Per un secondo, una frazione di millesimo di secondo, le parole di Nieve le hanno scavato dentro una voragine. L’ennesima buca profonda nella quale seppellire ogni ricordo e ogni possibile nostalgia, perché si fa così, o no? Si nascondono sotto innumerevoli strati di polvere e silenzi quelle cose spiacevoli che succedono ogni giorno, finché si arriva ad un punto in cui te ne devi per forza dimenticare e fare spazio a nuovi ricordi.
Non c’è molto da dire in realtà.
Era questo che pensava, dunque?
Non poteva crederlo, così come non poteva credere che la Rigos - dopo tutto quel tempo - non fosse riuscita a cogliere la reale domanda, la vera ragion d’essere per quella richiesta d’incontro. Si sarebbe mangiata le mani se lei avesse rifiutato la sua proposta e, dopo quella frase lapidaria - come se tutto non avesse la stessa importanza che aveva avuto prima -, Thalia aveva la percezione di aver perso il filo su quanto accaduto. Non era nemmeno certa del perché, in fondo, si fosse abbassata a chiederle di incontrarla.
Voleva la verità: ecco la spiegazione per l’invito e la risposta di Nieve non riusciva a soddisfarla, anzi aumentava ancora di più la distanza già grande tra loro. Come un oceano tra due continenti: nulla di inattraversabile, ma abbastanza vasto per dissuadere i poveri di cuore. E il suo, per inciso, era stretto in una morsa fatta di rinunce e rimpianti, scelte sofferte eppure necessarie; era una creaturina alla fine della sua esistenza, costretto nel suo petto, a rantolare come una bestiola ferita da una trappola ben nascosta.
Esalò un sospiro lungo e pesante, lo sguardo già meno acceso di speranza - inutile negare l’evidenza dopotutto - e l’anima pronta a solcare la marea di quella giornata come una barchetta a vela malconcia.
Non ci voleva. Non ci voleva proprio.
Sorrise forzatamente all’accenno sulle abilità di Camille e le cinse le spalle col braccio libero, stringendola a sé con fare affettuoso: peccato che la voce tremasse un poco d’impazienza e amarezza mentre affermava quanto fosse davvero orgogliosa del suo Prefetto.
«
Si sta impegnando per sostuirmi.» confessa «
E in fondo… i M.A.G.O. non sono proprio lontanissimi. Giusto, Donovan? L’ultima parola spetterà al Preside, suppongo, ma… sono molto orgogliosa di quello che stiamo costruendo.»
L’avrebbe liberata da quell’abbraccio subito dopo, conscia di aver calcato una certa enfasi sulle parole “orgogliosa” e “costruendo”. Il concetto di quel “noi”, nemmeno troppo sotteso, che avrebbe dovuto e potuto far sì che Nieve rinsavisse e desiderasse, ancora, quell’amicizia che ormai riusciva ad essere solamente un ricordo sbiadito. Una ripicca, per certi versi, per aver creduto che lei potesse averla dimenticata, ignorata e svilita come tutti avevano fatto in passato. Farle credere, esagerando, che lei avesse una vita piena di impegni e di persone quando, specialmente nell’ultimo periodo, i fedelissimi accoliti benvenuti nel suo spazio vitale erano così pochi.
Ed fu rimuginando sulla propria situazione e sulla farsa che le stava propinando che la vide.
La guancia candida che si rigava di una lacrima solitaria, quella che poco prima era imprigionata tra le ciglia all’angolo di quell’occhio spento con l’iride spaventosamente opaca e bianca.
Non provava orrore di per sé, di cose strane aveva cominciato a vederne parecchie, ma questo… forse non si sarebbe mai abituata allo sconforto di averla saputa sola, senza protezione alcuna. Anche quel pensiero, però, venne spazzato via dalla cocente realizzazione che Nieve non fosse davvero abbandonata a se stessa: Casey le era rimasta accanto, le stringeva la mano - ora riusciva a vederle quelle dita intrecciate - e cominiciò a chiedersi quale fosse il reale significato di quella lacrima. Era per lei? Per quello che forse non avrebbero più condiviso e il rammarico per i giorni andati? O era per Casey? Per la gratitudine di essere lì, con lei, in quel momento e forse anche in futuro?
Si riscosse appena in tempo per non sembrare del tutto idiota, non più di quanto già non fosse, e accennò ad un “no” con la testa.
«
Credo che la mia memoria basterà, non servono prove materiali.» si schiarì nervosamente la voce, dopodiché issò la borsa a tracolla sulla spalla e fece mezzo passo indietro.
«
Sarò lì poco dopo l’ora del tè, perciò… sentiti libera di venire quando vuoi. Ora scusatemi, ma… devo andare.»
Non aspettò che lei o le altre annuissero, anzi, i passi indietro passarono da uno a due, il capo già rivolto alla Sala d’Ingresso e i pensieri dirottati non alla prima lezione della giornata, ma alla serata che l’avrebbe attesa.
Non era decisamente il momento per altro dramma, ma che poteva farci?
Volere risposte comportava anche dei rischi e delle grandi, grandissime fregature.