Sydenham Hill Woods, Universi Alternativi: [Il Vaso di Pandora]

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 30/7/2021, 18:28
Avatar

Sometimes I can feel my bones straining under the weight of all the lives I'm not living.

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
10,835

Status:




«Sai dov’è?»
«Dove vuoi che sia, è sempre attaccata a quell’affare.» La donna scuote la testa irritata e continua. «Laggiù le frequenze non prendono neanche.»
«Non è interessata alle trasmissioni.» Precisa Sam guadagnandosi un’occhiata stranita.
«Che diamine ascolta, allora tutto il giorno?»
Le spalle di lui sono flosce mentre esala un sospiro grave. «Francamente non ne ho idea.»
Non se la sente di dar torto alla donna quando questa inarca un sopracciglio e si porta un dito alla tempia come si fa per indicare che qualcuno è fuori di zucca. Perciò si limita a poggiarle una mano sulla spalla prima di superarla. «Ci vediamo, Julia.»
Non ha bisogno di concentrarsi sui propri passi mentre percorre i cunicoli che si diramano sotto il quartiere di Dartford. Ha avuto modo di acquisire dolorosa familiarità con le svolte e i vicoli ciechi del centro di raccolta. In verità, non avrebbe neppure bisogno di chiedere dove sia Niahndra perché la risposta non è cambiata da mesi a questa parte.
«Sono io» Alza una mano per bussare quando giunge infine ad una porta piuttosto anonima posta lungo una delle pareti più lunghe della camerata. Perché continui ad annunciarsi nonostante sappia che l’altra non può udirlo dall’interno rimane un mistero; forse, si dice, è l’ultimo testardo rimasuglio di una vita passata in cui ancora la privacy aveva un valore, di quando erano solo lui e Niah in quel piccolo appartamento e non decine e decine di maghi stipati in rifugi di fortuna.
Lo sgabuzzino è angusto, odora di chiuso e di muffa. Sam si chiude rapidamente la porta alle spalle e gli occhi si fissano nel punto in cui sa di trovare la ragazza.
Accartocciata sul tavolo, la testa leggermente inclinata, gli occhi fissi su qualcosa che non esiste; Niahndra non dà segno di essersi accorta della presenza dell’amico. Le sue dita si muovono agili ed il silenzio viene interrotto dalle frequenze sporche della radio magica.
Sam non tenta neanche di interpretare le voci spezzate. Niahndra non è interessata alle trasmissioni, ma a quello che sta sotto.
«C'è un vuoto a nord di Londra. Un gruppo di senzienti dev'essere migrato in là.» È la ragazza a parlare per prima, diversi minuti più tardi. Raddrizza la schiena e si volta a guardarlo. «È il caso di avvisare Upper Flagley?»
Sam scuote la testa. «È un’informazione obsoleta, è arrivato un dispaccio stamattina. Niente da fare.»
La guarda arricciare le labbra in disappunto, poi —anche se non vorrebbe— si sofferma sulle guance scavate e i solchi violacei sotto gli occhi. Lo stomaco gli si stringe, ma non si permette di distogliere lo sguardo. Guarda, si ammonisce, guarda ciò che è diventata.
Sam ignora il momento preciso in cui ha perso il controllo. Anche andando indietro con la mente, anche scavando furiosamente tra i ricordi non è in grado di localizzare il punto in cui tutto è andato a rotoli, i segnali a cui avrebbe dovuto prestare attenzione, le misure che avrebbe dovuto adottare. Un giorno andava tutto bene; il successivo, la gente aveva iniziato a morire.
E forse, ragiona Sam, Niahndra avrebbe anche potuto sopportarlo. In fondo, non c'è nulla di speciale nella gente che muore.
A patto che resti morta.
«Stanno distribuendo le razioni di cibo.» Dice. Ti scongiuro, vieni a mangiare, è quello che tace.
«Sento di esserci quasi.» La convinzione disperata nella voce di Niah gli fa male al cuore.
La radio sfrigola e sussulta mentre la ragazza continua a saltare di stazione in stazione, sintonizzandosi su frequenze di cui solo lei conosce il senso.
«Lei è lì fuori, lo so.» Stavolta è un mormorio che si espande timido nello spazio angusto. E in un certo senso fa persino più male.
«Dubito che tua madre abbia a che fare con questo pandemonio, Niah.» Ribatte per pura abitudine, ma è un copione già letto e lui è così dannatamente stanco.
Sono mesi ormai che Niahndra porta avanti l'astrusa teoria che vedrebbe sua madre coinvolta nel disastro del Vaso di Pandora. In un primo momento, quando glielo ha confidato, Sam è scoppiato a ridere credendolo uno scherzo.
"Sono seria, ti sembra una coincidenza?", era stata la risposta di lei e qualcosa nei gesti agitati lo aveva messo in allarme. "Ragionaci, un artefatto forgiato da magia e dolore, intriso dei mali del mondo. Ci ho pensato, Sam; da qualche parte devono venire queste...queste voci, i messaggi che sento."
"E credi che vengano dal vaso?" Cazzo. "Ti rendi conto dell'idiozia, vero?"
"Come si chiama mia madre?" Aveva ribattuto lei in risposta. "Sei stato tu a dirmelo."
Cazzo cazzo cazzo. "Stai delirando."
"Di' il suo nome, Sam."
Aveva sospirato anche al tempo. "Pandora."
Se dovesse individuare il punto di non ritorno, probabilmente Sam sceglierebbe proprio quella conversazione, ma sarebbe una bugia. Il punto di non ritorno è stato raggiunto molto prima, quello è soltanto il momento in cui se n'è reso conto.
«Hai bisogno d'aria. E di cibo.» Decide improvvisamente, col tono di chi non ammette di ascoltare altre sciocchezze e vuole chiudere la questione. Non crede di poter reggere quella conversazione.
Le iridi di Niahndra lo inchiodano da sotto le sopracciglia scure. «Quello di cui ho bisogno sono risposte.»
Forse Julia ha ragione. Forse Niahndra è pazza e lui la ama troppo per fermarla. O forse non la ama abbastanza. Forse —e un brivido gli corre lungo la spina dorsale— il pazzo è lui, che indulge nel delirio di lei pur di vedere ancora quella scintilla ostile balenatale or ora negli occhi.
«Perché?» Ha paura di quella domanda, e anche Niah. Lo nota dal modo in cui il suo corpo si irrigidisce prima di rattrappirsi ancora un poco —è imbarazzo quello che le affiora sulla punta delle orecchie? Ma è stanco, e non si trattiene. «Ti ha abbandonata, può andare al diavolo.»
Quando la ragazza non risponde, alla stanchezza si sostituisce la rabbia. È una risata amara quella che gli esce dalle labbra insieme al fiele. «Lascia perdere. L'idiota sono io, che pensavo di bastarti.»
Niahndra continua a non dire niente; ma quando si richiude la porta alle spalle, Sam nota che la radio rimane muta un po' più a lungo. E quando alla sera la ragazza si presenta in tempo per la cena le fa spazio accanto a sé senza dire una parola.

– – –Tira un'aria diversa nel rifugio ogni volta che viene organizzata una spedizione all'esterno. Spedizione, poi, è una parola grossa. Si tratta per lo più di un capannello di maghi e streghe volontari accompagnati da un antimago nei casi più fortunati. Di solito è per reperire beni di prima necessità o scorte di cibo e acqua, talvolta per rispondere a chiamate di soccorso appena fuori Londra quando mancano risorse per interventi ufficiali da parte delle autorità.
In entrambi i casi, Sam è piuttosto sicuro di non aver mai dato la propria adesione, per cui rimane perplesso quando Rufus lo approccia per avvisarlo del rendez-vous.
«Davo per scontato seguissi la tua ragazza. L’uomo scrolla le spalle, ma sembra farsene una ragione.
«Non è —È con un riflesso automatico che Sam apre bocca per correggerlo, poi afferra il significato implicito delle sue parole —Niahndra partecipa?»
Rufus sbotta divertito e gli indirizza un’occhiata sconcertata. «Merlino, è stata lei a venire da me con queste informazioni prima ancora che ci arrivasse il messaggio da Streatham. Hanno avvistato due Periculum nelle Sydenham Hills e chiedono rinforzi.»
«Non fa parte delle squadre di ricognizione, è appena maggiorenne.» Obietta Sam, il battito del cuore accelerato.
Rufus ha almeno la decenza di vergognarsi un po’ nel giustificarsi. «Difficile dirle di no e onestamente non posso permettermelo. Fanno sempre comodo bacchette giovani.»
Deve notare qualcosa sul viso di Sam perché la sua espressione si fa più compassionevole. «Non te l’ha detto, eh? Donne.» Gli dà una pacca bonaria sulla schiena prima di allontanarsi. Ha già fatto un paio di passi quando aggiunge: «Uscita ovest, tra quindici minuti.»

«Quindi adesso ci teniamo nascoste informazioni vitali?» Il tono di Sam è tenuto basso a fatica, spezzato tra i denti stretti dal risentimento. Attira comunque un paio di occhiate curiose da parte degli astanti.
Niahndra fa sparire il coltello a serramanico nella tasca dei pantaloni, poi solleva lo sguardo sull’amico. Non c’è rimorso. «Chi te l’ha detto?»
Wow. Tra tutte, è quella la domanda che le passa per la testa? «Rufus. Dava per scontato che io già lo sapessi. Che cazzo, Niah. Che storia è?»
Un fischio li richiama sull'attenti ed il gruppo improvvisato si prepara a varcare i cancelli. Li aspetta mezz’ora di camminata per superare le barriere anti smaterializzazione.
La formazione è compatta, Niahndra gli scivola di fianco con naturalezza. «Ho sentito qualcosa con la radio, mi sembrava doveroso aiutare.»
«Bolidate. Vuoi darmi a bere che non ha a che fare con Pandora?»
La mascella di lei si irrigidisce, le narici fremono. «Ho davvero sentito qualcosa.» Le sopracciglia si alzano ad enfatizzare il verbo, segno che si riferisce ad un tipo di sentire che la gente normale non percepisce. «Ma la radio è piccola e quella stanza è insonorizzata.»
«È insonorizzata per proteggerti.»
Lei fa uno svolazzo stizzito con la mano. «Lo so. Voglio vedere se avvicinarmi a loro cambia qualcosa.»
Sam non crede alle sue orecchie. «Pensavo che annullassero le tue capacità. Roba da non morti e quant'altro.» Chiude la bocca e la riapre. «Stai andando completamente alla cieca, non è vero?»
«È un tentativo.» Si difende l'altra.
«Non è un tentativo. È il piano più stupido che abbia mai sentito. Ti farai ammazzare.»
Niahndra distoglie lo sguardo e deglutisce. «Per questo non volevo che venissi.»
Sam segue il movimento del suo pomo d’Adamo, poi scende fino al profilo affilato delle sue clavicole. Sporgono fiere come un paio di ali che si aprono dalla gola alle spalle; colibrì ancorato a terra dalla sua stessa pelle.
«Devo correggermi —l’irritazione è palese, ma la rabbia è sfumata— questa è la cosa più stupida che abbia mai sentito.»
Quando giunge il momento di smaterializzarsi, la tensione nel gruppo è alle stelle.
Esistono due regole implicite per chi si avventura fuori dai rifugi. La prima, e più ovvia, è non farsi mordere; la seconda è evitare la magia il più possibile poiché i Senzienti ne sono irrimediabilmente attratti. Tuttavia, la distanza che li separa da Streatham è troppo grande per essere colmata a piedi. L’emergenza in atto li costringe a rischiare.
«Il punto di arrivo concordato è Bravo, due miglia a est dal rifugio. Poi un'altra miglia e mezzo da lì.» Comunica Rufus. «Smaterializzazione congiunta per chi non ha familiarità con la meta. Ci vediamo dall’altra parte.»
Un augurio efficace perché in effetti i guai cominciano solo una volta arrivati a Sydenham Hill.

Quattro. Sam ha contato quattro cadaveri da quando si sono inoltrati nella foresta e sta facendo di tutto per non diventare il quinto. Un compito difficile se non può ricorrere alla bacchetta e se metà della sua attenzione continua a gravitare verso Niahndra.
Evita un colpo del senziente di fronte a lui e con la coda dell’occhio la vede brandire il coltello a serramanico. I suoi movimenti sono goffi e posseggono la foga del principiante, in breve è costretta a cedere terreno.
Sydenham Hill Woods era un tempo attraversata dalla linea ferroviaria che conduceva a Crystal Palace (High-Level), prima che il palazzo venisse distrutto in un incendio e la tratta cadesse in disuso. Alcune tracce, tuttavia, permangono. Tra queste, i binari seminascosti dalla vegetazione che li hanno condotti ad un tunnel abbandonato, santuario di pipistrelli e sopravvissuti terrorizzati. Il bombarda è esploso sotto i piedi dei soccorritori non appena questi si sono avvicinati. Il primo pensiero di Sam —sbalzato all’indietro dall’urto— non è andato all’uomo che ha visto cadere a terra svenuto; è andato ai senzienti, e alla loro fame di magia. Così ha avuto inizio l’incubo.

«Dimmi qualcosa!» Grida Sam nel fragore della schermaglia. Il rantolo dei non morti minaccia di farlo impazzire. Non osa immaginare cosa stia passando Niahndra né si arrischia a cercarla con gli occhi, non mentre si trova spalla a spalla con Rufus per sottomettere una di quelle bestie. Si permette, tuttavia, un respiro di sollievo quando sente la ragazza rispondere all’appello.
Vantano superiorità numerica, ma significa poco quando combatti zombie a mani nude e a distanza ravvicinata tentando disperatamente di tenere la pelle lontana dai loro denti. Se non altro, dalla loro, hanno la ferocia di chi vuole sopravvivere. O così crede.
Rufus, il viso imbrattato di sangue, gli offre una mano per aiutarlo a rialzarsi e sparisce immediatamente dopo per fornire supporto ad un altro paio di maghi. Sam riprende fiato scandagliando la piana antistante l’ingresso del tunnel. Il cuore accelera ad ogni secondo che passa senza riuscire ad individuare Niahndra.
Appena prima che il panico si appropri di lui scorge lo svolazzo rosso della sua giacca a vento; si slancia in avanti e la figura della ragazza spunta da dietro alcune rovine in pietra poco distanti. Sta lottando contro uno dei non morti.
Parata, parata, colpo; cantilena nella sua mente il ragazzo come se l’altra potesse sentirlo.
Parata, parata, parata; è la sequenza con cui si muove invece lei.
Sam conta due aperture, due occasioni per Niahndra di pugnalare il senziente che la sta caricando. Non aspetta la terza.
Cerca di non soffermarsi troppo sulle tumefazioni che gli coprono il corpo mentre si slancia a peso morto sullo zombie.
L’impatto gli toglie il fiato e per un po’ ha solo percezione di rotolare avvinghiato al senziente, la vista offuscata dal dolore; si contendono la supremazia per una manciata di istanti e Sam continua a mirare alla cieca ignorando i colpi ricevuti fin quando il coltello che impugna non affonda nel collo del non morto. Può sentire la lama che si spezza nella trachea.
È ancora disorientato quando qualcuno gli scrolla il cadavere —stavolta in via definitiva— di dosso.
«Dimmi qualcosa.» Soffia piano Niah.
«Hmm.»
«Qualcosa di intellegibile.»
Merlino, le costole. «Hai un coltello per queste specifiche situazioni. Usalo.» Niahndra gli sta scostando i capelli. Più cerca di strofinare via il sangue con la manica del giacchetto, più peggiora la situazione.
Il ragazzo si sottrae al tocco. «Dico sul serio. Non hai reagito.»
«Ero un tantino occupata a evitare i denti nel caso non l’avessi notato.»
Ma Sam ha imparato a non lasciarsi intenerire dal tono piccato e risentito. «Come ti pare.»
Si rimette lentamente in piedi rifiutando il supporto di lei anche la seconda volta che perde l’equilibrio.
Rufus e gli altri li sorprendono ancora in ostinato silenzio pochi minuti più tardi. L’ultimo senziente è stato reso inoffensivo, tutti i sopravvissuti sono stati recuperati e —brutte ferite a parte— nessuno manca all’appello.
«Non sarebbe andata meglio neanche con un bagno di fortuna liquida.» È il verdetto di Rufus, e il suo buonumore resiste anche una volta raggiunto il rifugio di Streatham a notte fonda.

«Pensavo che sarebbe venuta.»
Niahndra ha questa abitudine di rimanere in silenzio per ore salvo poi uscirsene con commenti vaghi, dimentica di non aver reso partecipe nessun altro dei suoi processi mentali.
«Chi?» La incalza Sam. Ha imparato a riconoscere questi momenti di vulnerabilità e totale franchezza.
«Mia madre. Mi sono detta che magari è come me, hai presente? Che, non so, avrebbe sentito che fossi in pericolo. Ho pensato che se io non riesco ad arrivare a lei, forse lei può arrivare a me.» Lo confida a bassa voce mentre piega la coperta della branda di fortuna su cui ha dormito la notte. Sono in partenza per Dartford.
«È per questo che non hai colpito quando potevi?» Chiede il ragazzo nonostante sospetti di conoscere la risposta.
Niahndra arrossisce. «Mi dispiace. Ti ho messo in pericolo per niente.»
Per un po’ Sam non commenta. Lei lo scruta in cerca di un segnale di rabbia e Sam si rende conto che è così che dovrebbe sentirsi. Eppure una parte di lui non può fare a meno di guardare Niah e vederla ancora bambina, col cuore gonfio di abbandono.
Ha lucida chiarezza del delirio che distorce i pensieri della ragazza e non gli importa, se è l’unico modo in cui può tenerla con sé ancora per un poco.
È il tonfo della coperta che cade in terra a riscuoterlo da quei pensieri. Solleva lo sguardo su una Niahndra imbambolata; le sue pupille non lo mettono a fuoco.
La chiama ad alta voce perché conosce quel tipo di fissità innaturale. Fa per chiamarla una seconda volta, ma lei torna alla realtà con un sussulto.
«Spogliati.» Ordina seria. Le sopracciglia formano una linea diritta.
«Spogliati?» È l’eco allibita di lui. «Non mi pare il cas–»
L’obiezione gli muore in gola non appena sente addosso le mani di Niah, frenetiche e convulse. Non è come se lo aspetta; si sorprende di quel pensiero e lo scarta con rapidità mentre si fa blandamente scudo con le braccia più per ridurre l’impeto che altro.
«Dov’è?»
Il secondo campanello di allarme si fa strada nella sua testa; di solito non ci sono segnali di panico quando tentano di rimuovergli i vestiti.
«Il morso, Sam. Dov’è.»
Oh…
Oh. Il lampo di comprensione scioglie la stasi in cui verte e lo spinge ad agire. Era solo questione di tempo, in fondo, prima che l'altra lo scoprirsse. «Fermati.» Prova a liberarsi dapprima gentilmente poi, quando Niah non dà cenni di calmarsi, le afferra i polsi e la blocca contro la parete alle spalle di lei. «Basta così.»
Dubita che Niahndra senta cosa le sta dicendo perché continua ad opporre resistenza per inerzia; tuttavia, l’espressione dura si incrina al primo singhiozzo. «Voglio vedere.»
È il capriccio di un bambino.
«A che pro?» Sam usa un tono sorprendentemente morbido nonostante la presa salda in cui la trattiene. Ha avuto modo di ispezionare i segni sulla spalla quella mattina, e la vista non è stata gradevole.
Appoggia la fronte contro quella di lei, trovandola più fresca della propria febbricitante, e chiude gli occhi. «Ormai è fatta.»
«No.» Sente la contestazione di Niahndra riverberare in tutto il suo corpo, ma almeno —si rende conto— ha smesso di dimenarsi. «No, possiamo...possiamo cercare una cura. Stanno lavorando ad un antidoto.» Farfuglia finché il ragazzo non la riporta alla realtà. Non c’è abbastanza tempo, ha poco più di un giorno prima dell’inizio del processo di trasformazione.
«Alcuni impiegano quasi una settimana prima di cadere in coma, nel frattempo al rifugio qualcuno–»
«Non mi faranno entrare.» Sam riapre gli occhi e trova lo sguardo dardeggiante di Niahndra a inchiodarlo. «Ho già parlato con Rufus, non mi faranno entrare al rifugio. È un rischio che non possono correre...e onestamente, neanche io.»
È in grado di individuare il momento preciso in cui il lampo di consapevolezza guizza sul volto di lei. Non si sorprende di sentirla irrigidirsi.
«No.»
Sam fa un passo indietro e la libera. Si passa una mano sul viso, la barba sottile gli pizzica i polpastrelli. Si sente morire.
Sicuro l’andazzo è quello, ironizza.
«Per favore, Niah.» Il groppo in gola si mangia il resto. Per favore, non permettere che mi trasformi.
«Come fai.» Sbotta lei, rossa in viso. «Come fai a stare lì calmo a chiedermi di ammazzarti come se fosse la cosa più normale del mondo? Come fai a non dare di matto? Dio, sto impazzendo.»
Ha abbandonato ogni parvenza di controllo. Le iridi scandagliano erratiche la stanza, i piedi si muovono senza meta, le dita tamburellano sul niente.
C’è una voce nella sua testa che le dice quello che il ragazzo ha già realizzato. Non c’è via d’uscita. «Cazzo, questa è colpa mia. Questa è colpa mia. Cristo. Non dovevi neanche venire. Dio, è tutto sbagliato.»
Sam la chiude in un abbraccio e per un po’ di tempo rimangono così, a piangere e basta.

– – –«Secondo voi lo fa?»
La domanda piomba nel silenzio generale. Nessuno ha voglia di pensare a quel che sta succedendo ai limiti della zona antismaterializzazione, ma inevitabilmente i pensieri gravitano in quella direzione.
Rufus si toglie il berretto per grattarsi la testa pelata e scuote la testa. Non ha più il buon umore che aveva dopo Sydenham Hill Woods. Da quando hanno lasciato il rifugio di Streatham non ha avuto il coraggio di guardare negli occhi né Sam né Niahndra e adesso si rigira tra le mani grandi lo stesso coltello con cui ha sventrato i senzienti appena ventiquattro ore prima.
Un’ora, ha concesso. Un’ora prima di essere costretto a mantenere lui stesso la promessa fatta al ragazzo. È una cazzo di tragedia, si dice, e non sa se sperare o meno che Niahndra trovi la forza.
Perché lui davvero non ce l'ha.

Nessuno si muove quando il grido di banshee si leva a lutto.

 
Top
0 replies since 30/7/2021, 18:28   107 views
  Share