T h r o u g h M i n e f i e l d s, privata

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view post Posted on 14/10/2022, 17:37
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Started bringing up the past. How the things you love don't last, even though this isn't fair for both of us.

Sentiva ancora le mani calde di lui sul viso; le aveva trascinate via, lasciate cadere da un gesto involontario lungo i fianchi.
La risposta fu immediata.
«Fuori.»
«Va bene» aveva risposto. Un sorriso calmo e la pelle che tornava nivea sulle guance, colta da un imbarazzo fugace.
La sera si espandeva all’orizzonte, lo spettro di luce calda accarezzava la superficie delle strutture. Ombre
lunghe contro l’asfalto come mani pronte a portare via ogni cosa. Sul volto di Megan quel tramonto illuminava le stelle che costellavano il naso e gli zigomi. La calma, un’apparente stato d’animo che tentava di placare l’oceano di pensieri ed emozioni in tempesta.
Gli aveva dato le spalle, udendo la voce del cameriere. Un ragazzo che avrà avuto più o meno la sua stessa età. Gli sorrise con fare circostanziale, scaricando su quell’espressione metà dell’ansia che l’aveva improvvisamente travolta. Megan aveva iniziato ad avvertire il peso di quella scelta irrazionale. Il tempo di seguire quel percorso dettato solamente dal flusso di emozioni che pareva non volerle dare pace. La corda oscillava senza farla cadere. A metà tra l’oscurità e la luce. Non era certa di sapere dove volesse arrivare, né come. Quel muro che aveva alzato dinanzi a sé non la stava salvando, bensì la lasciava sprofondare nel vuoto più assoluto. Lentamente. Si rese conto allora, di quanto fosse realmente difficile per lei instaurare un rapporto, lasciarsi andare totalmente. Così, finiva sempre per mandare tutto all’aria; un’altra ferita aperta e il costante bisogno di arrampicarsi sulla spessa parete che la circondava. Le unghie sul cemento, cicatrici sulla superficie scivolosa. Era riuscita a ferire Casey e persino Emily. Promesse infrante e rapporti sospesi. Ma lei era forte, lo era sempre stata dopotutto. Arrendersi a un destino già scritto e sopravvivere. Per esserlo, però, aveva calpestato il resto; un giardino pieno di margherite spezzate dalla rabbia e dalla paura.
Megan in quei mesi si era più volte chiesta se Draven meritasse di essere coinvolto nella sua vita. Nel caos totale da cui era avvolta. Tuttavia, la calma ristabilì il battito del suo cuore, come un'onda che sfiora la sabbia. Tratteneva il fiato e tornava a respirare, ogni volta.
Non ci si deve fidare di chi non sa tenere lontano i propri fantasmi.

I passi seguirono nuovamente l’istinto.
«Dentro andrà bene» Annuì con voce seria e varcò la soglia. Il profumo accolse lei e Draven con sentori di cedro e zenzero. Megan fece un respiro profondo. Il sorriso cordiale le illuminò il volto, mettendo in risalto le iridi cobalto ravvivate dalla luce calda che spiccava nell’ambiente. Memorizzò alcuni dettagli: era cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto. Panche con schienale imbottite da un tessuto verde scuro prendevano parte del locale a ridosso delle finestre, sulla destra e sulla parete nel fondo. Sostituivano i vecchi banchi di legno che aveva visto lo scorso inverno. Nel mezzo semplici tavolini accompagnati da sedie e sgabelli lungo il bancone.
Megan avanzò verso il primo posto a destra, sedendosi nell’angolo. Sì sistemò, sfilando la felpa poggiandola sulle spalle. Scostò le lunghe ciocche corvine dal volto, tirandole indietro e osservò ancora una volta il locale da una diversa prospettiva.
Posò gli occhi su Draven quando lui riprese il discorso. Il viso più rilassato e le iridi accese gli donavano un aspetto più sicuro. Megan distolse lo sguardo, osservando la mano poggiata sul legno, grattava la superficie con delicatezza. «Capisco» disse, «Io ci sono finita per… Per sbaglio» sollevò le spalle con un mezzo sorriso stampato sulle labbra. D’altronde era stato un errore? Non era forse così? La sua vita lo era.
Poi, la schiena sul cuscino e posò le mani sul tavolo. Megan alzò il piatto alla ricerca del menù, spostando persino il tovagliolo. Non vi era traccia del pezzo di carta. Così, gli occhi vennero catturati da un simbolo incastrato nel legno davanti ai bicchieri, proprio al centro del tavolo. Tecnologie babbane, sbuffò alzando velocemente gli occhi al cielo.
«Ricordo che avresti voluto inviarmi delle lettere quest’estate» disse spezzando quel breve silenzio. Gli occhi rivolti altrove. «Ero di fretta e sono corsa via» un pugno allo stomaco e una smorfia di dolore le adombrò il volto per esigui secondi. Abbandonando quella festa si era ritrovata davanti a un bivio. Quella sera aveva scelto una strada precisa che volesse accettarlo o meno.
«Cosa volevi scrivermi?» chiese infine. Cercò di sfuggire a quel ricordo e ci riuscì. Gli occhi tornarono su di lui.

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view post Posted on 16/10/2022, 16:53
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Il profumo acidulo di zenzero e agrumi che gli investì l’olfatto, non appena ebbero varcato le soglie d’ingresso di quel cafè, fu un forte indicatore di che tipo di posto fosse: elegante, curato, anche se nell’aspetto e nei colori voleva sembrare accessibile a chiunque e non lo era. Si sentì subito un pesce fuor d’acqua. Nonostante ci fossero troppe poche persone accomodate all’interno per poter giudicare la clientela, il cameriere aveva esordito chiedendo se avessero prenotato, facendogli pensare che di lì a breve si sarebbe riempito pressoché ogni posto ancora libero. Fin quando non avessero iniziato ad ammassargli gente vicino, si disse che avrebbe potuto sopportare di stare lì. Per Megan.
Gli sembrò così a suo agio al punto da risultare quasi felice. Gli occhi le si erano illuminati sotto le luci soffuse del locale. Non poteva desiderare di meglio; dove si trovassero o come lui si sentisse a riguardo, a quel punto, era irrilevante.
Inspirò profondamente, come a voler prendere coraggio, e andò a sedersi alla sua destra, così da avere la vetrina alle spalle. Si guardò intorno un istante, constatando con sollievo che, per disposizione del locale, non gli fosse stato dato un tavolo di passaggio; nessuno gli sarebbe passato davanti per entrare o uscire dal locale o per andare nei bagni, che vide al lato opposto della sala. Un pizzico di fortuna sembrò girare dalla sua parte e si sentì improvvisamente più tranquillo. I buoni propositi iniziali di provare a parlare con lei, come due normalissimi “compagni di scuola”, tornò a rassicurarlo. Non era impossibile. Difficile, semmai, ma non impossibile.

Non ci sono altre sartorie in zona, credo. – commentò, facendo spallucce, prima di prendere il cellulare dalla tasca dei jeans. Avvicinò la fotocamera al codice sul tavolo per accedere al menù del locale, più per distrarsi dal ricordo ancora così vivido di lei in quel vestito, piuttosto che per vero interesse nei confronti del menù. Lo scorse veloce, ma gli bastò quella rapida occhiata per fargli arricciare il naso in una lieve smorfia… Decisamente, non aveva più fame. Troppo avocado praticamente ovunque. Come facevano i babbani fighetti ad amare l’avocado? Aveva una consistenza disgustosa, inoltre la moda che si era generata intorno a quella specie di frutto stava devastando il pianeta. Alzando gli occhi al cielo, assorto nelle proprie riflessioni, spense lo schermo del cellulare e lo appoggiò distrattamente sul tavolo. Quando riportò lo sguardo su Megan, gli sembrò improvvisamente in difficoltà. Per un attimo, forse per via della location scelta e l’abitudine di comportarsi da (im)perfetto babbano quando si trovava a Londra, aveva dimenticato con chi si trovasse. Megan era una maga, forse una purosangue che non aveva mai interagito troppo con i comuni cittadini o nei loro locali. Era altamente probabile che non fosse abituata alla tecnologia babbana. Fu sul punto di chiederle se volesse vedere il menù dal suo cellulare, quando la sentì parlare di nuovo e tutto il resto passò in secondo piano. Un brivido freddo gli scorse lungo la spina dorsale per via di quel suo maledetto tono freddo, formale, che aveva imparato ad associare al disagio. Aveva constatato che avesse due modi di comunicare con le persone: uno vero, uno di facciata. E il modo in cui pronunciò quelle parole, la semantica… Poteva accettare l’imbarazzo, il non voler affrontare le conseguenze di ciò che avevano fatto – perché nemmeno lui ne era particolarmente propenso -, ma quella freddezza impersonale non la sopportava. Non pretendeva che lo trattasse con riguardo o in maniera ‘speciale’ solo perché consapevole di ciò che provava per lei, ma nemmeno che lo trattasse come un perfetto sconosciuto, come uno qualsiasi.
Dove aveva sbagliato, stavolta?
Arricciò le labbra, sospirando. Era abbastanza sicuro di non aver detto o fatto nulla di sconveniente. Non aveva nemmeno rivolto parola al cameriere per evitare di essere sgarbato in un posto che sembrava piacerle e si era trattenuto dal fare commenti per l’ampia scelta di piatti a base di avocado.
Così scostante nel giustificarsi con quel “ero di fretta”… In quel momento, dopo il ballo, gli era sembrato di leggere qualcosa nei suoi occhi. Ricordava di averle sorriso e il tempo si era fermato, creando un momento solo loro, per quanto breve, di assoluta tranquillità. Come accadeva da mesi, come accadeva da prima che finissero a letto insieme. Come poteva fingere il contrario? Lui stesso aveva ignorato tutti quei segnali finché non avevano portato a qualcosa di concreto, per così dire, ma ormai erano oltre… No? Cos’era a fermarla? Casey? Il Tassorosso di cui aveva sentito parlare?
Non riusciva a trovare il modo per convincerla che fosse al sicuro con lui e non aveva la minima idea di cos’altro potesse dire o fare per rassicurarla, farle capire che non aveva pretese, se non quella di vederla stare bene. Sarebbe bello, le aveva detto pochi minuti prima, che fosse sempre così e lo pensava davvero: non avrebbe mai smesso di cercare il modo per farglielo capire.

Non lo so, solo scriverti. Farti compagnia durante l’estate, se l’avessi voluta. Ascoltarti, o leggerti, se avessi avuto voglia di parlare. – ribatté, stringendosi nelle spalle, prima di riportare lo sguardo a incrociare il suo. Gli faceva un’indescrivibile paura il potere che avevano i suoi occhi su di lui, ma si rese conto, in quell’istante, di aver già preso l’abitudine di guardarli, come un lieto addio, ogni volta che percepiva la possibilità di essere respinto da lei.

Ma non mi devi una giustificazione. Non eri tenuta ad accettare, se non ti andava di farlo. E non sei costretta a restare adesso, solo perché è stata una tua idea venire qui. – proseguì, le mani di nuovo nascoste nelle tasche della giacca. Il contatto visivo con lei lo aiutava a non pensare, a non arrovellarsi troppo sui come o i perché dei suoi atteggiamenti… Si sarebbe tormentato a riguardo nelle settimane seguenti, nel momento in cui si fosse trovato di nuovo lontano da lei.

Nessun rancore se te ne vai. Ti ho promesso che non ti avrei mai odiata e non spezzerei mai una promessa fatta a te. Tantomeno per una cena... – concluse, facendo spallucce per l’ennesima volta da quando era entrato in quel posto. Era pronto a vederla andare via, per cui mantenne il contatto visivo, quasi senza nemmeno battere le ciglia. E quando vide, con la coda degli occhi, avvicinarsi il cameriere, nemmeno si volse verso di lui.

Pronti per ordinare? – disse e, sempre osservandolo solo di sbieco, lo vide prendere in mano una penna e un block notes.

No. – si limitò a rispondergli, seccatamente, continuando a fissare Megan. Nonostante l’intervento non richiesto del cameriere, quasi gliene fu grato; si rese conto di aver trattenuto il respiro finché non si era trovato costretto a rispondere a lui pur di mandarlo via. La mascella si tese in una morsa, lo sguardo sembrò raggelarsi per via di quell’interruzione, ma comunque rimase ostinato su Megan.

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view post Posted on 18/10/2022, 00:18
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L’aveva lasciato parlare. Un sorrisino sbieco mise in risalto le piccole rughe d’espressione sul viso ma durò solamente l’inizio di quel discorso. Megan si lasciò travolgere da ogni singola sillaba e sospirò appena. Cinse la braccia al petto e diresse lo sguardo al tavolo di fronte, prendendosi il tempo necessario per elaborare il tutto.
Non mi devi una giustificazione.
Non sei costretta a restare.
Continuava a pensare a quelle parole mentre Draven andava avanti. Lei non si stava giustificando, aveva semplicemente detto la verità. Messa dinanzi a quello che sembrava un elenco di “se” e “ma”, che poneva dubbi che anche lei aveva avuto, riuscì a innervosirla. Non si sentiva costretta a rimanere, era lì perché voleva starci; l’unica risposta che silenziosamente, d’istinto, si era data.
Strinse le dita sulla pelle nuda, l’afflusso di sangue fermò il suo corso, le falangi impallidirono e segni evidenti di un rosso cremisi chiazzarono la superficie. Tornò a guardarlo. L’espressione confusa e l’evidente disappunto si accentuarono nel momento in cui, all’arrivo del cameriere, Draven rispose seccamente. Aggrottò le sopracciglia, le labbra e il naso si arricciarono seduta stante. Un rimprovero silenzioso che non ammetteva ulteriori fraintendimenti. Mollò la presa sulle braccia mentre tornava dritta con la schiena poggiando entrambi i gomiti sul tavolo.
«No, ci scusi» Megan gli sorrise cancellando qualsiasi traccia di fastidio. «Non c’è problema torno a breve» rispose il ragazzo ricambiando con gentilezza ma non nascondendo la stizza nei confronti di Draven, al quale lanciò un’occhiata fulminea.
Non appena lontano da loro Megan tornò a guardare davanti sé. Il silenzio li divise per esigui attimi, poi lei parlò: «Le promesse si infrangono, Draven. Non è questione di non crederti, è così e basta. Pensi che avrei perso così tante persone se non avessi rotto una promessa o se non l’avessero fatto gli altri?» Tornò a guardarlo e quella dura verità aprì uno squarcio nel petto che tentò subito di tamponare prendendo un lungo respiro. Il viso era rilassato, il tono di voce calmo. Le mani coprivano i segni lasciati sulla pelle.
«Sono stata abituata a promesse spezzate fin da bambina, non biasimarmi per questo» si morse l’interno del labbro inferiore. «Ma ascoltami» continuò assicurandosi di non essere interrotta in alcun modo, «Sono qui e credimi che mi va bene stare qui, ok?» voleva che la guardasse, la voce una tenera rassicurazione. «A patto che la prossima volta che torna» fece per indicare il ragazzo ora dietro il bancone a servire dei caffè, «sarai un po’ più carino» alzò le sopracciglia con aria di sfida, alleggerendo lo stress emotivo che quel discorso aveva creato. Abbozzò un riso divertito prima di tornare a guardare le braccia. Coprì i solchi che la precedente stretta le aveva procurato sulla pelle e si passò le mani a sfregare la parte temporaneamente lesa. Non si era accorta di niente fino a quel momento e ora cercava di nascondersi nell’imbarazzo. Stava provando a non pensare troppo a ciò che c’era stato tra di loro, al dramma che li aveva coinvolti e a tutte le conseguenze che aveva portato e che stava portando con sé. Sebbene i pensieri tornassero al principio e come un circolo vizioso si ripetessero senza sosta, Megan si stava sforzando semplicemente di vivere. Non c’erano problemi, la sua vita era una vita qualsiasi di una giovane donna e quel fardello, che da anni pesava sulle spalle, non era che un semplice mantello portato via dal vento.
Riappoggiò le spalle allo schienale della panca e posò lo sguardo sul telefono di Draven alla sua destra.
«Quindi? Io non ho nulla di simile, perciò...»

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Edited by Megan M. Haven - 18/10/2022, 20:45
 
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view post Posted on 20/10/2022, 12:35
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Era successo tutto molto in fretta, nel momento in cui il cameriere aveva osato interromperli con un pessimo tempismo. Draven era rimasto completamente immobile, seduto su quella parte del divanetto ad angolo che dava le spalle alla vetrina del locale, la schiena rigida come il tronco di un albero. In attesa snervante di sapere come sarebbe andata a finire, pronto a caricarsi di un altro rifiuto e uscire dal locale come se nulla fosse. Forse, per questo si era tenuto addosso la giacca, nonostante avesse iniziato ad avere caldo praticamente dal momento in cui si era seduto su quei cuscini rivestiti di velluto... Materiale che sembrava volerlo perseguitare.
Lo sguardo fisso su Megan. Non battè le palpebre finché non sentì gli occhi bruciargli e rimase ostinatamente a guardarla, anche quando la vide e sentì rivolgersi al cameriere, dopo che aveva rivolto a lui una chiara occhiataccia di rimprovero. Si era trattenuto per più di dieci minuti e avrebbe volentieri continuato a ignorare il tipo, se non fosse che a seguito dell'intervento riparatore di Megan lo vide guardarlo male con la coda degli occhi. Si sentì in dovere di concedergli un briciolo di attenzione solo a quel punto, accompagnando lo sguardo glaciale da una smorfia, per rendergli chiaro che il fastidio generato da lui in primis che, con un pizzico di orgoglio, gli lesse negli occhi era assoluto. Si era sentito innervosito da lui già dal modo in cui li aveva adescati fuori dal locale. Il tono seccato con cui aveva cercato di congedarlo non era stato sufficiente a fargli capire quanto fosse stato fuori luogo, ma a giudicare dalla reazione di Megan... non si era trattenuto abbastanza. Ed era stato distratto a sufficienza da non aspettarsi il fiume di informazioni che la ragazza gli rivelò subito dopo.
Lo sguardo tornò prontamente su di lei, privo di qualsiasi astio avesse contenuto negli istanti precedenti. Occhi chiari e limpidi la fissavano come sotto l'effetto di un'ipnosi...
Se in un primo momento percepì l'impulso di interromperla solo per renderle chiaro che lui non era come 'altri', la ragione lo zittì e riuscì a non interromperla. Chinò la testa e si accasciò contro lo schienale del divanetto con un sospiro profondo. Non era mai stata sua intenzione biasimarla per nulla, tantomeno perché non voleva credere a delle parole discutibilmente belle di un ragazzo di cui sapeva poco o niente; semmai, il suo acume la rendeva degna della sua stima. Ciò che lo faceva impazzire da mesi, ormai, era il suo volergli negare una possibilità. Riguardandosi indietro, a quando le aveva confessato di avere una cotta per lei, poco più di un anno prima... Non poteva sapere, allora, cosa sarebbe successo tra di loro e non si era creato aspettative. Aveva continuato a credere di non essere alla sua altezza, di non poterle piacere e, tristemente, ne era ancora convinto, ma dopo tutto quello che era successo tra di loro, obiettivamente parlando, senza lasciarsi andare a fantasie e speranze: qualcosa c'era. Che fosse semplice attrazione o qualcos'altro, non pretendeva di saperlo.
Si ritrovò a fissare un punto indefinito sul tavolo, finché non gli chiese di essere più 'carino' con il cameriere. Scandagliando rapidamente nella propria coscienza, si disse che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per Megan, o quasi... Trattare bene le persone che gli stavano sul cazzo andava oltre le proprie capacità di adattamento.
Onde evitare di farla innervosire di nuovo, però, si disse che avrebbe ignorato il tipo nelle varie ed eventuali interazioni seguenti. Così tanto avrebbe potuto farlo e gestirlo, per lei, ma non gli avrebbe concesso ulteriore spazio tra le proprie riflessioni. Non avrebbe sprecato altro tempo ed energie per una simile stronzata quando, finalmente, stava avendo qualcosa di simile a un confronto con Megan.
Se non fosse per gli occhi irradiati dal benessere che il semplice guardarla gli infondeva, quando li riportò su di lei per un breve frangente, dall'inespressività del viso non si poteva notare il filo dei pensieri che lo portò a un semplice cenno del capo, a mo di assenso per tutto ciò che gli aveva appena detto. In qualche modo, si era appena aperta con lui, si era esposta, ma Draven a malapena aveva notato quel dettaglio, per quanto imponente. Stava pensando al modo più opportuno per farsi avanti, di nuovo, per l'ennesima volta, valutando tutte le variabili per evitare errori e ulteriori fallimenti.
Si issò con la schiena per riavvicinarsi al tavolo e sbloccò il cellulare, porgendoglielo con la pagina aperta del menù per farglielo consultare.

Dammi una possibilità. - esordì nel silenzio, dopo averle lasciato qualche istante per guardare il menù, mentre si era preso altro tempo per riflettere.
Una volta aveva letto che, indipendentemente dalle sfumature caratteriali e dagli archetipi ereditari che costituiscono gli esseri umani come tali, esistono in maniera più generica due sole categorie di persone: chi agisce davanti a un'opportunità e chi, invece, deve pensare all'opportunità di quell'opportunità. Non che fosse meglio o peggio l'una o l'altra indole, ma chi si fermava troppo a riflettere, perdeva tempo utile. Nel suo caso, un anno e mezzo dietro a una ragazza da cui non voleva essere respinto.
Ci aveva provato in ogni modo fosse riuscito a elaborare: evitandola, dandole considerazione senza pressarla, facendo parte del suo mondo a piccolissime dosi, dandole spazio e tempo... Aveva fallito ogni volta nell'insicurezza, ma stavolta era diverso: aveva deciso di restare.

Non devi credermi. Posso dimostrarti tutto. - continuò, veloce, come se avesse paura di essere interrotto. Come se temesse di perdere il coraggio di proseguire oltre. Si stava lanciando nel vuoto, potenzialmente senza possibilità di ritorno... Si appoggiò con gli avambracci sul tavolo e si protrasse verso di lei. Aveva il discorso più o meno definito nella testa; aveva paura di perderlo se avesse incrociato il suo sguardo, ma il tentativo di dimostrazione dei propri sentimenti doveva iniziare dall'onestà che gli avrebbe letto negli occhi. Per cui, si concesse un solo istante di pausa, un sospiro d'incoraggiamento, prima di riportare lo sguardo sul suo viso.

Senza pretese. Senza pressioni. Senza etichette. Esci con me, parla con me, dove, come e quando vuoi tu, ma dammene la possibilità. - proseguì, con un tono di voce deciso e lo sguardo ancora fisso nei suoi occhi, nonostante il cuore stesse per esplodergli nel petto.

Sappi, però, che non so essere carino con le persone che mi stanno sul cazzo. E, di base, le persone mi stanno tutte sul cazzo. E dico un sacco di parolacce quando sono nervoso. E mi fa schifo l'avocado, per cui non so cosa ordinare. - concluse, chiudendo le mani a pugno nel sentirle tremare, le dita strette fino a imbiancare le nocche.

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view post Posted on 21/10/2022, 08:08
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Quando Draven le passò il telefono, lo afferrò con sicurezza come fosse naturale per lei farne uso quotidiano. Megan guardò l’oggetto, l’unica cosa che lo differenziava dal computer portatile che aveva a casa era che non aveva una tastiera. Lo poggiò sul tavolo e con l’indice toccò lo schermo, imitando quanto visto poco prima. Scrollò la pagina del menù certa di trovare quello che cercava ma non ne ebbe il tempo che le parole di Draven la investirono in pieno.
Vi era stato un momento di silenzio, il tempo di goderne l'essenzialità, poi un’onda la travolse. Eccola, alta e impetuosa si infrange su uno scoglio, infaticabile, pronta a portarlo via con sé ancora e ancora.
Il cuore riprese a battere veloce, fino ad arrivarle in gola. Megan si sentì soffocare. Fissò il cellulare, le mani tornarono sotto il tavolo. Lo sguardo si spostò in direzione dei bicchieri fino a tornare su Draven non appena lo sentì poggiare i gomiti e protrarsi verso di lei. Ingoiò il nodo arrivato in gola mentre la tempesta di emozioni non placava il suo vorticare turbolento in uno stomaco in fiamme.
Non aveva più fame.
Non riusciva a sentire altro che quelle parole, un'eco continua.
Schiuse le labbra per prendere aria. Le iridi cobalto fisse ancora su di lui che la osserva con decisione. Le parve quasi di essere altrove. Si sentì leggera nel caos, nel turbamento. Un posto familiare che le scaldava il petto, un posto in cui tempo prima aveva desiderato di restare.
L’irrazionalità giocava una partita che la vedeva seduta su una panchina ai lati di un capo nell’incapacità di intervenire in alcun modo. Così, rimaneva in balia di un risultato ancora sconosciuto. L’unica certezza era quel nugolo di sensazioni provate che non trovavano un nome lasciandole perdere il controllo. Non cessavano di scavare affondo, penetrare nella pelle e giungere fino alle ossa rendendo la paura così tangibile da volerle rifuggire. Lei non voleva fargli alcun male, eppure sentiva che se fosse andata via da lì avrebbe ferito anche a se stessa.

Inspirò ed espirò ancora una volta. Era agitata. Quando le parole cessarono di segnare quegli istanti e il silenzio tornò a vibrare attorno a loro, Megan abbassò gli occhi. Il cuore minacciava di uscire dal petto e portò la mano al suo centro. Fu in quel momento che si accorse che Draven stava tremando, pugni stretti lungo il tavolo. D’istinto cercò di fermare la frequenza di quel movimento: le dita strinsero il dorso, provando a calmare il turbamento che a fatica era riuscito a nasconderle. Capì che non era stato affatto facile per lui vomitare tutte quelle emozioni; tutto quel tempo passato tra silenzi, parole di circostanza e sguardi fuggevoli. Era la profondità di quei sentimenti, la potenza che emanavano a terrorizzarla. Lei, che era rotta in mille pezzi, stava tenendo a sé un vaso prezioso che rischiava di cadere giù da un momento all’altro tra le sue mani. Draven sarebbe finito allo stesso modo se Megan avesse mollato la presa.
Non devi mai, e dico mai, allontanare chiunque. Mi hai capito? Ecco le parole di Emily Rose tornare a galla. Puntuali. Categoriche. Ferme. Sentì gli occhi riempirsi d’acqua, il naso pizzicare e la gola bruciare. Era così maledettamente difficile non sentirsi persa. Era terribilmente complicato accettare che non avrebbe potuto farcela da sola ad attraversare quel mondo che le aveva tolto tutto. Per quanto nel tempo si fosse convinta di non avere alcun limite, aveva ormai iniziato a capire che stava solo affondando in un mare troppo grande da contenere in un corpo così fragile.
«Non so…» finalmente rispose tornando a guardarlo, resistendo a quell’improvvisa tristezza di attraversare il suo volto. La voce era flebile ma scandiva chiaramente ogni lettera pronunciata.
Dammi una possibilità.
«Mi sento totalmente persa e...» provò a resistere ancora ma una lacrima le rigò la guancia; prontamente a tirò via lasciandola scorrere tra le dita.
«Mi spiace» disse sussurrando con un sorriso amaro, scusandosi di quell’emozione che non era riuscita a trattenere e della quale si vergognò come una bambina.
«Non voglio trascinarti giù con me, non voglio farti del male…» continuò prendendosi un secondo di pausa. Le iridi cobalto tornarono a guardare in basso.
«Non voglio farmi del male» la voce le tremò. Megan continuava a fatica quel discorso senza sapere realmente dove l’avrebbe portata ma si lasciò guidare.
«Allontano le persone, sono fatta così. E non so se lo faccio perché sono solamente una vigliacca, o perché è quello che voglio realmente» sputare quelle parole era come girare una lama ben affilata nello stomaco.
Esci con me, parla con me. Tornò a guardarlo.
«Eppure, lo so che non posso ignorare tutto questo» scosse la testa prendendo coraggio. «Non posso ignorare te, quello che mi hai detto e come riesco a sentirmi adesso. No.» Sapeva quale rischio stava correndo ma tentò di soffocare quella sensazione angosciante.
«Ho terribilmente paura e lo so che la senti anche tu, Draven» richiamò la sua attenzione. «Ma in qualche modo mi spaventa di più lasciarti andare» strinse la presa con più forza, come ad imprimere con maggior intensità quelle ultime parole.

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Edited by Megan M. Haven - 21/10/2022, 09:32
 
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view post Posted on 22/10/2022, 13:14
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Il cuore in gola minacciava di soffocarlo. Sentiva I battiti veloci e frenetici rimbombargli nel torace, come una grancassa sul punto di esplodere per la troppa pressione. Per un brevissimo attimo pensò davvero di stare per morire... Così, lì, per un qualcosa di totalmente irrazionale. Perché non aveva alcun senso logico il modo in cui Megan lo faceva sentire.
Non aveva esperienza, ma c'erano state delle ragazze, prima di lei. Per anni aveva pensato di essersi innamorato di Christelle, ne era rimasto devastato, eppure non era nemmeno vagamente paragonabile al dolore che gli lancinava il petto al solo pensiero di perdere Megan. Non era spiegabile, non era razionale, non era nemmeno passionale… Era vincolante. E fottutamente terrorizzante.
Era come se da lei dipendesse la propria sopravvivenza. Non riusciva a tollerare di dipendere così tanto da qualcun altro, qualcuno oltretutto che non viaggiava sul suo stesso binario; non era riuscito a impedirsi di finire in quel modo patetico, a pregarla di dargli una possibilità.
Aveva passato mesi a chiedersi cosa dovesse fare pur di essere alla sua altezza, ragionando per ore e ore sui come e i perché, per non fallire per l’ennesima volta, per essere sicuro di avere un qualcosa che lo facesse andare avanti. Era diventata un’ossessione. Tutto il suo mondo girava intorno a lei, che lo volesse o meno. Non era riuscito minimamente ad arginare quel fiume in piena e, nel momento in cui si era reso conto di quanto male fosse ridotto, era già troppo tardi. Perché la vedeva diversa dalle altre? Perché vicino a lei si sentiva sempre al limite? Un funambolo su un precipizio. Un passo falso e sarebbe morto. Lo sapeva, lo aveva capito e… lo aveva accettato. Anzi, quasi gli piaceva.
I suoi piani per il futuro, le sue ambizioni, tutto ciò che per anni e anni aveva covato dentro di sé; la gloria personale, il successo, l’indipendenza totale. L’autoconsiderazione di come mai e poi mai avrebbe permesso a qualcosa o qualcuno di impedirgli di conseguire i suoi obiettivi. Il modo in cui si era sempre tenuto a distanza dalle situazioni e dalle persone che gli avrebbero tolto tempo dallo studio e dal lavoro.
Megan aveva il potere di distruggere tutto questo.
Con un semplice no lo avrebbe portato facilmente alla devastazione e, forse per quel briciolo di spirito di sopravvivenza che gli rimaneva, aveva evitato quella possibilità per mesi.
Poi, al primo spiraglio di possibilità, si era lanciato.
“Non so”, la sentì esordire.
E si sentì mancare la terra sotto i piedi.
Era troppo. Troppo.
Ingestibile.
Si era innamorato di una ragazza irraggiungibile, con la consapevolezza del potere distruttivo che aveva su di lui. Non era poi tanto diverso da qualcuno che si buttava a picco da una scogliera... Cosa che aveva figurativamente appena fatto.
Abbassò lo sguardo nel sentire gli occhi bruciare e si accorse solo a quel punto delle sue mani sulle proprie. Aveva stretto le dita con così tanta forza da aver perso sensibilità. I dorsi erano pallidi come se il sangue avesse smesso di fluirci e, quando provò a muovere le dita, un fastidioso formicolio lo assalì fino al polso.
Come aveva potuto pensare che qualcuno come lui, che sapeva prendersi cura solo di se stesso, potesse essere all’altezza di qualcuno come Megan? Non era irraggiungibile per la sua bellezza o per lo status sociale. Si portava dentro un dolore enorme, sempre lo stesso ma ogni giorno più grande. Quello che le aveva letto negli occhi dalla prima volta in cui aveva incrociato il suo sguardo e che l’aveva attirato a sé come il canto ammaliatore di una sirena. Chi provava un simile dolore si teneva a distanza da tutto e tutti, lo sapeva bene o, almeno, credeva di averlo sempre saputo.
Con quale arroganza le aveva appena promesso di poterle dimostrare i propri sentimenti, quando lui stesso non riusciva ancora a capacitarsi di come potesse essere in grado di provarli? Senza contare che non era stato in grado di convincerla a parlargli fino a prima di quel momento, figuriamoci convincerla che fosse al sicuro con lui.
Gli mancavano le basi. Aveva dalla sua solo un ego esagerato.
Qualcosa li legava, questo era indubbio; ma in quel momento, in cui la sua voce stava dando fiato ai suoi pensieri e lui se ne stava paziente, in silenzio, ad ascoltarla, in attesa di un’altra sua richiesta carica di pietà e condiscendenza o di un più facile e veloce rifiuto totale, non riuscì a percepire la consistenza di quelle parole.
Non era lucido e, proprio come dopo la famigerata festa, non riuscì a sentire altro che il totale panico travolgere quel dissidio interiore tra il voler abbracciare tutto quel dolore, nutrirsene come se fosse l’unica cosa in grado di soddisfarlo, e il ritrovare se stesso, essere in grado di intendere e di volere senza essere sopraffatto dagli eventi.
Ma non avrebbe potuto biasimarla se quel flusso di pensieri detti ad alta voce avessero avuto il solo scopo di giustificargli il suo rifiuto. Voleva proteggersi dal dolore, voleva evitare di portare a fondo le persone intorno a lei per via dei suoi traumi. Restia ad affrontare le conseguenze dell’entrata di lui a gamba tesa nella sua vita, nel suo status quo.
Come darle torto...
Non si era mosso di un millimetro, ma dopo troppi secondi di apnea, riuscì a dare segni di vita sospirando profondamente. Il petto si gonfiò d’aria e gli sembrò di aver inalato della lava.

Va tutto bene, Meg. – esordì, la voce roca e impastata per via della gola secca, praticamente parlandole sopra alla fine del suo discorso. Consapevole che non ci fosse nulla che andasse bene. Pur non volendola ferire, lo aveva appena fatto, spingendola oltre i suoi limiti per farle prendere una decisione che, evidentemente, le costava fatica e faceva male.
Aveva detto le prime parole che gli erano passate per la mente, pensando di dover intervenire e aiutarla a sedare una situazione che lui stesso aveva generato; forse l’intento era di rassicurarla subito dopo, in qualche modo, ma non ne ebbe la forza mentale nel momento in cui quelle sue ultime parole iniziarono a prendere forma nel proprio cervello. Assunsero un significato logico che, per quanto assurdo da credere, era reale.
Era reale?
Schiuse le labbra, sul punto di chiederle una conferma, ma la voce gli si strozzò in gola e non riuscì a dire niente. Lo sguardo era tornato su di lei senza riuscire davvero a metterla a fuoco… Aveva gli occhi velati di lacrime.
Che bambino capriccioso.
Tutto questo per un po' di affetto?
La mano sinistra si volse portando il palmo a contatto con il suo, ruotando il polso in una posizione assolutamente scomoda di cui non si curò. Intrecciò le dita tra le sue e le strinse, pur non avendo forza, visto che avevano appena ripreso sensibilità, quando chinò la testa e appoggiò la fronte sull’avambraccio destro, nel tentativo di nascondere il viso nell’incavo del gomito.
Doveva dire qualcosa, ma al momento si sentiva a malapena in grado di respirare.
Nessuna pressione, niente etichette.
La situazione era la stessa di prima, ma erano loro a essere diversi? Aveva appena ammesso di provare qualcosa per lui o aveva inteso male?
La mano libera andò a chiudersi intorno al suo polso destro, accarezzandole con la punta del pollice il dorso delle sue dita ancora strette tra le proprie, se non si fosse tirata indietro a quel tocco.
Avrebbe voluto ribadirle che non se ne sarebbe andato, che avrebbe capito nel tempo come renderla felice sempre, che non doveva avere paura... Il tempo delle belle parole era finito, però. Era tempo di passare ai fatti, se glielo avesse concesso. E l’aveva intristita un po’ troppo per un solo pomeriggio insieme, doveva rimediare.
Dopo qualche istante, si asciugò gli occhi sulla manica della giacca e tirò su il viso, cercando di nuovo il suo sguardo.

Hai ancora voglia di mangiare? – esordì, la voce appena incrinata da un’emozione a cui non sapeva dare un nome, mentre le labbra si arricciarono in un sorrisino tenero, mettendo in mostra le fossette sul suo viso improvvisamente privo di tensione.

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Respirò.
Il cuore parve fermarsi. Una forte stretta e poi lo vide crollare. Testa china sull’avambraccio e profondi respiri.
Immobile.
Qualche secondo per poi tornare a fissare i suoi occhi.
«Va tutto bene» strinse la presa, ripetendo quelle poche parole pronunciate da Draven. Sottolineava il senso di quella frase e provava a calmare anche il suo di cuore. Non c’era altro da aggiungere, non ora. Tutto le sembrava bastare.

«Hai ancora voglia di mangiare?» Un sorriso tenero.
Megan lo guardò ricambiando allo stesso modo quell’espressione, con un leggero imbarazzo ad arrossare la pelle lungo le gote. Abbassò gli occhi sulla mano. Un solo istante per rendersi conto del movimento delle dita di lui sul suo dorso. La presa stretta, intreccio perfetto. Lui le accarezzava la pelle e lei rabbrividiva.
Le emozioni viaggiavano e nell’infinità dei loro movimenti non trovavano alcun ostacolo. Tutto quello che sentiva, batteva nel petto così forte da non sopportarne il pulsare minaccioso lungo il collo. Si passò la mano libera tra i capelli, portandoli dietro all’orecchio nel turbamento che l’abbracciava.
Era forte la paura di poterlo perdere. Non poteva sopportare ancora il dolore di un legame distrutto. Le notti insonne; la stanchezza lasciarla addormentare sul banco, o sulla poltrona in Sala Comune. Poi il mal di stomaco, la nausea e la testa scoppiare. No, non poteva.
La verità era lì al centro del petto, dietro quella ferita che era aperta ormai da anni e che, ad ogni dolore provato, si apriva ancora di più giorno dopo giorno, un centimetro alla volta. Megan non pretendeva di essere guarita ma desiderava qualcuno che appoggiasse la mano con delicatezza, che tenesse forte i lembi di quello strappo, tra il pollice e l’indice, impedendogli di lacerarsi ancora di più.
Così, vi era stato un attimo in cui aveva pensato di fuggire ancora; correre altrove, sola. Quanto lontano sarebbe potuta andare? Ne aveva abbastanza?
Era ancora lì.


«Perché sei qui da sola?» le aveva chiesto sua madre, trovandola in soffitta.
«Perché se ne è andato senza nemmeno salutare e questo è il posto dove… Dove venivano sempre quando fuori pioveva» con il volto nascosto dalle ginocchia piangeva in silenzio; ai piedi, fogli strappati e grandi croci su disegni e parole.
«Lo so tesoro… Piangi pure quanto vuoi, è un bene che tu lo faccia. Non devi trattenere nulla» si avvicinò lentamente fino a raggiungerla.
«Non vorrò più bene a nessuno così tanto… Fa così male!» sbottò con rabbia, la voce rotta.
«Sei delusa e arrabbiata, lo capisco.» Eloise si accucciò sollevandole il viso per poi guardarla negli occhi. Due oceani si scontrarono: acque placide e acque in tempesta. Le scostò i capelli dal viso e continuò con voce ferma: «Ma ricordati che non è scappando, o nascondendoti che riuscirai ad affrontare ciò che senti. Parlaci, possiamo aiutarti e il tempo sistemerà le cose» le accarezzò la guancia, contando delicatamente con l’indice tutte le piccole lentiggini sparse suo viso acerbo. «A volte il dolore è troppo grande e da soli si perde solo la strada» sorrise. «Tu vorrai sempre tornare a casa, vero Meg?»
«Sì, mamma».


, tornò a rispondere a distanza di anni senza nemmeno rendersene conto. Lasciò sfuggire un accenno di tristezza che quel ricordo portava con sé. La verità racchiudeva però promesse infrante nel tempo, lungo il pavimento che ancora, in qualche modo, la teneva in piedi. Camminava in uno spazio colmo di vetri rotti. Non aveva mai voluto tornare a casa ma adesso?
Non ricordava più cosa fosse casa.

«Diciamo», si decise a rispondere aggrottando le sopracciglia. «Sai quale è la cosa divertente? È che non so per quale motivo siamo qui» Tornò a guardarlo con riso divertito. Sciolse la presa e prima di tornare con le mani lungo il grembo, si premurò di stringerle appena ancora una volta.
Inspirò.
Il cuore tornò a seguire un ritmo preciso. Il respiro a rispettare la giusta frequenza.
«In ogni caso, ora ho proprio voglia di qualcosa con l'avocado che è uno tra i miei cibi preferiti» gli passò il telefono con una smorfia divertita prendendolo chiaramente in giro.
Avrebbe fatto cenno al cameriere poco dopo, pronta ad ordinare una Salad Bowl con patate dolci, avocado, riso nero, mais e lime.


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Edited by Megan M. Haven - 28/10/2022, 01:52
 
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Aveva perso totalmente la cognizione del tempo e dello spazio. I secondi si erano mischiati ai minuti e il caos della propria mente aveva preso il sopravvento sull’ambiente circostante. Poi, non appena aveva riportato lo sguardo a incrociare quello di Megan, gli era bastato vedere nei suoi occhi per tornare... presente. I suoni, i rumori, le voci che aveva ignorato fino a quel momento. Non aveva avuto modo di rendersi conto dell'udito ovattato dalla pressione sanguigna finché non si era tutto stabilito: dentro e fuori di lui. Con l'espressione sul viso di Megan che lasciava intendere che fosse un po' più tranquilla, i battiti del proprio cuore avevano ripreso gradualmente la loro naturale funzione e, con loro, anche tutto il resto. Un qualche autore aveva scritto che “il cuore pompa sangue e incertezza” e fu sicuro che mai, come in quel momento, tale frase potesse essere perfettamente azzeccata.
Nonostante il sollievo e l'improvviso buon umore, non poteva dire di essere totalmente rilassato ora che, riappoggiandosi allo schienale della sedia, con una rapida occhiata intorno poté constatare di quanta gente si fosse accomodata nel locale; ma finché non gli avessero accostato un po' troppo una qualunque di quelle persone, confermò a se stesso di poter resistere e restare lì tutto il tempo in cui Megan avrebbe voluto restarci.

Forse perché hai deciso di venire a mangiare in un ristorante dal nome stupido e cacofonico? - commentò, in risposta alle sue parole, accentuando il sorriso. Abbassò per un attimo lo sguardo sulla propria mano, rimasta sul tavolo e che, fino a un istante prima, aveva vissuto un momento estatico. L'aveva sentita stringere le dita tra le proprie. Lo aveva fatto davvero? Già sentiva la mancanza di quel contatto.
Se fino a pochi istanti prima si era sentito di paragonarsi a un fumambolo a rischio a ogni passo della sua vita, in quel preciso istante si senti più come un drogato... Le aveva appena promesso di non pressarla e per mesi si era detto di non avere pretese da lei, né aspettative, niente che lei non volesse, eppure, aveva già iniziato a lottare contro i propri impulsi che chiedevano di più, volevano disperatamente più contatto con lei. Chiuse la mano di nuovo a pugno, ma per un solo istante; portò subito dopo le dita a stringersi intorno al bordo della manica opposta per sfilarsi la giacca. Nonostante i minuti di panico precedente, non aveva dimenticato cosa conservasse nella tasca interna, per cui, dopo essersela tolta, la ripiegò con estrema delicatezza al suo fianco, nello spazio ad angolo tra lui e Megan. Dalla manica sinistra della t-shirt bianca, sia oltre la mezza manica che al colletto, si vedeva spuntare parte di un tatuaggio che sembrava essere stato fatto di recente. Il nero dell’inchiostro ancora luminoso sulla pelle leggermente abbronzata.
Sbuffò una lieve risata alle sue parole seguenti, riportando per l’ennesima volta lo sguardo a incrociare il suo. Aveva gli occhi chiari, liberi, come non glieli vedeva da mesi… Pur di continuare a vederla così, sempre, avrebbe mangiato solo avocado per decenni.
Evitando di guardare il cameriere, quando Megan lo richiamò al loro tavolo, per non incappare nel rischio di squadrarlo di nuovo con cattiveria immotivata, riprese in mano il cellulare. Prima di poter riaprire il menù, notò diverse notifiche che, evidentemente, col silenzioso e impegnato com’era stato a pensare a ben altro, non aveva notato: quattro chiamate senza risposta e tre messaggi. Tutti provenienti da un numero che si era rifiutato di salvare in rubrica, ma che alla fine aveva imparato a memoria… Eliana. La fidanzata di sua madre. Senza nemmeno leggere i messaggi, aprì la chat con lei e le scrisse un rapido “Mangio fuori”. Data la sua presenza fissa in casa sua, ormai da settimane e senza alcun ritegno, aveva imparato a conoscerla e poteva immaginare che l’assillo fosse dovuto dal voler sapere dove fosse o a che ora sarebbe tornato a casa. Evidentemente, era in procinto di staccare dal suo turno. Ed era annoiata.
Aprì il menù giusto in tempo per leggere le specifiche dell’ordine che Megan disse al cameriere e non riuscì a trattenere un altro sbuffo divertito… Ovviamente, aveva ordinato qualcosa con quella specie di frutto viscido.

Prendo lo stesso. Grazie. – disse, aggiungendo di portare anche dell’acqua. Dato che Megan non aveva fatto richiesta di volere qualcos’altro da bere, non chiese che quello. Ripose il cellulare nella tasca dei jeans, consapevole che di lì a breve Eliana avrebbe provato a richiamarlo o, come minimo, a scrivergli a pressione. Per un attimo, gli venne da chiedersi perché non avesse ancora bloccato il suo numero, ma era troppo concentrato su Megan per pensare a chiunque altro. E non voleva distrazioni. Se fosse stato un sogno, voleva perlomeno viverselo dall’inizio alla fine senza intromissioni.

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Braccia conserte. Spalle poggiate lungo lo schienale. Aveva rivolto lo sguardo in direzione del bancone, osservando il caos che iniziava a popolare quel locale. Il vociare allegro l’aveva travolta d’improvviso, come fosse riemersa da una vasca piena d’acqua.
Un cenno al cameriere e successivamente l’ordine che aveva previsto di fare.
«Prendo lo stesso. Grazie.» disse Draven e lei lo guardò di sottecchi notando un sorrisino divertito. «Ti toccherà togliere tutti i pezzi di avocado» intervenne sorridendogli. Le labbra chiuse e le fossette messe in risalto dall’espressione divertita. Draven detestata quel frutto, si chiese per quale motivo avesse fatto quella scelta.
Lo sguardo poi si posò sul braccio. Aveva tolto la giacca ma lei era stata troppo distratta per accorgersi di quel cambio improvviso. La calma che l’aveva abbracciata dopo quegli attimi intensi, l’aveva messa a suo agio. Non tremava più. Smise di abbracciarsi portando ad incrociare le gambe e a tenere le mani libere lungo il grembo. Il respiro regolare lasciava al cuore di battere silenzioso nel suo petto. Si sentiva bene.
«Allora, come sta andando l’estate?» gli chiese. Spostò lo sguardo sull’orologio appeso alla parete: era tardi, doveva essere rientrata da un pezzo. Non le interessava di Elizabeth, probabilmente era impegnata a leggere con un bicchiere di whisky in mano, sfogliando pagine senza curarsi minimamente della sua assenza. Per un periodo le aveva chiesto spiegazioni quando la sentiva tornare a casa tardi; un briciolo di interesse che era finito per svanire con il tempo. Megan non aveva mai pensato che sua nonna nutrisse dei sentimenti per lei, forse un tempo ma era troppo piccola. Una donna sola, abbandonata in un mondo troppo stretto ormai. Sua nipote le ricordava i propri fantasmi: sensi di colpa, decisioni sbagliate, la morte.
Eppure, in quel briciolo di interesse, Megan aveva visto in lei qualcosa che le ricordava Elizabeth di tanti anni prima. Quando l’abbracciava un'ultima volta e sua madre la trascinava via da quella casa, la stessa in cui viveva ora. Ricordava i suoi occhioni grandi e quel sorriso che nascondeva il dolore. Aveva desiderato tornare indietro, riprendersi ciò che le era stato strappato via.
Pur sapendo che non sarebbe mai stato possibile, Megan immaginava crescere senza alcun peso da portare sulle spalle. Così, alla sua età avrebbe colmato i lunghi e profondi silenzi e il cuore sarebbe rimasto intatto. Vivere le emozioni a pieno e lasciarsi travolgere senza alcuna regola.
Ma accettava la realtà di ciò che era mentre lentamente tutto stava cadendo a pezzi. I suoi genitori avevano fallito miseramente se volevano proteggerla, lei non era altro che l’insieme dei loro errori.

Il cameriere portò da bere, Megan se ne versò un po’ nel bicchiere e fece lo stesso con quello di Draven. Poi, portò indietro i capelli, legandoli con l’elastico in una cipolla disordinata e afferrò il bicchiere pieno. Bevve un sorso. «Quello…» indicò con il dito. Nascosto dalla manica corta della maglietta, l’inchiostro macchiava la pelle di Draven, mostrando la fine di un disegno sulla parte scoperta del braccio. «Quando lo hai fatto?» chiese.

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view post Posted on 30/10/2022, 00:18
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Forse era troppo chiedere a se stesso di abbassare la guardia, restare calmo e semplicemente godersi il momento. Non appena si rilassò con le spalle contro lo schienale del divanetto su cui era seduto, si rese conto di aver smesso di tremare. Le mani ferme e salde, il cuore inudibile e perfettamente funzionante, così come il respiro, era tornato regolare. Tutto perfetto, addirittura troppo, considerando i minuti di panico precedenti, ma… Gli era mancata quella sensazione.
Non appena aveva sentito la razionalità riprendere a scuotergli ogni fibra del suo essere e gridargli nella testa di mantenersi concentrato e preparato ad affrontare chissà quale delusione, aveva prontamente rialzato lo sguardo sugli splendidi occhi di Megan. Era precisamente dove doveva essere, del resto non gliene fregava niente. E mentre la parte più riflessiva di se stesso giungeva alla conclusione che, tutta quella sconsideratezza lo avrebbe portato alla rovina, lui se ne stava lì a sogghignare, contento. Se tutta quella felicità lo avesse portato, un giorno, a soffrire immensamente, si disse che ne sarebbe valsa la pena per il solo ricordo di momenti come quelli che avevano vissuto e, con un po’ di fortuna, avrebbero vissuto in un lungo futuro. Ci avrebbe pensato a tempo debito ad affrontare le infelici conseguenze, nel caso. Non voleva pensarci lì e non in quel momento, in cui Megan era rimasta, aveva stretto le dita tra le sue, continuava a ricambiare i suoi sguardi e sembrava sinceramente divertita. Se ne stava lì seduta vicino a lui, ad arricciare il naso mentre sorrideva e, prima che potesse rendersene conto, si era di nuovo sporto verso di lei. La mano sinistra raggiunse il suo viso e, sfiorandone il profilo con le dita, le accarezzò delicatamente la fossetta sulla guancia con la punta del pollice. Era rimasto completamente inebetito a fissarla, si accorse a posteriori, con un sorriso che probabilmente solo lei aveva avuto l’onore, e l’onere, di ricevere.
Ma fu questione di un attimo. Ritirò la mano prima di darle tempo e modo di reagire. Piegò di nuovo entrambe le braccia sul tavolo e abbassò lo sguardo d’istinto; forse, un breve guizzo di tristezza gli attraversò gli occhi in quel frangente. Qualsiasi fosse la dimensione in cui Megan gli avesse concesso di stare, non gli dava il permesso di toccarla ogni volta che voleva … Ma, per quanto ci si impegnasse, non riusciva a essere lucido. Fosse dipeso da lui, l’avrebbe abbracciata e baciata per il resto della serata, ma non era questo ciò che avevano concordato.
O forse sì?
Avrebbe dovuto… indagare meglio su quali fossero i limiti?
Sarebbe risultato inopportuno cacciare l’argomento dal nulla?

Già. Se solo ci fosse qualcuno seduto a questo tavolo a cui piace l’avocado, non andrebbero sprecati… - le rispose, sbuffando con un sorriso divertito sulle labbra, sincero, nonostante lo sguardo rimase basso. Forse era stato stupido non chiedere semplicemente al cameriere che gli venisse tolto l’avocado dal proprio ordine, dando per scontato che a Megan avrebbe fatto piacere averne di più. Non ci aveva nemmeno ragionato sopra, lo aveva deciso d’istinto, sul momento.

Mhm… Sto meglio a scuola. Non mi piace stare a casa, non mi piace la vita a Londra, il sole sull’asfalto mi brucia gli occhi… Passo le vacanze a lamentarmi, di solito. - ribatté poi, il tono di voce dolce e ironico, nonostante il filo dei propri pensieri non fosse proprio il massimo in quel momento. Probabilmente sul punto di ricambiare la domanda, vide il cameriere tornare al loro tavolo con due bicchieri e una brocca d’acqua. Il tizio continuava ad avere un tempismo fastidiosamente perfetto. Pensò di doverle spiegare, in qualche modo, in qualsiasi modo che stava cercando di capire come essere socievole, per evitare di metterla a disagio; magari scusarsi se appariva strano per questo o per i silenzi prolungati o per entrambe le cose. Che voleva parlare con lei e avrebbe potuto farlo per ore, in eterno, ma non voleva forzarla a dirgli cose che non aveva voglia di dirgli e che, con la domanda sbagliata, si sarebbe sentita in dovere di dire.
Quanto cazzo era difficile essere umani?
Per poco non si lasciò sfuggire uno sbuffo; riuscì a frenarlo giusto in tempo, pensando che sarebbe potuto apparire fraintendibile, interpretato come una reazione di noia, quando invece era solo frustrazione. Troppo impegnato a odiare se stesso e i suoi stupidi pensieri per accorgersi che Megan aveva legato i capelli.
Trattenne il respiro. Rialzando lo sguardo, quello sbuffo strozzato gli sfuggì dalle labbra, schiuse, più come un gemito alla vista del collo nudo. In qualche modo, era riuscito a evitare di abbassare lo sguardo sulla scollatura della canottiera fino a quel momento. Era stato bravo.
Chinò prontamente di nuovo la testa, pregando con tutto se stesso di non essercisi imbambolato senza che se ne rendesse conto e che fosse rimasto a fissarla solo per un secondo, al massimo.
Merda. Doveva stare più attento. Portare più rispetto, più pazienza. Avere più lucidità mentale.
Mentre si disse che per un po’ avrebbe fatto meglio a tenere lo sguardo basso, almeno finché non si fosse abituato alla sua presenza così vicina, per evitare di perdere ogni neurone semplicemente guardandola, la sentì parlare di nuovo e fu costretto, quantomeno, ad alzare la testa per seguire il suo sguardo e capire a cosa si stesse riferendo.

Ah. - commentò, tirandosi indietro di nuovo per riappoggiarsi allo schienale del divanetto. Si sollevò la manica con la mano destra per poter osservare il tatuaggio che Megan aveva appena notato. Ci passò un dito sopra: era praticamente guarito e, con suo immenso sollievo, non aveva scoperto a posteriori di essere allergico a quel tipo di inchiostro. Era stato così incosciente che ancora, di tanto in tanto, si ritrovava da solo a maledirsi nel privato dei propri pensieri.

L’ho fatto qualche giorno fa, per il mio compleanno. Stavo mettendo dei soldi da parte per comprare una scopa, ma Sinister è tirchio e costa meno regalarsi un tatuaggio, a quanto pare… La conseguenza permanente di una serie di sfortunati eventi. – rispose, abbassando la mano e riportando lo sguardo su di lei, nonostante solo pochi istanti prima si fosse ripromesso di non farlo.
Non riusciva a impedirselo.
Un idiota. Senza spina dorsale. Completamente soggiogato.
E felice come non mai.

Quando sono sovrappensiero mi ritrovo spesso a disegnarlo. Lo faccio da quando sono piccolo. È… tipo… il modo in cui vedo il filo dei miei pensieri? Credo… È stupido, lo so. – continuò, scrollando le spalle e accennando un sorriso che mise in mostra le fossette. Parlare di sé era decisamente più facile che trovare il modo, che fosse opportuno ed educato, per far parlare lei. L’unica volta in cui ci era riuscito era stato in quell'occasione nel vagone del treno, in cui era partito a ruota a tempestarla di domande e, infatti, non era andata bene: l’aveva fatta innervosire velocemente o, forse, aveva finito lui con l’innervosirsi per primo perché il discorso era virato su Narcissa.

Ti va… Di parlarmi di te? Tipo, che altro ti piace, oltre l’avocado? O com’è andata la tua, d’estate? Quello che vuoi… - esclamò, un po' esitante, ma con voce ferma. In contraddizione con i propri pensieri per la millesima volta negli ultimi dieci minuti. Circa.

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view post Posted on 31/10/2022, 21:03
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Aveva cambiato posizione. Tallone destro sotto la gamba sinistra. Spalle chiuse e braccia abbandonate in avanti. Schiena contro il tessuto della seduta. Rilassata, posava gli occhi sul tatuaggio ora scoperto. Linee nere, intrecciate tra loro, percorrevano la spalla di Draven accarezzandone la pelle abbronzata.
Si ritrovò a sorridere divertita per la battuta su Sinister e pensò che anche Lysander non fosse da meno. Megan ricordò quando quest’ultimo l’aveva rimproverata per aver venduto un oggetto a dieci falci in meno. Nonostante avesse pensato a quanto fosse assurdo ed esagerato quel rimprovero, aveva dovuto abbandonare le proprie ragioni ammettendo l’errore. Da allora aveva capito i limiti di quell’uomo tanto da riuscire ad instaurare una convivenza più che civile.
Megan abbandonò quei pensieri tornando a guardare Draven quando l’ondata di domande sul finale la travolse.
Gli sorrise.
«Non è stupido, è un modo per provare a metterli in ordine che è sempre meglio di niente» disse prendendo un profondo respiro, «È un bel regalo».
Sebbene la tranquillità avesse preso ampiamente spazio nel proprio petto, vivere quell’esperienza del tutto nuova la rendeva in qualche modo agitata. Il nodo era sempre lì, nella gola, pronto a stringere da un momento all’altro lasciandola soffocare. Ancora una volta non seppe dare una definizione a quello stato, a ciò che sentiva. Da quel che ricordava, però, nessuno le aveva avanzato domande così dirette. Forse era questo a dettarle quella piccola insicurezza che le lasciava tremare le mani, esitare tra una parola e l’altra.
«Mi piacerebbe dirti che la mia vita è interessante ma c’è solo costante caos da troppo tempo» rise spostando lo sguardo alla sua sinistra. «Ho perso i miei genitori quando ero molto piccola» una breve pausa e tornò a guardarlo.
«Troppo piccola. Ma forse questa è una cosa che sai già» continuò alzando le spalle. Un velo di malinconia si posò sul viso, adombrando i lineamenti di una sofferenza ormai scolpita tra le rughe d’espressione. Bevve un sorso d’acqua per chetare il pizzicore lungo la gola. Nonostante il tempo trascorso da quel “tragico incidente”, lei continuava ad avvertire il dolore nel petto ogni qualvolta ricordava a se stessa di quell’assenza. Adesso, però, faceva meno male. Era abituata a quel vuoto e lo temeva più di qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto farle del male. Presente, la paura di farlo esplodere nuovamente portando a galla ogni cosa. L’oscurità avrebbe ingoiato l’ultimo spiraglio di luce, lei lo sapeva.
Guardò per un momento altrove, provando a non lasciarsi sopraffare da quel turbamento. Stava dando per scontato che Draven sapesse di lei e di ciò che le era accaduto tempo prima. Le sembrò più facile troncare il discorso in quel modo. La vita di Megan era stata messa a manifesto tra le mura del castello ormai da tempo e lei conservava ancora quell’articolo della Gazzetta del Profeta scritto da Lucas Scott.
«Abitavo nel quartiere di Kensington, non vedo casa da allora…» la voce tremò appena, per poi riprendersi l’attimo successivo. «ora sono qui da mia nonna se posso definirla tale» tese le labbra. La voce non aveva più vacillato, sembrava improvvisamente più sicura.
«Sì, diciamo che non abbiamo un rapporto. Vivo da sola con un fantasma e…» venne interrotta.
«Ecco a voi le Salad Bowl!» Il cameriere posò i piatti augurandogli una buona cena. Tempo perfetto. Megan lo ringraziò guardandolo di sfuggita. Quell’interruzione fu per lei un sospiro di sollievo.
«Tuttavia, l’estate è andata bene. Devo condividere il fatto che sia indubbiamente meglio Hogwarts rispetto a Londra ma stare lontano dal castello può portare a questo» era tornata a guardarlo, alzò entrambi i palmi verso l’alto andando a sottolineare quelle parole. Sorrise di sbieco e si sistemò di fronte al piatto afferrando la forchetta.

Il caos che albergava nel locale non era che un sottofondo a tratti piacevole. Durante l’intera cena avevano colmato i silenzi quasi come fosse la cosa più naturale del mondo ritrovarsi lì e parlare del più e del meno. Megan gli aveva confessato di amare l’inverno, i camini che scoppiettano nelle stanze e la musica. Camminare all’aria aperta, correre, godersi un buon libro e dormire sempre coperta anche nelle più calde estati. Aveva riso di sé per qualche assurdità che aveva detto e si era imbarazzata nel riconoscere alcuni attimi trascorsi con Draven come profonda bellezza che riscaldava il cuore. La sue emozioni esploravano un ambiente estraneo che sperimentava per la prima volta e che sentiva colmare parte del vuoto dentro di sé.
Sì sentiva bene.

Aveva guardato l’orario un ultima volta, poi dopo aver posato il bicchiere sul tavolo. Si era alzata andando a pagare il conto facendo cenno a Draven di uscire da lì.
L’aria di fine estate li accolse fuori dal locale, Megan si allontanò di qualche passo, spingendosi sul marciapiede davanti. Si fermò lì: borsa tra le gambe e braccia nelle maniche della felpa che finì per indossare di nuovo. Lasciò il cappuccio sulle spalle, senza liberare i capelli incastrati tra la pelle nuda e il tessuto. Poi, tornò a vestire la tracolla sulla spalla destra, dalla quale estrasse un mazzo di chiavi. Avrebbe aspettato che Draven l’affiancasse per voltarsi verso di lui. Le dita avrebbero scostato una ciocca caduta sul viso e un lieve sorriso sarebbe spuntato per brevi istanti, illuminato dai fari delle automobili che sfrecciavano lungo la via.
«Direi che è ora che me ne torni a casa» avrebbe detto.

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view post Posted on 1/11/2022, 19:35
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Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

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I started bringing up the past; how the things you love don't last, even though this isn't fair for both of us.

Lo sguardo di Megan sul tatuaggio lo aveva reso di nuovo bruciante, come quando aveva sentito gli aghi pizzicargli fin dentro lo strato di pelle più profondo quando avevano impresso con l’inchiostro quel marchio su di lui. Non sapeva nemmeno perché avesse sentito l’esigenza di spiegargliene il significato; forse per giustificare la propria scelta, di cui era ancora un po’ pentito. Era solo un filo spinato da cui nascevano dei piccoli fiori. Una metafora della vita, oltre che dei suoi pensieri. “I più eminenti afferrano la gioia dalla sofferenza”, ma un fiore è facilmente estirpabile, mentre il filo spinato si rende immune al tocco, a meno che non si voglia provare ancora più dolore… Avrebbe potuto scriverci un trattato di filosofia su quello stupido disegno che aveva deciso di imprimersi nella pelle a vita. Ma lo aveva definito, per l’appunto, ‘stupido’, per sminuirlo. In qualche modo, senza crearsi aspettative nemmeno per una cosa di così poca importanza. Di nuovo che camminava sul filo del rasoio, in equilibrio precario. Aveva assodato quanto gli venisse facile parlare con lei, ma il contrario lo rendeva nervoso. La paura di farla scappare via, come un animale ferito, lo tormentava e, nonostante gli ultimi momenti di apparente tranquillità, non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione. Ancor di più, quando decise di chiederle di parlargli. Voleva ascoltarla parlare, il suono della sua voce lo rilassava; indipendentemente da ciò che avrebbe potuto dirgli, aveva già constatato che gli piaceva semplicemente ascoltarla. Pensò di essere stato delicato, senza pressioni, ma si mise subito in dubbio, dato il modo in cui sentì Megan rispondergli. Per qualche motivo, nonostante lui le avesse chiesto di parlare con l’intento di mantenere la conversazione su un piano generico, addirittura irrilevante, la ragazza aveva deciso di parlargli di lei. Di cose importanti di lei.
E non riuscì a pensare. Il cervello andò in arresto per un lungo istante.
In un attimo, ecco spiegata la fonte di quel dolore che era stato il punto di attrazione che aveva generato quella sequenza di eventi tra di loro. Il motivo per cui i suoi occhi erano velati di un dolore incommensurabile… Che non avrebbe mai potuto dissolvere. L’improvvisa consapevolezza gli franò addosso. Pesantemente. Senza il tempo di elaborarlo. Con l’unica sicurezza che non fosse la sola perdita dei suoi genitori a mantenere vivo il dolore. Chissà quali rimpianti e rimorsi avevano scatenato l’evento, segnando per sempre il suo cuore, dettandole per il resto della vita le condizioni di ogni singolo rapporto, parola detta ed emozione provata.
Lo sapeva dalla propria esperienza. Glielo aveva letto negli occhi la prima volta che l’aveva vista.
Sospirò, silenziosamente. Il petto gli si gonfiò d’aria, bruciandogli i polmoni come negli istanti in cui era rimasto sospeso tra il rifiuto e l’accettazione.
Senza mai distogliere lo sguardo da lei, infrangendo le proprie promesse, seguì il modo in cui cambiava spesso posizione, pensando che a lui era stato fatto notare lo stesso vizio; capitava quando era annoiato o nervoso.
Il suo tono di voce che oscillava tra il formale e l’informale.
Forse si era un po’ fissato col voler conoscere ogni più minima sfumatura di lei, ma il modo in cui parlava gli dava sensazioni diverse e si rese conto di sentirsi più tranquillo, o meno tranquillo, in base al modo in cui costruiva le frasi, pronunciava le parole e faceva pausa tra un discorso e un altro.
E una via di mezzo come quella non l’aveva ancora mai sperimentata. Era come se fosse in bilico anche lei, tra il sentirsi a suo agio e tremendamente preoccupata, allo stesso tempo.
Era strano. Era come se entrambi si sentissero bene l’uno vicino all’altro ma qualcosa tra di loro facesse resistenza. Nella sua mente si palesò l’immagine di due magneti: due poli positivi attratti l’uno all’altro che, per natura, tendevano a respingersi.
Ci avrebbe creduto se le avesse ribadito di poter stare tranquilla? Che aveva la piena libertà di fare e dire ciò che voleva quando era con lui? Ai suoi occhi era perfetta; non c’era nulla di lei che non avrebbe protetto e rispettato con tutto se stesso.
Di nuovo, l’impulso di abbracciarla, di stringerla a sé. Non voleva che gli raccontasse di un dolore che le faceva ancora così male o di quanto si sentisse fuori posto a vivere con sua nonna. Voleva sentirla parlare di ciò che rendeva la sua vita più meritevole di essere vissuta, ma non poteva ignorare il modo in cui… si stava fidando di lui?
Fu il tempismo, ormai perfettamente coordinato, del cameriere a interromperli. Per la prima volta quella sera, sentì che il suo intervento fosse stato, in qualche modo, utile ad alleggerire l’aria. Tanto che, quando Megan riprese a parlare, aveva di nuovo cambiato voce e tono. La leggera placidità che ne percepì nel dire un qualcosa di così forte da fermargli il cuore per un paio di secondi… Forse, senza rendersi conto di che tipo di impatto avesse una cosa del genere su di lui.
Per migliorare quella stasi di imbarazzo, avrebbe fatto meglio ad abituarsi in fretta all’idea che, per davvero, Megan voleva stare con lui. Non aveva capito ancora come o perché, ma era così. Nonostante la sua vita a Londra non fosse piacevole, era come se ne fosse valsa pena di viverla per quel momento?!
Un ampio sorriso gli illuminò il viso, mostrando le fossette sulle guance senza alcuna timidezza.
E la cena proseguì… Bene. Nessuna paranoia, solo parole di circostanza che, però, non volevano essere vuote o col puro scopo di riempire dei silenzi, no: erano volute. Informazioni e aneddoti più o meno rilevanti, che Draven avrebbe conservato, tutti, senza scrematura e con dovizia di particolari, nella propria memoria. A entrambi piacevano l’inverno, il fuoco e la musica. Anche meglio se inverno e camino acceso erano accompagnati da un libro e il silenzio, rotto solo dallo scoppiettio delle fiamme. Draven era intervenuto nel dire che la pioggia lo rilassava, ma non riusciva mai a dormire con i temporali e il suono dei tuoni che irrompevano nella quiete, nonostante fosse abituato sin da bambino a dormire a pancia in giù svegliandosi, spesso, con il cuscino sopra il collo, a schermargli le orecchie dai suoni esterni. Ecco, a volte non funzionava, specialmente con i tuoni. E aveva riso, dicendolo.
Come se fino a quel momento non avessero fatto altro che questo: parlare, ridere, guardarsi.

Ok. Così posso portarti a cena fuori un’altra volta per ricambiare… - disse poi, quando la ragazza si alzò dal tavolo per pagare il conto. Il sorriso ancora dominante sulle proprie labbra, fin quasi a sentire dolore nelle guance; il viso per nulla abituato a sostenere quel livello di felicità. Era troppo bello per essere vero.
Andò ad affiancarsi a lei verso l’uscita dal locale, indossando di nuovo la giacca. Immediatamente, sentì la pressione sul petto data da ciò che aveva nascosto nella tasca interna.

Ti accompagno. – disse, con sicurezza, ma non perentorio, semplicemente considerandolo come un’ovvietà e non un qualcosa per cui fosse necessaria una domanda e una risposta. Per quanto le lunghe giornate d’estate concedessero ancora qualche spiraglio di luce nella prima serata, l’istinto colse quell’opportunità come un modo per passare altro tempo con lei.
A lui piaceva la notte, gli piaceva passeggiare al buio. Il silenzio, la solitudine, consentivano di avere uno spazio e un tempo tutto per lui, imperturbabile. Nonostante a Hogwarts non fosse esattamente così e gli ci erano voluti anni per abituarcisi! C’era sempre casino ovunque. Per non parlare degli spazi di casata! Lui aveva la stanza un po’ troppo vicina alla Sala Comune, per cui, anche quando voleva starsene in dormitorio per conto suo, sentiva fin troppo spesso il chiasso, ma a un certo punto aveva comunque imparato a isolarsi da esso… Perché quando leggeva o studiava non sopportava di sentire il vociare e aveva dovuto imparare ad adattarsi all’ambiente. Le raccontò tutto, ridendo spesso, soprattutto quando si accorse di averle detto di avere tante strane fisse che gli rendevano la vita difficile, ma che nessuno notava, perché era bravo a non darle a vedere, per non dare soddisfazione a tutti quei primini gracchianti… Era sicuro che fosse visto come un tizio losco dai suoi concasati, consapevole del modo in cui tendeva a guardare le persone.
E quando si fermarono in prossimità di casa sua, Draven non si concesse nemmeno un’occhiata di curiosità. Rimase con lo sguardo su di lei, pensando che già accompagnarla fino a lì fosse stato un passo importante; non era il caso di essere invadente.
Esitò.
Gli occhi fissi nei suoi. L’intenzione di salutarla con un bacio, che dovette reprimere per non rischiare di mandare all’aria quella serata…
Infilò le mani nelle tasche della giacca e, per fortuna, quel gesto gli ricordò nuovamente di ciò che aveva prelevato da casa sua e conservato nella tasca interna, speranzoso senza il coraggio di poterlo ammettere.
Deviò lo sguardo da lei solo per portarlo su di sé, mentre infilò la mano a estrarre uno specchio, dalle piccole dimensioni, ma abbastanza grande da consentire di vedere il proprio viso riflesso anche da vicino.

Ne ho uno gemello a casa. Vorrei che questo lo avessi tu. Sei l’unica che ho piacere di vedere… O con cui ho voglia di parlare. – disse, porgendole lo specchio, a testa china. Si azzardò a lanciarle un’occhiata da sotto le ciglia, il viso reso in qualche modo più tenero e dolce da quell’espressione. Non si prolungò su delle spiegazioni sull’oggetto, dando per scontato che sapesse si trattava di uno specchio magico comunicante; avrebbe semplicemente aspettato di vederla afferrarlo, prima di riportare la mano nella tasca laterale della giacca, come l’altra rimasta lì ferma.

Grazie. – le avrebbe detto, con un gran sorriso a illuminargli il viso, gli occhi accesi di pura gioia. Perché gli stava dando una possibilità e non intendeva metterle fretta, o alcuna pressione, ma il cuore aveva rischiato di esplodergli nel petto così tante volte nell’ultimo paio d’ore che non poteva ignorare la prepotenza dei propri sentimenti. Si sarebbe, quindi, protratto verso di lei per darle un bacio su una guancia.
Era riuscito a trattenersi, ma fino a un certo punto…

Ci vediamo. – avrebbe detto poi, ammiccando allo specchio. Il sorriso, se possibile, si sarebbe accentuato.
Le diede le spalle, prima di cambiare idea e fiondarsi sulle sue labbra, e s’incamminò lungo la strada da cui erano giunti. Rimise le cuffie verdi sulle orecchie e, mentre avviò della musica, cercò di capire come fare per tornare a casa da lì.
Non sarebbe mai riuscito a orientarsi per tornare indietro senza problemi, visto quanto era stato distratto nel tragitto, ma era troppo felice per potersi preoccupare di una cosa così insignificante.

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Fine Role.

 
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