Sbuffando divertita, Artemis non diede apparente seguito al dibattito; non le interessava nulla del vecchio, delle sue pozioni o del suo rapporto - presunto - con lei e il suo negozio. Tutto ciò che conta, in questo momento, è portare Casey al punto in cui la storia la vuole e nulla più. Per indovinelli e provocazioni ci sarà sempre tempo.
Così la gettata di cemento scivolerà ai loro piedi - svelti quelli di Artemis e più cauti quelli di Casey - con file di mattoni rossi a decorare, per così dire, lo spoglio ambiente. Lugubre e squallido erano solo due aggettivi per quel lungo corridoio che, piano piano, si allontanava dall’eleganza ricercata dell’Artemis. Nessuna musica in sottofondo, solo il ticchettio costante delle costose scarpe della guida e il sospiro annoiato di chi avrebbe desiderato condurre in diversa maniera la propria giornata.
Si erano lasciate la porta alle spalle già da cinque minuti abbondanti e se la memoria della Bell non faceva cilecca, qualcosa avrebbe dovuto suggerirle che l’esterno dell’edificio - ben squadrato e modesto nelle dimensioni - non coincideva con lo spazio interno. I Maghi, del resto, erano bravissimi nel ricavare spazio laddove non ce ne sarebbe normalmente stato. Così, di tanto in tanto, sul lato sinistro si intravedevano una, due, fino a cinque porte, tutte affrescate; ciascun uscio fu superato da Artemis e Casey senza esitazione. Chissà cosa si nascondeva oltre le pareti e quali tesori - veri o falsi - avrebbe potuto scoprire se solo avesse avuto tempo ed energie per dare una sbirciatina.
«
Ci siamo.» squillante e decisa, la voce di Artemis avrebbe sancito la motivazione dietro al suo fermo improvviso dinanzi l’ultima porta, anch’essa a sinistra… peccato che fosse dipinta e non in legno massiccio. Esattamente come tutte le altre.
Artemis non perse tempo e con un movimento circolare dell’indice le fece cenno di voltarsi.
«
Voltati. Prometto solennemente di non torcerti un capello.» concluse sorridente, maliziosa come non mai. Sensk Ama, forse, non aveva tutti i torti a temerla. Finché la ragazzina non le avesse voltato completamente le spalle, Artemis non avrebbe agito; tuttavia, nulla vietava alla fanciulla Grifondoro di sbirciare da sopra la spalla i movimenti svelti dell’altra, mentre questa picchiettava con la bacchetta in un'astrusa combinazione punti che altrimenti sarebbero parsi casuali. Qualunque fosse l’ordine o la motivazione, lo scricchiolio del legno annunciò l’effetto delle sue azioni e ben presto all’affresco si sotituì una porta identica di legno, questa volta decisamente vero. Il pomello scrostato girò nel palmo della subdola guida e un gesto teatrale condusse Casey nella stanza ivi celata.
Ciò che avrebbe colpito maggiormente l’udito sarebbe stato il vociare confuso di due uomini, inframmezzato dalle risate - forse - di un terzo individuo. Lo sguardo, invece, sarebbe stato veicolato sulle numerose casse di legno impilate le une sulle altre, fino a raggiungere l’alto soffitto; un dedalo di corridoi si snodava tra le colonne traballanti, incantate per non crollare prima che l’acquirente di turno avesse pagato o riscosso la merce.
Grandi e piccine com’erano avrebbero potuto contenere qualunque cosa, articoli proibiti e persino scherzi contraffatti. Tutto pur di un guadagno facile e, ben presto, Casey avrebbe avuto prova della varietà di intenti del Re di quel guazzabuglio.
«
Ivan, sei proprio un Nogtail!» aveva sbottato uno di loro, mentre il suono sordo e inconfondibile di una pallina da ping pong si riverberava in tutta la stanza. «
E adesso dov’è finita?»
Il terzo uomo rise ancora, bonario quasi, e Artemis sospirò spazientita. Mancava così poco a che si sfogasse con Casey su quanto fossero infantili quei tre che per un attimo le due avrebbero potuto scambiare uno sguardo, per così dire, complice. «
Andiamo.» mormorò infine, destreggiandosi tra i numerosi corridoi.
Quando, infine, lo spazio tra le casse di legno si aprì, comparvero i tre uomini - due in piedi attorno ad un vero e proprio tavolino da ping pong, uno seduto su una poltrona logora; fu l’uomo interdetto al gioco e che ancora ridacchiava tra sé ad accorgersi per primo del loro arrivo.
«
Oh, guardate, c’è la mia bella!» esclamò quello.
«
Tua un accidenti, Boris.»
E così, a passo deciso, Artemis si avvicinò al più tarchiato dei tre, dal volto rubicondo e col naso a patata; a chiosa della sua figura, due enormi baffi neri e una testa calva e lucida al riverbero delle lampade alogene, le stesse presenti nel corridoio. Gli altri due, i fratelli descritti da Sensk Ama, si voltarono istintivamente a guardare Artemis prima e Casey poi; istupiditi dal troppo ridere e bere, si scambiarono dapprima un’occhiata interrogativa e una successiva alzata di spalle. Erano davvero loro i bruti a cui Sensk Ama voleva farla pagare? Era bene che la signorina Bell prendesse confidenza con loro, prima che fosse tardi.
«
Te la lascio qui, fai come credi.» borbottò allora Artemis, scoccandole uno sguardo «
Se riesci a capire chi è il suo mentore, anche meglio. Amo lavorare con voi, ma non mi piace che il mio nome sia associato al vostro.» Boris aggrottò la fronte e le cespugliose sopracciglia, ma Artemis rise e se ne andò ribattendo qualcosa che sarebbe suonato come un “
E’ solo per dire.”. Poi, lesta come un giaguaro se ne sarebbe andata, lasciando sola Casey con tre individui sconosciuti.
I fratelli avevano ricominciato il loro gioco babbano, ma Boris aspettava a braccia conserte che Casey facesse la propria mossa.
Se era arrivata fin lì, la piccoletta doveva aver fegato: era il momento di dimostrarlo.