Era seduta nel suo scompartimento quando Casey Bell l'aveva trovata. Pensava di aver dimenticato qualcosa durante la breve riunione nella prima carrozza con i Prefetti, ma sapeva perfettamente che non potesse essere quella la ragione del suo vagare; glielo dicevano gli occhi della Grifondoro che, dopo aver sbirciato attraverso il vetro delle porte scorrevoli, bussò per cortesia ed entrò, sedendosi di fronte a lei con l'aria di chi abbia da sputare un rospo grande quanto una montagna. Ignorò perfino sua sorella, che dormiva con la testa sulle sue ginocchia, ed il voluminoso romanzo babbano tra le mani della Tassorosso. La biondina le sfilò il libro dalle dita, incurante del titolo, lo appoggiò con decisione sul sedile accanto al proprio e sciorinò una verità sconcertante: Nieve non stava bene.
Nieve aveva dato di matto.
Nieve, probabilmente, era una drogata.
Non avrebbe saputo dire se fosse la sorpresa di sentire quel nome, pronunciato con costernazione e urgenza al tempo stesso, o se fossero tutti gli altri messaggi subliminali a farle partire una scarica elettrica lungo la spina dorsale capace di paralizzarla completamente.
Devi fare qualcosa. le aveva detto solenne, prima di uscire, e nemmeno a quell'esortazione trovò una risposta fisica. Era bloccata. Dentro, fuori... non sentiva il peso di Fiona sulle ginocchia, le sue braccia non volevano saperne di allungarsi e riprendere il libro, cercando di nuovo il punto che Casey le aveva fatto perdere. Non ricordava nemmeno di che cosa parlasse quella storia.
Rimase in quello stato limbico tra realtà e immaginazione, incapace di capire come muoversi. Fu l'irrigidimento della sorella, le sue braccia al cielo alla ricerca di un piacere fittizio all'alba del risveglio a darle la scossa necessaria a riportarla alla vita. Che cosa doveva fare con lei? Nulla di quello che aveva provato era servito. E forse non sarebbe mai stato abbastanza.
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Aveva cominciato a credere che la Sala Grande fosse un grande calderone contenente una quantità spropositata e inimmaginabile di imbecilli. E non era solo il fatto che le matricole fossero più tonte di quanto non lo fosse stata lei al primo anno, ma le pareva che gli sguardi affascinati alla volta incantata della sala fossero un po' troppo ridondanti. C'era poi da considerare la cacofonia di voci, lo stridìo dei gufi alla consegna della posta e i tonfi dei voluminosi pacchi sui tavoli, le caraffe rovesciate e le lotte col cibo. Pareva che tutti questi eventi fossero all'ordine del giorno per una straordinaria coincidenza e che cercare posto là dove lo sguardo dei docenti bruciava di più - a ridosso del loro tavolo, dunque - fosse l'unica soluzione per essere lasciati davvero in pace.
Bramava i M.A.G.O. e la libertà della vita fuori dalle mura di Hogwarts, desiderava lasciarsi alle spalle i drammi adolescenziali e fare qualcosa, qualsiasi cosa, che rendesse la sua esistenza meno tediosa.
Le gite ad Hogsmeade risvegliavano ricordi molesti, così come il suo ruolo le imponeva di dare udienza all'unico Prefetto che le fosse rimasto: Camille Donovan, luce di Tassorosso e faro nella notte più oscura che la loro Casa avesse mai visto; ultimi in classifica non avevano bisogno di altre perdite - in termini di punti - per abbassare ulteriormente il morale.
«
Stavo pensando di fare la ronda questa sera invece di domani, così magari organizziamo un piccolo torneo di Gobbiglie per sabato sera. O una festicciola in Sala Comune.»
Non voleva rovinare l'entusiasmo di Camille, ma era davvero convinta che un torneo e una piccola libagione non autorizzata dal Preside e dalla McLinder potessero risolvere lo stato di apatia generale? Si limitò a far spallucce, mentre osservava i cereali galleggiare nel latte come relitti di un naufragio accidentale. Le veniva la nausea solo al pensiero di dover restare sveglia a monitorare i concasati e se non fosse stato per il suo ruolo se ne sarebbe fregata alla grande.
Tutt'intorno il vociare confuso aveva cominciato a raggiungere volumi considerevoli, finché tra il caos generale un sussurro non aveva iniziato a serpeggiare.
Quella chi è?
Ma dai, non ci credo.
E' tornata!
Ma che ha combinato?
Oddio, è la Rigos!Nessuno si voltò a guardare lei, ferma con il cucchiaio a mezz'aria. Il battito cardiaco aveva perso un colpo, ma era consapevole che avrebbe ricominciato il suo rassicurante tramestio nel petto non appena avesse osato prendere fiato.
Fece appena in tempo a scorgere la chioma bianca, prima che le innumerevoli teste voltate nella sua direzione gliela nascondessero alla vista.
S'impose di restare dov'era.
Non voleva vederla.
Non voleva sentirla parlare.
Non voleva restare nello stesso spazio in cui lei si muoveva.
Perfino l'idea di condividere lo stesso ossigeno le faceva mancare il fiato per la rabbia.
Non sapeva di averne covata così tanta da sentire il sangue pulsare nelle vene, nelle dita affusolate che ora tremavano e lasciavano cadere schizzi di latte ovunque.
Fece ricadere rumorosamente la posata nella scodella di ceramica e raccolse le mani in grembo stringendole come se dolessero. Era il suo corpo per intero a gridare di frustrazione e l'unico modo per non esplodere era quello di rannicchiarsi in se stessa, senza tuttavia poter scomparire. Le sarebbe piaciuto, ma era impossibile.
«
Thalia?»
La voce di Camille le fece alzare lo sguardo e la ragazzina la ricambiò con uno sguardo di stupore misto a paura, o così le parve.
«
Dovresti provare con la festicciola.» concesse alla fine, rilassando le spalle e appoggiando le braccia al tavolo come se quanto accaduto nello spazio di pochi minuti non avesse avuto luogo. Fingere, fingere ancora che nulla potesse sfiorarla e toccarla veramente.
«
Dovrai chiedere il permesso alla McLinder, però. Io non ho tempo di farlo.»
Che cosa faceva Nieve a scuola?
Due anni. Due fottutissimi anni. Che cosa aveva fatto oltre a usare chissà quali diavolerie babbane per estraniarsi dal mondo che le faceva tanto schifo? Dov'erano finite le sue lettere, quelle che le aveva scritto ogni settimana, poi ogni mese e alla fine aveva smesso di inviare, conservandole una ad una nel baule?
Mai una risposta. E sua madre, Grimilde, non aveva voluto dirle dove fosse. Aveva preferito mentire - glielo aveva letto in faccia quanto le fosse costata quella bugia, pur di non ammettere di aver perso la presa su quella figlia ribelle - piuttosto che darle la pace di cui aveva maledettamente bisogno.
Quei pensieri la fecero innervosire ancora, più di prima, e fu solo quando il silenzio ripiombò nella Sala che Thalia si concesse il lusso di guardarla. Seduta al tavolo di Grifondoro, si toglieva qualcosa di appiccicoso dai capelli. Fili d'argento tra le dita e lo sguardo - non ben visibile da quella distanza, certo, ma chiaramente cambiato - rivolto alla sua tavola.
Che idioti. pensò stizzita, combattendo il desiderio di alzarsi e appenderli per le caviglie con un incantesimo ben assestato. In fondo, però, Nieve non era nuova ai soprusi: li aveva vissuti sulla pelle uno per uno, indossando le sue belle cicatrici come gioielli. Non se ne vantava, non prima della sua partenza improvvisa almeno, e tanto bastava a creare attorno a lei un vuoto che sapeva di libertà, nonostante tutto.
Si scoprì vulnerabile a quel pensiero, desiderando - ben oltre ciò che le imponeva il suo ruolo di Caposcuola - che fosse Nieve stessa a punire l'insolenza dei Tassorosso che l'avevano derisa. Si rese conto di voler vedere di che cosa fosse capace, ma allo stesso tempo di non volerla mettere alla prova.
Quella non era la sua Nieve.
Non lo era e basta.
La ceramica infranta le fece scoccare uno sguardo in direzione di Camille: era un ordine silenzioso, una chiamata alle armi. Le risse non erano contemplate tra le mura di Hogwarts. Un cenno con la testa verso i compagni indisciplinati e il silente monito che, ne era certa, la Donovan avrebbe compreso.
«
Portali via.» mormorò allora, per assicurarsi che il momento passasse indenne. Il tempo di finire la colazione e prepararsi mentalmente a quello che sarebbe successo dopo.
Doveva ricordarsi di respirare.
Non era difficile, no?