LIGHT ME UP, Privata

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view post Posted on 25/8/2021, 22:55
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Sometimes I can feel my bones straining under the weight of all the lives I'm not living.

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Il Wizard Store ha un aspetto diverso in orario di chiusura, quando i raggi filtrano obliqui dalla saracinesca mezzo abbassata e non c’è nessuno ad ammirare le pietre sugli espositori.
C’è qualcosa di curioso nel modo in cui i luoghi vengono alterati dalle più banali circostanze, come luce o solitudine; nel modo in cui le linee —familiari durante il giorno— si tramutano in bordi affilati e insidiosi alle prime ombre della sera. Laddove prima si trovavano corridoi e reparti, adesso Niahndra vede solo vie di fuga sbarrate e punti ciechi. Quel che in orario di punta era pacifica serenità è adesso isolamento.
A dispetto delle inclinazioni del singolo, l’uomo rimane fondamentalmente una creatura sociale che regola gran parte dei suoi comportamenti proprio sul confronto con gli altri. Questo è vero in particolare in situazioni di incertezza o ambiguità, in cui le reazioni vengono tarate sulla base degli esempi forniti da chi ci circonda. In mancanza di un metro di paragone i livelli d’ansia aumentano e insorge l’istinto di raggiungere luoghi più trafficati.
Niahndra non fa eccezione, di certo non quella sera.
Poco importa che conosca il profilo del negozio a menadito perché la monotonia dei dintorni si tramuta in un subdolo nemico. Quando la mente non può cibarsi di stimoli ambientali da elaborare allora si tiene impegnata con l'immaginazione. La stessa immaginazione che riempie gli spazi e crea mostri dove non ve ne sono.
Il suo sospiro è protagonista in quel silenzio spettrale e Niahndra ha acuta percezione di essere sola. Non riesce a sopportarlo.

Ha già macinato diverse centinaia di metri quando infine si accorge che i suoi piedi l’hanno condotta nella direzione opposta rispetto a dove abita. Non che ci sia nessuno ad aspettarla invano, è il maligno pensiero che si fa strada nella sua testa. Il gufo con cui Sam le ha comunicato frettolosamente che non sarebbe stato presente a cena ha contribuito in gran parte al suo malumore.
Niahndra continua a lasciarsi guidare dall’istinto, sempre più in profondità nel ventre della balena. West End pulsa di vita intorno a lei e solo allora rallenta il passo per bearsi della sensazione di essere un punto infinitesimale nella grande arteria che percorre Londra. Suoni, luci e odori che sanno di casa, la prospettiva di trovare sempre la compagnia di un’anima affine a prescindere dall’orario. Ha la sensazione che i confini della sua identità si facciano più labili e confusi, ma per paradossale che sia ritrova sé stessa.
Il tratto successivo è guidato non dai piedi quanto dallo stomaco. Senza fretta attende il suo turno al chioschetto; non fa storie quando un paio di ragazzi la superano in fila, e si prende il suo tempo nel scegliere i condimenti per il panino. Non può fare a meno di chiedersi se sia libertà o solitudine non avere nessuno che a casa che l'aspetti.
Sta già masticando quando si incammina sulla via del ritorno, i piedi che si muovono in automatico mentre affonda con la mano nel sacchetto di patatine fritte.
La sua coscienza è ancora espansa e non del tutto rientrata nella gabbia di ossa che è il suo scheletro; si concentra sul sapore zuccherino della coca cola con cui sta buttando giù il boccone di hamburger, ma il resto sfuma in rumore di fondo.
Quando la spalla inavvertitamente sbatte contro un altro corpo le viene difficile capire se sia per distrazione o per necessità viscerale di una qualche forma di contatto.
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view post Posted on 28/8/2021, 23:23
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La frenesia con cui scendo le scale dice molto dell’umore con cui sto lasciando la bettola in cui ho trascorso gli ultimi dieci minuti senza ottenere assolutamente nulla. Ho fatto un buco nell’acqua — l’ennesimo della giornata — e ho come l’impressione di poter impazzire da un momento all’altro. Sola nel vicolo maleodorante, lancio una bestemmia e tiro un calcio a un cassonetto, generando un fracasso che fa rizzare le orecchie di un gatto acquattato in un angolo vicino alla spazzatura.
Ci somigliamo, io e il felino. Abbiamo la stessa struttura rachitica di chi mangi decisamente meno del necessario, l’aspetto dimesso e la medesima urgenza che ci attanaglia le viscere. Non cerchiamo la stessa cosa, però. Non è la stessa fame a muoverci, sebbene ci accomuni il tormento dell’insoddisfazione. Se la sua ricerca mira a placare uno dei più basilari bisogni dell’essere umano, il mio muove in una direzione diametralmente opposta.
Sono in astinenza, per questo smanio e m’incazzo e vago da una parte all’altra di Londra senza posa. Sto girando tutti i posti che conosco — topaie dove mi nascondo la notte quando il pensiero di essere me stessa fa troppo male per essere tollerato —, ma non ho fortuna. La verità è che la mia memoria fa difetto al momento, quindi sbaglio indirizzo senza rendermene conto.
È uno degli effetti collaterali dell’ultima sostanza che ho preso da un goblin dai modi arcigni e i denti affilati. Non me ne ha parlato, ovviamente: non mi ha detto che le capacità mnemoniche del mio cervello si sarebbero bucate come una forma di formaggio, inducendomi a percorrere la capitale senza riuscire a trovare le solite vie dei miei peregrinaggi notturni. Non mi ha detto neppure che mi avrebbe lasciata a fare a botte col craving più balordo che mi sia mai capitato di sperimentare da quando mi sono abbandonata a questi espedienti per trovare sollievo.

«Cazzo. Cazzocazzocazzo» sibilo a denti stretti, le braccia incrociate davanti al petto seminudo.

La maglia devo averla lasciata nel loculo in cui stanotte ho trovato una pace fittizia e momentanea per il tempo sufficiente a smarrire il senso dello spazio e di me stessa, ma non m’importa. Non c’è spazio per nulla nella mia mente che non riguardi la necessità impellente di trovare qualcosa — qualsiasi cosa — che spenga il bisogno infame di perdermi ancora.
Bestemmio una volta di più e lancio un grido di frustrazione, gettando il capo all’indietro. Poi, comincio a correre e mi lascio il vicolo alle spalle. Zigzago confusionariamente tra la gente, incurante degli sguardi di chi mi circonda, frugando con gli occhi vitrei i volti di chi elemosina ai margini delle strade. Forse, mi dico, potrei provare con qualcosa di babbano. Magari, funziona anche quello e loro ne hanno un po’ e possono darmela.
Ho appena individuato un mendicante seduto su un angolo di marciapiede e ho tutta l’intenzione di chiedergli senza mezzi termini di darmi della roba, quando urto violentemente contro un ostacolo e perdo l’equilibrio. Finisco a terra di malagrazia, accusando il colpo come quella volta che Mary mi ha disarcionata dalla scopa durante un allenamento di Quidditch.

«Ma che cazzo vuoi, oh?! Che cazzo vuoi?» blatero senza nemmeno alzare lo sguardo.

Ho i gomiti poggiati sul pavimento, i capelli sparsi intorno come schiuma sulla sabbia e le clavicole in evidenza sopra la linea delicata del reggiseno bianco. I miei occhi non si sono ancora sollevati sul responsabile della mia caduta.

«Guarda dove cammini» dico con una sintassi che farebbe inorridire il Midnight e gli darebbe un elemento in più per motivare il suo giudizio di mediocrità nei miei riguardi. Sollevo lo sguardo sul viso del reo per scoprire che è una ragazza, ma l’informazione mi è del tutto indifferente. «Brutta testa di cazzo!»
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view post Posted on 23/9/2021, 14:31
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Tre pensieri le attraversano la testa mentre combatte per mantenersi in equilibrio.
*Ahia*, sorge istintivo in reazione alla botta al naso. Nonostante la sorpresa sia maggiore del dolore, lo stesso le lacrime si accumulano spontaneamente nella curva delle palpebre inferiori. Le sbatte via, ma la vista si sfoca.
*Non dovrebbe essere così facile buttare giù qualcuno.* È una considerazione rapida ed astratta mentre allunga tentativamente le braccia in avanti per stabilizzare sé e l’altra. Un tentativo vano; l’unica cosa che ottiene è di graffiarle la pelle.
Il terzo pensiero è parimenti ridicolo e pragmatico e fa breccia nello spaesamento con comica chiarezza. *Per fortuna ho mandato giù.* Ha un flash di come sarebbe potuta andare se il panino le fosse rimasto incastrato nell'esofago e non può che sospirare di sollievo.
La nube di torpore e sorpresa non si è dissolta del tutto, eppure nel complesso, le suggerisce il cervello mentre muove i piedi per riassestarsi, il bilancio è positivo. Un principio di dispiacere —il senso di colpa del sopravvissuto— sorge nel constatare di essersela cavata meglio dell'altra sventurata, ma il sentimento ha vita breve.
Non si aspetta una simile reazione dalla ragazza, tanto che sulle prime non realizza neanche di essere la destinataria di quelle imprecazioni. Quando infine la individua spalmata a terra, tremante di rabbia e quella che non può ancora identificare come astinenza, impiega mezzo istante di troppo per funzionare.
Incontra un viso spigoloso, due occhi fiammeggianti sotto la luce artificiale. Il contatto visivo non le lascia più alcun dubbio. La «brutta testa di cazzo» è proprio Niahndra.
La mascella si serra con uno schiocco che viene inglobato dai rumori di una folla incurante —eccezione fatta per fugaci occhiate curiose. E forse è proprio quello a irritarla di più, pensa mentre la squadra dall'alto al basso contemplando freddamente le proprie opzioni. Gli scoppi emotivi, specie se sproporzionati, sortiscono l'effetto di farla chiudere a riccio, dietro una barricata di sterile superiorità.
Nel frattempo si è massaggiata il naso e ha assicurato la presa sulla busta del take-away che le pende dal polso per miracolo. Il panino è ormai cibo per piccioni sul marciapiede, la lattina di coca-cola è salva nella sporta. Niahndra contempla per dieci lunghi secondi la possibilità di rovesciarla in testa all'altra. Opta invece per un profondo respiro.
Infine, torna a guardarla. La chioma platino risalta sull'ammasso di ombre e spigoli, poi è la volta della pelle scoperta e della mise inappropriata. Un frettoloso giudizio le si forma nella testa: cinquanta chilogrammi di problemi che avrebbe fatto bene a scaricare prima di subito.
Apparentemente imperturbata dalla doccia di offese che si è appena beccata, Alistine indossa la sua migliore bitch face e inclina la testa. Il mento spunta testardo.
«Hai finito? Stai dando spettacolo.» Sa che nonostante la flemma il tono che ha usato non potrebbe fare altro che gettare altra benzina sul fuoco, ma non si trattiene. «Non ho tutto questo tempo da spendere.»
Nessuna tentativo di aiutare l'altra viene fatto.
Ci tiene a non dimenticare mai il passivo prima dell'aggressivo.
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view post Posted on 24/9/2021, 14:00
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Il gelo di una secchiata d’acqua si riversa su di me, surfando sulla scia di parole della sconosciuta. Il fiato diventa ansito e l’ansito, dopo esser stato trattenuto per il frammento di un attimo, divampa.
La supponenza potrei sopportarla e così anche la condiscendenza, ma una miscela delle due mi è intollerabile. Riporta sul pelo dell’acqua tutte quelle ferite che mi sono state inferte dal rifiuto altrui, anche quando non c’era nulla che avessi fatto per giustificarne il brandire.
Questo significa che mi avventerò su tutti coloro che non mi vorranno?
Tutti no, ma su di lei sì.
Un calore lavico esplode nel petto, si tuffa nel ventre e, poi, torna a inerpicarsi su per il collo, arrivando al viso. Il pallore eburneo viene scalfito appena da una tonalità di rosa così leggera che soltanto a un soffio dal mio viso sarebbe possibile identificarlo. Basta, però, a modellare la mia espressione nel ringhio silente della belva e a infondere quel tanto di energia che basta a permettermi di sollevarmi.
Non ho piena cognizione di ciò che sto facendo.
Non ci sono né calcolo né strategia dietro il mio agire.
E non è la sconosciuta che non so di conoscere l’oggetto della mia aggressione.
È me che voglio punire, attaccando lei.

Sono veloce e decisa in un modo che entra in contraddizione col mio aspetto fragile. Le dita si stringono attorno al bavero della giacca di pelle, gli avambracci premono sullo sterno della ragazza e il mio viso si avvicina al suo fin quasi a sfiorarle la punta del naso. La spingo indietro con la forza dello slancio e dell’inatteso, mossa dal ribollire incessante che mi consuma da dentro e che, adesso, non sa più soltanto di astinenza.
Non ho una meta ed è soltanto per lo scostarsi lamentoso dei passanti che riusciamo a non urtare nessuno e a introdurci in un vialetto secondario - io che avanzo, lei che indietreggia. Quando la sbatto di prepotenza su una parete come tante, ho gli occhi che sprofondano nell’estraneità dei suoi e il respiro affannato per lo sforzo. Riderei di me e del poco che è bastato ad affaticarmi, se solo l’adrenalina non ottundesse ogni residua parvenza di lucidità.
Non dico niente, perché non riesco a mettere insieme i pensieri e a dar loro una forma; perché non saprei cosa dire. Un tremore prepotente mi scorre sulla pelle e la sua intensità è tale che mi provoca un vuoto all’altezza dello stomaco e un’ennesima ondata di fuoco su per il volto. Senza accorgermene, lo trasmetto anche alla persona che mi sta di fronte attraverso il contatto forzato tra i nostri corpi.

Tremo di rabbia, di stanchezza, di indignazione. Tremo perché non ricordo più l’ultima volta che ho mangiato e il mio corpo vuole ancora sopravvivere. Tremo per il freddo tagliente che la morte di Astaroth ha portato con sé, imbiancandomi dentro e fuori col dolore della perdita. E tremo perché c’è una parte di me - in profondità - che ha già riconosciuto Niahndra nella sconosciuta che sta a distanza di un respiro dal mio viso; e, di tutto quello che mi è successo, il confronto col resto del mondo rientra tra le cose che non sono ancora pronta ad affrontare.
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Edited by ~ Nieve Rigos - 27/9/2021, 18:03
 
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Sono trascorsi anni dall'ultima volta che qualcuno ha provato a metterle le mani addosso, tanto che ha bisogno di un istante per registrare la natura di quel contatto e dargli la giusta dimensione.
Il primo avvertimento lo sente nel petto, il cuore che balza di sorpresa. Non è estranea alla violenza; per dio, ha perso il conto delle ore spese sulla pedana di combattimento —al club dei duellanti o alla congrega. Non è quello a destabilizzarla.
A destabilizzarla è l'improvvisa prossimità che le infiamma i nervi e accorcia il respiro. È il calore dell'altra, il respiro di colibrì insopportabilmente vicino, è la sensazione di pelle su pelle nel momento in cui chiude le dita sui polsi di lei.
«Tu stai male.»
Lo sibila a denti stretti, nello spazio infinitesimale che le separa. È stata costretta ad assecondare la spinta che le ha guidate entrambe lontane dalla strada principale; il sacchetto del take-away perso nel tragitto. L'impatto con la parete le strappa il gemito direttamente dai polmoni.
In quel momento Niahndra sa di essere una bugiarda e un'impostora. Perché oltre al dolore che si irradia lungo le vertebre sente strisciare qualcosa di diverso, maligno e dimenticato; qualcosa che scopre i denti nell'ombra e che prende forma di ingannevole gratitudine. *Grazie del pretesto.*
Non è paura quella che le pompa sangue nelle vene, ma anticipazione.
Anticipazione e fame di un qualcosa che non si è resa conto di aver bramato tanto a lungo.
Non si cura di star imprimendo i segni delle dita sui polsi emaciati dell'altra; preme con forza come a volersi scrollare di dosso la ragazza, ma una parte di lei smania per prolungare all'infinito quel tocco.
Forse si è sbagliata. Forse la fiera in lei non è mai stata domata; l'ha solo tenuta a bada, lasciandola esprimere in modi accettati socialmente: con una bacchetta in uno scontro regolamentato invece che con le mani secondo la legge del più forte disperato.
Stupida lei, a credere che potesse bastare.
Un ringhio si forma alla base della gola e ogni parvenza di perbenismo cade. Niahndra dà un colpo di reni sfruttando il muro alle sue spalle per riprendere il controllo. La visuale ristretta è quella di un predatore che punta.
Strattona le braccia dell'altra perché le lasci andare il bavero della giacca mentre si serve del proprio peso per farle perdere l'equilibrio. La sente debole e arrendevole; non può fare a meno di compiacersene.
La lama di luce che colpisce il viso dell'altra rivela la stessa rabbia che deforma anche i suoi lineamenti, e qualcosa di più.
È frustrazione quella che le scappa di bocca mentre le incrocia i polsi con maggiore foga del necessario, tenendoli fermi in una mano sola, e ribalta la posizione. Può far finta di niente, s'illude. È buio e non ci vede bene, si dice. È una somiglianza casuale e nulla di più, si convince. Perché non può essere Nieve; non quella sera, non in quel vicolo.
L'attimo di incertezza è sufficiente a permettere ad un lampo di lucidità di far breccia nel rosso. La percezione di un corpo premuto contro il suo si ridimensiona finché non è in grado di distinguere il tremore che lo scuote.
Il pretesto non arriva, perché l'altra si è spenta come un bambolotto a cui si sono scaricate le pile. Inerte, eccezione fatta per quella corda vibrante di sottofondo.
«Dio.»
Non è giusto, protesta. Sente il guinzaglio della coscienza intorno al collo e vorrebbe opporre resistenza.
La mano libera si fa strada nei capelli di lei. Sono tanti e ovunque e così chiari da baluginare persino nell'ombra. Ne ha una ciocca attorcigliata al palmo prima di rendersene conto e tira finché il viso dell'altra —più alta di lei di quasi una testa— non è abbassato sul proprio.
Ispeziona le guance scavate, la pelle tirata, gli occhi lattiginosi.
Non può essere Nieve ma lo è, e la consapevolezza l'accende di nuova rabbia.
«Che cazzo ti è successo.»
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Edited by Mistake - 26/9/2021, 09:37
 
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view post Posted on 27/9/2021, 23:01
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Credeteci oppure no, ma che la situazione si sia ribaltata in così poco tempo non mi stupisce. Se c'è un insegnamento che la vita non ha mai smesso di propinarmi è quanto agilmente le cose possano mutare, a prescindere dal nostro volere.
Un attimo prima hai una madre e quello dopo a crescerti è una vecchia un po' squinternata dal cuore d'oro. Un attimo prima sei un'orfana che non conosce altro all'infuori di un mondo di fame, freddo e assi marcescenti e quello dopo sei a Londra, figlia adottiva di un gruppo di estranei e strega esaltata per i suoi poteri magici. Un attimo prima vivi con la spensieratezza di una diciassettenne che, non avendo mai avuto niente, si stupisce per tutto e quello dopo sei la proprietaria della villa della persona che hai ucciso.

Il suono della voce di Niahndra riesce a fare breccia nella nebbia fitta che altera le mie connessioni neurali. Porta un po' di luce, un lampo di curiosità che mi sembra accendere a giorno il vicolo cupo in cui l'ho trascinata. Allora, lo stupore raggiunge le mie iridi albine e mi schiude la bocca. Il tremore che adesso mi scuote ha una sfumatura differente, intanto che ripercorro con la mente le interazioni avute con la ragazza e i dettagli di una vita che ho voluto dimenticare negli ultimi mesi riaffiorano impunemente.
È così che il freddo diventa tepore senza cedergli del tutto il passo e il contrasto acuisce la mia fragilità. Non ho opposto resistenza quando Niahndra mi ha costretta contro la parete e mi ha preso i polsi. Non ne oppongo neppure adesso che la sua mano si insinua tra i miei capelli. Il tocco dei suoi polpastrelli sulla nuca e la prossimità cui costringe entrambe - senza essersi tirata indietro, senza avermi respinta di malagrazia - sono inattese. E so che potrebbe sembrare un paradosso, ma di tutto quello che avevo immaginato di fare oggi nulla di quanto sta accadendo in questo preciso momento rientra nei programmi.
Tremo un po' di più, come quando l'acqua bollente prende a scorrerti sulla pelle dopo una giornata trascorsa al freddo. Tutto in noi due è contraddizione: io sono il ricordo di una persona e lei... Lei sembra scoppiare di un'energia della quale non ha consapevolezza; un'energia che mi spaventa e incanta. Ho talmente dimenticato come si stia al mondo che entrare nell'orbita di qualcuno di così reale congela i miei intenti e ne accende altri. La solitudine abissale nella quale mi sono relegata, l'incuria cui ho sottoposto il mio corpo, il mostro di nero vestito che ho lasciato crescere nel mio petto e nella mia mente: ogni cosa s'intensifica e perde consistenza insieme.
Non mi accorgo, perciò, di indugiare nel contatto con la mano di lei, quasi appoggiandomi sul suo palmo. E non realizzo di aver percorso con lo sguardo i lineamenti del suo volto, imprimendo nell'azione un'intensità cupida. Niahndra è la prima razione di umanità che sia giunta a placare la mia fame dopo un lungo periodo di magra. Allora, per quale motivo non provo alcuna sazietà e ne voglio ancora, ancora, di più?

Fisso lo sguardo nei suoi occhi liquidi e scendo così a fondo che potrei leggerle l'anima, se solo conoscessi il simbolismo della sua lingua. Il mio fiato, corto per l'emozione, è la sola risposta che segua la sua domanda assertiva. Un desiderio balordo sprigiona dal punto in cui le dita di lei mi stringono forte, come se non volesse lanciarmi andare. E c'è forse altro che io abbia desiderato nella vita con altrettanto ardore?
Ho la mascella contratta, adesso, e le emozioni in tilt. La conosco e non la conosco. La voglio e non la voglio. Ma cos'è che so di lei, in fondo, e cos'è che bramo davvero? La luce crepuscolare plana su di noi, tingendo la scena di arancio. Non siamo poi così distanti dalla via trafficata nella quale ci siamo scontrate, eppure il mondo non sembra esistere oltre l'area che ci circonda in questa morsa frustrata.
Non conosco davvero Niahndra. Non ci siamo mai frequentate a scuola. Conservo un ricordo vago di ciò che è accaduto tra di noi - interazioni confuse, episodiche, troppo brevi per assumere un significato - e, ciononostante, non mi è mai parsa così vivida come in questo istante. In lei, sembra essersi concentrata un'esistenza intera che ho dimenticato, rifiutato di vivere dopo la scoperta della morte di Astaroth. E, ora, ce l'ho di fronte sotto le sembianze di una semisconosciuta sul cui viso leggo l'intenzione di mettermi al tappeto. Non posso dargliela vinta. Lo voglio?
Strattono i polsi per provare a liberarmi, invano. Non è la sua presa ad essere inespugnabile, ma la mia forza ad essere inesistente. Non posso rimanere e accettare di essere stata trovata. A un tempo, incoerentemente, non sopporto l'idea che se ne vada; che la sua luce e quest'assaggio di calore svaniscano insieme a lei. Non ho un piano e, d'altra parte, sono mai stata in grado di averne, se non quella volta che mi sono messa in testa di cacciare il Midnight dal castello solo per scoprire che il mostro non fosse lui - ero, sono io.
Un movimento sinuoso attraversa il mio corpo. È il maldestro tentativo di imitare i gesti di Niahndra. L'unico risultato che ottengo è quello di appiccicarmi a lei e non so se le rimango incollata per l'ostinazione di non dargliela vinta o per assorbire tutto il tepore che ha da darmi senza che lo sappia. Un mugugno mi scappa dalle labbra, allorché la osservo e respiro forte per la fatica o, forse, dovrei dire per la debolezza.
«Niente.»
Parlo con voce bassa, affannata. Un migliaio di frasi sovvengono alla mia mente, alcune spocchiose al limite del ridicolo. Non ne pronuncio alcuna. Il tremore che mi scuote aumenta di poco per l'emozione del contatto con un passato del quale sento disperatamente la mancanza. Per il calore che emana da lei e che il mio corpo sembra incapace di produrre. Per l'astinenza. È proprio quest'ultimo pensiero a innescare il processo che segue.
Oltre alle droghe, l'unico modo che conosco per non sentire è il sesso. Non importa con chi, né perché, né dove. Qualsiasi cosa riesca ad alleviare anche solo per un istante la sensazione di vuoto che mi divora dall'interno ha la mia attenzione. La vocina scellerata che mi spinge verso la perdizione aggiunge una piccola riflessione: se le impedisci di chiedere, non dovrai darle risposte, mi dice. E il ragionamento è così lineare - per la me di adesso, almeno - che i miei occhi corrono alle sue labbra e la nostra vicinanza assume un altro significato. Mi sembra di tornare a respirare.
Questo so farlo. Il sesso è più facile delle parole che non oso pronunciare, della connessione emotiva che non posso assecondare, del confronto nel quale so già che perderei. Per un po', riuscirei anche a tenere a bada l'astinenza.

Quando la mia bocca cala su quella di Niahndra, è calda e prepotente. Non mi concedo un'esplorazione, non la invado con ferocia. Mi limito a premerla sulla sua e a sospirare perché senta ciò che posso darle e ciò che voglio prendermi. Perché la colga il dubbio di voler rimanere o la certezza di volersene andare. L'unica cosa che desidero che sappia, penso mentre allungo le dita per sfiorarle la linea della mascella coi polpastrelli, è che il mio gioco non ha regole.
Io sono Caos.
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La voce è ruvida e le gratta la gola. Non vorrebbe pronunciare quelle parole e detesta la parte contorta di sé che la forza a formularle, ultimo barlume di civiltà che la trattiene. Qualcosa in lei preme per esplodere e di riflesso Niahndra stringe di più la presa sulla ciocca albina. Strattona, desiderosa di infliggere dolore. È brutalità ciò che cerca, ciò di cui ha fame; eppure, la più grande violenza, è quella che continua a fare a sé stessa —trattenendosi, castrandosi.
Danza col limite, cerca di trarre piacere dalla negazione degli impulsi. La chiama compostezza, ragione, senza il coraggio di guardarla per quello che è: il disperato tentativo di mantenere il controllo da parte di una bambina che non ha mai lasciato l'orfanotrofio. È l'umiliazione che si nasconde dietro l'evidenza di essere carne.
Detesta Nieve, per quella consapevolezza. Detesta Nieve e i suoi occhi annebbiati, il suo respiro erratico; la detesta per la debolezza che le mostra —e di cui, oh, vorrebbe solo approfittare. La detesta per i lineamenti familiari e perché sa che il solo fatto di essere stata riconosciuta la priva della possibilità di cedere alla bestia senza ripercussioni. Alistine la Composta, Alistine il Prefetto di Tassorosso; è il suo stesso fantasma a perseguitarla, la sua stessa reputazione.
Strattona ancora, senza soddisfazione alcuna. Perché non opponi resistenza?
Invece, Nieve si aggrappa con disperazione e il rosso si chiude definitivamente su di loro. Niahndra si sente soffocare, incapace di sopportare quella vicinanza, incapace di privarsene. L'espressione è granitica mentre sostiene quello dell'altra; nota lo scatto sul suo volto, il vuoto che tramuta in brama, ma non è in grado di elaborarla. Non c'è spazio per altro che non sia il peso del suo corpo premuto sul proprio, sulla distanza infinitesimale che le separa e che Nieve sta riempiendo di qualcosa di altro rispetto a ciò che si sarebbe aspettata di trovare invece Niah.
Troppo vicina, pensa, e allo stesso non vicina a sufficienza. L'ossimoro la confonde, una voce nella sua testa le chiede come ci sia arrivata a quel punto in quella via di Londra, con le nocche pruriginose e lo sterno in fiamme.
È con frustrazione che accoglie la bocca della ragazza sulla sua, perché è ancora una lotta e lei non può permettersi di soccombere. Neanche se ignora le regole del gioco. Non è da lei, pensa. Non è da lei trovarsi in un vicolo dimenticato dal signore, avvinghiata a qualcuno mentre decide se assestare un cazzotto o approfondire il bacio. E forse non è lei, forse non è Niahndra o può non esserlo.
È già successo in passato, dopotutto, che Nieve costituisse per lei l'opportunità di smettere i suoi panni e vestirne di nuovi. Impunita, intonsa.
Perché non di nuovo?

Quando la mano si muove dalla ciocca di capelli alla nuca dell'altra per attirarla a sé non è più Niahndra a muovere le redini, ma Renée.
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Be my valentine-ish?
 
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view post Posted on 3/7/2022, 20:28
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entropia.

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Fa caldo a Londra, nel vicolo che ho scelto per baciare Niahndra Alistine. Per premermi addosso a lei. Per accarezzarla su per il fianco fino a raggiungere il petto e saggiare con le dita l dolcezza delle sue curve.
Le mie labbra cercano le sue con insistenza, affamate. Le inseguono, catturano, suggono, mordono, baciano, rilasciano e poi ritornano in un gioco che non conosce posa. Sfiorano il mento, seguono la linea della mascella, scendono lungo il collo. Lì, si soffermano su un lembo di pelle, lo torturano piano finché non le coglie un bisogno folle. Allora, risalgono rapidamente e si congiungono in uno schiocco sonoro con le labbra di Niahndra.
Non so chi abbia rapito chi, né in quale momento sia iniziato il turbine impazzito in cui il piacere sovrasta la ragione, lasciando spazio soltanto all’istinto. Le mie percezioni sono alterate dalla vicinanza con il corpo di Niahndra, dal contatto selvaggio con la sua bocca, dalla smania di avere più di quello che la strada può offrirci.
Mi distacco da lei a malincuore, ma ho bisogno di pensare — e di riprendere fiato. Ho una mano sotto la fibra leggera che copre il suo petto e un’altra posizionata attorno al suo collo, stretta abbastanza da farle sentire quanto la desideri e la senta già mia e, tuttavia, non abbastanza da farle mancare il respiro. Se è pensare che volevo fare, adesso mi rendo conto che mi risulta difficile. Sono riuscita a guardarla un paio di istanti, prima di tornare a baciarla piano, muovendo gentilmente un polpastrello sulla curva del suo seno.

«C’è un posto» dico con voce tremante.
In realtà, ce ne sarebbero tanti, ma sono sicura che non si rivelerebbero all’altezza della situazione — all’altezza di Niahndra. Io ho raggiunto livelli dei quali non provo vergogna perché è a quel tipo di vita che sento di appartenere da sempre. Se non fossi stata recuperata dal paesino in cui vivevo, sarei finita nello stesso identico modo; a fare quello che sto facendo adesso senza avere le spalle coperte da un abbozzo di famiglia disfunzionale e da un capitale che mi rende una delle giovani ereditiere più in vista della Scozia.
Per Niahndra, ci vuole qualcosa di carino. Un posto che la faccia sentire al sicuro.

«Tilly…» sussurro, gli occhi socchiusi e il capo chino, la mano libera stretta attorno a un vecchio cimelio di famiglia. Lo schiocco forte che odo pochi istanti più tardi mi conferma che la mia piccola elfa è arrivata, rispondendo al richiamo. I suoi occhi grandi mi aspettano e osservano la situazione con un misto di sollievo e curiosità: ha sempre paura di trovarmi in pessime condizioni, ma non è mai accaduto che la chiamassi mentre ero in compagnia di qualcuno.
Torno a rivolgermi a Niahndra, che ho lasciato un passo indietro per impedire che sentisse il nome della sola creatura che mi sia rimasta fedele al mondo da quando tutto è precipitato: «Lei può portarci nel posto».

Allungo il braccio verso di lei e le porgo una mano, la stessa che ha marchiato la sua pelle di carezze lascive — quella che promette di regalarle nuove, sconosciute dimensioni di voluttà.
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view post Posted on 5/9/2022, 22:07
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Sometimes I can feel my bones straining under the weight of all the lives I'm not living.

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Per qualcuno tanto abituato a ragionare per compartimenti stagni, Niahndra si scopre vigliaccamente a proprio agio tra le scale di grigio. Laddove non è la maschera di Renèe a offrirle immunità, l’opera di persuasione è portata avanti da Nieve stessa —la sua bocca, le sue mani, la sua lingua; note di uno spartito sulla cui musica il corpo di Niahndra si trova a danzare quasi suo malgrado.
Nessuno l’ha mai toccata così; non con la medesima foga e intenzione con cui è adesso la ragazza a stringerla, a confondere i confini, pelle su pelle. È questo che si prova ad essere desiderati? La sensazione la colpisce in pieno e sfonda le sue normali resistenze. Qualcosa in lei esonda e straripa, fiume in piena: prendi, prendi ancora, prendi quanto serve, prendi quello che vuoi, prendi di più; ma, per l'amor di Dio, non farmi scivolare via.
Nulla ha a che fare con la gentilezza, questo suo darsi: è l'assenza di argini e margini e confini personali di chi non crede nel proprio valore ed è pronto ad annullarsi al fine di rendersi più amabile. Vuole mescolarsi a Nieve, superare l’illusione che è la separazione della materia e tornare all’unità. L'orgoglio punge appena, infiammato dalla fame, e le comanda di rivendicare la propria identità con le unghie e assorbire l'altra a sua volta. È una lotta di impulsi.

Il primo dubbio approfitta della crepa che quella dicotomia lascia, e attecchisce al suolo. Alistine raddrizza la schiena, inarcata in risposta alle labbra dell’altra sul suo collo, e torna in apnea. È ancora rosso intorno e dentro di lei, ma ecco che a sprazzi comincia di nuovo a vedersi in terza persona. Dove sono le sue mani, le sue gambe? Sono loro a sostenerla o è il muro; o è Nieve? Non riesce a riprodurre mentalmente la loro posizione, non sa come muoversi; segue ispirata il ritmo dettato dall’altra e —quando è fortunata— il ritmo dettato dal proprio ventre. Nell’intermezzo tra un accordo e l’altro, tornano il dubbio e la goffaggine di chi non è abituato a performare in pubblico senza la dovuta preparazione.

Ha appena iniziato a capire come imitare i movimenti più esperti di Nieve, quando lei interrompe il contatto. Subito qualcosa manca ed il vuoto si fa insopportabile. Ancora più insopportabile, però, è fare i conti con l'umiliazione della carne: dovrebbe bastarsi, si dice, e non avvertire il bisogno fisico di riempire quella assenza.
Ansima appena, il petto che s'alza e s'abbassa sotto la mano di Nieve. Ad ogni respiro è consapevole delle sue dita premute sul collo; un brivido le danza lungo le vertebre fino ai lombi. È facile non parlare, a quel punto; è facile trattenere tra i denti quel suo vergognoso bisogno. È facile fingere di non volerlo e illudersi di star solo assecondando la ferrea volontà di qualcun altro: la coscienza ne esce un po' più pulita.
È con una punta di trionfo che si piega nuovamente all'assalto della ragazza. Forse può cavarsela così, codarda e remissiva, mentre ottiene ciò che non ha il coraggio di ammettere senza le conseguenze dell'aver chiesto. Nessun consenso esplicito è stato dato da parte sua; paradiso dell'ignavo.

«C'è un posto»
Niahndra non vuole sentire il resto. Si trova adesso in quello stato di limbo che non è né veglia né incoscienza, in cui le membra si fanno pesanti e si può percepire di star scivolando nel mondo onirico. Qualsiasi sforzo cognitivo, qualsiasi stimolo stonato proveniente dall'esterno farebbe breccia come coltello nel burro costringendola alla consapevolezza. Ma la vigilanza le è nemica, in quel frangente; perché porterebbe con sé lo scetticismo e la ritrosia, spezzerebbe l'incanto. E Niahndra è riluttante ad abbandonare Reneé così presto. Non può permettersi di vacillare perché sa da che parte penderebbe l'ago della bilancia: lontano da quel vicolo, lontano da Nieve; nel buio della propria stanza a fare i conti con la propria solitudine. E con quel maledetto bisogno scoperchiato che chiede e reclama, divora e consuma.
Non c'è nessuno ad aspettarla a casa. Benché tenti di soffocarlo sul nascere, il pensiero si fa strada ed emerge in superficie in tutta la sua spietata onestà. Sam è fuori e lei non ha nessun altro; nessuno che condivida la sua compagnia, nessuno che la cerchi, nessuno che la voglia.

Nieve la vuole.

Riconosce l'inganno di quella lusinga, ma quando l'impulso viene negato troppo a lungo persino una forma di apprezzamento distorta è meglio di nessuna. Non è tanto desiderio, quanto il dubbio e l'insicurezza —sarò mai abbastanza per qualcun altro? Avrò mai un'altra occasione? Cos'altro potrei mai offrire di diverso?

Non si interroga sulla presenza dell'elfo né sulla natura del posto verso cui sono dirette. Una parte di lei, invero, sta attivamente bloccando quelle che sono le implicazioni di ciò che l'altra le sta offrendo.
Tituba, e si detesta.
«È una pessima idea», dice senza sapere bene a chi sia rivolto.
Qualcosa in lei grida e si dibatte, ma non riesce a discernere le parti in gioco. Non sa se odiarsi di più perché è così difficile cedere o perché è così difficile resistere. Forse, quello che odia, è la responsabilità di dover scegliere.
Commette l'errore di guardare Nieve negli occhi e lo stomaco le si accartoccia. Chissà perché le cose sfuggono sempre al suo controllo —in un turbinio di ruoli e parti, sotterfugi e finzioni— quando c'è di mezzo lei.

Detesta anche Nieve, realizza mentre colma la distanza e afferra il suo polso.
«Proprio pessima.» ha il tempo di ribadire, con un astio tale da farle vibrare il petto.
Le sue labbra sanno di rancore e i denti di vendetta quando fa prigioniera la bocca della ragazza.
Lights out, final round
K.O. K.O.
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8 replies since 25/8/2021, 22:55   466 views
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