Nello sguardo complice che scoprì in Penny, vi trovò l'incantesimo più vivido di tutta la sera nonché la certezza di raccogliere ben presto una memoria di cui avrebbe avuto prima o poi profonda nostalgia. Sentiva d'esserne presago pur mai indugiando
oltre, lì dove il tempo giocava a nascondersi: mai come in quell'occasione, in effetti, non desiderò altro che fermarsi, unirsi alla festa, lasciare che il fuoco divenisse l'omaggio gioioso di un'adolescenza piena di contrasti. Voleva quello, pensò. Voleva tutto quello che una sera d'inverno potesse offrire in dono, nulla di più. Nell'esplosione di colori e di geometrie luminose, si allontanò in lui ogni malinconia – della sua famiglia, delle tradizioni più belle, del Natale in generale. Convinto com'era stato fino a quel momento di non vivere le festività nel migliore dei modi, per giunta per il secondo anno consecutivo, non avrebbe neanche lontanamente immaginato un incontro invece così piacevole. Si lasciò coinvolgere dall'entusiasmo come non gli capitava da tempo, da moltissimo tempo; e quel pizzicore gentile lungo la pelle, quella sensazione di dinamica euforia, tutto lo portò ad osservarsi intorno – ogni volto, infine, svelava meraviglia.
«Ai suoi ordini, Comandante delle Stelle.» Scherzò così, affabile. Desiderò accostarsi a
Camille, alla quale s'era appena girato; desiderò correre i suoi passi, non perderla neanche un attimo di vista – né lei né Penny, nessun altro. Genuinamente stava tutto lì, in quella speranza: non perdere chi gli fosse accanto e, più teneramente,
non perdersi.
Gli apparve d'essere al centro di un disegno più grande, una premessa che aveva accantonato troppo a lungo e che voleva comprendere pienamente, fino alla fine. Quello che c'era, scoprì, aveva il senso della dispersione, di ogni rinuncia che involontariamente – e forse per necessità – aveva attirato a sé nel corso dei mesi. Nei saluti che cantilenò all'una e all'altra, identità più o meno familiari, scivolò l'impronta del passato – il ragazzo che sapeva amare, più di qualsiasi altri fosse mai stato, emerse dolcemente e gli mancò, gli mancò terribilmente. Sentì il terreno dissolversi sotto i piedi, imprevedibile come l'assalto del tempo, e Penny forse se ne accorse ben prima di lui. Intrecciò il braccio al proprio, lo spinse avanti, un passo, un secondo, un terzo ancora. Nell'euforia del momento poté risultare naturale, un amico che portava via l'altro, una coppia affiatata che preparava l'arsenale di fuochi d'artificio. Sulla patina che offuscò le palpebre, un battito di ciglia appena, Oliver vide quello che aveva perso, ne ebbe nostalgia al punto da crogiolarsi nel solito rimorso. E poi sfumò via, rapidissimo. Ottenne così concretezza di ogni attimo: una palla di neve lanciata vicinissima, il commento divertito di qualcuno, il suono – anche per lui già meno opaco – di chi gioiva. Lo scambio di un fiore, poco distante, si delineò per lui come l'omaggio più bello, e assaporò ogni istante come se fosse l'ultimo: una parte di lui, a malincuore, tempestava d'ansia all'idea che tutto fosse provvisorio, che fosse un'illusione vana. Strinse a sé quei pensieri, a mo' di ragnatela. Quando il Professor
Cravenmoore raccolse la sfida e operò la prima manifestazione magica, dimenticò tutto, ogni cosa. Non poté negare, allo stesso modo, che la cornice brillante in cielo fosse tanto maestosa da togliere il respiro. Petali di fuoco, colori d'arte.
«Spettacolare.» Commentò educatamente, non senza una punta d'emozione; accompagnò infatti con un applauso sincero, un battito di mani che naturalmente si perse nei suoni festivi tutto intorno. Penny non si lasciò abbindolare, restava pur sempre una sfida: ad un colpo di bacchetta infiammò la miccia di alcuni Fuochi Filibuster, guidandoli in alto con un incantesimo a mezza voce; poco dopo zampillò una girandola coloratissima – dal rosso all'arancio, stabilizzandosi sullo smeraldo – che andò rapidamente ad avvolgere l'orchidea del Docente, ben presto somiglianti ad uno stelo e alle sue foglie. Sulla stessa scia, Oliver avanzò d'un passo e attinse ad un sortilegio semplice, tuttavia sperava altrettanto incantevole. Appena danzante, la bacchetta coinvolse i grappoli luminosi.
«*Papiliofors*» Ne immaginò il volo delicato, la metamorfosi di petali in farfalle – una scelta, per lui, quasi azzardata. Avrebbe potuto considerare altre forme, altre creature: fenici, folletti, perfino draghi; sentì lo sguardo di Penny come un macigno, la domanda sospesa tra loro a mezz'aria: sei sicuro, sembrò sentire distante. Lo era, lo era davvero: era una serata così bella per districarsi completamente dalla memoria, non voleva più. Era felice, inseguiva la prima di una lunga schiera di farfalle lucenti come raggi d'arcobaleno: dall'origine dei petali dello stesso fiore, allora, spalancavano ali fiammeggianti, adornando la notte come gemme. Guidò alcune verso il basso, proprio tra loro, lasciando che scintillassero lungo la spalla dell'una, il braccio dell'altra, tutte come bagliori sui volti. Danzavano tra loro, più simili a fate di quanto non fossero veramente, e lui tentava quasi giocosamente di dirigerle verso gli altri – non bruciatevi, diceva con sorriso. Era fuoco variopinto, soffiò contro una farfalla in tempra rubino, come a sospingerla verso Camille. Un occhiolino, alla fine, con una tacita promessa che era certo giungesse nitidamente.
Ora tocca a te.
La sfida non gli sembrò più importante, tutto era divertimento. E per lui, tempo dopo, il rientro avrebbe avuto il gusto dolce della spensieratezza, e il cuore in estasi, il petto leggero, la cenere tra i capelli, la stessa cenere che avrebbe lasciato per una notte, una notte intera, come ad avere una prova – il giorno seguente – che fosse stato sì un sogno, ma
reale.
Scusatemi davvero per il ritardo, mi dispiace moltissimo. Senza più essere d'intralcio, questo è il mio ultimo intervento: ringrazio Lucì per aver proposto un'iniziativa così bella e ringrazio tutti voi per aver partecipato, è stato meraviglioso ed è una memoria che di certo Oliver porterà sempre con sé. ♥