La testa leggermente inclinata da un lato, Jolene scrutò Jane con attenzione rinnovata nel tentativo di leggere sui suoi tratti dei ricordi che non fossero legati al San Mungo. Doveva avere un anno o due in meno rispetto a lei e, ora che era stata menzionata Hogwarts, a Jolene parve di riconoscere, nel viso dolce dell'altra, le tracce di una ragazzina la cui conoscenza non aveva mai approfondito, ma che negli anni aveva acquisito la familiarità passiva che lega i compagni di scuola.
«Credo che tu abbia ragione» asserì allora. «Ho dato i M.A.G.O. cinque anni fa.» A dirlo così sembrava passato un tempo assurdamente lungo. «Ero in Corvonero, come Lucien.» Lasciò che la domanda logicamente conseguente aleggiasse tra loro in un momento di silenzio. Era sinceramente curiosa di avere qualche informazione in più che le permettesse di inquadrare Jane; ricordi frammentari di lunghi pomeriggi trascorsi in biblioteca le suggerivano la presenza di una ragazzina dalla chioma scura tanto simile alla Medimago, ma era difficile districare il viso adulto che aveva di fronte dalla memoria ben più viva del ricovero in ospedale. Quella sera Jane Read avrebbe finalmente acquistato, per Jolene, i tratti distintivi di una personalità reale: era un sollievo, in un certo senso – la conferma che il mondo non si fermava alle sue percezioni passate, per quanto avessero potuto segnarla.
Staccò la propria attenzione dalla ragazza, per concentrarsi invece su Lucien. Su di lui, lo sguardo di Jolene poté riposare, come succede con le figure che sapremmo ricreare anche dietro alle palpebre calate. I misteri che Lucien le celava erano di una natura completamente diversa, marginali rispetto alle certezze che Jolene sapeva di trovare in lui. Nondimeno, era innegabile la loro esistenza – a Jolene non era sfuggito, ad esempio, lo stato in cui sia lui che Jane le si erano presentati nei primi istanti, come se si fossero infilati i vestiti della festa in fretta e furia. Potevano esserci mille spiegazioni, ma Jolene, da esperta pettegola qual era, stava già riservando una certa attenzione alle dinamiche tra i due.
Ma, naturalmente, c'era un tempo per parlare di gossip, e uno per parlare di carcasse e dell'orto delle zucche. «Sono scandalizzata. Ti sbarazzi dei cadaveri senza di me? Pensavo di essere la tua confidente.» Schioccò la lingua con disappunto. «Però hai ragione, il periodo degli esami è terribile. Quei dolci di Mielandia potrebbero assicurarti il mio perdono. Potrebbero.»
Nel raggiungere Jane nella zona cucina, a Jolene capitò di pensare che c'erano delle ottime basi perché lei e la ragazza andassero d'accordo. Ottime e numerose, rilegate in copertine più o meno spesse, e fitte di pagine il cui caratteristico sentore di carta, avrebbe potuto giurarlo, aleggiava leggero nell'aria. Non perse tempo a guardarsi vistosamente intorno – sarebbe stato maleducato –, ma la sensazione generale era che Jane avesse scelto un arredamento semplice e confortevole, tanto simile a quello che Jolene aveva voluto per casa sua. Ciò portò Jolene a sentirsi immediatamente a suo agio.
Posò le due bottiglie sul bancone; ne uscirono due piccoli tonfi che sembrarono particolarmente significativi tra i discorsi in corso. «È la prima cosa che ci insegnano ai corsi di specializzazione» dichiarò solennemente. «L'unica vera regola riguardo al tasso alcolico è sempre in salita.»
Come c'era da aspettarsi, Lucien aveva i suoi metodi per assicurarsi dei festeggiamenti in piena regola. Quante volte gli aveva visto tra le dita un'ampolla tanto simile, anonima senza l'etichetta, ma carica delle promesse perfette per un gruppo di adolescenti alla ricerca costante del proibito? Ora erano cresciuti, e quegli intrugli avevano perso il sapore di ribellione, ma nondimeno Jolene era pronta ad accettare quel pizzico di euforia artificiale. Così, dopo aver stappato la bottiglia del punch, Jolene chiese con un cenno l'assenso degli altri per riempire i loro bicchieri. Lasciò il proprio per ultimo, poi lo fece scivolare davanti a Lucien perché vi facesse cadere qualche goccia della sua pozione; un occhio di renna galleggiava sinistramente sul pelo del liquido verde.
«Un brindisi per una festa memorabile.» Sollevò il suo bicchiere, sorridendo a turno ad entrambi nel citare le parole di Lucien. Poi, come una seconda considerazione apparentemente contrastante, soggiunse: «Voglio dimenticarmi di aver mai avuto un solo pensiero al mondo».
Prese un primo, generoso sorto del suo punch. Sembrava l'ideale per cominciare, dato che non era troppo forte. Il gusto era piacevole, ma lo stesso non si poteva dire dell'occhio di renna che Jolene si fece scivolare tra le labbra in un improvviso impeto di coraggio. La gelatina aveva assorbito l'alcool fino ad impregnarsene e così, quando Jolene la morse, liberò un gusto insopportabile che le strappò una smorfia disgustata. Soffocò un colpo di tosse, e dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per non chiedere a Jane un tovagliolo. Invece, riuscì a mandare giù. «Avrebbe fatto meno schifo se fosse stato vero» biascicò.
C'era da dire, a favore della bevanda, che davvero rispettava l'effetto magico promesso – effetto della cui esistenza Jolene si era completamente dimenticata, motivo per il quale si rese conto con una certa sorpresa di una nuova chiarezza tra i propri pensieri. Jane Read. Si ripeté il nome, ora completo, e all'improvviso si rese conto di averlo sentito anche in altre occasioni, oltre a quelle che già le erano sovvenute.
«Jane, anche tu scrivi per il Profeta, non è vero?» chiese allora, il tono amabile, lo sguardo curioso mentre attendeva una conferma. «Mi è venuto in mente solo ora, ma ricordo di aver letto qualche tuo articolo. Mi sa che siamo colleghe anche alla Gazzetta, allora.» Le offrì un sorriso allegro. Certo che la casa di Jane era piena di libri: la lettura doveva essere una sua grande passione, per averla portata ad occuparsi anche lei dell'apposita rubrica. Jolene si voltò verso il Guardiacaccia: «Dovresti pensarci anche tu, Luce. Non posso pensare ad una persona più adatta per una rubrica di pozioni». Si interruppe su una nota divertita, prima di proseguire con fare più pensieroso: «Ora che ci penso... Non te l'ho mai chiesto, ma che ci facevi alla festa di natale del Profeta?».