Newsroom by night, Privata

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view post Posted on 15/8/2022, 16:59
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Elizabeth

La Redazione a tarda ora cambiava completamente volto: i giornalisti a tempo pieno avevano già staccato e da dietro le porte chiuse degli uffici non si udiva un singolo fruscio. In compenso, i corridoi pullulavano di impaginatori, stagisti, stampatori e in generale di tutti quei personaggi cui il lettore medio, nello scorrere la Gazzetta l’indomani mattina, non avrebbe dedicato il più piccolo pensiero.

Da qualche settimana, e per la precisione da quando quella dannata nave era stata intercettata al porto di Millbay, Elizabeth aveva avuto largamente modo di scoprire l’aspetto notturno della Redazione: faceva dentro e fuori negli orari più disparati, per ricevere o inviare comunicazioni sulla più grossa emergenza che il mondo del Quidditch britannico avesse visto dopo la Coppa del Mondo del 1809. Se i suoi compiti di giornalista sportiva avrebbero potuto limitarsi all’inveire contro l'imposto silenzio stampa, il ruolo molto meno noto assegnatole qualche anno prima da Morgan – molto più del semplice titolare di un negozio sportivo - la immergeva fino al collo nella gestione del problema, il che spiegava direttamente perché il concetto di tempo libero, per lei, fosse ormai un lontano ricordo.

Non aiutava affatto, poi, che ogni qualvolta mettesse piede in Redazione o al negozio si ritrovava sommersa di domande petulanti e suggerimenti non richiesti, il che era molto probabilmente anche l’intenzione del mago in fondo al corridoio, che disgraziatamente pareva averla riconosciuta e ora stava sbracciandosi per chiamarla. Elizabeth evitò accuratamente di incrociarne lo sguardo e senza pensarci due volte girò sui tacchi, senza nemmeno sforzarsi a interpretare la parte di chi ha appena improvvisamente ricordato qualcosa di fondamentale. Voltò l’angolo e, sentendosi chiamare, si chiese fuggevolmente se impastoiare il tipo le sarebbe costato il posto di lavoro. Dribblò un gruppetto di stagisti estivi, probabilmente freschi di G.U.F.O., e imboccò a passo di marcia un altro corridoio, solo per ritrovarsi faccia a faccia con Colin Petticoat.

Colin, povera brufolosa creatura, aveva diciannove anni e un mucchio di belle speranze: nonostante i ripetuti dinieghi, continuava imperterrito ad offrirsi di accompagnare Elizabeth alle partite, alle conferenze stampa, in sostanza a ogni evento cui la strega fosse invitata. Il giovane aprì la bocca, ma prima di poter proferire parola fu bruscamente interrotto da una mano alzata proprio davanti alla sua faccia, come a imporgli l’alt.

«Scusa Colin, sono di corsa. Devo assolutamente discutere di una questione serissima con…» si giustificò Elizabeth in un falsissimo tono concitato, infilandosi nell’ufficio più vicino senza nemmeno curarsi di leggere la targhetta sulla porta per concludere la frase. Chiusa la porta, con la mano ancora sulla maniglia, esalò un verso a metà tra uno sbuffo e un sospiro di sollievo. Quindi appoggiò l’orecchio al battente, cercando di captare i suoni al di là del legno per uscire e filarsela non appena ci fosse stato silenzio.

 
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view post Posted on 16/8/2022, 09:00
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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Ariel A. Vinstav
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Lo scandalo del Campionato di Quidditch aveva congestionato la Redazione centrale della Gazzetta del Profeta.
Ariel, intenta a sviluppare in ufficio alcuni scatti, si era presto scoperta sopraffatta dal traffico continuo di documenti e persone.

Sotto la finestra del suo ufficio, un divano di pelle accoglieva la figura della giornalista.
Un fascicolo era aperto sul volto, schermandola la vista. Il petto si alzava e sollevava lentamente, segno fosse finalmente riuscita a rilassarsi.
Le mani, congiunte sul grembo, giocavano con il suo marimo: una piccola palla domestica di alghe che Lucien le aveva regalato.
«Mh-mh-mh»
Mugugnava le note di una canzone, accompagnando al suono il movimento continuo dei piedi: su e giù, su e giù a tempo di musica.
I capelli biondi erano sparpagliati su un cuscino foderato di rosso dal quale occasionalmente si intravedevano ricami multicolore.
Sul tavolino da caffè accanto una tazza fumante di tè era stata abbandonata a se stessa, assieme ad alcuni raccoglitori e fascicoli.

La canzone venne interrotta quando il rumore di passi e di voci si fece gradualmente più intenso. Strinse gli occhi da sotto il fascicolo, perplessa.
La curiosità la portò a tendere le orecchie e a trattenere il respiro.
Non mosse un muscolo, come se questo potesse aiutarla a sentire meglio.
«Scusa Colin, sono di corsa. Devo assolutamente discutere di una questione serissima con…»
Aggrottò la fronte, proprio mentre il rumore della porta la portò a girarsi.
“Eh?”
«Eh?»
Il fascicolo le scivolò dal volto, mostrando nella penombra il cipiglio confuso e la mano che di istinto si sollevava per schiacciare protettiva la Marimo contro il petto.
Aspettò qualche secondo prima di prendere la bacchetta da sotto il cuscino e chinarsi verso la candela spenta sul tavolino.
“Ardesco”
Quando la candela si accese, il volto semi illuminato di Ariel sarebbe stato rivolto verso la porta ed Elizabeth.
«Non dico che stavo dormendo, però stavo un po’ dormendo: ti serve qualcosa?»
Non era scocciata, ma era evidente dallo sguardo e l’intonazione che fosse abbastanza stanca.
 
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view post Posted on 19/8/2022, 22:07
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Elizabeth

Non muoveva un muscolo, tutta intenta a carpire qualsiasi rumore al di là della porta chiusa. Regnava il silenzio più assoluto, decisamente non un buon segno: niente passi in allontanamento, il che voleva dire che il povero Colin era rimasto esattamente dove l’aveva lasciato. Sperò ardentemente che il ragazzo non intendesse rimanere appostato in corridoio finché lei non avesse finito di discutere la fantomatica e serissima questione con chissà chi. Ma perché doveva accollarsi proprio a lei? Se era un mentore che cercava, per il tanga zebrato di Merlino, c’erano decine di giornalisti che adoravano essere ammirati e avrebbero senza dubbio gradito un volenteroso tirapiedi pronto a pendere dalle loro labbra ogni qualvolta avessero avuto voglia di sbrodolare qualche pomposa perla di saggezza.
Lei viceversa voleva soltanto recuperare i suoi dannatissimi telegrammi, giacché si era categoricamente rifiutata di fornire per le indagini e tutto quel che ci stava intorno il proprio indirizzo di casa, e andare a leggerseli in pace davanti a un boccale di birra scura.
«Eh?»
Elizabeth sobbalzò, finendo nel movimento improvviso per sbattere la tempia contro il legno della porta, e sfoderando la bacchetta si voltò verso la presunta provenienza di quel suono inaspettato, che si rivelò essere un corpo accasciato con un fascicolo al posto della faccia. Solo un attimo dopo notò i capelli sparsi sul cuscino, già da soli sufficienti a identificarne la portatrice, e quando il fascio di carte liberò il volto della giornalista l'intrusa aveva già riposto la bacchetta.
Aveva sempre faticato a ricordare le persone. Da vivo, Dewayne la prendeva spesso in giro sostenendo che quella superficialità nei confronti del genere umano fosse "uno dei suoi molti meccanismi di difesa". Diceva che ne aveva talmente tanti, di meccanismi, da poter a tutti gli effetti essere classificata come orologio d'antiquariato. La verità era che le relazioni umane richiedevano fiducia e pazienza, doti di cui la strega non era particolarmente fornita, ragion per cui generalmente riteneva che i legami che già aveva fossero più che sufficienti, grazie tante.
Tuttavia, difficilmente dimenticava chi, senza secondi fini, le offriva da bere in una serata storta, specialmente se era mancata l'occasione di ricambiare. Anche Astaroth, diversa da lei come il nobile giglio lo era dalla pervicace erica, era rimasta impressa nella sua mente sotto alla luce di un bicchiere pieno.
Un gesto disinteressato, che probabilmente Ariel nemmeno ricordava, in una fumosa e quantomai strana serata al Testa di Porco, ed Elizabeth non aveva più mancato di riconoscerla nell'incrociarla nei corridoi della Redazione.
Non aveva d'altro canto mai avuto la più pallida idea di quale potesse essere il suo ufficio, né tantomeno si aspettava di trovarcela dentro.
Mosse qualche passo dentro la stanza, entrando nel raggio d'azione della candela ora accesa per permettere, eventualmente, ad Ariel di identificarla. La radicata abitudine a ricercare in qualsiasi ambiente eventuali pericoli e possibili via di fuga, una volta superata la sorpresa, entrò in funzione e con una rapida occhiata circolare Elizabeth registrò il mobilio inaspettatamente sobrio e le pareti strabordanti di teche, cornici e fotografie. Ebbe perfino la vaga sensazione di riconoscere qualche volto noto, in mezzo al caleidoscopio di paesaggi e scorci urbani, ma non vi si soffermò più di tanto.
«Oh dannazione, scusa» esordì con l'usuale delicatezza. «No, per la verità non credevo ci fosse qualcuno qui dentro». Messa così, dovette realizzare, non suonava benissimo. «Cerco di nascondermi dal mucchio di scocciatori che affolla questa maledettissima Redazione senza affatturare nessuno» aggiunse quindi con un'alzata di spalle.«Non intendevo disturbarti, ti lascio riposare» concluse, per la verità piuttosto malvolentieri: l'idea di tornare nel corridoio non la allettava affatto, mentre la penombra della candela, unita all'aria che curiosamente sapeva di reagenti chimici, tè e lavanda, rendeva quella stanza piacevolmente rilassante.

 
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view post Posted on 22/8/2022, 00:59
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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Ariel A. Vinstav 📷
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China sul tavolino, Ariel osservava circospetta la figura immersa nelle ombre. La bacchetta venne sollevata e portata d'istinto verso la vetrata che inframezzava il tetto.
Con un gesto veloce scosse l'aria, accompagnata dal fruscio del tessuto.
“Aperio”
Le tende scure scorsero lungo la staffa al soffitto, scoprendo il cielo notturno.
Scivolò oltre il divano di pelle, accompagnata dal rumore scordato delle molle vecchie.
La pozza di luce lunare al centro dell'ufficio venne avvicinata lentamente dalla giornalista.

La silhouette del suo corpo ispirava immagini di femminilità, grazia, fragilità.
Era sottile e una volta sotto la luce, si scoprì pallida.
Occhi blu si facevano grandi, accogliendo la luce di cui si era privata da ore.
Curiosa, ma ancora ugualmente interdetta, cercava Elizabeth con gli occhi; l'avrebbe studiata per qualche secondo senza dire nulla.
Indossava una camicia bianca decorata da piccoli decori floreali e sotto una lunga gonna a vita alta nera. Era scalza.

La bacchetta venne riposta fra i capelli bianco chiaro, infilandola tra l'incavo dell'orecchio e l'undercut nascosto sotto le ciocche.
«Mmh»
Scosse la testa, sollevando sbrigativamente le mani per farle gesto di calmarsi, o per lo meno, di rallentare.
«Lo capisco. Cioè, più o meno. Difficilmente qualcuno mi cerca, però capisco la voglia di stare lontano dal rumore.»
Osservandola meglio era chiaro il suo disagio: tendeva a far oscillare il suo peso da un peso all'altro, dondolando leggermente, come farebbe un fiore trasportato dal vento.
«Oh no. Non puoi.» Lasciarla riposare? «Se esci ti disturberanno, giusto? Se rimani qui, invece, crederanno davvero ai tuoi impegni.»
Nel silenzio del suo ufficio e la desolazione degli ultimi uffici, era molto probabile che la conversazione fra lei e Colin fosse stata più o meno udita, segno non stesse propriamente dormendo.
Lo sguardo si spostò rapidamente da Elizabeth alla porta e da questa alla luce delle stelle; per qualche secondo rimase in silenzio, improvvisamente distratta dagli astri.
«Non mi dispiace se rimani qua in attesa si calmino. Basta che non urli.»
Poi riprese a parlare con leggerezza, come se non fosse passato un attimo dalle sue parole.
Passò una mano al volto, stropicciando l'angolo dell'occhio destro con il dorso. «Caffè, tè, vino o idromele?» Borbottò, trattenendo uno sbadiglio contro il polso.
Scosse la testa, cercando di riscuotersi dalla sonnolenza.
Con la stessa calma con cui si era riscossa all'ingresso di uno sconosciuto nel suo ufficio, la giornalista si ritrovò a dare le spalle indisturbata alla sua ospite.
Si immerse nelle ombre al fondo dell'ufficio, aggirando la sua scrivania per portarsi ad uno dei mobili alle pareti laterali. Tendeva a camminare sulle punte dei piedi nudi, riuscendo nonostante tutto a fare poco rumore.
Aperto uno sportello, cominciò a farsi spazio fra vetri e ceramiche.
 
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view post Posted on 30/8/2022, 23:22
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Elizabeth

Immersa nel chiarore lunare, Elizabeth non si sottrasse all'indagine dell'altra strega. Non le era chiaro se sapesse chi lei fosse, del resto Ariel Vinstav aveva la capacità di rendersi curiosamente illeggibile: espansiva e giocosa, eppure dava l'impressione che i grandi occhi chiari raccogliessero continuamente materiale per riflessioni tutt'altro che frivole.
Come in quel momento.
Alle sue parole successive, Elizabeth inarcò appena il sopracciglio sinistro. Non aveva percepito il rammarico che aleggiava solitamente nella voce di chi si riteneva difficilmente cercato: la frase era suonata come un'osservazione, né più né meno, senza nemmeno il tono di vaga sfida che in una frase del genere avrebbe probabilmente messo lei stessa, che negli anni aveva fatto dell'essere poco cercata uno scopo prioritario.
Il che spiegava in parte perché l'ultimo periodo le fosse risultato così stressante e perché fosse arrivata a infilarsi in stanze a caso.
Si chiese se Ariel fosse indifferente all'essere più o meno cercata, o se piuttosto si sentisse cercata dalle giuste persone e nella giusta quantità per considerarlo un dato neutro.
Che pensieri da fare in piena notte nella Redazione di un giornale magico, su una semi-sconosciuta a cui aveva invaso l'ufficio! La lavanda aveva sempre avuto un inquietante effetto calmante su Elizabeth, evidentemente in interazione con i reagenti fotografici le faceva un effetto ancora più strano.
Si scusò e congedò, in verità per nulla pronta ad affrontare l'affollato e petulante mondo esterno, ma non fece nemmeno in tempo a voltarsi di nuovo verso la porta. Non nascose la sorpresa di fronte a quell'offerta, che proprio non si sentiva di rifiutare.
«Sei gentile a voler salvaguardare la poca sanità mentale che mi resta. Confesso che sarei più che lieta di restare qui, al sicuro dagli scocciatori,» un cenno della testa in direzione del corridoio sottolineò il concetto, «ma solo se sei certa che non ti disturbo. Non me lo perdonerei, se per salvarmi ti infliggessi la mia stessa sofferenza».
C'era dell'ironia nell'elaborata perifrasi che aveva scelto, ma serviva solo ad alleggerire una domanda seria a cui, se aveva ben tratto le conclusioni dal poco che aveva potuto osservare di Ariel, avrebbe ricevuto una risposta sincera.
Un breve consulto con le stelle, come se dovessero rivelare se l'intrusa si sarebbe rivelata un problema o meno, ed ecco il responso, che strappò ad Elizabeth un sospiro di sollievo.
«Non urlerò» promise, abbassando per buona misura la voce, non fino a sussurrare ma abbastanza da proteggere l'atmosfera sospesa che regnava nella stanza.
Trovare rifugio nell'ufficio della reporter era già una grazia, forse una felice conseguenza di tutte le dubbie benedizioni impartitele quand'era bambina da una pittoresca varietà di preti e monache in odor di santità, ma vedersi addirittura offrire da bere era praticamente un miracolo.
Questo avrebbe aggravato il suo debito, naturalmente, ma si rese improvvisamente conto che buttar giù qualcosa, quella sera, si poteva annoverare come bisogno primario. Che cosa, non era difficile deciderlo: Elizabeth poteva anche essere nata a Londra, ma era diventata grande nella brughiera. «Non so dire di no all'idromele,» accettò infatti, «ma spero vorrai darmi presto l'occasione di ricambiare e sdebitarmi anche per l'asilo che mi stai offrendo, o il mio onore ne subirà un danno irreparabile» aggiunse con un sorriso.
La osservò volgerle le spalle con estrema naturalezza per frugare in uno dei mobili. Si chiese se fosse opportuno presentarsi, ma poi decise che Ariel avrebbe chiesto senza troppe remore qualunque cosa le servisse sapere.
«Tutte tue?» chiese invece, sfilandosi gli anfibi e lasciandoli vicino alla porta prima di inoltrarsi del tutto nella stanza. Non specificò che si riferiva alle foto, del resto supponeva di non essere la prima visitatrice la cui attenzione venisse inevitabilmente attratta dalle immagini. L'aveva chiesto in due sillabe, con le vocali scorbutiche e le consonanti mangiucchiate, in quel cockney che neanche gli anni a Hogwarts le avevano portato via e che spontaneo le era salito alle labbra nel frugare gli scorci alla parete alla ricerca di qualche strada dell'East End. Se dopo, come del resto era probabile, si fosse messa a cercare la brughiera scozzese, il cambiamento sarebbe risultato evidente nel suo parlare, e se per caso avesse scorto un paesaggio nordirlandese la cadenza di Belfast si sarebbe presto aggiunto alla serie.
L'accento di Elizabeth era come lei: sapeva solo quello che non era.



Elizabeth è Balto


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view post Posted on 3/11/2022, 18:03
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Ariel A. Vinstav 📷
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Nonostante la calma e il silenzio richiesti, l’ufficio della giornalista si riempì presto del rumore di ceramica e vetri cozzati contro la scaffalatura.
In punta di piedi per cercare di raggiungere il terzo ripiano senza far danni, aveva acciuffato alcuni calici poggiati su un anonimo vassoio di peltro e una bottiglia di idromele barricato ancora sigillata.
Elizabeth avrebbe potuto osservare senza problemi l’interno della stanza e le numerosi scatti fotografici e ritagli di giornale incorniciati alla parete.
Se molte delle pellicole sviluppate riportavano paesaggi fra Inghilterra, Francia e Islanda, occasionalmente alcuni volti facevano capolino dalle cornici - e talvolta alcuni di questi si voltavano per salutare la consulente sportiva.
Olivander immortalato da Ariel durante uno dei suoi primi articoli per la Gazzetta, estendeva dal giornale un sorriso alla giornalista, mentre estraeva una bacchetta di nocciolo da una delle scatole della nota bottega.
Poco dopo uno dei corrispondenti della comunità folletta della Cornovaglia scoccava un’occhiata torva verso il fianco della sua cornice, indignato dal continuo passare avanti ed indietro di persone che interrompevano l’attenta analisi di un mocassino.
Seguivano altri stralci di cronaca, dai servizi di cronaca nera più importanti come quelli che coinvolsero Hogwarts con la scomparsa del suo Guardiacaccia e successivamente del Rappresentante dei Centauri della Foresta Proibita, alla strage di Exeter e le foto delle cripte dissacrate.
Fu avvicinandosi alla scrivania - e quindi ad Ariel - che poté notare foto più personali e scatti direttamente presi dal suo portfoflio.
Mentre la maga era intenta a guardare storto la bottiglia nel cercare di aprirla delicatamente con un Apèrio non verbale, Jolene White scrutava il traffico urbano di Londra dal davanzale della finestra del suo appartamento.
L’infermiera era nella cornice sullo scaffale un soggetto anonimo: parzialmente di spalle dall'obbiettivo, avvolta da una camicia bianca qualche taglia più grande, era difficile riconoscerla come l’impiegata scolastica in un contesto così intimo e informale; professionalmente parlando era uno splendido prodotto fotografico che sfruttava la luce naturale delle prime ore dell’alba per accentuare i dettagli più dolci del volto di Jolene ed esaltare il suo sguardo enigmatico.
Per un esterno era una bella foto, probabilmente creata scegliendo abiti e pose volute sfruttando la loro ufficiale amicizia, per Ariel era un ricordo prezioso dell’inizio di qualcosa di più importante.
Subito sotto, subito di fianco ad un set di rune d’ossidiana levigate, una coppia di ragazzini di non più di otto o dieci anni, sorridevano al fotografo mentre cercavano di arrampicarsi insieme su una vecchia scopa molto più grande di loro.
Anche loro stranamente le sarebbero sembrati familiari.
Una era sicuramente Ariel da piccola e l’altro, un ragazzo, avrebbe potuto trasmetterle un deja-vù, possibile che “POP!”.
«Toh! Stupido idromele.» La bottiglia venne aperta e con un sonoro sbadiglio, Ariel tese un braccio per offrire un calice vuoto ad Elizabeth.
«Tutte, tranne quella di quando ero piccola. Penso l’abbia scattata mio padre.» Il che forse spiega perché sia nettamente quella di qualità più bassa. «Puoi ripagarmi offrendomi un’Acqua di fuoco, allora.» Il drink era una scelta da banco tipica dei pub più aggressivi, come la Testa di Porco o uno degli irish pub della Diagon Alley e Londra bassa. Si dice fosse la scelta preferita dai clienti dalla sbronza triste per le sue proprietà magiche scaccia-brutti-pensieri.
Ci sarebbe stato da preoccuparsi, non fosse che Ariel continuava a parlare con una calma e una morbidezza paradossale; non sembrava nemmeno essere lì con Elizabeth. Ogni tanto alzava la testa e la portava verso le vetrate al soffitto, perdendosi fra i giochi di luce della volta celeste, poi tornava a guardare un punto casuale e
“Fss”
«Oh sì, giusto. Quello è Lord. Lord, ti presento il nostro ospite. Non infilarti nei suoi calzini e non rubarle le briciole nelle tasche, va bene?» Parlava apparentemente al vento, verso il divano di pelle contro la finestra dell’ufficio.
Le tende isolanti ancora tese rendevano la zona più in ombra del normale per questo ci sarebbe voluto un po’ per notare il movimento dal bracciolo del mobile al suo schienale.
Un serpente bianco fece capolino con la testa, colpito da un raggio lunare.
Grandi occhi blu sporgenti fissavano Elizabeth, mentre la lingua usciva ripetutamente, fischiando in cerca di informazioni sull’intruso.
«E’ curioso, ma è timido. Sai come sono fatti i bambini.»
Non lo sapeva nemmeno lei come erano fatti i bambini, non era madre. E quello non era un bambino, era un serpente. 80 centimetri di pitone bianco a palla.


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Elizabeth sapeva solo quello che non era.
 
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view post Posted on 13/12/2022, 02:23
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Elizabeth

Avrebbe voluto offrire il proprio supporto logistico per la missione di recupero di idromele e bicchieri, ma temeva di risultare offensiva.
Distolse quindi lo sguardo, lasciandolo vagare sulle pareti. Tra un paesaggio collinare e una scogliera schiaffeggiata dai flutti, Elizabeth poté riconoscere il volto rugoso e sorridente di Olivander, orgoglioso di mostrare una delle sue famose bacchetta. Un piccolo sorriso increspò anche le labbra della strega, ricordando i rimproveri bonari che il vecchio le rivolgeva ogni qualvolta passava in bottega a far revisionare la bacchetta.
Riconobbe tra i ritagli di giornale incorniciati svariati articoli che lei stessa aveva potuto leggere sulla Gazzetta del Profeta, alcuni dei quali, ricordava, avevano profondamente scosso il mondo magico britannico.
Mosse qualche passo in avanti, evitando insistentemente di guardare Ariel che litigava con la bottiglia: se qualcuno gliel’avesse chiesto, sarebbe stata pronta a giurare anche davanti al Wizengamot di non aver notato assolutamente alcuna difficoltà.
Anche il mai esercitato senso estetico di Elizabeth riusciva a rendersi conto che alcune delle foto esposte erano bellissime, delle vere opere d'arte.
Ad esempio quel ritratto, delicato e luminoso, in cui i capelli rossi di una donna spiccavano sui toni bianchi dello sfondo e dei suoi stessi abiti.
«Hang the black flag at the end of the mast...» sillabò tra sé la strega, senza alcun motivo in particolare.
Poco più sotto, la bambina dai capelli chiarissimi non poteva che essere la reporter in persona. Chissà chi aveva scattato la foto: lei no di certo, visto che era intenta a litigarsi il posto su una scopa troppo grande con un ragazzino dal volto affilato e i capelli arruffati.
Elizabeth si sporse in avanti, per osservare la foto più da vicino. C'era qualcosa che...
POP.
«Viva!» commentò: l'effetto dell'esclamazione proferita in tono piano e a voce bassa fu piuttosto curioso.
Accettò di buon grado il calice che le veniva porto, così come la proposta che l'accompagnava. «Affare fatto» ghignò. «Conosco un posto dove ti lasciano ancora tuffare il bicchierino nella Guinness, alla maniera irlandese. Impareggiabile.»
Era rilassante parlare con Ariel: pochissimo contatto visivo, molte pause, nessuna pressione.
Almeno finché non si metteva a conversare col divano.
Elizabeth dovette sporgersi in avanti per scorgere l'interlocutore della strega: quando ci riuscì, reputò saggio raddrizzarsi e non avvicinarsi ulteriormente.
«Piacere, Lord. Cercherò di portare un calzino in più, se dovesse esserci un'altra occasione.»
O magari una calzamaglia dal momento che si parlava di- Quanto poteva essere? Non era facile indovinargli le misure, così appallottolato, ma plausibilmente un metro buono di serpente.
«Oh sì» rispose con leggerezza, pensando alle guance paffute e agli occhi dolci di Ripple. «Si ritraggono quando sono intimiditi e tendono a mostrare la lingua alle persone che non conoscono. Certo, solitamente non hanno denti a uncino.»



Perdona l'attesa - dannato Quidditch.
 
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view post Posted on 7/1/2023, 12:50
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Ariel A. Vinstav 📷
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«Hang the black flag at the end of the mast...»
Il motivetto marinaro non le sfuggì, portandola ad alzare lo sguardo dal calice di Idromele: Ariel era particolarmente sensibile ai suoni - secondo alcuni era semplicemente distratta - e ormai si era abituata a interrompere molte delle sue attività per dare conto ad un suono o un movimento all’angolo della stanza.
«Che canzone era?» Chiese, mentre lasciava andare il calice fra le dita di Elizabeth. «Viva.» Ripeté, arricciando la bocca in un sorriso divertito.
Sbuffò, soffocando una risata fra le labbra prima di scuotere leggermente il capo. «Stai dicendo un sacco di cose che non capisco. Perché dovresti tuffare un bicchiere in una birra?»
Il suo parlare arioso e la flemma causata dalla stanchezza creava una nota di infantilità: privandola del suo contesto d’origine, sarebbe sembrata più un bambino confuso e curioso, che un giornalista investigativo.

Si sporse in avanti, cercando di inclinare il collo della bottiglia quanto bastasse per versare una cospicua quantità di idromele nel calice.
Era troppo per i canoni consigliati da un locale, ma abbastanza per quelli di un reporter alle strette con il carico del suo lavoro.
Ok, forse non era poi così tanto una bambina.
«Oh non ti preoccupare. Lord ha un set di maglioncini su misura, hein
Il colloquialismo francese venne inserito di istinto alla fine della frase, mentre scoccava un’occhiata all’angolo del divano.
Il famiglio si limitò a sibilare in sua direzione, dando quasi l’impressione potesse davvero comprenderla o dare importanza alle sue frecciatine.
«Ah sì sì, allora ne sai abbastanza.» Di bambini o di serpenti?
Non sembrava ci fosse una differenza in merito, quindi non si preoccupò di specificare.

Il gorgoglio dell’idromele riempì il silenzio dell’ufficio per qualche altro istante, mentre si versava anche lei da bere nel calice; la quantità era nettamente minore rispetto quella del suo ospite.
Si guardò attorno, adocchiando la scrivania. «Mh.» Si sporse in avanti acchiappando fra le dita il tappo e cercando di infilarlo a forza nuovamente dentro lo sbocco della bottiglia.
Ci riuscì a malapena, facendo pendere di lato il sughero, prima di abbandonare l’operazione e concentrarsi su qualcosa di nuovo.

«Sai, in realtà … è perché sono molto miopi.»
Riprese la conversazione sui serpenti dal nulla, rendendo forse comprensibile l’attenzione fosse tornata sul pitone unicamente perché qualche secondo dopo si ricordò di indicare l’animale ad Elizabeth, consapevole di come il flusso dei suoi pensieri seguisse spesso percorsi non canonici.
Il pitone sibilò di nuovo, voltando il muso piatto verso la coppia di giornaliste.
«Capisce che c’è qualcuno, ma fa fatica a mettere a fuoco le immagini nella distanza, quindi usa i sensori sulla lingua per compensare. E’ come una macchina fotografica ad alta sensibilità con le lenti spezzate nel mezzo dell’obiettivo. » Di istinto nel parlare avrebbe tamburellato le dita contro l’otturatore di una delle macchine poggiate sulla sua scrivania.
Uno, due, tre secondi e poi fece spallucce, distogliendo lo sguardo dall’animale per concentrarlo in alto verso il lucernario nel soffitto.
“Ora su cosa dovrei fare conversazione?”
Ariel era una persona estroversa, ma al contempo anche riservata e disabituata ad interazioni lunghe.
Quindi ora era ad un impasse: voleva continuare a parlare, ma non sentiva di voler dire altro; parlare del suo famiglio era per i suoi canoni un spiraglio sulla sua vita personale, tanto quanto citare una foto d’infanzia scattata da suo padre.
Nella sua testa aveva fatto già abbastanza, probabilmente anche troppo avendo invitato Elizabeth a rimanere nel suo ufficio.
“Odio il fatto che mi piacciono così tanto le persone, ma non so come comportarmi quando le ho davanti sul serio.”
Quasi dimentica del fatto che non fosse nuovamente sola nel suo rifugio, si ritrovò a sospirare rumorosamente, prima di alzare il calice e prendere un piccolo sorso di idromele.
 
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view post Posted on 14/4/2023, 14:40
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Elizabeth

«Oh, scusa, non pensavo mi sentissi. È una cosa babbana, una canzoncina buffa ispirata alle canzoni piratesche» rispose stringendo il calice tra le dita. «È un po' sciocca forse, ma a me è sempre piaciuta.Do what you want 'cause a pirate is free... Non so come mai mi sia venuta in mente» concluse.
Guardò il liquido ambrato riempire il bicchiere, sentendosi già meglio solo a vederlo.
«Perché serve a fare il drink più buono del mondo! Prendi uno shottino metà Bailey's e metà Jameson e lo lasci cadere in una pinta di Guinness. I diversi liquidi si mescolano lentamente, così il sapore cambia man mano che bevi - e devi berlo in fretta, altrimenti la crema di whisky si condensa.» spiegò. «Purtroppo non è tanto facile trovarlo, per via del fatto che si chiama Autobomba Irlandese, sai, e la gente si offende» aggiunse alzando gli occhi al cielo.
Accolse la notizia del guardaroba del serpente con un «Naturalmente» che non avrebbe saputo motivare in alcun modo, mentre l'interiezione tipicamente francofona le faceva squillare un campanello nella memoria, un sentore di già sentito. Ma magari Ariel stessa l'aveva semplicemente usata anche quando si erano conosciute.
«Più di quanto mi sarei mai aspettata di venire a sapere» confermò. Sia di bambini sia, a quanto pareva, di serpenti.
La fotografa aveva versato alla sua ospite una quantità di idromele molto maggiore rispetto a quella che avrebbe bevuto lei stessa: una premura che pochi avrebbero avuto, che sapeva di empatia e altruismo, a dispetto dell'aria svagata della strega.
Il tappo fu reinserito nella bottiglia solo in parte, miserevolmente storto, per non rubare troppo tempo all'approfondimento del discorso sui serpenti. Oh beh, lungi da Elizabeth discutere le priorità altrui, visto che le sue in primis non potevano definirsi classiche né logiche.
Il pitone si voltò verso di loro, come se avesse compreso che si parlava di lui. Un pensiero non troppo rassicurante.
«Temo mi manchino le competenze per comprendere la metafora» confessò confusa. Guardò la macchina che Ariel aveva appena toccato, quindi di nuovo la reporter e infine lasciò vagare lo sguardo su altra attrezzatura sparsa per l'ufficio. «L'obiettivo serve per la distanza?» chiese, rinunciando a mascherare la propria ignoranza.
«Come mai la fotografia? Voglio dire, come è cominciata?» avrebbe aggiunto dopo la risposta di Ariel, non senza qualche difficoltà a spiegarsi. Non lo disse, ma a giudicare dalla differenza qualitativa tra le foto della reporter e quella scattata dal padre non sembrava fosse un mestiere ereditato. «Non devi rispondere se non vuoi» aggiunse, rendendosi conto di essere forse scivolata senza volerlo su un terreno troppo personale.

 
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