|
I started bringing up the past; how the things you love don't last, even though this isn't fair for both of us.
Lo sguardo di Megan sul tatuaggio lo aveva reso di nuovo bruciante, come quando aveva sentito gli aghi pizzicargli fin dentro lo strato di pelle più profondo quando avevano impresso con l’inchiostro quel marchio su di lui. Non sapeva nemmeno perché avesse sentito l’esigenza di spiegargliene il significato; forse per giustificare la propria scelta, di cui era ancora un po’ pentito. Era solo un filo spinato da cui nascevano dei piccoli fiori. Una metafora della vita, oltre che dei suoi pensieri. “I più eminenti afferrano la gioia dalla sofferenza”, ma un fiore è facilmente estirpabile, mentre il filo spinato si rende immune al tocco, a meno che non si voglia provare ancora più dolore… Avrebbe potuto scriverci un trattato di filosofia su quello stupido disegno che aveva deciso di imprimersi nella pelle a vita. Ma lo aveva definito, per l’appunto, ‘stupido’, per sminuirlo. In qualche modo, senza crearsi aspettative nemmeno per una cosa di così poca importanza. Di nuovo che camminava sul filo del rasoio, in equilibrio precario. Aveva assodato quanto gli venisse facile parlare con lei, ma il contrario lo rendeva nervoso. La paura di farla scappare via, come un animale ferito, lo tormentava e, nonostante gli ultimi momenti di apparente tranquillità, non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione. Ancor di più, quando decise di chiederle di parlargli. Voleva ascoltarla parlare, il suono della sua voce lo rilassava; indipendentemente da ciò che avrebbe potuto dirgli, aveva già constatato che gli piaceva semplicemente ascoltarla. Pensò di essere stato delicato, senza pressioni, ma si mise subito in dubbio, dato il modo in cui sentì Megan rispondergli. Per qualche motivo, nonostante lui le avesse chiesto di parlare con l’intento di mantenere la conversazione su un piano generico, addirittura irrilevante, la ragazza aveva deciso di parlargli di lei. Di cose importanti di lei. E non riuscì a pensare. Il cervello andò in arresto per un lungo istante. In un attimo, ecco spiegata la fonte di quel dolore che era stato il punto di attrazione che aveva generato quella sequenza di eventi tra di loro. Il motivo per cui i suoi occhi erano velati di un dolore incommensurabile… Che non avrebbe mai potuto dissolvere. L’improvvisa consapevolezza gli franò addosso. Pesantemente. Senza il tempo di elaborarlo. Con l’unica sicurezza che non fosse la sola perdita dei suoi genitori a mantenere vivo il dolore. Chissà quali rimpianti e rimorsi avevano scatenato l’evento, segnando per sempre il suo cuore, dettandole per il resto della vita le condizioni di ogni singolo rapporto, parola detta ed emozione provata. Lo sapeva dalla propria esperienza. Glielo aveva letto negli occhi la prima volta che l’aveva vista. Sospirò, silenziosamente. Il petto gli si gonfiò d’aria, bruciandogli i polmoni come negli istanti in cui era rimasto sospeso tra il rifiuto e l’accettazione. Senza mai distogliere lo sguardo da lei, infrangendo le proprie promesse, seguì il modo in cui cambiava spesso posizione, pensando che a lui era stato fatto notare lo stesso vizio; capitava quando era annoiato o nervoso. Il suo tono di voce che oscillava tra il formale e l’informale. Forse si era un po’ fissato col voler conoscere ogni più minima sfumatura di lei, ma il modo in cui parlava gli dava sensazioni diverse e si rese conto di sentirsi più tranquillo, o meno tranquillo, in base al modo in cui costruiva le frasi, pronunciava le parole e faceva pausa tra un discorso e un altro. E una via di mezzo come quella non l’aveva ancora mai sperimentata. Era come se fosse in bilico anche lei, tra il sentirsi a suo agio e tremendamente preoccupata, allo stesso tempo. Era strano. Era come se entrambi si sentissero bene l’uno vicino all’altro ma qualcosa tra di loro facesse resistenza. Nella sua mente si palesò l’immagine di due magneti: due poli positivi attratti l’uno all’altro che, per natura, tendevano a respingersi. Ci avrebbe creduto se le avesse ribadito di poter stare tranquilla? Che aveva la piena libertà di fare e dire ciò che voleva quando era con lui? Ai suoi occhi era perfetta; non c’era nulla di lei che non avrebbe protetto e rispettato con tutto se stesso. Di nuovo, l’impulso di abbracciarla, di stringerla a sé. Non voleva che gli raccontasse di un dolore che le faceva ancora così male o di quanto si sentisse fuori posto a vivere con sua nonna. Voleva sentirla parlare di ciò che rendeva la sua vita più meritevole di essere vissuta, ma non poteva ignorare il modo in cui… si stava fidando di lui? Fu il tempismo, ormai perfettamente coordinato, del cameriere a interromperli. Per la prima volta quella sera, sentì che il suo intervento fosse stato, in qualche modo, utile ad alleggerire l’aria. Tanto che, quando Megan riprese a parlare, aveva di nuovo cambiato voce e tono. La leggera placidità che ne percepì nel dire un qualcosa di così forte da fermargli il cuore per un paio di secondi… Forse, senza rendersi conto di che tipo di impatto avesse una cosa del genere su di lui. Per migliorare quella stasi di imbarazzo, avrebbe fatto meglio ad abituarsi in fretta all’idea che, per davvero, Megan voleva stare con lui. Non aveva capito ancora come o perché, ma era così. Nonostante la sua vita a Londra non fosse piacevole, era come se ne fosse valsa pena di viverla per quel momento?! Un ampio sorriso gli illuminò il viso, mostrando le fossette sulle guance senza alcuna timidezza. E la cena proseguì… Bene. Nessuna paranoia, solo parole di circostanza che, però, non volevano essere vuote o col puro scopo di riempire dei silenzi, no: erano volute. Informazioni e aneddoti più o meno rilevanti, che Draven avrebbe conservato, tutti, senza scrematura e con dovizia di particolari, nella propria memoria. A entrambi piacevano l’inverno, il fuoco e la musica. Anche meglio se inverno e camino acceso erano accompagnati da un libro e il silenzio, rotto solo dallo scoppiettio delle fiamme. Draven era intervenuto nel dire che la pioggia lo rilassava, ma non riusciva mai a dormire con i temporali e il suono dei tuoni che irrompevano nella quiete, nonostante fosse abituato sin da bambino a dormire a pancia in giù svegliandosi, spesso, con il cuscino sopra il collo, a schermargli le orecchie dai suoni esterni. Ecco, a volte non funzionava, specialmente con i tuoni. E aveva riso, dicendolo. Come se fino a quel momento non avessero fatto altro che questo: parlare, ridere, guardarsi.
Ok. Così posso portarti a cena fuori un’altra volta per ricambiare… - disse poi, quando la ragazza si alzò dal tavolo per pagare il conto. Il sorriso ancora dominante sulle proprie labbra, fin quasi a sentire dolore nelle guance; il viso per nulla abituato a sostenere quel livello di felicità. Era troppo bello per essere vero. Andò ad affiancarsi a lei verso l’uscita dal locale, indossando di nuovo la giacca. Immediatamente, sentì la pressione sul petto data da ciò che aveva nascosto nella tasca interna.
Ti accompagno. – disse, con sicurezza, ma non perentorio, semplicemente considerandolo come un’ovvietà e non un qualcosa per cui fosse necessaria una domanda e una risposta. Per quanto le lunghe giornate d’estate concedessero ancora qualche spiraglio di luce nella prima serata, l’istinto colse quell’opportunità come un modo per passare altro tempo con lei. A lui piaceva la notte, gli piaceva passeggiare al buio. Il silenzio, la solitudine, consentivano di avere uno spazio e un tempo tutto per lui, imperturbabile. Nonostante a Hogwarts non fosse esattamente così e gli ci erano voluti anni per abituarcisi! C’era sempre casino ovunque. Per non parlare degli spazi di casata! Lui aveva la stanza un po’ troppo vicina alla Sala Comune, per cui, anche quando voleva starsene in dormitorio per conto suo, sentiva fin troppo spesso il chiasso, ma a un certo punto aveva comunque imparato a isolarsi da esso… Perché quando leggeva o studiava non sopportava di sentire il vociare e aveva dovuto imparare ad adattarsi all’ambiente. Le raccontò tutto, ridendo spesso, soprattutto quando si accorse di averle detto di avere tante strane fisse che gli rendevano la vita difficile, ma che nessuno notava, perché era bravo a non darle a vedere, per non dare soddisfazione a tutti quei primini gracchianti… Era sicuro che fosse visto come un tizio losco dai suoi concasati, consapevole del modo in cui tendeva a guardare le persone. E quando si fermarono in prossimità di casa sua, Draven non si concesse nemmeno un’occhiata di curiosità. Rimase con lo sguardo su di lei, pensando che già accompagnarla fino a lì fosse stato un passo importante; non era il caso di essere invadente. Esitò. Gli occhi fissi nei suoi. L’intenzione di salutarla con un bacio, che dovette reprimere per non rischiare di mandare all’aria quella serata… Infilò le mani nelle tasche della giacca e, per fortuna, quel gesto gli ricordò nuovamente di ciò che aveva prelevato da casa sua e conservato nella tasca interna, speranzoso senza il coraggio di poterlo ammettere. Deviò lo sguardo da lei solo per portarlo su di sé, mentre infilò la mano a estrarre uno specchio, dalle piccole dimensioni, ma abbastanza grande da consentire di vedere il proprio viso riflesso anche da vicino.
Ne ho uno gemello a casa. Vorrei che questo lo avessi tu. Sei l’unica che ho piacere di vedere… O con cui ho voglia di parlare. – disse, porgendole lo specchio, a testa china. Si azzardò a lanciarle un’occhiata da sotto le ciglia, il viso reso in qualche modo più tenero e dolce da quell’espressione. Non si prolungò su delle spiegazioni sull’oggetto, dando per scontato che sapesse si trattava di uno specchio magico comunicante; avrebbe semplicemente aspettato di vederla afferrarlo, prima di riportare la mano nella tasca laterale della giacca, come l’altra rimasta lì ferma.
Grazie. – le avrebbe detto, con un gran sorriso a illuminargli il viso, gli occhi accesi di pura gioia. Perché gli stava dando una possibilità e non intendeva metterle fretta, o alcuna pressione, ma il cuore aveva rischiato di esplodergli nel petto così tante volte nell’ultimo paio d’ore che non poteva ignorare la prepotenza dei propri sentimenti. Si sarebbe, quindi, protratto verso di lei per darle un bacio su una guancia. Era riuscito a trattenersi, ma fino a un certo punto…
Ci vediamo. – avrebbe detto poi, ammiccando allo specchio. Il sorriso, se possibile, si sarebbe accentuato. Le diede le spalle, prima di cambiare idea e fiondarsi sulle sue labbra, e s’incamminò lungo la strada da cui erano giunti. Rimise le cuffie verdi sulle orecchie e, mentre avviò della musica, cercò di capire come fare per tornare a casa da lì. Non sarebbe mai riuscito a orientarsi per tornare indietro senza problemi, visto quanto era stato distratto nel tragitto, ma era troppo felice per potersi preoccupare di una cosa così insignificante.
© Esse | harrypotter.forumcommunity.net Fine Role.
|