Mr. Corso di Ceramica, Privata

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view post Posted on 8/11/2021, 10:49
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Kim Jisung - 김 지성
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Era una mattinata piuttosto fredda. Jisung era scivolato fuori dal piumone controvoglia animato dall'idea di rinfilarsi a letto dopo colazione. Sua nonna gli aveva regalato un libro di storie tradizionali e lui lo stava divorando. Era molto meglio quando era lei a raccontarle ma ora, a distanza, si sforzava di sentire la sua voce ogni volta che le leggeva. Era un regalo semplice ma molto speciale. Le pagine erano leggermente ingiallite perchè apparteneva alla loro famiglia da parecchio tempo e la rilegatura cominciava a rovinarsi. Andava trattato con la massima cura.
Fece un enorme sbadiglio e si incamminò scalzo verso la cucina trascinando i piedi. Si rese conto che aveva una fame mostruosa. Il suo stomaco era diventato da tempo un pozzo senza fondo, dove faceva sparire qualsiasi cosa edibile gli capitasse a tiro. Il lato buono della cosa era che non aumentava nemmeno di un grammo. Strano metabolismo il suo.
Si accomodò al suo posto incrociando le gambe sotto al tavolo ma rimase lì immobile con gli occhi chiusi.
"Tesoro, ho un regalo per te" la voce di sua madre gli fece tornare in attività l'occhio destro.
"Mmmmmm" versi senza senso.
"È dentro la busta. Aprila"
"Mmmmmm" mosse la lunghissima mano per afferrare l'oggetto rettangolare alla sua sinistra e lo aprì. Lo lesse e lo rilesse ma solo la terza volta si aprì il secondo occhio.
"Non ho capito. In che senso un corso di ceramica?" farfugliò verso sua madre.
"Era per me ma io e tuo padre siamo impegnati tutta la mattina con i fornitori. Tu andrai al mio posto"
Era uno scherzo, vero?
No, non lo era. Più guardava sua madre più il dramma si concretizzava dentro di lui.
"Ommaaaaaaa!" la sua voce baritonale riecheggiò nella piccola cucina "Ma non può andarci Eun Jun? È una cosa da ragazze!"
"Non se ne parla proprio. Tua sorella è troppo piccola! Ci andrai tu, senza discutere!"
Lo sguardo non prometteva nulla di buono quindi decise di annuire e consumare in silenzio la colazione.
Perchè lui? Perchè doveva prestarsi a queste cose assurde? Non era già abbastanza strano di suo?
Si buttò sotto la doccia per dimenticare e ci restò finché l'acqua non cominciò a diventare fredda. Indossò un completo bianco e dopo una quarantina di minuti era per strada diretto verso il luogo incriminato. Da quello che diceva il biglietto si trattava di un loft dalle parti di Kensington.
Quando entrò la location era esattamente come l'aveva immaginata: piccola e piena di luce.
Una rapida occhiata confermò i suoi timori. Oltre a lui c'erano altre cinque ragazze. Le postazioni erano disposte a coppie su tre file e per lui era rimasta quella in fondo a destra. Si accomodo evitando di guardare in faccia la sua vicina di banco. La brutta figura di essere arrivato per ultimo era più che sufficiente, oltre ad essere Mr. Corso di Ceramica in un'aula di sole donne.
Si infilò il grembiule e si mise a sedere. Fu allora che prese coscienza del fatto che quella roba informe era color fango e che lui era vestito di bianco.
*Beh, pazienza. Starò attento.*
Afferrò l'ammasso molliccio con le sue mani enormi, azionò il pedale e cominciò il lavoro.
Le sue dita lunghe come zampe di ragno accarezzavano quella roba viscida con molta attenzione. Non doveva sporcarsi!
Dopo qualche minuto si era già fatto prendere dall'entusiasmo, tanto che iniziò a ridacchiare.
"Ehi! Ma è divertente!" esclamò con voce udibile dalla sua vicina. Si concentrò sul suo lavoro leccandosi le labbra, un tic che ormai non riusciva a controllare.
Era abbastanza soddisfatto ma voleva la base del vaso più piccola. Iniziò a stringere le mani finché l'infingardo molliccio non si staccò dal supporto e volò via senza che lui potesse fare niente.
"Sorelle Stravagarie!" urlò.
Cercò disperatamente di afferrarlo ma riuscì solo a smanacciarlo e farlo atterrare sul vaso della sua vicina "No, no, no, no!"
Diventò viola e si buttò in ginocchio a fianco alla ragazza.
"Non immagina quanto mi dispiace. Mi dispiace tantissimo" le mani erano unite sopra alla testa mentre i palmi venivano strofinati velocemente l'uno contro l'altro.
"Se me lo permette vorrei rimediare" e fare anche danni peggiori.
Sollevò finalmente lo sguardo rassegnato a prendersi un bel pugno dalla sua sfortunata compagna di banco.


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view post Posted on 14/11/2021, 17:07
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Atena McLinder | Docente & Capocasa
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tena adorava le mostre d’arte. Quando si trovata di fronte ad un quadro era solita sostargli dinanzi per minuti e minuti, studiando da vicino ogni più piccolo particolare. Le piaceva osservare il modo in cui i colori si combinavano tra loro, talvolta sfumandosi a vicenda, altre creando contrasti di forme e di luci. Le piaceva osservare la consistenza delle pennellate, quando si scioglievano in acquarelli sottili come carta velina, o quando creavano uno strato in rilievo, tanto spesso da far venire voglia di assaggiarlo. Amava perdersi nei più piccoli dettagli di un volto, quelli che di solito passavano inosservati: la ruga su una guancia, il luccichio color avorio di uno sguardo, i fili esili dei capelli. I suoni e gli odori racchiusi nel dipinto prendevano vita intorno a lei – il profumo del pane, l’abbaiare di un cane in lontananza, gli schiamazzi o i silenzi più profondi. Spesso si chiedeva quanta anima avesse riposto l’artista nella sua opera. Fantasticava sulle dita febbrili che avevano dato vita alla scena, impastando i colori di emozioni, di sogni e di fatica. Quante volte avrebbe voluto avere il potere di allungare una mano e leggere la storia che una tela racchiudeva, solamente sfiorandola. Ma la vera anima di un dipinto restava celata, parlava in flebili sussurri, appena percettibili.

“I capolavori dei grandi maestri giapponesi. Da Tokinawa a Omoshirei, per la prima volta a Londra.” recitava a grandi lettere il volantino. Le parole erano accompagnate da un’illustrazione in stile Ukiyo-e raffigurante quello che i babbani erano soliti chiamare Yōkai. In calce al foglio erano riportati alcuni kanji che, presumeva, dovevano essere la traduzione del testo in giapponese. Atena teneva il foglio tra le mani, mentre camminava tra le strade di Kensington. Indossava un cappotto color nocciola chiaro, aperto sul davanti. L’Aria portava l’odore di foglie secche e di terra bagnata e al suo orecchio le parlava di silenzi carichi di attesa, dei caldi polmoni del mondo e di grandi cambiamenti. Atena ascoltava, mentre camminava: con il tempo l’Aria – il suo elemento – era diventato come un prolungamento di sé. Sempre più spesso riusciva a carpirne i sussurri e i leggeri mutamenti, sebbene parlasse una lingua a lei ancora sconosciuta.
In poco tempo giunse davanti l'edificio in cui si teneva la mostra d’arte. La palazzina non era particolarmente grande, anche se era palese che ospitasse diversi eventi. Più cartelli, infatti, indicavano ai visitatori il percorso da seguire per giungere alla destinazione di loro interesse. Seguendo le indicazioni, la ragazza varcò la soglia dell’atrio, ritrovandosi in un salone dal pavimento in marmo bianco, arredato in modo minimale ma elegante. Da lì si aprivano diverse arcate che portavano in altrettanti saloni. Da uno di questi giungeva l’eco di una musica, ma talmente soffusa che Atena non seppe dire con precisione da dove venisse o di che genere di melodia si trattasse. Fece per proseguire, quando al rumore dei suoi passi sul pavimento, si unì il suono di altri passi. Ticchettavano di corsa, sembravano stizziti. Poco dopo se ne aggiunsero altri, meno aggraziati, quasi affannati. Due figure comparvero nel salone: una giovane donna, di tutta fretta, con la sciarpa che le svolazzava lunga dietro il collo, e un uomo, più in là con gli anni, che la seguiva a ruota, incerto se trattenerla o se tornare da dove era venuto.
“Mademoiselle, la prego!” la implorò con uno spiccato accento francese e un'inconfondibile erre moscia. Ma quella non lo degnò di uno sguardo e, rapida com’era arrivata, imbucò la porta d’uscita, sparendo alla vista insieme all’eco dei suoi tacchi. Atena, che suo malgrado aveva assistito alla scena, liquidò l’accaduto con un'alzata di spalle, riprendendo a camminare verso la sua destinazione. Aveva appena varcato l'arcata, quando qualcuno la prese sotto braccio, facendola sobbalzare. “Oh Mademoiselle! Che coincidenza fortunata! Venga con me, venga.” Era l’uomo di prima. Sbigottita più che mai e chiedendosi cosa mai stesse succedendo, Atena tentò di aprire bocca per chiedere spiegazioni, ma il francese la interruppe prima ancora che potesse proferire parola. “Si è liberato un posto! Venez-vous, venez-vous!” e dicendo questo la trascinò con sé verso la direzione opposta.
«Cos… Ci dev’essere un errore, io…» ma l’uomo, con una risatina, la interruppe nuovamente “No, no, no! C'est bon, la stanno aspettando, allez allez!”. In un battito di ciglia, Atena si trovò letteralmente catapultata dentro un’aula. Si voltò per tornare sui suoi passi ma il clang della porta davanti al suo naso sancì in modo perentorio la sua prigionia. “E’ tutto a posto, vous pouvez continuer!” annunciò soddisfatto il suo rapitore, sospingendola verso il posto libero – l’unico - più vicino alla sua posizione. Dopodiché, misteriosamente, sparì. Una rapida occhiata bastò per farle capire che si trovava in un open space luminoso, non molto grande, ma ordinato. A riempire lo spazio vi erano tre file di tavoli, intorno ai quali coppie di ragazze lavoravano a…qualcosa. Sembrava a tutti gli effetti una lezione – e lei di lezioni se ne intendeva. Le voci intorno ripresero ben presto il loro chiacchiericcio, come se nulla fosse successo. Uno strano rumore, proveniente dal tavolo davanti a lei, continuava a ronzare in modo imperturbabile: una sorta di sommesso bzzzzzzz, come di un macchinario in funzione, unito ad un morbido plat-plat, plat-plat di qualcosa che sbatacchiava ritmicamente qua e là.
«Sono appena stata sequestrata.» fu l’unica cosa che riuscì a dire, più a se stessa che agli altri. *E non c’è via di fuga.* La tragica verità si palesava nella sua mente. «Sono ufficialmente un’imbucata.» *Salvatemi.* Su queste parole rivolse lo sguardo al ragazzo che le stava accanto, come se solo in quel momento avesse preso consapevolezza della sua esistenza. Era un ragazzo asiatico, capelli scuri, occhi neri. Giovane, forse addirittura più giovane di lei di qualche anno, anche se era difficile dirlo con precisione - gli asiatici del resto sembravano eternamente giovani anche a duecento anni. Forse era un quarantenne e lei non se ne sarebbe mai accorta.
Si decise a muovere qualche passo in avanti. Bzzzzzzzzz, plat-plat, plat-plat la chiamava imperterrito il macchinario. Non fece in tempo a raggiungere la sua postazione che il piede scivolò su qualcosa di viscido che era finito per terra. Istintivamente si aggrappò al braccio del ragazzo, riprendendo subito l’equilibrio. Chiuse per un istante gli occhi, facendo un respiro profondo e sforzandosi di mantenere il controllo di sé. I piedi erano tornati saldi a terra. Presto tutto sarebbe tornato alla normalità e lei sarebbe stata libera di tornare alla sua mostra. Si.
«Ti prego, dimmi dove diamine sono capitata.»
sussurrò.
Bzzzzzzzzz, plat-plat, plat-plat.
"BEING AN ARTIST IS THE SAME AS BEING A WIZARD."

 
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view post Posted on 17/11/2021, 11:38
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Kim Jisung - 김 지성
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Se all'inizio era pronto ad immolarsi per una degna esecuzione, si rese presto conto che la situazione era anche peggio. La sua compagna di banco non lo degnò nemmeno di uno sguardo, facendolo sentire ancora di più il microbo che era. Si alzò di scatto dalla sua postazione e, dopo aver recuperato la borsa e il cappotto, si diresse verso la porta senza nemmeno voltarsi per incenerirlo.
Il docente le corse subito dietro, lasciando Jisung nel più profondo sconforto e alla gogna davanti a tutte le altre occupanti dell'aula. Avrebbe potuto abbassare saggiamente lo sguardo, ma il brutto anatroccolo rimase lì imperterrito a fissarle. Non era già stata sufficiente la brutta figura? Perché si ostinava ad aggiungere umiliazione ad una figura di castagna non indifferente? Probabilmente era un masochista o semplicemente un povero idiota.
Si impose di abbassare le palpebre oblique perché la vergogna era davvero tanta. Riprese ad armeggiare alla sua postazione sperando che le tipe prendessero spunto e tornassero a modellare le loro opere d'arte. Tutto questo gli fece completamente dimenticare della bomba color biscotto che ancora giaceva tra la sua postazione e quella della sua vicina, anzi ex vicina.
Sarebbe stato molto meglio che sua madre avesse fatto quel gentile omaggio a una delle sue clienti affezionate evitando di mettere lui in quella spiacevole situazione.
Recuperò uno nuovo pezzo di materiale grezzo e lo sistemò sulla postazione consapevole del fatto che, nel giro di pochi minuti, si sarebbe di nuovo ammutinato al suo controllo. Se fosse stato più furbo avrebbe seguito l'esempio della sua compagna e avrebbe lasciato l'aula alla chetichella ora che il docente sembrava scomparso nel nulla. Fermò il piede sul pedale della macchina pronto ad abbandonare l'aula prima ancora di dire "Quidditch" ma quello strano tipo riapparve sulla soglia, e non era solo.
Nel corso della sua assenza sembrava aver recuperato una nuova adepta.
Jisung la guardò mentre discuteva con l'insegnante. Non sembrava molto propensa a seguire quella lezione. Era minuta con i capelli neri e lisci. La pelle era chiara. Per un attimo pensò che si trattasse di una ragazza orientale, cosa che forse lo avrebbe fatto sentire meno a disagio, ma quando la donna si voltò Jisung colse subito due occhi azzurri dal taglio tipicamente occidentale.
Una cosa però avevano in comune, nemmeno lei voleva essere lì. Le piccole frasi che riuscì a cogliere ne furono la conferma. Ora che gli era così vicina la guardò di nuovo, era davvero bella.
Abbassò subito la testa con il volto in fiamme pregando di non esibirsi di nuovo in qualche disgraziata performance.
Il suo destino però era scritto e continuava a perseguitarlo senza concedergli un attimo di tregua.
La nuova arrivata mise il piede sul molliccio da lui prodotto e scivolò. Jisung si voltò di scatto allungando il braccio. Gesto del tutto inutile perché lei lo aveva già afferrato nel disperato tentativo di restare in equilibrio.
"Sorelle Stravagarie! Non cadere ti prego! Ho già fatto scappare una studentessa e se lo faccio di nuovo quello mi uccide"
Non aveva il coraggio di guardarla, le brutte figure avevano raggiunto il limite.
«Ti prego, dimmi dove diamine sono capitata.»
Nessuna imprecazione da parte di lei, nessuna protesta. Mai frase fu più giusta al momento giusto.
Fu il suo approccio che convinse Jisung a sollevare di nuovo lo sguardo.
"Vorrei saperlo anche io, credimi."
Confessò senza alcun ritegno.
"Doveva venirci mia madre ma era impegnata e mi ha costretto a prendere il suo posto."
Un sospiro accompagnò la seconda parte della confessione.
"Non sono tagliato per queste cose."
Era una mezza verità quella e si interrogò del perché non fosse del tutto sincero. Sua nonna diceva che la verità paga sempre anche se in Inghilterra non lo riteneva così vero.
"Ho fatto scappare una ragazza perché gli ho lanciato addosso quello."
Protese il lungo dito verso il molliccio che agonizzava tra loro.
Non lo aveva detto nel modo giusto! Lei avrebbe sicuramente frainteso scambiandolo per un pazzo attentatore lancia mollicci. Il suo viso si infiammò di nuovo per la vergogna.
"Ma non l'ho fatto apposta! Io...io..."
Non poté fare a meno di esibirsi nella sua solita performance da sfigato senza speranza.
"Era viscido, l'ho stretto troppo e mi è sfuggito dalle mani. Ecco, è andata proprio così."
Conclusione? Se cambi l'ordine degli addendi li risultato non cambia. Era uno imbranato patologico. Molto meglio spacciarsi per un lanciatore abusivo di mollicci di ceramica almeno sarebbe stato un po' più figo.
E come avrebbe potuto? Lui era lui e non sarebbe mai stato diverso, tanto valeva rassegnarsi.
"Ciao, io sono Jisung, e parlo troppo"
E questo era vero.


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