Gli adulti avevano la pessima abitudine di sfruttare luoghi comuni e modi di dire per spiegare le loro ragioni, la loro esperienza e insegnare cose che loro stessi, probabilmente, avevano imparato attraverso la dura realtà; perché non puoi capire qualcosa, se non ci sei passato in prima persona. Odiava le persone che davano consigli attraverso frasi fatte e giudicava male chiunque rispondesse con espressioni tipo “lo capisco, ci sono passato anche io” come se la conversazione mirasse a raccontare le proprie esperienze col fine di vincere una competizione a chi avesse sofferto di più. In breve, parlare di ciò che lo faceva star male non aveva mai portato a niente di buono, perché inevitabilmente gli veniva detto qualcosa che lo infastidiva… Ogni volta che provava ad aprirsi, non andava mai bene. Era come se parlare di argomenti che gli toccavano il cuore, finisse col toccare anche il suo lato peggiore, quello impulsivo, arrogante e pretenzioso.
Forse il problema vero è che aveva il cuore già marcio alla sua età. E continuava a commettere errori che ne deteriorassero le condizioni, piuttosto che provare a risanarlo.
Vedere Megan lo aveva reso immediatamente felice e, un attimo dopo, immediatamente triste, ma invece di concentrarsi su di lei, aveva lasciato che il proprio modo di fare gli rovinasse anche questa opportunità.
Non gli era sembrato vero di poter parlare da pari con la ragazza che ai propri occhi era più una divinità eterea che una donna in carne e ossa: immensamente bella, più grande e più capace di lui, anche caposcuola! E qualcosa in lui era scattato… La voglia di conoscerla e di farsi conoscere, nella speranza che qualcosa potesse scattare anche in lei. Ma non aveva minimamente pensato che avrebbe nominato Narcissa o che, il solo nominarla, avrebbe potuto scatenare quella catastrofe.
Lui, che non aveva mai sofferto i mezzi, improvvisamente sentì lo stomaco attorcigliarsi per la nausea. Non era colpa del treno, ma era ciò che si disse per evitare di deludere ulteriormente sé stesso realizzando quanto fosse stato stronzo con l’unica persona che avrebbe voluto abbracciare e consolare.
Si sentiva tanto intelligente e grande, ma non era altro che un ragazzino permaloso e immaturo.
Si sentì immediatamente in colpa per aver lasciato andare le parole a ruota libera, al punto da non riuscire a sostenere lo sguardo di Megan quando la ragazza decise di voltarsi a guardarlo. Draven chinò la testa e fissò gli occhi su un punto indefinito del pavimento in legno. Si riappoggiò allo schienale del sedile e si ritrovò, istintivamente, a giocherellare con l’anello di famiglia che portava nella mano sinistra, come faceva ogni volta che si sentiva teso; lo aiutava a calmare i nervi.
Dal momento in cui aveva incontrato lo sguardo di Megan per la prima volta, si era subito reso conto di quanto dolore si nascondesse dietro a quegli splendidi occhi. Era stata una delle cose che lo avevano lasciato senza fiato a fissarla come un ebete quando aveva beccato lui e Narcissa…
Basta. Basta pensare a Narcissa. Gli stava causando solo problemi.
Qualsiasi cosa gli fosse successa, non poteva accollarsene lui la responsabilità. Non spettava a lui, che già di per sé aveva un sacco di casini per la testa.
Che poteva fare per rimediare con Megan? Chiederle scusa come prima cosa era fuori discussione, non perché fosse uno di quelli che non chiedeva scusa quando sbagliava, anzi, ma perché non serviva chiedere scusa per aver offeso qualcuno e aver sbagliato se non si faceva niente per porvi rimedio. Era un uomo d’azione, non uno di parole.
Tra tutti gli stupidi detti babbani che sua madre e altri adulti gli avevano propinato nel corso degli anni per impartirgli nuove ed entusiasmanti lezioni di vita, ce n’era uno che, a differenza di tutti gli altri, trovava estremamente vero e intelligente: “le parole se le porta via il vento”. Ma visto che non aveva altro modo di comunicare con lei, almeno per il momento, avrebbe fatto lo sforzo di spiegare le proprie ragioni: non per giustificarsi, ma per scusarsi in maniera che avesse senso nella situazione che aveva creato lui e la sua stupida indole.
Le scelte degli altri non dipendono da noi, ma odio subirne le conseguenze. Ero nervoso per questo da prima che entrassi in carrozza. – esordì, dopo aver ascoltato le parole della ragazza.
Non era un motivo valido per prendermela con te. Non c’entri niente e proprio per questo non avrei dovuto tirarti in ballo. È solo più facile ascoltare i problemi degli altri, che affrontare i propri. Anche se è una frase fatta, è dannatamente vera. E fa schifo. – proseguì a dire, sospirando, con lo sguardo che dal pavimento, si spostò per un attimo sull’anello, prima di rivolgersi a Donut che, dall’alto della sua felina natura orgogliosa, miagolò come a volergli ricordare della sua esistenza. In quel momento, ci mancava solo un’altra lite tra gatti a completare il quadretto.
Mi dispiace di aver fatto lo stronzo. Se vuoi, cambio carrozza… - concluse poi, rialzando lo sguardo di lei, ma con ancora la testa china in una postura quasi remissiva, triste e rassegnato a subire le conseguenze irrimediabili delle proprie e immature azioni.
PS: 127 PC: 71 PM: 84 EXP: 7