione del genere, così diretta. La cosa che più l’aveva angosciata, però, era una frase in particolare che le suonò simile a quella che Casey le aveva detto un giorno d’estate in una Londra affollata. Vorrei provare a capirti, aveva detto. Vorrei provare a conoscerti, aveva detto Draven. Insolita coincidenza a cui non poté non fare caso. Sentire pronunciare le stesse parole da Draven stillò in Megan un dubbio ma si sforzò di non farsi troppe paranoie in merito, confidando che qualsiasi fosse il significato di quella frase avrebbe avuto risposta certa dalla compagna. Erano solo amiche dopotutto, era così.
Tra imbarazzo e confusione, si piegò a raccogliere il dolce scivolato sul pavimento ma le sfuggì dalle dita rotolando sotto il sedile del Serpeverde. Con il busto piegato in avanti, nel silenzio che ora pesava come un macigno poggiato sulla schiena, decise di fare un profondo respiro. Tornò guardare il ragazzo e rizzò il busto, cercando di reprimere la difficoltà che stava provando. Quale sarebbe stato il modo migliore per rispondere? Cosa avrebbe dovuto dirgli? I comportamenti di Draven ora, in parte, trovavano una risposta ben precisa e si sentì colpevole.
«Io…» fu la prima parola che tirò fuori a fatica dalle labbra. Inspirò ed espirò ancora. «Draven guardami per favore» lo esortò, «sai perché quella sera non ho voluto togliervi alcun punto? » chiese prendendo un po’ di tempo senza aspettarsi una risposta. «Ho visto il dolore negli occhi di una bambina e un giovane ragazzo farle da fratello; una spalla pronta a sorreggerla nei momenti più bui. Indipendentemente da come è andata tra te e lei, tu hai fatto ciò che potevi anche se il tempo è stato breve e credo che Narcissa te ne sarà per sempre grata» si sforzò di sorridergli. La tensione non passava, cercava in tutti i modi di elaborare un discorso che avesse un senso compiuto e fosse meno doloroso possibile. Sapeva di avere davanti una persona fragile e lei non voleva farle del male in alcun modo, non dopo tutto questo.
«Permettimi di dire, dunque, che invece ci sai fare con le persone. Così come ci hai saputo fare adesso con me, anche se pensi di essere stato un completo idiota» scosse il capo con un mezzo sorriso di una dolcezza disarmante. Diceva la verità. «Non bisogna mai vergognarsi dei propri sentimenti ma capisco che proteggerli è una necessità a cui non possiamo sottrarci, perché a volte fanno davvero male» continuò mantenendo il flusso delle parole in un tono calmo. Il cuore, diversamente, martellava incontrollato nel petto. Lei ormai non faceva altro che proteggersi dietro un muro altro e invalicabile. Ma io, Draven, sono tutt’altro rispetto a ciò che pensi di me. E so di certo che non porterei nulla di buono nella tua vita né in quella di nessun altro» solo in quel momento abbassò gli occhi, arrendendosi a quel concetto tanto vero quanto doloroso. Non credeva che avrebbe mai trovato pace nella sua vita.
«Non ho intenzione di ferire nessuno, né di fare male a me stessa. Capisci cosa intendo?» Chiese, ma anche in questo caso non aspettò una risposta. Si limitò solamente a tornare a guardarlo cercando in lui la più impercettibile delle emozioni. «Io ti ringrazio per essere stato sincero con me, per avermi detto tutte queste belle parole, per avere il desiderio di conoscermi» continuò a dire con estrema sincerità. «Qualsiasi cosa succeda tra me e te, però, ti prego di non illuderti. Io non vorrei essere causa del tuo dolore e spero tu non serberai alcun rancore nei miei confronti per essere stata sincera con te» concluse.



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Si dice che le persone innamorate siano in grado di vedere con occhi diversi il mondo che le circonda, che improvvisamente diventino in grado di osservare, per davvero, ciò che gli è intorno e carpirne l’essenza, quella bellezza senza eguali in cui è racchiuso il senso di ogni cosa. Esisteva qualcosa di più magnifico?
I grandi classici della letteratura parlavano sempre dell’amore come la cosa più grandiosa che un essere umano potesse mai provare nel corso della propria vita. Che fosse l’abbraccio sincero di un genitore, il sorriso affettuoso di un amico o il calore del corpo di una donna mentre faceva l’amore con te.
Sonetti, poemi, battaglie e sacrifici nella storia erano stati tutti per questo sentimento. Che fosse per un uomo o una donna, per il proprio credo o la propria terra, non aveva importanza, purché trionfasse quella venerazione nei confronti di un qualcosa o di un qualcuno che si voleva proteggere a tutti i costi.
Ma gli esseri umani, in realtà, sono creature egoiste, corrotte e insensibili. E ciò che era stato tramandato sulla carta, sulla carta rimaneva: erano tutte favole. Non esisteva niente di così magnifico.
Era certo di aver letto abbastanza dell’amore per poterlo rinnegare senza rimpianti. Aveva provato la pena in ogni sua forma ed era sicuro che non potesse essere minimamente accettabile vivere una vita di dolore per un attimo di felicità. Perché, in fin dei conti, l’amore è eterno finché dura: che sia per le circostanze o per la morte, l’amore non dura mai per sempre. E il gioco non vale la candela.
Eppure, era bastato guardare due occhi blu un po’ verde acqua, in una notte qualsiasi, per perdere ogni cognizione di sé.
E dopo tutto ciò che aveva letto, nonostante le proprie esperienze, come poteva rinnegare l’esistenza dell’amore a prima vista?
Si era detto che un ragazzino di quindici anni non potesse sapere niente dell’amore, che fosse solo attrazione fisica, che non potesse in alcun modo essere concepibile sentire quella morsa alla bocca dello stomaco ogni volta che pensava a lei, perché non la conosceva e lei non conosceva lui. Non avevano mai condiviso nulla insieme, non potevano nemmeno dire di conoscersi, dato che si erano scambiati solo qualche parola di circostanza. L’amore si costruiva dalla condivisione, ma nasceva dall’impatto…?
Probabilmente aveva letto anche questo.
Erano solo favole, ma quel dolore al petto lo attanagliava da mesi. Lo aveva ignorato per un po’ e, alla fine, era diventato una parte di lui così costante da averci fatto l’abitudine.
Come poteva essere ammissibile provare qualcosa di simile senza nemmeno volerlo? Perché non riusciva ad averne il controllo?
E la mente!
Cos’era in grado di fare quell’emozione alla mente di un uomo.
Era diventato completamente rincintrullito non appena l’aveva vista entrare nel suo vagone.
E ora era lì, davanti a lui, che ascoltava in silenzio i propri sproloqui. Con un livido sul braccio che avrebbe voluto far sparire con una carezza e quegli occhi che avevano il potere di prendere il totale controllo su di lui.
Forse era solo colpa del fatto che era la prima volta che si trovava da solo con lei e così a lungo. Ma era successo tutto troppo improvvisamente, troppo rapidamente per potersene accorgere e aveva detto un sacco di cazzate nel mentre. In un momento di lucidità, che avrebbe ringraziato per il resto dei suoi giorni, era riuscito a riprendere il controllo della situazione e, semplicemente, a dire la verità.
La schiettezza non era mai stata un problema per lui, anzi… Non sapeva comunicare in altro modo ed era il vero motivo per cui evitava interazioni sociali: alle persone non piace la verità.
Aveva semplicemente espresso i propri pensieri, i propri sentimenti. Non era sicuro di esserci riuscito nel modo giusto perché era molto nervoso, ma era sicuro di essere stato sincero.
Il problema era che, se solitamente non si interessava delle conseguenze di ciò che diceva, semplicemente perché non gli interessava il parere di nessuno, stavolta avrebbe dovuto affrontarle le conseguenze di quanto appena detto. E non era pronto. Nemmeno minimamente.
A dirla tutta, non ci aveva nemmeno pensato: aveva solo dato libero sfogo a ciò che si era tenuto dentro fino a quel momento, perché non poteva più sopportarne il peso. Aveva pensato che dire quelle cose ad alta voce lo avrebbe fatto sentire meglio, ma la morsa allo stomaco era tornata più forte che mai, insieme alla nausea… La manifestazione fisica dell’aver appena realizzato che le proprie parole avevano un peso altrettanto pressante sulle persone a cui le diceva.
Il calderotto di Megan che lentamente ruzzolò sul pavimento e finì col nascondersi sotto il proprio sedile aveva un che di filosofico… Se avesse potuto, ci si sarebbe nascosto anche lui sotto il sedile, dopo essersi buttato di sua spontanea volontà di testa a terra, con l’intento di farsi del male e finire col non essere più voluto. Proprio come quel calderotto.
Anche se, a differenza del dolcetto, lui non era mai stato davvero voluto.
Un brivido freddo gli attraversò la spina dorsale nel sentirla nominare il suo nome e uno sbuffo divertito gli sfuggì dalle labbra. Questo era il potere di quella ragazza. Bastava così poco…
Ma perché?
Lui non lo aveva mai voluto quel dolore, non era stata una scelta.
Seppur con una certa reticenza, sentì di dover rialzare lo sguardo su di lei, alla sua richiesta. Non aveva la minima idea di come potesse apparire la propria faccia in quel momento, ma si sentiva terribilmente triste.
Ci mancava solo Narcissa in quel contesto. Di nuovo, oltretutto.
Non voleva parlare di lei.
Nel momento in cui sua nonna gli aveva detto che era scomparsa insieme a sua madre, si era chinato sui talloni e aveva nascosto la testa tra le braccia, nella solita posa da “cuore, smettila di farmi male, non possiamo permetterci di soffrire”. Aveva stretto i denti e aveva proseguito con la propria vita.
Per quanto quel pacchettino di Natale, vicino al proprio sedile, fungesse da presenza ingombrante, non voleva più parlare di lei. Soprattutto perché non era sicuro che fosse così come Megan l’aveva percepita… A dirla tutta, su quella torre, Draven le aveva mentito spudoratamente per salvaguardare sé stesso. Non era andato lì per Narcissa, non era andato lì per la lettera che lei aveva ricevuto e non era andato lì per essere un fratello maggiore. Era andato lì per fumare, lontano da tutto e tutti nel tentativo di dimenticarsi dell’Accettabile preso in Storia della Magia.
Ma non disse niente. Non perché non volesse smentire le sue credenze, ma per il semplice fatto che sentì più giusto stare zitto: lui aveva detto ciò che aveva voluto dire? Lei doveva avere spazio di fare altrettanto.
Così, con lo sguardo su di lei, cercando però di evitare accuratamente i suoi occhi, continuò ad ascoltarla in silenzio.
Ma quegli occhi attiravano troppo la sua attenzione. Gli sembrò di vederli accendersi per un brevissimo istante, in risposta al suo sorriso. Forse per pietà nei confronti di un ragazzino che aveva una cotta per lei o qualcosa del genere, ma fu sicuro che l’espressione sul proprio viso si addolcì di conseguenza. Non poteva dire di piacere sentirsi compatito e trattato come un bambino dalle emozioni instabili, ma gli importava solo di vederla felice. Sinceramente. E se essere compatito rientrava nelle condizioni per farle illuminare gli occhi di tranquillità, lo avrebbe fatto per il resto della vita.
D’istinto, quando proseguì a parlare e la vide abbassare lo sguardo, si chinò di più verso di lei per cercare di nuovo il suo sguardo.
Se pensava che con lui bastasse lo stereotipato “non sei tu, sono io”, si sbagliava di grosso. Era permaloso, e parecchio anche, ma certe cazzate non avevano effetto. Nessuno era perfetto e tutti avevano un passato dal quale volevano scappare. Qualsiasi cosa, o chiunque, fosse stata a ferirla così tanto da farla parlare in quel modo, non meritava nemmeno un briciolo del suo tempo, o dei suoi sentimenti…
Ma qualsiasi cosa intendesse, a essere onesti, lui non aveva proprio capito.
Lo stava rifiutando? O era più un “non posso aprirmi nemmeno con te che mi piaci, perché non voglio stare male”?
Ovviamente, la seconda opzione era più bella della prima, ma non voleva nemmeno farsi delle illusioni.
E, come se gli avesse letto nel pensiero, la sentì dirgli subito dopo di non farsi illusioni. In qualche modo, aveva risposto prontamente ai propri dubbi.
Era proprio come diceva Sylvia Plath…


Le carezze sui graffi si sentono di più.si ritrovò a dire ad alta voce, tra sé e sé, con lo sguardo che, probabilmente già da qualche istante, si era perso nel vuoto.
Si inumidì le labbra con la punta della lingua, in un gesto nervoso, poi chinò di nuovo la testa e un sorriso amaro gli ombrò il viso.


Non avevo pensato che mi avresti preso sul serio. Ero sincero, ma di solito nessuno mi dà retta. Quindi, no… Non ti porterò rancore, né per questo né per altro. Non potrei, non sarei nemmeno capace di volerlo… - si limitò a risponderle, prendendo un respiro profondo subito dopo.
Chissà perché, nonostante l’averle voluto parlare a cuore aperto senza alcuna aspettativa, si sentiva così triste. Anzi, amareggiato? Deluso? Non era nemmeno sicuro di saper riconoscere quella sensazione.
Faceva solo tanto male e questo era certo.


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Edited by Draven. - 7/5/2022, 01:50
 
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