Lady Wollstonecraft, Privata.

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view post Posted on 21/1/2022, 18:13
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Mary J. Grengerex grifondoro | 20 anni | reasonably happy
«Cosa stai facendo?»
«Cerco un hobby!» La sua minuta voce arrivò da lontano. Mary aveva la testa immersa nello scatolone, che sul lato recitava “da donare”, a cercare qualcosa. Cosa, non era ancora chiaro.
Aveva sei anni e i suoi genitori la osservavano seduti al tavolo mentre sorseggiavano il loro tè delle cinque. Era una domenica tranquilla: la mattina erano andati ad uno zoo lì vicino, avevano visto tanti animali colorati e i loro divertenti versi. A metà mattinata avevano incontrato i Thompson con loro figlio Jack e insieme avevano trascorso il resto della giornata fino a pranzare insieme. Appena tornati a casa, Mary non aveva smesso di cercare qualcosa in giro per la casa.
«Un hobby?» La voce del padre era incerta, non sapeva come rapportarsi alla figlia senza scoraggiarla nelle sue imprese infantili.
«Sì, un hobby papà, un hobby!» Aveva tirato fuori la testa e aveva guardato il genitore come se quella fosse la cosa più ovvia al mondo, le sue mani teatralmente al cielo. Sua madre trattenne il tè in bocca per miracolo e lo buttò giù tossendo con eleganza, com’era sempre. I due parenti si scambiarono uno sguardo divertito.
«E quale hobby cerchi?» Mary spalancò la bocca e gli occhi le si fecero lucidi. Che il padre la stesse prendendo in giro? Cosa significava quale hobby? Lei lo stava cercando, non sapeva cosa avrebbe trovato. In realtà, non sapeva neanche che forma avesse o che colore. Tirò su con il naso prima che i genitori potessero intervenire a consolarla per chissà quale motivo, ai loro occhi, ed incrociò le braccia. «Com’è fatto un hobby?» La sua vocina uscì debole e acquosa.
«Chi te ne ha parlato?» La madre posò con cautela il bicchiere che si scontrò delicatamente con il cucchiaio producendo quel leggero tintinnio tanto aggraziato. «Jack. Ha detto che tutti i bambini della nostra età ne hanno uno. Perché a me non lo avete comprato?» Di solito non piangeva perché voleva qualcosa e, a quel punto, dopo aver passato metà pomeriggio a cercarlo, non aveva neanche una gran voglia di averlo questo hobby. Il fatto è che Jack le stava antipatico, si vantava sempre di avere cose che gli altri bambini non avevano e lei era una bambina piuttosto permalosa.
Alla fine, pianse mentre i suoi genitori le spiegavano quella parola.
Scoprì di averlo già un hobby, ovvero suonare uno strumento musicale. Per lei il pianoforte era sempre stato solo un divertimento e non sapeva che le due parole fossero quasi sinonimi.

«Hai trovato un nuovo hobby?»
Il fatto che la voce di Olivia fosse solo ed esclusivamente nella sua testa la rendeva ancora più fastidiosa. Allo stesso tempo, ricordare quel timbro così perfettamente non poteva che farla sorridere. Aveva iniziato a sentire la voce, qualche volta anche la presenza semi fisica, di Olivia circa un anno dopo la sua morte. L’aveva accettato subito, era stato come un sogno poterla percepire vicino ancora una volta. Da quel giorno Olivia non era mai andata via: non passavano tutto il loro tempo insieme e Mary era lucidamente consapevole che l’ex ragazza non esistesse davvero, però sapere che il suo ricordo era ancora così lucido da sentirne il peso sul suo corpo, la voce nelle orecchie, le donava un senso di completezza. Era il suo primo amore e forse sarebbe stato il suo più grande amore per sempre, non lo poteva sapere.
Non rispose subito, comunque. Non ce n’era bisogno. Sorrise mentre nascose il volto dietro una fotocamera che sua zia le aveva regalato prima di partire per Zinder. Nulla di speciale: non sapeva il modello, non sapeva tutte le funzionalità ed era un po’ graffiata visto che sua zia l’aveva presa usata in un negozio di vintage. Però faceva le fotografie e quello bastava, pensò.
«J’essaie de faire quelque chose de ma vie.» Il suo francese era migliorato in maniera impressionante dopo il volontariato in Niger. C’era ancora molto che non capiva e quando le si parlava in modo troppo veloce le sfuggivano due o tre parole, ma se la cavava piuttosto bene nel complesso.
Era una mattina lievemente nuvolosa e visto il tempo ideale aveva ben pensato di diventare una turista qualunque e mettersi a fare le foto in ogni luogo le capitasse sott’occhio. Era finita al cimitero della chiesa St. Pancras Old. Aveva abilmente saltato la struttura primaria, non le interessava molto l’atmosfera religiosa. Il suo lungo trench nero era aperto sul fronte e lasciava intravedere il maglione rosso scuro su di un jeans che non presentava nulla di particolare.
Si era fermata davanti la tomba congiunta di Mary Wollstonecraft e William Godwin e aveva iniziato a fotografarla da varie angolazioni. Si spostava di tanto in tanto nel disperato tentativo di incrociare un raggio di luce che potesse creare un effetto fantasmagorico sulla lapide, ma nulla. In verità, lei di fotografia non sapeva assolutamente niente. Nada. Era consapevole ci fosse un pulsante da premere e voilà, basta. Le sue conoscenze finivano lì. Non sapeva perché i fotografi ruotassero l’obbiettivo: c’aveva pure provato, lei, ma nulla le apparì diverso.
Sbuffò, facendo cadere le mani lungo i fianchi e con un gesto inconsulto perse la presa sulla fotocamera che le cadde nell’erba bagnata. «Ma porco gargoyle!»
Si accasciò per recuperarla.
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view post Posted on 22/1/2022, 02:22
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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Ariel A. Vinstav
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Il cielo uggioso di Londra si sposava perfettamente con il Cimitero di St. Pancras Old.
L'unica sensibile nota di colore in quel mare di grigi era il verde foglia del prato e del parka di Ariel.
Lì, immobile fra le lapidi, la giornalista non sembrava consapevole di aver fermato i suoi passi proprio a pochi metri da Mary.
Le dita della mano sinistra si muovevano alla cieca, ricordando nei gesti il pizzicare delle corde di un'arpa.
Apparentemente sembrava seguire un ritmo improvvisato, ma donando la giusta attenzione al suo corpo, si sarebbe potuto notare come le dita si soffermassero sempre nello stesso punto.
Lo sguardo era perso nel vuoto e la bocca pendeva aperta, schiusa abbastanza da lasciar intravedere la dentatura bianca.
Sembrava che qualcuno avesse rallentato il tempo attorno a lei, chiudendola in una bolla che la separasse dal mondo.
Poi le labbra si storsero improvvisamente, come colte da uno spasmo muscolare.
Era l'accenno di un broncio che si fece gradualmente sempre più evidente mentre le dita prendevano ad abbassarsi e alzarsi ripetutamente, picchiettando l'aria.
Dall'arpa al pianoforte, la sinfonia silenziosa non sembrava venirle a mente, incastrandola in quel limbo fra realtà e dissociazione.
Poi qualcosa cadde. Un tonfo sordo, un'imprecazione e poi «Ah!» sussultò, vibrando sul posto , mentre le mani correvano al petto, sollevando istintivamente lo scollo del crop top verde chiaro per aiutare quel respiro che per lo spavento aveva improvvisamente trattenuto.
Normalmente Ariel avrebbe reagito subito: avrebbe fatto una battuta, un commento autoironico per spezzare l'attenzione e non far finta di niente, ma soprattutto avrebbe probabilmente notato Mary e la sua macchina fotografica.
Invece le bastò riprendere fiato perché dopo uno, due, tre battiti di ciglia ritornasse nel suo torpore.
Era decisamente un'immagine anomala di sé, lontana dalla spigliatezza e l'entusiasmo infantile con cui si circondava. Ora che si mostrava così passiva nella sua emotività, Ariel sembrava stranamente più grande e seria, più credibile nei suoi ventiquattro anni.
«Dove sono?»
Ecco, finalmente parlava. Stralunata, trasognante e ariosa, leggera e sottile come un bambino impaurito e confuso, ma comunque parlava.
Forse solo in quel momento con quella domanda cruciale posta al vento (o a Mary?) si sarebbe reso noto come le pupille degli occhi azzurri fossero più dilatate del normale.
«Mh.» Sollevò il capo, portando lo sguardo verso il cielo.
«Scusami. Ho.. un po' di nebbia»
Non guardava Mary, ma del resto con chi altro poteva stare parlando?
Sollevò la mano destra, portandone il dorso contro il volto e cominciando a stropicciarlo, passando sempre più velocemente il polso contro gli occhi.
Stava gradualmente riprendendo rapidità dei gesti, lasciandosi alle spalle quell'anomalo torpore.
«Se ne sta andando, ma ora non so dove sono finita.»
Non si capiva molto del suo discorso, se non che si fosse persa.
 
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view post Posted on 2/2/2022, 11:48
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Mary J. Grengerex grifondoro | 20 anni | reasonably happy
«Ah!»
Mary non aveva assolutamente considerato la possibilità che qualcun altro fosse lì con lei. Di per sé, era una considerazione stupida: tutti potevano voler visitare la chiesa, fare una passeggiata, visitare una tomba particolare. Ma era stata così assorta dall’idea dell’hobby, del suo ritorno a Londra che, nel sentire un’altra anima vicino alla sua, quasi perse l’equilibrio sul piede d’appoggio mentre si accasciava. Fortunatamente, non successe.
Nel tirarsi su con la sua sporca fotocamera sicura nella mano sinistra, alzò lo sguardo verso l’origine del suono. Pensava che una volta tornata a Londra tutto le sarebbe parso sbiadito ed irriconoscibile, come se un anno e mezzo via avrebbe potuto cancellare i diciannove anni di vita precedenti. Forse ci sperava anche di tornare a Londra come una persona nuova, senza amici o conoscenti, senza trovare volti familiari nella gente. Quando mise a fuoco la ragazza di fronte a sé, la riconobbe subito. Ariel… Ariel qualcosa. Ariel qualcosa di professione giornalista.
La nostalgia le arrivò diritta al cuore, presentandosi come un peso non voluto. Ariel l’aveva vista un paio di volte, che ne avesse memoria. La prima al ballo scolastico quando Mary aveva maldestramente tentato di far colpo su Jolene. Oh, l’infermiera.
Erano forse dieci mesi che quel nome non le compariva nella testa e nel cuore. Forse non l’avrebbe neanche mai più vista, pensandoci. Ciò che le legava era il castello e senza quello, Mary avrebbe avuto poche opportunità di incontrarla.
«Dove sono?»
Si era abbandonata al suo flusso di ricordi adolescenziali e aveva perso di vista il fatto che ci fosse un’altra persona con lei. Non rispose subito semplicemente perché non capì se la domanda fosse rivolta o meno a lei. Si guardò velocemente alle spalle pensando che se non aveva notato Ariel, forse non aveva notato neanche il suo accompagnatore. O accompagnatrice. Magari c’era Jolene, magari dopo quel pomeriggio da Madama Piediburro era scoppiato tra loro due l’amore.
Ma non c’era nessuno.
«Siamo al cimitero, vicino la chiesa di St. Pancras Old.» rispose con tono pacato e gentile, quasi sussurrando in modo da corrispondere al tono dell’altra. Che Ariel fosse una persona strana, ahimè, Mary lo aveva capito dal loro primo incontro. Ma si convinse che una cosa fosse essere strani, l’altra l’essere assenti. Fece un piccolo passo verso la ragazza, minuscolo, senza davvero l’intenzione di avvicinarsi, ma più istintivo. Come se da un momento all’altro Ariel potesse svenire e lei dovesse recuperarla prima di vederla a fianco ad una tomba.
Alzò la testa con lei e guardò il cielo nuvoloso per un attimo. Quando guardò nuovamente Ariel le venne in mente un paziente a Zinder dopo l’esplosione di febbraio. Ricordò di come quella persona avesse perso tutto e tutti e che quando Mary le parlava, era completamente assente. Il suo spirito da scadente infermiera sembrò penetrarla e percepì che forse Ariel aveva bisogno di tornare alla realtà.
«Ariel, ciao.» la voce le uscì decisa, elegante. Allungò una mano verso la ragazza con l’intenzione di sfiorarle leggermente una spalla prima di tornare al suo posto.
«Se ne sta andando, ma ora non so dove sono finita.»
Masticò per un attimo la sua stessa saliva e nel buttarla giù si decise a fare un altro passo verso la ragazza e forzarsi nel suo campo visivo. «Ariel, ehi.»
Non c’era una tecnica specifica per risvegliare i vivi dal mondo dei sogni e del distaccamento. O almeno, nessuno glielo aveva insegnato. Ma di solito per lei funzionava sentire una voce familiare o qualsiasi suono che potesse ricordarle di essere ancora viva e con i piedi per terra. Di Ariel non sapeva nulla, assolutamente. Zero, eccetto una minuscola cosa che le era appena comparsa in mente e che proprio l’ex-grifondoro aveva nella mano sinistra. Alzò la fotocamera di fronte al suo viso e senza neanche mettere l’occhio nell’obbiettivo, scattò una foto ad un qualcosa di non importante alle spalle della giornalista. La vecchia macchinetta – diciamo vintage – produsse il click tipico degli apparecchi fotografici, a cui ne seguì un altro ed un altro ancora. L’avrebbe finito così quel rullino, ma alla fine neanche le sapeva fare le fotografie. Era il miglior uso che potesse trovare per quell’aggeggio demoniaco.
«Hai visto? Sono una fotografa anche io.»

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view post Posted on 4/2/2022, 13:47
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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Ariel A. Vinstav
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«Ariel, ciao.»
La reazione arrivò in ritardo davanti allo sguardo di Mary.
Come se tutto il suo corpo fosse intrappolato nella stasi e il tempo scorresse più lentamente per lei, gli occhi si dilatarono con inquietante lentezza, simulando una sorpresa che la mente le avrebbe fatto vivere tutto d'un tratto con uno scarto di secondo.
«Ariel, ehi.»
Nel voltarsi verso la fonte del suono, il capo disegnò un mezz'arco, mentre gli occhi stralunati rimiravano le nubi in cielo, prima di ritornare più in basso.
La guardava dritto negli occhi senza batter ciglia, vittima ancora di quel placido distacco che rendeva ogni suo movimento arioso, surreale e delicato.
Il sorriso che le comparve sulle labbra, poi, aiutava soltanto a rendere ancora più strana e distorta la realtà che Ariel sembrava stare vivendo.
«Ehi.»
Lo sussurrò, lasciandosi scappare poco dopo un sospiro pesante.
Abbassò le spalle di scatto, come se un peso fosse stato improvvisamente tolto dalle sue spalle.
Click
Trigger positivo: un nistagmo agli occhi e un improvviso raddrizzarsi della schiena furono il segnale di una macchina che si rimetteva in moto.
Il cervello schermava i suoni, i flebili pizzicare di corda che solo il suo udito sembrava capace di captare e la riportava lì, fra i viottoli del St. Pancras Old, vicino alle lapidi screziate di licheni, lì da Mary Granger.
«Buongiorno.» Il sorriso si ravvivò, si arriccio soddisfatto in una smorfia che nella sua genuinità ricordò quella di un bambino.
Improvvisamente il velo era stato tolto e Ariel sembrava più vicina all'immagine di artista eccentrico, spensierato e sempre in movimento.
Portò i dorsi delle mani contro gli occhi, stropicciandone la pelle nel tentativo di ridestarsi.
«Scusami.» Fu la prima cosa che disse. Passava le mani contro le guance e poi il collo, massaggiandolo per cercare di ridurre l'intorpidimento che ora percepiva alle giunture del corpo.
«Ogni tanto mi succede di ... perdermi, ecco.» Umettò le labbra, mentre dava spazio all'ostinazione di dover mettere in ombra la sua vita davanti al prossimo. Si costrinse ad un sorriso più ampio, mostrando la dentatura bianchiccia quasi come a voler emulare il principio di una risata.
Questa, però, non arrivò mai.
I tasselli della sua memoria arrivarono lenti a comporre un ricordo davanti alla presenza di Mary.
L'espressione di finto divertimento mutò rapidamente in genuino stupore.
La bocca pendeva aperta
«Oh.» mentre finalmente capiva chi aveva davanti, chi l'aveva aiutata.
Mary "Mi frequento con la ragazza che ti piaceva" Granger. «Oh!»
Mary "Mi hai fatto fare una figura tremenda davanti a tutti e voglio sotterrarmi" Granger. «Ah!»
Mary "Vi sto servendo da mangiare a lavoro durante San Valentino, è meglio se sotterro te" Granger.
«Beh questo ... è un incontro ...ehm, un po' inaspettato, ecco.» Stentava a trovare le parole, mentre a ridarle lucidità incalzava un imbarazzo sempre più incipiente.
Col volto paonazzo si strinse con le spalle nel cappotto.
«Dici che faccio in tempo a scusarmi per averti disturbato adesso e essermi comportata in maniera terribile a quel vecchio vecchio ballo?»
 
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view post Posted on 7/2/2022, 17:26
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Mary J. Grengerex grifondoro | 20 anni | reasonably happy
Si chiese per un attimo se fosse il caso di preoccuparsi, sicché Ariel non dava l’impressione di poter tornare nel mondo reale, al suo fianco.
Poi, qualcosa funzionò. Era stata in dubbio fin dal principio sull’utilità di quella macchina fotografica, ma dovette ricredersi. La sua funzione era cogliere gli attimi e forse un giorno riguardando le foto di quel rullino le sarebbe venuta in mente Ariel e tutto quello che la giornalista si portava dietro.
Con calma portò il laccetto della fotocamera intorno al collo, e si affrettò invece a dare spazio ad Ariel portandosi di un paio di passi indietro.
Pensò che quella potesse essere considerata la sua prima azione buona da quando era tornata a Londra e che da Zinder aveva effettivamente imparato qualcosa: non perdersi subito d’animo. Ricambiò il sorriso di Ariel. «Buongiorno a te.» Se la bionda non avesse fatto riferimento ai secondi precedenti, avrebbe evitato anche lei. Seguì i movimenti delle sue mani e con fare emulativo si stropicciò anche lei gli occhi. Se Ariel avesse sbadigliato, lo avrebbe fatto anche io.
«Non c’è nulla di cui scusarti.» rispose di getto, senza voler sentir ragione, con un tono di voce finalmente adulto, calmo, differente dalla ragazza balbettante che ricordava essere qualche anno addietro. Non sapeva se fosse stata l’età adulta o la morte di Olivia, ma ora affrontava la vita con estrema lentezza, senza affanni, senza la necessità di correre. La sua gioventù era stata una rincorsa alla stazione per non perdere l’ultimo treno, ora invece sentiva che se l’avesse perso poco male, avrebbe atteso la mattina dopo.
«Anche a me capita, delle volte.» Mentì perché ritenne che condividere esperienze simili mettesse l’altro a proprio agio. «Mi perdo continuamente. Anche il fatto che io sia qui è strano, cioè che posto è questo, alla fine?» tentò di scherzarci su e accennò un sorriso nella speranza che ad Ariel non desse fastidio l’idea di ridere su certi eventi non troppo allegri.
Ma il sorriso di Ariel mutò e non seppe se per colpa sua o meno.
Un incontro inaspettato? Per via del cimitero? Per via di ciò che era successo poco prima? Ah, per via del fatto che lei era Mary ho una crush per Jolene Grenger che di fronte aveva Ariel ti ho rovinato il ballo di professione giornalista?
Si trattenne dal tirare un sospiro stanco e piuttosto lo nascose dietro un respiro un po’ più ampio. Sperava che Ariel non ne parlasse, che se ne fosse dimenticata come aveva tentato lei di eliminare le magnifiche umiliazioni della sua vita.
«Puoi non scusarti per avermi disturbato ora, ma per il ballo ecco, vedi…» abbassò la testa e si strinse nelle spalle. Cercò di prendere tempo per capire come reagire. Non nutriva nessun reale rancore nei confronti di Ariel semplicemente perché all’epoca non aveva possibilità con Jolene e l’intervento della giornalista non aveva davvero rovinato qualcosa. «Non lo ricordo per nulla.» Alzò di scatto la testa e accennò una risata nel guardare Ariel. «Assolutamente nulla. Cioè, ricordo di essere stata ubriachissima, forse un po’ molesta. E ricordo decisamente la tua faccia, quello sì…» guardò più attentamente il volto di Ariel come per controllare che fosse davvero lei quella di cui stava parlando. «Sì, proprio tu. Ma nient’altro. Quindi, come puoi notare, nulla di cui scusarti.» Ricordava tutto di quella sera: di quanto era bella Jolene, di come i suoi capelli le incorniciavano il viso, dei suoi occhi talmente belli da non voler mai smettere di guardarli; ricordava anche altre cose di quella sera e ricordò di aver vomitato anche il pranzo di tre giorni prima alla fine della festa. Ma scelse di non dire nulla, perché un po’ le faceva male menzionare quelle cose, un po’ perché non le andava di mettere Ariel in difficoltà. Preferì deviare il discorso su altro, e si guardò intorno un attimo per capire cosa dire. «Tu che fai qui?» portò la fotocamera in su per mostrarla all’altra. «Io sto chiaramente cercando il mio lato artistico, ma non penso di averlo.» fece un mezzo sorriso, poi sussultò quando per sbaglio un click partì dalla sua fotocamera. Era negata.

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view post Posted on 14/2/2022, 00:44
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Ariel A. Vinstav
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«Anche tu?» Se Mary voleva risollevarla ci stava riuscendo perché le mostrò un sorriso tenue, cercando di mostrarle gratitudine.
Era un work in progress, ma era sulla buona strada per la ripresa.
La voce aveva ancora un tono leggero e lo sguardo mancava di concentrazione, andando facilmente a soffermarsi sui dintorni del cimitero, anziché la ragazza vicino a lei.
Le pupille ancora leggermente dilatate erano il segno di una connessione con la realtà ancora labile; stava meglio, ma trovarsi lì doveva essere una prova non da poco per la sua capacità di controllo.
"La prossima volta la passeggiata la faccio in campagna"
Quel pensiero canzonatorio per se stesse le fece scappare una risata flebile, ricordante più uno sbuffo che altro.
Si stava distraendo di nuovo.
«Ah. E' un cimitero, sì?» La domanda di Mary era retorica, ma la voce di Ariel sembrava tradire con quella risposta un'improvvisa consapevolezza, come se fosse ovvio che fra tutti i posti quello in cui si sarebbero incontrate sarebbe stato quello il prescelto.
Annuì persino, come se il suo corpo volesse confermare l'ovvietà del momento.
"Ora spiega il problema alle orecchie."
Si toccò queste istintivamente, massaggiando i lobi prima e coprendo i padiglioni con i palmi dopo.
«Io sì.» Lo disse ancora prima di riflettere sul da farsi.
Lei il ballo lo ricordava bene, perché ci aveva riflettuto per mesi a quell'incontro e quell'imbarazzante figuraccia, a come si era detta di aver dimostrato come sempre di essere totalmente inadatta alla sfera del sociale, alle aspettative e le usanze convenzionali fra amici e conoscenti.
Ci aveva riflettuto per mesi, perché dopo aver baciato Jolene aveva accreditato a quell'episodio un'importanza diversa, rivelando dietro l'imbarazzo della giornalista a castello, un'inguaribile paura di rimanere da sola.
«Mi sento in colpa, onestamente. Sono stata inadeguata ed egoista.»
Quindi, inconsapevole di come Mary volesse sfuggire dal recuperare certi ricordi, lei avanzò delle scuse a riguardo.
Le mani lasciarono lentamente le orecchie, cercando di riabituarle al resto dei rumori che le circondavano — erano leggeri, perché alla fin fine si trovavano in un cimitero, ma si comportava quasi come se ogni fruscio fosse assordante. Strinse di scatto l'orecchio sinistro quando ad una dozzina di metri più in là, un cardellino spiccò il volo.
«Sono stata molesta — ben più di te, forse? Non ricordo — e inopportuna. E.. uh.> Si interruppe, girandosi di scatto verso sinistra e poi verso destra.
L'occhio rimasto aperto si orientava a malapena mentre ripercorreva la linea dell'orizzonte, soffermandosi su zone sgombre del cimitero, fra una lapide e una cappella, una guglia e una nicchia, tra le siepi e i pioppi.
«Je déteste le bruit qu'ils font.» Borbottò, scoccando un'occhiata torva all'aria.
Nella sua testa era un commento a mezza voce solo per se stessa, inconsapevole di come Mary il francese lo masticasse un po'.
"Odio il rumore che fanno" non era proprio il modo migliore per presentarsi dopo aver dissociato in giro per un cimitero.
«Stavo... non stavo andando qui, ma ci sono finita. Mi hanno distratta.» Tentennò nel dare una risposta sensata, temporeggiando quando si ritrovò col guardare nuovamente verso il cielo.
"Respironi."
Inspira, espira. Chiuse gli occhi per un attimo, prendendo un profondo respiro e poi scosse la testa.

click

Un nuovo trigger positivo, un suono che era casa e certezza.
Quando riaprì gli occhi le pupille erano meno dilatate. Sbuffò, trattenendo l'ennesima risata a fior di labbra.
«Posso vedere?» La mano sinistra venne sollevata, offrendole il palmo. «Sembro fatta, ma le foto penso di saperle ancora fare.»
 
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view post Posted on 24/7/2022, 15:17
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Mary J. Grengerex grifondoro | 20 anni | reasonably happy
«Sì, è un cimitero.» Non sapeva se rispondere a tutte le domande di Ariel fosse giusto, soprattutto dal momento che la ragazza le pareva ancora piuttosto confusa, ma cercò di mantenere un tono quanto più calmo e pacato possibile. Considerò che seguire quel flusso di idee e il suo comportamento fosse la cosa migliore. Ariel era così distratta, così assorta nei propri pensieri da fornire a Mary tutto il tempo necessario per darle un’altra occhiata ben più attenta. Era più bassa della ex-grifondoro e i suoi capelli erano così chiari che le venne da pensare che il sole potesse danneggiarli. L’aveva vista anche in momenti differenti, ma pensò in quel momento di avere di fronte una persona così fragile che qualsiasi cosa potesse spezzare. Seguì con lo sguardo le sue mani allontanarsi dalle orecchie e le parve una cosa positiva il fatto che Ariel si stesse ambientando a ciò che aveva intorno. «Ariel-» tentò di fermarla più per sé stessa che per l’altra. Non provava nessun tipo di risentimento per la questione di Jolene – forse perché non era a conoscenza del rapporto che legava la rossa ad Ariel – e non pensava a lei da così tanto tempo che il suo ricordo aveva iniziato a perdere una forma consistente a favore delle sensazioni. Fu impossibile frapporsi tra Ariel e le sue parole. Si costrinse ad ascoltare le sue scuse e inevitabilmente si sentì catapultata di nuovo a quella serata. I particolari le sfuggivano – o meglio, quelli che non riguardavano l’infermiera – ma ricordò con chiarezza la sensazione di disagio, il sentirsi fuori posto in un luogo che era casa. Quella sensazione le provocava ancora un certo fastidio. Pensò di poter rispondere, di poter formulare una menzogna che non valesse solo per Ariel, ma anche per sé stessa, ma fortunatamente l’altra le diede un appiglio a cui legarsi. «Le bruit de la nature?» Il suo modo di parlare francese, da appena una singola frase, le parve più rude e duro rispetto a quello di Ariel che si percepiva parlasse quella lingua con una naturalezza a lei sconosciuta. «Ti prego, sì.» Appoggiò con cura la fotocamera nel palmo aperto di Ariel e quando sentì il peso dell’apparecchio scomparire, si ritrasse. «Ti dirò sinceramente, non ho idea di come si usi. Uno pensa “non sarà così difficile, no?” invece mi sa di sì.» Il suo sguardo si alternava tra l’oggetto e la donna. «Perché tu sei una fotografa, giusto? Credo di aver visto qualcosa di tuo sul Profeta.» Ah, ecco. Ora i ricordi un po’ sfocati iniziavano a formarsi con un po’ di senso in più. Ricordava avesse una fotocamera alla festa di fine anno, forse c’era finita anche lei in una foto. «Puoi confermare che premere semplicemente il tasto non è abbastanza, giusto?»

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Ariel A. Vinstav
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«Le bruit de la nature?»
Mary continuava a toccare i tasti giusti.
Se c’era qualcosa che l’aiutava in quelle circostanza era la somministrazione graduale di ricordi e situazioni facenti parte della sua comfort zone. Ogni persona aveva la sua storia e i suoi punti di fragilità, quindi quello della Grenger era un azzardo. Eppure, si muoveva sui binari giusti, senza commettere un errore nella “riabilitazione” della giornalista.
Il sorriso tenue si fece più ampio.
Teneva ancora un occhio chiuso e le mani erano scivolate dalle orecchie agli incavi del collo, chiudendosi contro questi per sfogare il continuo seppur accennato fastidio che provava.
« Non. Je veux dire … un peu. Nous faisons partie de la nature elle-même, à la fin.»
“No. Cioè, sì … un po’. Facciamo tutti parte della natura del resto”
Abitava da due anni in Inghilterra, ma quando parlava francese l’accento della Loira era ancora marcato, decisamente diverso da quello meno spigliato di Mary.
Quando aggrottò la fronte e scoccò un’occhiata stupita e confusa alla ragazza, era facile prevedere cosa stesse per dirle.
«Parli francese.»
Nemmeno pose la domanda. La sua era un’affermazione bella e buona, con una nota accusatoria nella voce che lasciava sottintendere quasi un “ma come è possibile?”. Si era abituata così tanto all’assolutismo anglofono da dimenticare che un inglese poteva anche imparare un’altra lingua, esattamente come aveva fatto lei.
«Non ti preoccupare, comunque. Ogni tanto succede che non riesco ad ignorarli e … niente i suoni a volte mi confondono e poi …»
A furia di volersi sempre scusare col prossimo aveva cominciato a cercare una giustifica, qualcosa che la congedasse dal “fastidio” dato a Mary. Facendo così, però, aveva inconsciamente cominciato a mettere troppa carne sul fuoco.
C’erano solo loro in quel tratto del cimitero.
Sembrava pazza a parlare di suoni e distrazioni che nessuno poteva vedere.
«Beh ora ti sto solo dando motivi in più per pensare io sia fatta.»
Ora che si stava riprendendo, aveva cominciato a ricollegare tutto ciò che aveva detto e come si era mostrata a Mary.

Si sforzò di ridere, producendo un suono breve e poco genuino per il disagio e la tensione.
"Finisce che un giorno mi vedrà qualcuno che conosco meglio e dovrò dare spiegazioni."
«E giornalista»
Si affrettò ad aggiungere, mentre muoveva qualche passo per affiancarsi alla ragazza.
Le mani scivolarono dal collo ai fianchi, stropicciando con le dita il tessuto verde del parka.
«Dipende molto dalla qualità dell’obiettivo e della luce. A volte è solo bisogno di pazienza: aspettare di trovare l’angolazione giusta, il riflesso e le ombre giuste … facciamo una prova? Fammi vedere cosa volevi fotografare.»
Aveva ripreso a straparlare un po’ per la logorrea da “che bello parlare di cose che mi piacciono”, un po’ perché “ho l’ansia e devo distrarmi “.
 
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view post Posted on 26/7/2022, 11:09
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«Parli francese.»
«Sì.» Non le fu posta come una domanda, tutt’altro; il tono di Ariel le strappò anche un leggero sorriso, le pareva una bambina quando per la prima volta scopre qualcosa di cui altri sono già a conoscenza. Eppure, nonostante non fosse una domanda, sentì di dover fornire una spiegazione. «Sono stata in Niger, in Africa per- ahm, credo più di un anno? Ma ho anche preso lezioni fin da quando ero bambina.» Ariel la confondeva, comunque. Non riusciva a capire se il suo parlare la tranquillizzasse o meno e Mary non era sicura di sapere come comportarsi. «Tu invece? Il tuo accento sembra più francese del mio, credo.»
Seguì con la coda dell’occhio le mani di Ariel fino a che raggiunsero il vestito per poi tornare al volto quando questa le parlò. «Quindi non ho solo visto qualcosa di tuo ma avrò anche probabilmente letto qualcosa, capito.» Sforzare la memoria fu inutile: già tanto se riusciva a ricordarsi il testo di un articolo, ma l’autore spesso le sfuggiva. Le venne da pensare che forse ci avrebbe dovuto prestare più attenzione a chi scriveva le cose, era in un certo senso maleducazione non dare merito a chi si era impegnato tanto per indagare e fornire ai lettori del materiale veritiero. La voce della bionda la riportò con i piedi per terra. Ariel l’aveva affiancata e, da qualche posizione, le parve ancora più bassa. «Cosa voglio fotografare?» Con un po’ di imbarazzo iniziò a guardarsi intorno, nascondendo l’indecisione dietro una leggerissima risata. Effettivamente era qualcosa a cui avrebbe dovuto pensare prima di mettere piede in quel luogo, forse anche prima di mettere piede fuori casa. Alzò la testa verso il cielo che le si presentò come una sola, grossa, grassa nuvola grigia, non molto attraente da fotografare. Abbassò la testa di nuovo verso la tomba che aveva di fronte, quella di Mary Wollstonecraft e William Godwin. «Ahm, questa va bene?» Puntò con l’indice verso la tomba, ponendo con indecisione il suo sguardo verso Ariel. Il suo sguardo mutò improvvisamente e gli occhi le si aprirono un poco, come quando vieni colto da un’idea geniale che non puoi ignorare. «Ma è vero che ai fotografi non piacere essere “sotto i riflettori”?» Alzò le mani virgolettando nell’aria. «Se io volessi fotografare te, scapperesti via? Perché penso di aver letto questa cosa dei fotografi che si nascondono dietro l’obiettivo?» Giocò con il labbro inferiore mentre guardava un punto indistinto dietro la testa di Ariel. «Confermi o neghi?» Riportò il suo sguardo verso l’altra. Voleva alzare la mano e simulare un microfono da avvicinare alla bocca di Ariel ma nel momento stesso in cui il suo pugno si chiuse all’altezza del fianco, pensò non fosse una buona idea. La giornalista le si era avvicinata e sembrava a suo agio rispetto a quando era arrivata. Come un gatto, qualsiasi mossa improvvisa l’avrebbe allontanata.

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Ariel A. Vinstav
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Se era già alla pari di una bambina nello scoprire che Mary parlasse francese, bastò che questa parlasse della sue esperienza in Niger per vedere i suoi occhi farsi grandissimi e la bocca aprirsi in una perfetta “ o “.
Il problema? Ariel era curiosa e oltre ad avere la capacità di entusiasmarsi nel giro di un nano secondo per tutto, era anche disposta di pochissimi filtri verbali.
«Wooah! Ma-ma hai visto davvero persone usare solo le mani per fare gli incantesimi? Ho letto che una delle scuole più grosse del mondo è in Africa e che sono tipo dei geni delle stelle e la trasfigurazione. Ne hai visti di maghi di Uagadou? È vero che in Africa di giorno fa caldissimo e di sera fa freddissimo? O Galdra mio, ma hai visto un Erumpent vivo? E le tigri?»
Non si accorse nemmeno di come nel parlare, via via che entrava nella sua spirale di invadenza e “devo-sapere-tutto-ora”, la mano destra aveva cercato la manica della veste altrui per cercare di tirarla lentamente verso di sé – quasi come a volerle dire col corpo un “dai dai, parla!”.
L’unica cosa che sedò la sua parlantina fu la domanda sul francese.
Il sorriso regredì in una sua forma più sghemba, accompagnata da una nuova nota di colore: compiacimento e soddisfazione.
«Sono bilingue e con due nazionalità. Francese e Islandese.»
Se la stava tirando un pochino, sì.
«Io sono andata a Beauxbatons, le mie cugine ad Hogwarts e in Islanda metà delle cose sono sempre trascritte in inglese, quindi…»
Contando quanto è curiosa e quanto le ultime generazioni della sua coven siano integrate nella comunità islandese, sembra ragionevole che anche Ariel sappia l’inglese a discapito di tutto; costringerei a scriverlo e parlarlo ogni giorno, poi, non poteva che essere stata una fase di svolta per il miglioramento del suo linguaggio.
«Quindi non ho solo visto qualcosa di tuo ma avrò anche probabilmente letto qualcosa, capito.»
La sua testa aveva già elaborato una risposta anche per quello.
“Se ha letto l’articolo del Barnabus rischio o una strillettera nell’orecchio o un batticinque”
Da quando aveva causato un fiume di chiacchiericci sull’operato del Preside durante il Barnabus Finkley, una volta averlo quasi accusato di lucrare con delle scommesse sui suoi studenti, aveva sempre timore di ritrovarsi alle calcagna qualche studente fedele pronto ad attaccarla per le sue speculazioni.
«Mmh. Ho scritto un pezzo qualche tempo fa sul caso di negromanzia nell’Exeter?»
Quindi decise di far puntare l’attenzione sulla sua carriera sulla cronaca nera, decisamente distante dalle inchieste e i pezzi sulla scuola di magia (e probabilmente anche più interessanti per chi non ci studiava più).
Nel mentre che parlava il suo linguaggio del corpo tornava gradualmente più naturale.
Lo sguardo seguiva meglio gli stimoli della luce e le pupille non più dilatate dalla dissociazione, seguivano con attenzione gli spostamenti del corpo.
Occasionalmente però continuava a pizzicarsi il cappotto con le dita, sfogando sul tessuto gli effetti della tensione, labile ma costante.
«Oh»
Seguì la mano di Mary fino alle tombe dei signori Wollstonecraft e Godwin.
«Autore di Giustizia Politica e Autrice della Rivendicazione dei Diritti delle Donne.»
“Un esperto di giurisprudenza e filosofia politica e una femminista filosofa, sepolto insieme dopo essere stati insieme in vita.”
Rimase in silenzio qualche secondo dopo aver letto le iscrizioni sulla tomba, poi tornò a sorridere.
«È un’idea bellissima per un soggetto. Potremmo fare qualche scatto sull’iscrizione e altre di profilo per far vedere anche il fianco della Chiesa e gli accenni di boscaglia, per mantenere l’armonia di colori fra grigio e verde e … beh anche perché è un bel posto; chiasso a parte»
Chiasso che sentiva solo lei, ma va bene.
Portò lo sguardo verso il cielo, adocchiando le nubi grigie.
“Non sarebbe male se cominciasse a piovere. “
Quando abbassò la testa si ritrovò a sorpresa la mano di Mary protesa verso di lei, tenendo un ipotetico microfono.
„Ok, Ariel, puoi metterti qui per piacere? Qui, un po' più a destra. Aspetta...“
Per un attimo la voce di una Jolene più felice le tornò alla mente, assieme al ricordo prezioso del loro incontro nei giardini di St. Patrick’s.
«Diciamo che se ci sono delle foto mie in giro o ritraggono me nascosta da qualche parte a fare una foto a mia volta, o sono stata costretta a stare in posa e sto cercando una via d’uscita.»
Mentre parlava le mani si chiudevano attorno ai lembi del cappotto, aprendolo verso l’esterno come se la presenza del soprabito le desse fastidio.

 
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view post Posted on 27/7/2022, 20:32
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Mary J. Grengerex grifondoro | 20 anni | reasonably happy
La personalità di Ariel non smetteva mai di sorprenderla: era come un giro sulle montagne russe, un continuo salire e scendere che era sia elettrizzante che snervante. Era arrivata comunque ad un punto di resa: decise di smettere di controllare con attenzione le cose che diceva e semplicemente parlare apertamente. D’altronde, per quanto fosse così imprevedibile la giornalista, era impossibile per Mary capire come comportarsi. La bocca di Ariel si aprì così comicamente che all’ex-grifondoro scappò una risatina divertita. Se da una parte sentiva di aver a che fare con una bambina alla scoperta del mondo, dall’altra apprezzava tantissimo l’abilità di Ariel di entusiasmarsi così facilmente, soprattutto per cose che non la riguardavano direttamente. La sua felicità le parve così contagiosa che anche Mary si trovò con entusiasmo a parlarne. «Sì. No. No, credo? Aspetta, aspetta.» Alle sue parole confuse seguì il gesto con le mani per fare cenno ad Ariel di rallentare. «Allora, fammi un attimo pensare.» Non era passato così tanto da quando era tornata a Londra ma riuscire a condensare un anno e passa di ricordi in poche parole le risultava tremendamente difficile. «Sì, usano solo le mani ed è una cosa super strana ma anche super affascinante? Mi fa impazzire il fatto che io ogni mattina devo ricordarmi di prendere la bacchetta mentre loro devono solo ricordarsi le formule.» Era la cosa che più l’aveva sbalordita, appena arrivata a Zinder. Fortunatamente, evitò di fare brutte figure chiedendo “ehi, la vostra bacchetta?” e si documentò da sola. «Ed è anche una cosa tremendamente difficile. Ho provato a fare qualche incantesimo, ma niente di che. Ed è una sensazione strana, non saprei descriverla.» Aveva provato ad accendere una fiamma, una delle cose più elementari possibile ed era finita con la mano ustionata. Sviò la domanda sulle stelle, argomento troppo vicino alla divinazione e, per come le era sembrata Ariel, rispondere ad una domanda significava rispondere ad altre cento. «Dov’ero io, faceva caldo sia di giorno che di notte. E poi, all’improvviso, faceva solo freddo. Comunque, quando sono arrivata sono tipo, svenuta? Mi sono ammalata per il caldo.» Si aggrappò all’ultima domanda, per concludere. «Niente tigri. Cioè, sono super convinta ci fossero, ma io non ne ho viste. Mi dispiace.» Provò quasi un senso di colpa nel fornirle quella risposta, ma di certo non poteva mentire. Non ad Ariel.
Sentì la pressione sul cappottino e si avvicinò istintivamente alla giornalista che ora ascoltava con curiosità. Lasciò uscire un “ah” vittorioso quando questa le confermò di essere francese, per metà almeno; comunque, una vittoria per lei. «Com’è Beauxbatons? Il livello è più alto del nostro? Del mio? Dopo aver incontrato alunni di Uagadou e te mi sembra di sapere così poco su tutto.» Storia della magia era comunque la materia su cui aveva più lacune, non aveva problemi ad ammetterlo. Arrivata a Zinder, però, si era resa conto di sapere così poco su tutto.
Cercò di riflette sull’articolo nominato da Ariel, ma proprio non le venne in mente nulla. «Mh, no, mi dispiace. Quindi ti occupi di…?»
«Autore di Giustizia Politica e Autrice della Rivendicazione dei Diritti delle Donne.» *Ma c’è qualcosa che non sa? Cioè, è permesso per una persona essere così intelligente? I M.A.G.O. quando li ho presi, due anni fa? Gargoyle, devo leggere di più*. Seguì il ragionamento della bionda e iniziò a guardare con occhio più attento la tomba. «Quindi se mi sposto più in qua-» fece due passi verso la sinistra della tomba. «-e mi inginocchio, riesco a prendere anche la facciata della chiesa dici?» Fece una prova, molleggiando un paio di volta prima di stabilizzarsi nella sua posizione. Poi, con fare goffo, riunì le mani in quella strana posizione che vedeva sempre fare ai fotografi per simulare l’obbiettivo. «Così?» Alzò di nuovo la testa verso Ariel, aspettando una risposta. «Rispondi bene o finisci nel mio ancora inesistente album fotografico

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view post Posted on 8/8/2022, 00:39
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Ariel A. Vinstav
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Mary aveva ragione a paragonarla ad una montagna russa.
Ariel era un polo magnetico per le emozioni -- le sue e quelle altrui.
Non a caso le bastò vedere l'ex-grifondoro sorridere, contagiata dal suo improvviso entusiasmo, perché l'espressione entusiasta della francese si accentuasse.
Era come aggiungere fiamme ad un camino già scoppiettante.
«Ok ok ok ok»
Le aveva detto di aspettare e così avrebbe fatto. Peccato che fosse dotata di una centellinata quantità di pazienza: mentre Mary pensava, Ariel ondeggiava sul posto, alternando uno spostamento dei fianchi e le spalle ad un abbassarsi e alzarsi frenetico delle punte dei piedi.
«Ohwow OH wow. Oh wow wow wow. Cioè, WOW. Nel senso che è WOW.»
Sollevò di scatto le mani, cercando di puntare il proprio volto con le dita.
Sfarfallò le falangi, prima di borbottare «Barbeee». Il tono di voce era volutamente graffiato e tremulo, a voler ricordare un'imitazione fatta molto male di un anziano. Le dita pizzicavano il mento, come se si stesse pettinando una barba che ovviamente non comparve mai.
«A casa ci riprovo.» Aveva appena trovato una cosa nuova su cui fissarsi per i prossimi tre giorni, prima di trovare che qualcos'altro la distraesse.
«Ma c'è un sacco di sabbia dove stavi tu? Oh no. Ma l'hai ancora? La malattia del caldo, intendo.» La montagna russa emotiva di Ariel era passata dall'esaltazione alla preoccupazione il che era a dir poco comico: fino a dieci minuti fa non era nemmeno consapevole di aver camminato fino a lei ed era stata proprio Mary a intervenire per aiutarla, ora improvvisamente si sentiva lei la figura investita del dovere di aiutare, quando molto probabilmente i problemi di calura di Mary erano belli che lontani.
«Io sono abituata al freddo, non al caldo. La mia famiglia sta a venti minuti a piedi da un ghiacciaio, sai? Lì effettivamente c'è chi si ammalava per il freddo e mio nonno gli dava il muschio. Però il muschio forse lì con quel caldo non c'è: forse hanno un rimedio di sabbia?»
Spegnetela.
In un attimo l'argomentazione sull'Africa venne coperta da quella sulla Francia.
Stavolta toccò a lei fermarsi per ragionare. Una parte di lei avrebbe voluto dirle che Jolene e Lucien le erano cari e vicini, quindi affermare non fosse una fan di Hogwarts sarebbe stato come affermare di non apprezzare i loro sforzi e il loro lavoro, ma persino lei era capace di intuire come l'Infermiera fosse un soft-spot e che parlare della Scuola inglese era un argomento spinoso, specialmente visto il forte campanilismo britannico e l'astio secolare con il suo paese.
Insomma, doveva decidere come calibrare il peso delle sue parole.
«Non so tutto, credimi, sarebbe un successo sapere tutto a ventiquattro anni.»
Quindi cominciò dalla fine, optando per sminuirsi in un atto di umiltà per riportare se stessa e Mary sullo stesso pieno.
Storse le labbra, stringendole tra di loro. Era indecisa, non sapeva come esprimersi.
«Poniamola così: io e la tua scuola abbiamo dei trascorsi professionali burrascosi; non riesco a mettere a fuoco la figura del vostro Preside, le attività extracurriculari svolte al suo interno a volte sono pericolose e spericolate e sebbene la magia stessa è caotica e rischiosa, mi chiedo la necessità di testare la fortuna dei suoi studenti così tanto da far andare alcuni "a spasso per il tempo" a farsi rincorrere dai Draghi o dai ninja cinesi.» non esistono i ninja cinesi «Allo stesso tempo la sua storia è affascinante, molti membri del suo staff sono di prestigio e conosco due dei loro Caposcuola in carica e li considero maghi e studenti brillanti.»
Stava palesemente usando la regola del "ti do una critica e poi un complimento" per cercare di non risultare troppo spinosa.
«Però non penso potrò comprendere mai la questione delle Case: l'Inghilterra ha alle radici una storia di conflitti interni nati dalla necessità di giocare tutto sulla rivalità per perfezionarsi. Metà dei maghi più celebri della storia nord-europea sono morti perché uccisi dai loro parenti e confidenti più grandi: non pensi che dividere dei bambini fino alla prima età adulta in un gioco a punteggi dove ogni loro mossa viene criticata e valutata, sia meno perfezionante e più opprimente? Diventa una gara a chi è perfetto e chi no.»
Il sunto? Per lei Beauxbatons era meglio.
Si fermò che il fiato le era venuto totalmente meno: si era di nuovo fatta prendere così tanto da dimenticare di respirare e dare delle pause a se stessa e chi la ascoltava.
Si portò le mani alle bocca, tappandola di istinto e abbassando lo sguardo come a voler dire col corpo "scusami un sacco":
«Giornalismo» Quindi decise di concludere la sua logorrea con una semplice domanda.
Era presumibile che vista la sua professione, avesse messo il naso fin troppo sulla Storia della Magia -- ora che avesse così tanto da dire sulla sociologia magica del loro tempo era poco sorprendente.

Quando Mary si voltò a cercare la sua approvazione per scattare la foto, sollevò le dita facendole un segno dell'"ok".
 
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view post Posted on 23/8/2022, 15:36
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Mary J. Grengerex grifondoro | 20 anni | reasonably happy
In un modo strano – che le risultava anche difficile da spiegare – notò che la vicinanza ad Ariel la tranquillizzava. Rilassava, addirittura. Pensò potesse essere dovuto al fatto che la presenza della più grande bionda fosse così eccentrica, così elettrizzante, così tanto una palla di energia in movimento, che il suo essere semplicemente Mary sembrava poco. Sembrava il giusto. Di solito, quando era ancora ad Hogwarts, era lei quella che saltellava su e giù con un’energia agli altri sconosciuta. «No, non me la sono portata dietro, per fortuna.» La mano raggiunse il collo e da sotto la maglia ne uscì un piccolo ciondolo. «Però mi sono portata dietro un po’ di sabbia.» La collana presentava al suo centro quella che pareva una pietra per metà trasparente, mentre l’altra metà era di un marroncino molto chiaro. «Mi hanno detto che diventa completamente marrone quando sei a casa. Ma, come vedi-» fece cenno di guardarsi intorno. «Non funziona.» Ci pensò. «Poi, chissà cosa intendono per “casa” loro.»
Per i tratti estremamente nordici, aveva supposto Ariel fosse qualcuno che preferisse il freddo. Lo preferiva anche lei. Il freddo aveva sempre significato Hogwarts, l’estate era sinonimo di noia e quindi era naturale che volesse passare più tempo al castello che fuori. Fece un piccolo cenno con la testa ma non rispose, anche perché del periodo in cui si era ammalata ricordava molto poco. Quello che invece catturò molto la sua attenzione fu la descrizione di Hogwarts da parte di Ariel. Non aveva mai sentito parlare del castello da qualcuno che non lo aveva frequentato. Avrebbe voluto volentieri ribattere ma «effettivamente una volta, un quadro mi ha trasportato al suo interno e stavo per morire. Mi pare fosse al primo anno, sai?» Il castello era un ambiente pericoloso, non si poteva dire il contrario. Anche l’idea stessa di essere un membro dell’esercito degli studenti, ora, le pareva un estremismo non indifferente per dei ragazzini ai primi passi con la magia. «Credo che le case siano utili per creare un’identità di gruppo, per accumunare persone con caratteristiche simili. Forse hai ragione, sai? Ma la tua è una prospettiva esterna non solo ad Hogwarts ma alla nostra cultura. A noi piace competere, immagino. Piace sentirci importanti e piace vincere.» Il punto di vista di Ariel era giusto e comprensibile e per un attimo si sentì quasi sotto accusa. Nessuno ad Hogwarts si era mai lamentato delle casate, però, e anzi l’appartenenza era sempre stato il motore di tutto l’impegno che ognuno ci metteva in ogni materia. «A Beauxbatons non siete divisi in casate? Non siete divisi per nulla? Come scegli il tuo compagno di camera? Oh, non dirmi che avete stanze singole, eh!»
Cambiò posizione e, in piedi, scattò la foto allo stesso punto di prima per cercare di capire come la luce cambiasse. Mentre nascondeva il viso dietro la camera, un pensiero iniziò a formarsi nella sua testa. Era un pensiero che si era fatto spazio con i suoi tempi e senza rovinare il suo umore, il che di per sé era già una conquista. «Ariel-» non tolse il viso dalla camera e non smise di concentrarsi su ciò che vedeva attraverso la lente. «Come sta Jolene, comunque?» cercò per un attimo lo sguardo della bionda, poi tornò a concentrarsi su un altro punto nel cimitero. «Lavora ancora al castello?»

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view post Posted on 12/9/2022, 12:48
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Ariel A. Vinstav
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Bastò che le venisse mostrata la collana perché gli occhi blu si facessero grandi grandi, come grossi Galeoni scintillanti.
«Woaah!»
Sfarfallò le ciglia chiare, prima di muoversi rapida verso la maga. Nonostante fosse poco meno quattro centimetri più bassa di Mary, Ariel sembrava nettamente più piccola e minuta di lei, mentre le si avvicinava avvolta nel cappotto. Riunì le mani al petto e si chinò all'altezza dello sterno della ragazza per poter osservare ad un palmo di naso i grani di sabbia.
«Alò.»
Scosse la mano destra in segno di saluto, facendo "ciao ciao" al gioiello.
«Own, poverini.»
A non trovare casa era Mary, ma lei insisteva a condividere attenzione ed empatia con la sabbia incastonata.
Storse le labbra in una smorfia, alzando la testa per tornare a guardare dal basso l'ex-grifondoro.
Gli occhi grandi erano ora velati da emozioni nuove, la confusione prima fra tutte.
«Beh di certo la casa del deserto non è a Londra. Non ha molto senso, non credi? Cioè, il ciondolo ha preso un pezzo e l'ha portato via da casa sua: è lui che non trova casa, no?»
"Non tu", era un'aggiunta sospesa fra le parole, evidente, ma non necessaria da specificare.
«C'è chi dice che casa è dove abita la propria famiglia, ma i miei genitori abitano in Francia e il resto in Islanda»
Si allontanò di un passo, cercando di ridare spazio alla povera Mary, nuovamente assediata dai suoi flussi di coscienza e inalterabile
«Forse è più corretto dire che casa è dove ti senti più te stesso? Ma in quel caso significa che puoi averne più di una. O è il posto dove hai più ricordi? Perché in quel caso io ne avrei tre.»
Tre case per Ariel: il cottage d'infanzia nella valle della Loira, Skjòl in Islanda e la Lilac Cabin nel sud dell'Inghilterra.
Umettò le labbra con la punta della lingua, portando rapidamente le dita fra i capelli.
Passò i polpastrelli contro la pelle, cercando di indursi alla calma con stimoli positivi come un leggero massaggio.
Stava di nuovo rischiando di perdersi in un bicchiere d'acqua, ricoprendo se stessa e Mary di chiacchiere introspettive che non avrebbero portato ad un bel nulla.
«Mmh. Diciamo che a Beauxbatons si è competitivi perché è impossibile che tutti quegli adolescenti messi nelle stesse classi non cerchino di sentirsi migliore dell'altro, ma non avevamo i punti o colori per dormitorio.»
Alla fine della giornata la rivalità fra coetanei era quasi naturale, ma diversamente da Hogwarts la struttura accademica non si fondava su quel gioco di ruolo, ma seguiva una mentalità educativa totalmente diversa.
«O Morgana, voi lo potete scegliere?» Ariel storse il naso e la bocca in una smorfia dolorante che esprimeva con precisione cosa stava pensando: "Ma magari avessi potuto sceglierlo il compagno di stanza".
«Avrei pagato per una stanza singola, credimi. Penso di aver passato più notti a dormire su un divano che nel mio letto: non sono fatta per la condivisione degli spazi, ma Beauxbatons è grande e avere un pezzo di Europa che studia in casa tua non ti dà molta scelta.»
Quando venne posta la domanda su Jolene, il corpo si irrigidì di istinto.
Incontrò lo sguardo di Mary solo per un attimo: l'iniziale sorpresa si stava gradualmente tramutando in imbarazzo.
Le gote pallide si colorarono di un leggero rosso. Le mani si portarono istintivamente nelle tasche del parka, cercando con le dita le cuciture interne del tessuto, così da poterci giocare e sfogare la tensione.
«Mh-mh.» Mugugnò in segno d'assenso, muovendo la testa in qualche cenno di conferma.
«Lei ... sta, ecco. Voglio dire, "spero meglio". Ormai da Hogsmeade è passato un po' di tempo.»
Che la White fosse stata testimone della strage di High Street al villaggio per lei era ovvio: era stato un evento di cronaca popolare e vicinissimo a studenti e staff di Hogwarts, che l'Infermiera potesse in qualche modo esserne stata emotivamente colpita sembrava un ragionamento semplice.
«Perché?»
"Ma potrei farmi i cavoli miei, dai. Ma perché parlo."
 
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view post Posted on 16/9/2022, 18:21
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Mary J. Grengerex grifondoro | 20 anni | reasonably happy
Ogni volta che cercava di mettere un certo numero di centimetri di distanza tra lei ed Ariel, questa trovava il modo di saltarle addosso ancor di più. Non che Mary non fosse una super fan del contatto fisico, perché lo era: gli abbracci, le coccole, il calore e la presenza umana, erano tutte cose che le davano un piacere infinito, la rallegravano molto. Certi atteggiamenti però, certe accortezze, amava riceverle da persone che conosceva bene, da amici, familiari. La giornalista lei non la conosceva affatto, era la prima volta che scambiavano più di cinque battute a testa, la prima volta che mantenevano il contatto visivo reciprocamente per più di dieci secondi. Quindi le parve quasi giustificato il disagio che certe volte provava quando Ariel compariva a tre centimetri dal suo naso. Comunque, le sembrò di nasconderlo egregiamente: spostò il baricentro del suo corpo all’indietro – di poco, con nonchalance – e cercò di farlo sembrare un movimento dovuto, un movimento necessario per riuscire a scattare una foto da una posizione differente. «Credo che il concetto di “casa” sia così ampio che potrebbe sfuggirci per sempre.» Accodò il suo pensiero a quello dell’altra, che per di più condivideva. La casa poteva essere un luogo così come una persona, o più di una. «Un po’ mi scoraggia, però.» confidò con voce incerta. Le era parso di aver ascoltato così tanto di Ariel, di aver recepito così tanto della persona ch’era ma di non averle dato nulla in cambio. «Non che io creda molto in queste cose e come abbiamo detto, il concetto di casa è ampissimo.» prima di esprimere il suo pensiero, sembrò volesse giustificare quel filo di insicurezza. «Però Londra è la mia casa, qui ci sono i miei amici e poco lontano la mia famiglia, mi aspettavo…non so, qualcosa. Ma comunque, ehi-» cercò di lasciare cadere frettolosamente il discorso, di spostare il focus su altro. «non avrò una casa, ma almeno ora so scattare delle foto!» sorrise e non si accorse che il suo dito aveva fatto scattare il click della camera, catturando un’immagine sfocata nel verde del cimitero.
«Abbiamo un certo margine di scelta, sì.» riprese il discorso, saltando con lo sguardo tra Ariel e l’obbiettivo, ancora intenta a cercare di scattare una foto che potesse portare vittoriosamente a casa e appendere da qualche parte. Esistono corsi di fotografia? Mary non lo sapeva. «Avrai avuto l’opportunità di conoscere gente di qualsiasi parte d’Europa. Non penso sia un male, no? Tante culture, tanti modi di rapportarsi alla magia.» La nozione forse più preziosa che aveva imparato in Niger è che gli inglesi se la credono tantissimo. Mary stessa, arrivata lì, pensava di possedere delle doti magiche sopraffini, eccezionali, top del top. In realtà, era una di tante, neanche lontanamente vicina alla media e alla bravura africana.

Ariel non parve reagire bene alla domanda su Jolene e certamente non sembrava nasconderlo bene. Le apparì come un tronco che si mimetizzava perfettamente all’ambiente circostante, l’unica cosa che faceva intuire ch’era un essere umano era il generale pallore e le guance arrossate. La Mary adolescente, notati i cenni d’imbarazzo, si sarebbe affrettata a cambiare discorso per non mettere a disagio l’altra persona o avrebbe distolto lo sguardo, tirandosi indietro. La Mary adulta, invece, inclinò di poco la testa, mantenne lo sguardo su Ariel e accennò ad un piccolo sorriso mentre attendeva una risposta. Non che fosse un’insensibile pezzo di merda, sia chiaro, ma aveva notato nel tempo che gli altri se ne fregavano altamente di come si sentisse lei, che spesso empatizzassero appena. Non capiva perché lei invece doveva farsi mille paranoie prima di curiosare un po’. Fortunatamente, Ariel rispose perché anche Mary stava percependo il disagio che fluttuava tra loro. «Hogsmeade?» la voce si perse nell’aria, ma il suo viso dava a vedere la sua confusione. «Cos’è successo?» sentì la pressante consapevolezza che dovesse sapere cosa fosse successo lì, eppure nessun ricordo riaffiorava.
Il “perché” di Ariel la mise in seria difficoltà, comunque. Perché lo aveva chiesto? Che ruolo giocava Jolene nella sua vita? Nessuno, di fatti. Eppure, aveva chiesto di lei. Perché? «Non la vedo da molto, volevo solo curiosare un po’ sulla vita delle persone che mi sono lasciata dietro. E poi voi-» e qui, consapevole un po’ di malizia. «siete tanto legate, no?» nascose di nuovo il viso dietro la camera, il focus indistinto su di un uccellino che si era poggiato sull’erba. «Mi pare di avervi viste insieme qualche volta, ma potrei sbagliarmi…»

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Edited by Héloïse - 17/9/2022, 11:18
 
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