Era stata una bambina paziente e diligente, come voleva suo padre. Anche se non capiva il senso di presenziare alle funzioni religiose dei babbani, aveva seguito la cerimonia in rispettoso silenzio, alzandosi ed inginocchiandosi secondo i dettami dei vari momenti, facendo attenzione a non sgualcire il vestito che indossava. Era riuscita persino a trattenersi dal restituire il pizzicotto che suo fratello le aveva dato a metà funzione, impaziente di vederla finire in punizione anche quel giorno. Suo padre all’uscita le aveva accarezzato distrattamente i capelli, un gesto apparentemente dolce ma che in realtà era una mera forma di approvazione. « Voi andate. » imponente e autoritario, Thomas Read aveva atteso di muovere solo pochi passi sul sagrato per riprendere in mano il potere che tra le mura della chiesa non poteva esercitare, « Miss Pilgrime, passate pure per il parco. Jane è stata brava oggi, si è guadagnata una bella passeggiata. » Non un sorriso di approvazione, nemmeno uno sguardo in direzione della figlia. Un cenno secco alla tata e si era già voltato, alla ricerca del resto della famiglia. « Jack! Vieni qui! Daphne cara, Lord Williams aspetta di fare la nostra conoscenza. Forza, andiamo. » Perché partecipare alle funzioni di una religione in cui non credevano - e che fino a qualche secolo prima aveva messo al rogo i loro simili - se non per il prestigio sociale? Thomas Read aveva ereditato la farmacia che gestiva dal suocero ed era determinato a mantenere lo status sociale elevato che la famiglia Southerne aveva raggiunto negli anni, consolidato anche dall’unione con i Read. Non solo, voleva muovere i suoi passi anche nella nobiltà magica, che perfettamente integrata a quella babbana alla corte di re Giorgio IV aveva fatto propri alcuni usi e costumi babbani. La religione rientrava tra questi. Jane non era a conoscenza dei piani del padre, troppo piccola e soprattutto troppo
femmina per esserne messa al corrente, ma anche se fosse stato il contrario la sua opinione non sarebbe cambiata: l’odore dell’incenso le faceva lacrimare gli occhi, la voce del prete le faceva venire sonno e trovava assurdo non poter parlare di magia con i figli delle altre famiglie - quelle rare volte che riusciva ad avvicinarsi a loro. Uscire dalla chiesa era sempre una vera liberazione. Non appena il padre aveva distolto l’attenzione da lei e da Miss Pilgrime era già pronta ad avviarsi correndo in direzione del prato, il sorriso che le illuminava il viso, ma la tata era stata più veloce e l’aveva trattenuta per un braccio. « Miss Read! Non è questo l’atteggiamento che ci si aspetta da una vera signorina! Vostro padre ha detto di andare a fare una passeggiata, non una gara di atletica. Contegno, per favore! » Miss Pilgrime era la quarta tata di Jane negli ultimi nove mesi. Giovane e intraprendente, inflessibile nelle regole, era convinta di poter riuscire là dove le sue tre colleghe avevano fallito: rendere Jane Read una bambina educata, a modo e raffinata prima dell’inizio degli studi ad Hogwarts. Lavorava dai Read solo da quattro giorni ed era convinta di aver fatto incredibili progressi, tanto da ricevere anche i complimenti dalla madre della bambina. Jane trattenne uno sbuffo impertinente mentre si incamminavano a passo di lumaca attraverso i sentieri del parco, in direzione del cancello.
Dammi ancora due giorni e vedi quanto rimpiangerai di aver accettato questo lavoro. Jane non era una bambina cattiva, tutt’altro: semplicemente non riusciva a fare sue le rigide regole che la società inglese - e il padre soprattutto - le imponeva a causa del suo status sociale. Era consapevole della fortuna di vivere in una famiglia agiata, e spesso si era sentita a disagio quando incrociava per strada i suoi coetanei che tornavano da un massacrante turno in fabbrica. Al tempo stesso però era solo una bambina che voleva giocare e divertirsi, non stare chiusa innumerevoli ore in casa ad imparare le regole del galateo o a cucire tovaglie per la sua futura dimora. « Molto bene, Miss Read. Lo dicevo giusto ieri a vostro padre, serviva solo la giusta dose di persuasione per raddrizzare le vostre pessime maniere. Ancora qualche settimana e sarete pronta per Hogwarts! » Miss Pilgrime stava elogiando sé stessa e il proprio lavoro a voce alta e squillante, pregna di soddisfazione, ma Jane non la stava minimamente ascoltando. Una figura seduta sull’erba aveva attirato la sua attenzione: poco più grande di lei a giudicare dai tratti del viso smunto, un ragazzino stava disponendo delle specie di carte su un telo opaco, circondato da alcune candele che sembravano muoversi un po’ troppo per essere posate a terra. Era un
mago quindi, proprio come lei. Il baluginare delle fiammelle era pari al canto di una sirena, ma si sforzò di resistervi, tornando a guardare la tata che nel frattempo aveva iniziato ad elencare le
dieci regole per le signorine perbene, azzerando di fatto ogni possibilità che Jane volesse stare in sua compagnia ancora a lungo. Come se non bastasse, due parole vibrarono nell’aria tersa di fine giornata, arrivando alle sue orecchie. « La Torre. » Si voltò di scatto, fermandosi: era stato proprio il ragazzino a parlare e sembrava che si stesse rivolgendo a lei. Una scintilla di curiosità animò lo sguardo della bambina, pronta ad avvicinarsi per saperne di più, ma Miss Pilgrime non l’avrebbe mai accettato. « Miss Read? Che succede? » la giovane strega si guardò intorno, alla ricerca della causa di quella fermata improvvisa. Doveva agire in fretta, o si sarebbe accorta che la sua attenzione era rivolta al ragazzino seduto sul prato. «
La mia bambola! Oh, Miss Pilgrime, ho dimenticato la mia bambola! » lacrime tiepide iniziarono a scendere sulle sue guance pallide, il tono di voce disperato ma sussurrato come le era stato insegnato. «
Devo averla scordata in chiesa. Vi prego, Miss, andreste a cercarla per me? Il parco sta diventando così buio, non so se me la sento… » si spostò per osservare la direzione da cui provenivano, un brivido pronto a scuoterle la schiena, «
Io vi aspetterò proprio qui, vicino a questa panchina. Posso, per favore? La prego. » Le lacrime continuavano a scendere copiose e Miss Pilgrime, sconvolta dal veder piangere la bambina per la prima volta da quando era la sua tata, non si fermò nemmeno un istante a riflettere. « Miss Read, calmatevi, vi prego! Ecco, voi state qui, corro a cercare la vostra bambola. Non muovetevi, torno subito! » Il tempo di vedere la tata svoltare l’angolo, Jane si era già asciugata le false lacrime e incamminata in direzione del ragazzino, che mentre si avvicinava aveva ripreso a parlare. Cambiamento improvviso, accettazione delle novità. Sul momento la bambina non era in grado di comprendere appieno la portata della predizione, e non era nemmeno conscia di quanto fosse veritiera. Un sorriso le piegò leggero le labbra quando incrociò lo sguardo cristallino del ragazzino non appena questi alzò il volto, le guance virarono invece verso una tonalità più scura senza che se ne accorgesse. Abbassò lo sguardo, in parte imbarazzata e in parte incuriosita, indicando gli altri tarocchi disposti sul telo. «
Ti sanno anche dire come riuscirci, per caso? »
E fu così che Jane conobbe Lucien.
***
Camminava sicura tra le tortuose vie di Londra che si annerivano a mano a mano che il sole spariva dietro gli alti edifici che si appoggiavano l’uno all’altro, quasi a darsi sostegno. Sapeva di essere in ritardo ma era anche conscia che se avesse camminato più velocemente avrebbe sicuramente destato qualche sospetto: avvertì il cuore accelerare mentre una coppia di guardie la superava senza degnarla di uno sguardo e si trattenne dall’impulso di calare maggiormente il cappuccio del mantello scuro che indossava.
Nessuno ti conosce, qui. Iniziò a ripeterselo come un mantra mentre svoltava a destra e imboccava quella che sperava fosse l’ultima via da percorrere prima di arrivare al Tamigi. Ancora non riusciva ad avvertire il mormorio dolce delle acque del fiume londinese, ma probabilmente era la voce agitata della sua coscienza a renderla sorda. Mancava ancora poco, era solo questione di poche ore. La libertà sembrava prendersi gioco di lei mentre la osservava da lontano, ben visibile ma ancora irraggiungibile, e sentiva l’impazienza fremere nel petto, il cuore tremare alla sola idea di chi la stava aspettando, le atrocità commesse non ancora sedimentate nell’animo e quindi leggere. Non le interessava il sangue che le aveva macchiato le mani e nemmeno la pena che l’attendeva se fosse stata scoperta. Lei e Lucien finalmente soli e liberi, era quella l’unica cosa che fosse degna di importanza. Il rintocco di una campana la fece sobbalzare, e avvertì l’agitazione stringerla maligna: doveva avvisare Lucien che stava arrivando, o avrebbe pensato che l’aveva abbandonato e sarebbe partito, senza di lei, lasciandola prigioniera di un destino a cui era sfuggita ma che l’avrebbe catturata di nuovo se non fosse stata attenta. Estrasse dalla tasca una carta, una piccola riproduzione di un Arcano maggiore che negli ultimi tempi aveva conservato al pari di un talismano: non se ne era mai separata, tanto che ormai il cartoncino aveva assorbito il profumo che Jane soleva indossare ogni giorno. Il
suo profumo. Augustus non lo aveva mai sopportato e da quando aveva deciso di renderlo noto alla moglie, pochi giorni dopo le nozze, Jane aveva iniziato a fingere di soffrire di amnesia, continuando ad indossarlo nella speranza che tenesse il marito lontano dal suo corpo. Quando questo non accadeva, quel profumo era la via di fuga per non pensare a quello che provava mentre le mani nodose e rugose del vecchio mercante che aveva sposato scivolavano sulla sua pelle.
Non accadrà più. Fermò i ricordi prima che la colpissero con troppa forza, e dopo aver estratto la bacchetta la carta prese vita e si librò a mezz’aria: un cenno e sparì nella sera che incombeva, pronta ad avvisare il suo amato, il cuore incapace di rallentare. Stavano entrambi rischiando la vita con le loro azioni eppure non le interessava. Il sentimento che la legava a Lucien era più forte della paura di morire: aveva retto tenace davanti alle innumerevoli difficoltà che avevano affrontato, le aveva fornito tutto il sostegno possibile quando i suoi sogni per il futuro erano stati distrutti dalle decisioni del padre. Se non fosse stato per l’amore che provava per il ragazzo, non sarebbe riuscita a fare nemmeno un passo verso l’altare il giorno che aveva dovuto sposare Augustus. Erano state delle nozze malinconiche, al sapore salato delle sue lacrime che non avevano smesso di scendere nemmeno durante il banchetto, nonostante le implorazioni della madre e gli ammonimenti del padre. Thomas Read aveva dato in sposa la figlia solo per guadagnare ulteriore prestigio e assicurarsi che non denigrasse il nome della sua famiglia scegliendo quel semplice profumiere di cui si era innamorata. Come avesse fatto suo fratello Jack a scoprire lei e Lucien rimaneva ancora un mistero viste le attenzioni con cui avevano sempre organizzato i loro incontri: ma ormai, non le interessava più. Augustus era morto, asfissiato grazie ad un profumo sapientemente ideato da Lucien con alcuni degli ingredienti che Jane aveva rubato per l’ultima volta al padre, e proprio sotto gli occhi del fratello. Lo avrebbero trovato prostrato sul corpo dilaniato della
moglie, il letto nuziale trasformato in un bagno di sangue. Non era stato semplice procurarsi un corpo femminile morto da poco, ma i Galeoni ad Augustus non mancavano: era stato forse peggio convincerlo a darle quei soldi… le salivano i conati di vomito solo al pensiero. Trovato il cadavere che avrebbe dovuto prendere le sue sembianze, un paio di incanti avevano completato il quadro: nonostante i pareri di Thomas Read, Jane aveva sfruttato al meglio gli anni ad Hogwarts, e non aveva faticato a mettere in scena un’emorragia che simulasse la perdita di un figlio. L’aveva vissuta lei stessa il mese prima e riprodurla era stato un processo doloroso ma catartico al tempo stesso. Pregò che l’incanto trasfigurativo durasse fino alla sera successiva, quando una maschera di porcellana sarebbe stata calata sul volto della defunta come da tradizione a casa Read, in vista del commiato funebre. Non una lacrima solcò le sue guance all’idea della famiglia che la piangeva, e quando arrivò finalmente in fondo al vicolo voltò l’angolo con impazienza, senza controllare di essere seguita. Lucien era lì, la stava ancora aspettando. Accelerò il passo, il mantello nero che si muoveva sulle sue spalle come il Tamigi quando c’era tempesta, ma non le interessava più recitare il ruolo della moglie riservata e pia: poteva tornare ad essere
Jane, la vera Jane, la ragazza a cui non era mai importato nulla di status sociali e ricchezze, la strega che poteva finalmente vivere alla luce del sole il sentimento profondo che provava per l’uomo che amava. Rallentò non appena fu abbastanza vicina, osservandolo per un istante prima che si voltasse verso di lei: poteva leggere ogni grammo di ansia e preoccupazione sul fondale blu scuro degli occhi del mago, ma non riuscì a trattenere un sorriso che lottava per comparire sul suo volto. Ormai rimaneva solo una nave a separarli dalla libertà, un piccolo passo rispetto al cammino difficoltoso che avevano affrontato fino a quella sera. Allungò la mano, andando a cercare la controparte e stringendola con delicatezza. «
…un altro luogo in cui abitare, un'altra vita da condurre. Sapevi già che ci saresti stato anche tu? » Si avvicinò maggiormente mentre un secchio di ferro davanti al mago, che notò solo in quell’istante, iniziò a vibrare: era la loro Passaporta. Il destino li attendeva e questa volta non c’erano ostacoli all’orizzonte. Una nuova vita era pronta ad essere vissuta, finalmente
insieme.