Jolene White | | 22 anni | infermiera | animagus | outfit |
Potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e tuttavia ritenermi re di uno spazio infinito, se non fosse che faccio brutti sogni.
Così diceva l'Amleto di Shakespeare, e Jolene non aveva previsto che quella citazione potesse rappresentarla tanto letteralmente. Eppure eccola lì, quel mattino – colorito pallido e mezzelune scure sotto agli occhi, a ripensare ai propri incubi e ripetersi di dimenticarli, solo per poi veder riaffiorare un nuovo particolare che le rendeva lo sguardo un po' più tetro, un po' più rigida la linea della mandibola. Inalava in lunghi respiri avidi l'aria fresca della boscaglia, con il suo profumo di terra bagnata che riusciva a scacciare solo in parte il fantasma della cenere e delle macerie che l'avevano soffocata in sogno. Per chissà quale motivo, gli odori ritornavano sempre per primi: tra tutti i sensi, l'olfatto sembrava il più facile da ingannare. Aveva letto da qualche parte della straordinaria capacità degli odori di rievocare vecchi ricordi. Allora le era sembrato incantevole: aveva ripensato a come l'accenno più leggero del profumo del detersivo che sua madre usava tanti anni prima – quel profumo pungente e insieme dolce – trasportava con sé una scia di ricordi che credeva perduti, ricordi di lenzuola ruvide e fresche sulla pelle, di piccoli fazzoletti ricamati con le sue iniziali,
J.W. in puntini lilla precisamente allineati. Si era meravigliata delle curiose vie della mente, che le riportavano accanto quelle scene insignificanti e dolci attraverso le distanze malleabili del tempo.
Ora, invece, avrebbe tanto voluto che le lancette dell'orologio si muovessero in un'unica direzione, sempre in avanti, come passi che la allontanassero da ciò che non avrebbe mai dovuto vivere. Ma non veniva ascoltata, e l'attentato di Hogsmeade le toglieva ancora il sonno qualche volta, svegliandola nel cuore della notte – o, peggio ancora, la portava a dormire un lungo sonno agitato, da cui si alzava, al mattino, più stanca di quando si era coricata.
Scalciò un sassolino con la punta della scarpa, e quello corse davanti a lei a farle strada per il sentiero ricoperto di foglie gialle e rosse e arancioni. Non era la prima volta che ricorreva ad una lunga passeggiata solitaria per calmare i propri nervi: le melodie dei boschi e dei campi la aiutavano a ristabilire il silenzio nella propria testa. Non era molto lontana da Hogwarts, aveva a disposizione solo poche ore prima di riprendere il turno in infermeria. Si stringeva nel cappotto pesante, affondando il mento nel colletto e mormorando tra sé e sé il ritmo del canto degli uccelli. Nephelae, la sua fata, la seguiva in una traiettoria disordinata, l'occhio vispo costantemente catturato ora da una foglia dalla colorazione vivace, ora da una goccia residua di pioggia sul punto di cadere dalla punta di un ramo basso. Jolene non si preoccupava, sapeva che non si sarebbe allontanata molto da lei. Nel tempo avevano costruito un legame di fiducia reciproco, conoscevano i loro caratteri e le loro abitudini, e sapevano di poter contare su quella familiarità come su una garanzia. Jolene doveva ammettere in effetti che, nonostante quello che si diceva del brutto carattere delle fate, era piuttosto facile convivere con Nephelae. Il suo unico vero vizio era di essere una gazza ladra mancata, ma quando non impazziva alla vista di qualcosa di luccicante la fata era una buona compagna.
Aveva appena pensato così, e stava giocherellando distrattamente con il bracciale che aveva al polso, che il cinturino cedette e il monile cadde per terra. Jolene si chinò per raccoglierlo con un unico istante di ritardo dovuto alla sorpresa, ma fu comunque troppo tardi: Nephelae, che già stava tenendo d'occhio la sferetta di cristallo incastonata nel braccialetto, vi si fiondò subito sopra. L'oggetto fece appena in tempo a sfiorare il tappeto di foglie morte, che Nephelae l'aveva già afferrato nelle sue minuscole manine e, un po' a fatica per via del peso, era schizzata via con il bottino.
Non quel
braccialetto, non oggi! Se Jolene sapeva riconoscere un cattivo presagio, quello lo era sicuramente.
«Nephelae! Torna qui!» Così imparo a farle i complimenti, anche solo nella mia testa.Jolene si fiondò a rincorrerla, abbandonando il sentiero per inoltrarsi tra la vegetazione. Rischiò di scivolare sulle foglie bagnate, allora fece più attenzione a come metteva i piedi, ma questo la rallentò e perse di vista la fata.
Piccola, terribile cleptomane che non sei altro. Eccola lì! Rimase sorpresa a vederla volare incontro ad un mago – era vero che la boscaglia non era molto lontana dal villaggio, ma di solito non si incontravano molte persone da quelle parti. Ma Jolene non fece in tempo a pensarci, perché immediatamente vide il povero sconosciuto cadere faccia a terra come un sacco di patate. Nephelae, che l'uomo probabilmente non aveva nemmeno visto, a quel punto si fermò a riposare le ali proprio in cima al suo cappello.
Dopo il danno la beffa.«Ehi, stai bene? Aspetta, fermo solo un attimo...» Quella era la sua occasione: si sarebbe ripresa il braccialetto e avrebbe subito aiutato il poveretto a rialzarsi.
Con queste intenzioni in mente, dunque, si slanciò in avanti, la mano protesa e pronta ad afferrare il cinturino del suo bracciale. Solo che si mosse
troppo in fretta, senza fare attenzione – una mossa alquanto stupida, visto il capitombolo a cui aveva appena assistito. Eppure, la fretta a volte gioca brutti scherzi, e Jolene strabuzzò gli occhi quando si accorse che il piede le scivolava senza possibilità di rimedio sul pantano per terra. Il disastro fu inevitabile: con un bel cozzare di zucche – la sua contro quella dello sconosciuto –, Jolene andò a fare compagnia al mago nel bagno di fango. Nephelae, manco a dirlo, spiccò il volo appena in tempo per evitare lo scontro, allontanandosi presto tra gli alberi.
«Merlino, Morgana, Cosetta e tutti i fondatori...» Dovette mordersi la lingua per non tirare giù tutte le figurine delle Cioccorane.
«S-scusami. Io...» Riuscì a mettersi a sedere, ma era troppo frastornata dalla botta per alzarsi in piedi. Con una smorfia si massaggiò la fronte, là dove un bel segno rosso cominciava già a farsi vedere. Riuscì a dire solo, stupidamente:
«C'era una fata con un braccialetto, ma è scappata».
Che Jisung avesse trovato la sua degna compagna di figure barbine?