Only if you want to spend a magical evening, Annullata.

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«Quindi tu e i tuoi amici non vi parlate più perché hai dato di matto a una festa e non vi siete più sentiti per tutta l'estate. Hai bruciato vivo un insegnante a un duello e ora tutti ti guardano come se fossi pazzo.»
«E' esatto.»
«Ti sei licenziato per non vedere più il tuo amico e per guadagnare soldi ti sei messo a smerciare sostanze nel tuo quartiere.»
«Ehm... non sono proprio sostanze, sono pozioni» mimò la parola con la bocca per non farsi sentire «cose che magari i miei vicini non possono permettersi di comprare in negozio e che io gli passo a un minor prezzo.»
«Ho capito. Quante cose, Casey. Credevo che in quella scuola per "iper-dotati" in cui vai te la passassi bene e che tutto fosse rosa e fiori lì, con voi, nella vostra... terra. Insomma, uno schiocco di dita e...»
«Non è così semplice, Sara (click).»
Casey spostò lo sguardo dalla sua ex-compagna del Saint Vincent alla canna che gli aveva appena passato. Quella constatazione così ingenua sulla magia gli generò un sorrisetto sulle labbra. Gettò la cenere della sigaretta in un bicchiere vuoto e la ripassò a Sara. Poi alzò gli occhi verso la sala.
L'aria era intrisa di fumo, schiamazzi e musica tecno a volume altissimo. Si trovavano nel salotto di una villetta della periferia londinese, a Dagenham, sprofondati in un divano di pelle ormai sporco di cenere, tabacco e fondi di bicchieri di vino.
Lo aveva portato lì Sara, dunque quella era un festa babbana in tutto e per tutto. Casey non conosceva nessuno, mentre l'amica solo Logan Shepard, il proprietario della casa. Un ventiseienne con le tasche rigonfie di soldi che, a quanto pareva, pensava solo a due cose: alla figa e all'erba. Infatti, l'unico fumo che si percepiva all'interno della villetta era quello della cannabis, e sul tavolo della cucina accanto al salotto c'era una lunga teglia di cupcakes. Accanto un bigliettino con su scritto: "Solo se vuoi passare una magica serata" e una faccina che faceva una linguaccia.
Detestava tutta quella gente, ma non voleva badarci. Quel sabato pomeriggio era lì solo per Sara. Si erano risentiti d'estate, e Cas era entrato nel suo giro di amicizie. Ragazzi più grandi, tanti ragazzi, tanta erba, tanto alcol, tante feste. Si era lasciato trascinare nel giro pur senza eccedere, guardando sempre tutti dall'alto in basso e mantenendo un certo distacco. Tanto, si era detto, una volta ricominciata Hogwarts non avrebbe avuto più occasioni per rincontrarli. Invece, eccolo lì.
«Quei due ci stanno fissando.»
Casey interruppe la pausa di silenzio richiamando l'attenzione dell'amica. C'erano due tizi piuttosto strani, appostati ai lati della porta che dava sulla cucina, con gli occhi fissi sul divano. Anzi, non erano loro ad essere strani. In verità erano due personaggi piuttosto anonimi, occhi e capelli scuri, uno con la barba folta, l'altro senza. Era strano il modo in cui li stavano guardando: fisso, come se si aspettassero da loro qualcosa.
«Chi?»
«Quei due tizi alla porta della cucina.»
Sara si sporse per guardarli bene.
«Non ci stanno guardando. Stanno parlando fra di loro.»
«Ti dico che ci stanno guardando, anche piuttosto insistentemente. E' fastidioso.»
«Cas. Hai mangiato un cupcake?»
«Solo un pezzetto. Ne ho preso un pezzetto dal tuo.»
«Eh.»
«Eh. Comunque ci stanno fissando, non me lo sto inventando.»
Sara sospirò e le passò di nuovo la canna abbandonandosi sullo schienale del divano.
«Rilassati e goditela. Se quei due vorranno parlarci lo faranno. Ignorali.»
Casey fece un tiro e ricambiò lo sguardo dei due con freddezza.

 
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view post Posted on 26/10/2022, 16:18
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Il cielo terso di quella giornata dei primi di ottobre rendeva il vicolo di Nocturn Alley ancora più cupo e isolato del solito. Quasi totale l’assenza di luce naturale, pochi maghi in giro e tanto silenzio, spezzato solo dal bofonchio perpetuo del vecchio Sinister che risuonava tra le mura del suo negozio come un’eco roboante. Era palese che ci fosse qualcosa che lo turbava, ma Draven non voleva esserne coinvolto. Non appena se n’era reso conto, già qualche ora prima, aveva consigliato a Emma di stargli alla larga e basta. Non lo aveva mai visto così agitato in tutti quegli anni di lavoro lì e la novità gli aveva messo tutti i sensi in allerta, abbastanza da non voler né istigarlo in alcun modo, né indagare sulla questione. Smetteva di fare sotto e sopra nel locale solo quando la porta si apriva ad accogliere uno sporadico cliente: si fermava nei pressi del bancone, dando le spalle all’ingresso, e iniziava a dondolarsi su sé stesso, scuotendo la testa. Potenzialmente, era la cosa più inquietante che Draven avesse mai visto succedere in tutti quegli anni di lavoro per lui.

Riprendi le teste in cantina, per favore. – disse, rivolto a Emma, mentre si trovavano a servire il terzo o quarto cliente della giornata, che aveva appena preso una scorta di quelle testoline arroganti e sboccate che Sinister vendeva con tanto orgoglio, svuotando lo scaffale a loro dedicato. Nonostante con la coda degli occhi tenesse d’occhio il vecchio negoziante, vide la Grifondoro annuirgli e poi allontanarsi per eseguire la richiesta. Draven imbustò l’acquisto e congedò il cliente, prima di chinarsi sui talloni e spostarsi sotto il bancone per prendere l’inventario, ma quando fece per rialzarsi si ritrovò la figura di Sinister praticamente addosso e, sobbalzando, colto spaventosamente di sorpresa, perse equilibrio e cadde seduto a terra.

Ma che… cazzo! – esclamò, alzando lo sguardo sul vecchio, mentre si rimise in piedi.

Devi portare questo a Casey Bell. Adesso. – bisbigliò il negoziante, estraendo dalla sua giacca un oggetto spesso, delle dimensioni di un’agenda, ma dalla forma irregolare, nascosta da una carta da pacchi sgualcita e sostenuta da uno spago. Draven abbassò istintivamente lo sguardo su di esso per osservarlo e, quando rialzò la testa a fronteggiare il viso di Sinister, se lo ritrovò ancora più vicino. D’istinto, indietreggio di un passo. Il suo fiato caldo addosso gli diede il voltastomaco.

Non ho la minima idea di dove possa trovarsi Casey di sabato pomeriggio. Ci mandi Emma. – si limitò a ribattere, indurendo i lineamenti del viso in una smorfia di nervosismo. Ricevette in risposta dapprima uno sguardo confuso, che interpretò come un “chi è Emma?”, dato che ci aveva messo tipo quattro anni per accettare la presenza del Serpeverde lì e, probabilmente, gli ci sarebbe voluto altrettanto tempo per abituarsi al nuovo garzone. Ma poi, lo vide tornare in quello stato di panico e paura, gli occhi velati di terrore mentre, senza abbassare lo sguardo da Draven, si mise una mano in tasca ed estrasse un biglietto. Seguendo il movimento con la coda degli occhi, Draven ebbe l’impressione che qualcosa ci venisse scritto in quell’istante, come se fosse stato vuoto, privo di lettere e inchiostro, finché Sinister non lo aveva stretto tra le dita.

Vai adesso. Te ne prego. – ripeté il vecchio, addirittura pregandolo mentre, sotto lo sguardo attonito di Draven, gli prese una mano e vi porse il pacchetto e il biglietto.
Di qualsiasi cosa si trattasse, ebbe come l’impressione che ne andasse della sua vita. Restava prepotente l’intento di non farsi coinvolgere, ma che altra scelta aveva?
Senza dire nulla, decise di assecondarlo. Bastava che la prendesse come una consegna qualsiasi, senza badare troppo al fatto che il destinatario fosse Casey.
Uscì dal negozio e, solo a quel punto, lesse il biglietto: Dagenham, C 70-01, Londra.

 
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view post Posted on 28/10/2022, 09:08
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C'era un che di ovattato e roteante nella luce soffusa del pomeriggio che entrava dalle finestre. Le ombre proiettate dagli invitati si divincolavano sulle superfici dalla fissità delle tenebre come lingue di fuoco che ardono. Tutto quel fumo, che densificava l'aria, rivestiva i presenti e i mobili come un grande avvolgente cappotto traslucido.
Casey sentì improvvisamente molto caldo.
«Sto morendo qui. Andiamo fuori.»
Sara gli fece un cenno d'assenso. Si alzarono, e lei afferrò da un tavolo una bottiglia di vino e un paio di bicchieri di plastica.
Una fitta coltre di persone si innalzava tra le nubi di fumo. Avrebbero dovuto fare a spallate per raggiungere l'uscita sul giardinetto, dirigendosi dalla parte opposta rispetto alla cucina.
Varcata la soglia del divano, Casey percepì le gambe afflosciarsi. I muscoli erano caldi ma formicolanti e gli davano la sensazione di essersi espansi sotto i suoi vestiti. Stava cominciando a sentire gli effetti del cupcake.
«Mai più 'sta roba» borbottò strascicando la "s", e Sara tradusse nel suo sguardo un divertito "sì, come no".
Raggiunsero la prima fila della barriera umana.
«Permesso.»
Cas roteò il busto per far entrare le spalle nel piccolo spazietto fra due invitati, ma alzò la testa e si rese conto che entrambi lo stavano guardando. Una ragazza bruna con la coda di cavallo, che teneva in mano un bicchiere di intrugli alcolici, e un ragazzo abbronzato dai capelli lunghi e biondi pieno di tatuaggi.
Tanto fissi erano gli sguardi, che si fermò a ricambiarli, prima l'uno e poi l'altro. Il cuore gli saltò nella gabbia toracica.
«Che c'è?» chiese a entrambi. Nessuno rispose. A quella distanza ravvicinata, ebbe l'insana e irrazionale paura che uno di loro potesse saltargli addosso e morderlo.
Passò oltre, Sara era già avanti.
«Permesso» fece ancora. Vi era un corridoio perimetrato da corpi, chi di spalle chi di fianco, in cui poter passare più facilmente. Se non fosse che, non appena fece un passo in esso, tutti si voltarono a osservarlo.
Si bloccò sul posto. Il respiro gli si ingrossò e l'intorpidimento dei muscoli divenne il dolore di una scossa mirata al risveglio. Agitato, non riuscì a trattenersi.
«Ma cosa cazzo volete?»
Forse era sporco in faccia. Forse aveva i capelli ritti sulla testa perché si era messo male il gel. Ma Sara glielo avrebbe detto.
Si mosse lievemente per roteare su se stesso. Lo guardavano tutti: dalle scale di fronte all'uscita, dalle poltrone nel corridoietto, da qualsiasi angolo ci fosse un appoggio per depositare bicchieri e posaceneri.
«COSA CAZZO VOLETE?»
La musica era improvvisamente più alta perché tutti facevano silenzio. Dov'era Sara? Perché non era lì?
Per poco non scivolò da fermo. Ma non era per il cupcake o per lo spavento, c'era qualcosa di viscoso sotto le sue scarpe. Abbassò gli occhi sul parquet e vide delle spesse righe rosse seguire le fughe delle tavole di legno fino all'uscita.
«Cosa…»
Riportò immediatamente lo sguardo sugli astanti, che continuavano muti e immobili a fissarlo. Sconvolto si impose di andare avanti, incespicando nel liquido.
«Sara?!»
Inforcò la curva che faceva il corridoietto umano, facendo a spallate col suo pubblico, finché non intravide la porta dell'ingresso e per terra, in una pozza scura, il corpo rannicchiato di Sara.
Lo travolse un conato che lo fece piegare su se stesso, e così si risvegliò, con la fronte a pochi centimentri dall'impattare col bordo del tavolino di vetro da salotto, sul divano.
La festa continuava, come se non fosse stato niente. Nessuno lo guardava, ognuno pensava ai fatti propri. La nausea imperversava nel suo ventre, gli occhi gli dolevano e il corpo fremeva per il risveglio improvviso.
Respirò freneticamente finché non si rese conto di aver solo sognato, chissà per quanto. Chiuse gli occhi con sollievo e si ributtò dolorante sullo schienale del divano. Si voltò col buio ancora dietro le palpebre e sussurrò: «Sara?»
La musica copriva tutto, così le aprì. Ma Sara non c'era.

 
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view post Posted on 5/11/2022, 20:36
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dPODoAV


Dagenham era un quartiere nella periferia est di Londra.
A detta di Google.
Perché lui di quella zona non sapeva assolutamente nulla.
Non appena era uscito da Magie Sinister, aveva riposto il biglietto nella tasca interna della giacca di pelle, già addetta ad ospitare bacchetta, sigarette e cellulare. Per quanto la tecnologia babbana fosse totalmente inutile nei confini del mondo magico, aveva imparato a sue spese – e data la sua totale mancanza di senso dell’orientamento – che per andare in giro per Londra a fare le consegne per Sinister era, invece, di estremo aiuto; per cui, aveva imparato a portarselo dietro a ogni turno. Per evenienza.
Date le dimensioni del pacchetto, invece, quello avrebbe dovuto tenerselo in mano per tutto il tempo. Lo teneva tra le dita come si tiene un fazzoletto sporco; dato il peso irrisorio, la forma irregolare e lo strano modo in cui era stato incartato, nonché il fatto che il destinatario fosse Casey e il mittente un qualche misterioso mago in grado di terrorizzare Sinister, non voleva mettersi a rischio.
I maghi avevano una loro versione di un pacco bomba?
Magari, era tutto uno stratagemma di Casey per farlo esplodere e liberarsi di lui in un battito di ciglia…
Tra pensieri più o meno sensati, aveva attraversato Diagon Alley praticamente di corsa e aveva rallentato il passo, fino a fermarsi, solo quando aveva raggiunto la metropolitana di Charing Cross, a qualche metro di distanza dall’ingresso celato per il Paiolo Magico. Abbastanza distante dalla schermatura contro i babbani da essere sicuro che il cellulare potesse funzionare, aveva cercato l’indirizzo su internet. Quindici chilometri di distanza da lì. Quarantacinque minuti di treno. Aveva sbuffato sonoramente, imprecando a denti stretti e mascella tesa, attirando lo sguardo di alcuni passanti su di sé, di cui non si era minimamente curato. Odiava a morte i mezzi pubblici e ogni volta che li prendeva aveva sempre l’ansia che una qualche guardia babbana avesse la brillante idea di perquisirlo a campione. I maghi ignoravano tutte quelle dinamiche. E Sinister doveva pensare che Draven fosse già in grado di materializzarsi, perché non si era mai posto quel problema. Gli aveva fornito illegalmente una passaporta solo un paio di volte, mentre per tutte le altre innumerevoli consegne aveva sempre dovuto attrezzarsi da solo e in modi che il negoziante non poteva nemmeno immaginare esistessero, fuori dalla sua fantastica bolla magica.
Aveva sbuffato almeno altre quattro o cinque volte nel tragitto in treno fino a Dagenham, con l’unica consolazione che, perlomeno, non aveva dovuto fare dei cambi. Ignorando altri sguardi astiosi intorno a lui, per via del fatto che aveva occupato i due posti al suo fianco con il pacchetto e la giacca, rispondendo male a chiunque gli chiedesse se quei posti fossero liberi, alla fine era riuscito a raggiungere la sua meta. Quantomeno, il quartiere.
La ricerca della via fu tutto un altro paio di maniche. Nonostante la tecnologia babbana, fu costretto a chiedere indicazioni ai passanti più volte di quante avesse mai voluto. L’aria, minacciosa di pioggia, era resa ancor più densa dall’atteggiamento schivo e prudente degli abitanti di quella zona. Non che cambiasse qualcosa, ma non doveva essere un posto tranquillo. Chissà perché Casey si trovava lì…
Alla fine dei conti, per poter arrivare a destinazione, ci mise più di un’ora.
La musica tecno che si faceva via via più altisonante, man mano che si avvicina al civico indicato sul biglietto, fu già di per sé un triste indicatore del tipo di luogo che stava per raggiungere.
Una festa. Che già a una prima occhiata, da oltre il cancello del giardino, gli sembrò di capire non avesse nemmeno vagamente un solo invitato sobrio. O un solo piccolo, minuscolo spazio attraverso il quale farsi strada per entrare in quell’Inferno.
Strinse la mascella con un tale nervosismo da sentire dolore ai denti e un sospiro, simile a uno degli innumerevoli sbuffi fatti fino a lì, lo portò ad alzare la testa. Lo sguardo si incrociò con quello di una ragazza dai capelli rossi. Aveva più lentiggini in viso di quante ne avesse Megan. Per qualche motivo, lo fissò e Draven si ritrovò a fare lo stesso, finché non la vide essere spintonata da una ragazza, costringendola ad affiancarsi a un ragazzo dai lunghi capelli biondi che la guardò con un ghigno.
Non era affar suo.
Si accostò al cancello e si protrasse verso di esso il più possibile. Era basso abbastanza da permettergli di oltrepassarlo con la testa, ma non da scavalcarlo, considerando la quantità di gente che c’era stipata contro.

Hey, bello! Ti conosco? No? Oooooh, sì! Ma certo. Tu sei… quello che… Sì! Sei tu!
La voce proveniva da un ragazzo moro, di media altezza e costituzione, che cercava di muoversi a tempo di quella musica oscena e che, in qualche modo, era riuscito a notarlo nonostante l’impressionante fattanza e gli occhi semi-chiusi. E che, ovviamente, non conosceva, né aveva mai visto prima.

C’è una certa Casey Bell, qui?

CASEY BELL? CASEY BELL! – cominciò a urlare il tipo, a squarciagola. Quella massa umana di deficienza totale di cui faceva parte prese a urlare di rimando il nome di Casey, come un’eco ridondante che riuscì a sovrastare la musica. Uno tsunami che trascinava il suo nome come detriti da un’onda mastodontica. Aveva scatenato un incubo.

 
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view post Posted on 22/11/2022, 11:05
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Faceva tutto piuttosto male e i pensieri faticavano a rimanere lineari a lungo. Si spezzettavano in frammentini e goffamente ricadevano nel dimenticatoio e ne venivano risputati fuori al riapparire di una determinata esigenza.

*Dov'è Sara?
Ho sete, devo prendere dell'acqua. C'è una caraffa sul tavolo, prendo il bicchiere, ma dove l'ho lasciato? Ah, eccolo, sul tavolo. Che caldo però, mi devo togliere la felpa, aspetta. Non riesco a trovare l'uscita della testa. Perché è così difficile togliersi una felpa? Soffoco, se solo avessi dell'acqua. Ah ma potevo prenderla prima, perché non l'ho fatto? Cazzo, devo togliermi la felpa, che caldo.*


Riuscì finalmente a togliersi la felpa, ansimando. Quel muffin era micidiale.
*Acqua? Sì, perché no.*
«Vado a prende-» cominciò a dire voltandosi, ma finalmente riaffiorò nella memoria il suo ricordo più importante. Dov'era Sara?
«Sara?»
Si stropicciò gli occhi e barcollando si alzò dal divano per andare a bere. Prima andò al tavolo delle bevande, poi tornò indietro al tavolino di fronte al divano perché si era dimenticato il bicchiere e finalmente poté bere.
C'erano tante persone, o almeno così sembrava. Roteavano attorno a lui e si lasciavano dietro una scia fumosa e colorata, come se fossero tante stelle cadenti o corressero ad una velocità tale da divenire una scia di colore unica.
Faceva ridere. Poi di tanto in tanto si soffermava a guardare qualcuno e allora cominciava a distinguerne i tratti. Gli occhi scivolarono dal capannello di ragazzine al suo fianco alla coppia che pomiciava sotto la finestra al divano. Sì, il divano: era così comodo, doveva tornarci.
«Hey, ma… Dov'è Sara?» sussultò, ricordandosi che il divano non doveva essere vuoto.
Nessuno rispose, tutti stavano chiacchierando l'un con l'altro e la musica copriva tutto. Ma non i suoi pensieri. I ricordi, che fino ad allora il cervello aveva macinato in sordina, riaffiorarono tutti insieme: gli sguardi, il sangue, Sara.
Barcollò.

«Avete visto Sara?»
<b>«Chi?»

«Sara Dover.»
«E chi è?»
«La ragazza che era con me sul divano. Capelli castani, lentiggini. Ha un vestito blu.»
«Boh, io non ho visto nessuno.»

Un botta e risposta che si ripeté almeno tre volte con tre gruppi diversi di persone sconosciute, stando alla sua memoria momentaneamente farlocca. Nessuno di loro aveva visto Sara, nessuno di loro conosceva Sara, nessuno di loro l'aveva visto con Sara. Com'era possibile? Erano stati lì, insieme, per tutto il tempo. Quanto aveva dormito? Abbastanza perché tutti si dimenticassero di Sara, lei si allontanasse e le succedesse qualcosa di orribile?
Il collegamento dei pensieri lo riportò all'immagine dell'ingresso della casa, dove l'aveva vista. Col più assurdo dei tempismi l'onda innescata dal nuovo arrivato partì e lo investì con gran violenza.
«Casey Bell? Casey Bell? Casey Bell? Casey Bell? Casey Bell? Casey Bell? Casey Bell! Casey Bell?! CASEY BELL??»
Partì, camminando lentamente, guardando il pavimento in cerca delle strisce che aveva già visto.
«Casey Bell?»
Sorpassò il muro umano che bloccava il passaggio, ma nessuno lo guardava e non vi era alcuna striscia scura. Voltò finalmente l'angolo e, trattenendo il respiro, cercò il posto esatto in cui aveva visto il corpo. Le voci gli pulsavano contro le orecchie, inconsapevole del fatto che fossero le stesse persone cui passava accanto a chiamarlo.
«Casey Bell? Casey Bell!»
Niente. Il parquet liscio, di lastre di legno intrecciate, lo zerbino poco più avanti di fronte alla porta d'ingresso aperta che dava sul giardino, la gente che vi camminava sopra entrando e uscendo come se non fosse niente.
Non sapeva che fare. Era un sollievo ma era anche un incubo. Non poteva far altro che aspettarsi di vedere ricomparire Sara da un momento all'altro, magari dal bagno. Magari c'era fila. Magari era andata a prendere qualcosa in macchina. Magari…
Nel mentre delle voci in lontananza, provenienti dal giardino, piccole creste dell'onda, ricominciarono a partire: «È lì! È lì! È lì! È lì!»
E lui continuava a guardare inebetito lo spazio vuoto sul parquet.

 
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view post Posted on 4/12/2022, 20:43
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iTqQpsb


Il piercing alla lingua, contro il palato, prese a girare e girare nervosamente. Lo faceva per scaricare la tensione. Aveva finito col prendere quell’abitudine, nonostante riuscisse a tenerlo discretamente nascosto. Dall’espressione del suo viso, che trasmetteva solo pura irritazione, nessuno avrebbe potuto pensare che tenesse nascosta una piccola parte hypster dentro di sé. Un errore giovanile, aveva finito col definirlo. Era sicuro che fosse anche svenuto dopo che glielo avevano fatto, ma ci si era abituato al punto da non riuscire a farne più a meno. Gli occhi strabuzzati, gelidamente fissi a guardare davanti a sé, mentre le orecchie erano tese a seguire l’onda urlante di quelle persone che in maniera delirante continuavano a ripetere il nome di Casey. Per un istante, sentì l’impulso di gridare, gridare così forte da sovrastarli tutti, solo per farli stare zitti… Poi, la consapevolezza che Casey non fosse più sua amica lo spinse a non fare nulla.
Cercò con lo sguardo un posto sicuro, un nascondiglio in cui poter posare senza rischio il pacchetto che, ipotizzò, non sarebbe sopravvissuto illeso alla massa di persone che riempivano quel piccolo giardino; poi, rivolse di nuovo la sua attenzione sul ragazzo davanti a lui che continuava a muoversi a suon di musica come un macaco sotto crack. Lo afferrò per una manica e lo spinse così forte contro il metallo del cancello che fu sicuro di avergli procurato almeno un livido sulla spalla contro cui lo aveva spinto a sbattere.

Apri questo cazzo di cancello. – esordì, a denti stretti. Il ragazzo, dal canto suo, sembrò riacquisire improvvisa lucidità e gli annuì; senza farselo ripetere una seconda volta, si apprestò ad aprirgli le porte per l’inferno.
Non voleva restare lì un minuto più del necessario.
Aveva una consegna urgente da portare a termine e doveva restare professionale. Ignorare il contesto in cui si trovava, le condizioni pessime in cui riversava il suo rapporto con Casey. Una volta trovata, le avrebbe spiegato l’urgenza di Sinister, le avrebbe lasciato il pacco e sarebbe tornato indietro giusto in tempo per salutare il vecchio negoziante e avvisarlo che le ore del suo turno erano ben che finite così! Sarebbe tornato al castello e si sarebbe lasciato tutto alle spalle, perché aveva di meglio a cui pensare.
Per cui, non appena riuscì a infilarsi tra quelle persone, ignorando il disgusto per la loro vicinanza e cercando di muoversi in modo che nessuno di loro potesse toccarlo – al punto da farlo incazzare, almeno – avanzò nel fiume guardandosi attorno.
Fu quando riuscì a intravedere la porta d’ingresso che dava sul giardino che sentì l’onda sonora cambiare.

È lì! È lì! È lì! È lì! – dissero quegli zombie fatti di chissà quale sostanza, mentre la vista di Draven mise a fuoco il viso di Casey proprio lì sullo stipite. Tra una spallata e l’altra, reduce da un’estate passata a giocare a calcio con i ragazzi del suo quartiere che erano soliti fare calcio come fosse rugby, riuscì a raggiungerla.

Casey. Ti devo dare… - esordì, rivolto alla ragazza, chinandosi su di lei per far sì che i loro visi fossero abbastanza vicini da permetterle non solo di sentirlo, ma anche di vederlo. Dava per scontato che anche lei fosse sotto chissà cosa. Ma non ebbe il tempo di finire la frase.
Qualcuno gli finì addosso. Inciampò sull’uscio della porta e sbatté la testa sul parquet. Gli ci volle qualche secondo per capire che si trovava di schiena a terra, con la persona che gli aveva sbattuto contro sopra di sé: la ragazza dai capelli rossi che lo aveva fissato poco prima. Le usciva sangue dal naso e sembrava che sotto l’occhio sinistro si stesse per formare un brutto livido.

 
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