Non muoveva un muscolo, tutta intenta a carpire qualsiasi rumore al di là della porta chiusa. Regnava il silenzio più assoluto, decisamente non un buon segno: niente passi in allontanamento, il che voleva dire che il povero Colin era rimasto esattamente dove l’aveva lasciato. Sperò ardentemente che il ragazzo non intendesse rimanere appostato in corridoio finché lei non avesse finito di discutere la fantomatica e serissima questione con chissà chi. Ma perché doveva accollarsi proprio a lei? Se era un mentore che cercava, per il tanga zebrato di Merlino, c’erano decine di giornalisti che adoravano essere ammirati e avrebbero senza dubbio gradito un volenteroso tirapiedi pronto a pendere dalle loro labbra ogni qualvolta avessero avuto voglia di sbrodolare qualche pomposa perla di saggezza.
Lei viceversa voleva soltanto recuperare i suoi dannatissimi telegrammi, giacché si era categoricamente rifiutata di fornire per le indagini e tutto quel che ci stava intorno il proprio indirizzo di casa, e andare a leggerseli in pace davanti a un boccale di birra scura.
«Eh?»
Elizabeth sobbalzò, finendo nel movimento improvviso per sbattere la tempia contro il legno della porta, e sfoderando la bacchetta si voltò verso la presunta provenienza di quel suono inaspettato, che si rivelò essere un corpo accasciato con un fascicolo al posto della faccia. Solo un attimo dopo notò i capelli sparsi sul cuscino, già da soli sufficienti a identificarne la portatrice, e quando il fascio di carte liberò il volto della giornalista l'intrusa aveva già riposto la bacchetta.
Aveva sempre faticato a ricordare le persone. Da vivo, Dewayne la prendeva spesso in giro sostenendo che quella superficialità nei confronti del genere umano fosse "uno dei suoi molti meccanismi di difesa". Diceva che ne aveva talmente tanti, di meccanismi, da poter a tutti gli effetti essere classificata come orologio d'antiquariato. La verità era che le relazioni umane richiedevano fiducia e pazienza, doti di cui la strega non era particolarmente fornita, ragion per cui generalmente riteneva che i legami che già aveva fossero più che sufficienti, grazie tante.
Tuttavia, difficilmente dimenticava chi, senza secondi fini, le offriva da bere in una serata storta, specialmente se era mancata l'occasione di ricambiare. Anche Astaroth, diversa da lei come il nobile giglio lo era dalla pervicace erica, era rimasta impressa nella sua mente sotto alla luce di un bicchiere pieno.
Un gesto disinteressato, che probabilmente Ariel nemmeno ricordava, in una fumosa e quantomai strana serata al Testa di Porco, ed Elizabeth non aveva più mancato di riconoscerla nell'incrociarla nei corridoi della Redazione.
Non aveva d'altro canto mai avuto la più pallida idea di quale potesse essere il suo ufficio, né tantomeno si aspettava di trovarcela dentro.
Mosse qualche passo dentro la stanza, entrando nel raggio d'azione della candela ora accesa per permettere, eventualmente, ad Ariel di identificarla. La radicata abitudine a ricercare in qualsiasi ambiente eventuali pericoli e possibili via di fuga, una volta superata la sorpresa, entrò in funzione e con una rapida occhiata circolare Elizabeth registrò il mobilio inaspettatamente sobrio e le pareti strabordanti di teche, cornici e fotografie. Ebbe perfino la vaga sensazione di riconoscere qualche volto noto, in mezzo al caleidoscopio di paesaggi e scorci urbani, ma non vi si soffermò più di tanto.
«Oh dannazione, scusa» esordì con l'usuale delicatezza. «No, per la verità non credevo ci fosse qualcuno qui dentro». Messa così, dovette realizzare, non suonava benissimo. «Cerco di nascondermi dal mucchio di scocciatori che affolla questa maledettissima Redazione senza affatturare nessuno» aggiunse quindi con un'alzata di spalle.«Non intendevo disturbarti, ti lascio riposare» concluse, per la verità piuttosto malvolentieri: l'idea di tornare nel corridoio non la allettava affatto, mentre la penombra della candela, unita all'aria che curiosamente sapeva di reagenti chimici, tè e lavanda, rendeva quella stanza piacevolmente rilassante.