L'indesiderata., Concorso a tema: Dicembre 2022

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view post Posted on 29/12/2022, 15:43
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Camminava all’indietro, perché quella era la sua natura.
Trascinava i piedi, lasciando dei solchi più o meno profondi in base al terreno.
La sorella, gemella nell’aspetto ma contraria ed opposta nell’essenza, allora la spingeva in avanti, con vigore, con infinita pazienza, forza e costanza - poi però, al primo ostacolo presente – e c’era sempre un ostacolo – lei aveva di nuovo la meglio: si scontrava, arrestando il moto della gemella e fermandosi anch’essa, un attimo di stasi per entrambe e poi.. riprendeva il suo moto al contrario, camminando all’indietro, trascinando i piedi, lasciando solchi.
Loro, lei, si trovava ovunque e da nessuna parte.
Uno dei suoi luoghi preferiti era la spiaggia ma anche l’animo e la mente umana le piacevano particolarmente.
Si divertiva – uno di quei divertimenti macabri e neri – a giocherellare con i pensieri delle persone.. in particolar modo, con i ricordi.
Aveva tanti, tantissimi amici – o nemici, dir si voglia – e tra questi, di vecchia data, c’era anche Adeline Walker.
Aveva tanti nomi quante erano le lingue esistenti sulla terra, ma Adeline quando ella si presentava alla sua soglia la chiamava con uno dei suoi preferiti, che la legava al suo movimento perpetuo nelle spiagge, scogliere, porti e fiordi di tutto il mondo.

-No, no, no.. Risacca, vattene via.-

Era l’equivalente di una padrona di casa che apre le porte della sua casa per accogliere un ospite.. il quale però, una volta riconosciuto, viene immediatamente rifiutato, cacciato fuori, le porte sbattute in faccia di brutto muso.
Ma con Risacca non funzionava proprio così, e lo sapeva lei come lo sapeva Adeline Walker.
Risacca bussava alla porta fingendosi altro: talvolta era un pensiero veloce, altre un oggetto, una parola, persino un odore casuale al quale si appigliava con i lunghi artigli e eccola lì ospite indesiderata, a giocare tra le pareti della scatola cranica della Medimag senza soluzioni o vie di fuga di sorta.
Il fatto che Adeline ormai la riconoscesse tanto da chiamarla per nome non la aiutava affatto: Risacca con il suo perpetuo moto scavava e scavava ancora, trascinava i piedi intaccando pensieri ed emozioni, andando indietro sino ai ricordi e sviscerando così le parti più buie e nascoste di Londra e annidandosi lì.
Adeline la odiava. Sapeva che quella era la sua Risacca, che in realtà ella poteva assumere mille ed infinite forme, anche buone, persino poetiche, la Risacca che porta via ciò che è dolore, la Risacca che toglie, ripulisce, la Risacca che lava, cura.
Non era però così per lei.
La Risacca che Adeline conosceva, era una Risacca tagliente, dolorosa, affilata.
Si divertiva a scavare, consumare nel senso più doloroso del termine e tutt’altro che curativo e benefico.
Risacca consumava la mente e le emozioni di Adeline, si scontrava contro quell’ostacolo che era la sua razionalità, resistenza e resilienza, contro i suoi pensieri felici.. e si trascinava indietro e la trascinava indietro. Come una mano dagli artigli affilati che scava nella sabbia, e ancora e ancora, e riporta in superficie echi di tempi passati seppelliti da tanto e che seppelliti Adeline voleva che rimanessero.
Era questa la Risacca che Adeline conosceva ed era questa la Risacca che Adeline odiava.
E la odiò anche quella sera.

Questa volta, Risacca riuscì ad entrare in casa grazie ad un piccolo portagioie.
Il regalo di una paziente, uscita dal San Mungo appena un paio di giorni prima, che per ringraziare la Medimag delle cure e dell’impegno profuso era tornata nel suo ufficio con in dono una graziosa scatolina in legno ed argento.
-E’ vuota- aveva spiegato la streghetta -Così può metterci qualcosa di prezioso per lei, magari qualche ciondolo di famiglia.-
La testolina dorata di Adeline avrebbe dovuto correre ai ripari già in quegli istanti.
Troppo contenta però per il solo pensiero della sua paziente, aveva ringraziato sorridente e nascosto al sicuro il piccolo regalo nella sua borsa a tracolla.

Ore dopo, Adeline era seduta ai bordi del suo ampio letto, le coperte ancora sfatte, le braccia distese dietro a sorreggerla, lo sguardo fisso su quel delicato portagioie.
Tamburellava le dita sul piumone soffice, ripensando alle parole della giovane.
[”Così può metterci qualcosa di prezioso per lei, magari qualche ciondolo di famiglia.”]
Ed eccola lì, Risacca.
Ed eccola lì, Adeline, a pregare che se ne andasse via, che la lasciasse in pace, lasciandosi cadere sdraiata completamente sul letto e premendo con forza i palmi sulle palpebre, sino a costellare il buio portato dalle mani di tante piccole lucine, simili a minuscoli fuochi d’artificio e stelle infuocate.
”Tu non ce l’hai una famiglia, dolce Adels.”
Iniziò Risacca, con voce melliflua, nella sua testa.
”Quale ciondolo o gioiello potresti custodirci in un oggetto del genere?” continuò, maligna ”D’altronde l’unico oggetto davvero significativo era l’anello di tua madre e..”
Scavando più a fondo, tornando indietro senza tregua né pace, la voce nella sua testa divenne quella di sua zia Ada – a Risacca piaceva parecchio giocare con i suoi ricordi - ”E quell’anello è stato seppellito con la mia povera sorella, ultima degna erede di questa famiglia.”
Adeline premette con più forza i palmi sugli occhi chiusi.
Una eco di lei bambina le aleggiava dietro le palpebre, con i grandi occhioni bicromi pieni di lacrime, i pugnetti serrati e la voce intrappolata in gola.
Forse era meglio cercare di ancorarsi nuovamente alla realtà e cercare invece di tapparsi le orecchie.
Aprì nuovamente gli occhi e li fissò sul soffitto della sua camera mentre le mani fredde andavano ora a coprire le orecchie, nella vana speranza di proteggere i timpani – e con loro mente, anima e cuore.
Ma si sa, Risacca da sola ti intrappola in quel suo loop eterno di solchi, graffi e scavi, capace solo di consumare, assottigliare, rendere fragili.. riportare in superficie.
”Non capisco quale sia il tuo problema.” continuò così imperterrita Risacca-Ada, in un altro giorno, un altro passato ancora più remoto, la voce acida e fredda che rimbombava nella sua scatola cranica, indifferente alla orecchie tappate ”Puoi mangiare e bere in questa casa. Per i miei affari è persino a tua completa disposizione pressoché tutto l’anno.” Adeline ad occhi aperti, poteva persino ricordare ora la postura dritta e rigida della zia ed i glaciali occhi grigi, il cui sguardo disgustato poteva essere rivolto solo che a lei: ”Sei per caso disturbata, come poteva esserlo quel farabutto di tuo padre?”
Risacca, ridacchiò. Forse era una delle sue parti preferite.
”In tal caso, ribadisco la mia posizione. Per nascere disturbata, potevi evitare di farlo. Almeno, la mia Ameliè sarebbe ancora qui con me.”
Aveva sputato per terra e si era allontanata a grandi passi senza più voltarsi indietro.
Adeline abbandonò le mani sul piumone caldo, senza voce, senza energie.
Ricordava ancora l’eco di quei passi e la straziante sensazione di solitudine che – comunque – tutte le volte che la zia la abbandonava lì, sola con se stessa, le attanagliava il petto e la gola.
Rimase così, abbandonata sul letto, per un tempo indefinito, le palpebre che tremavano appena.
Risacca si era divertita abbastanza, la sentiva pizzicare solo qua e là adesso, ricordandole qualche dettaglio del passato, limandosi le unghie su minuzie particolarmente spiacevoli della sua storia.
Le ci sarebbero voluti giorni, forse settimane, per tornare a riseppellire tutto quello.
Strato su strato, riportare livelli di consapevolezza, strati di memorie diverse, alcune più luminose altre falsificate e nebulose, tutto fuorchè far rimanere a galla quello.
Anche la certezza del presente, gli innumerevoli impegni e compiti, responsabilità del suo quotidiano la aiutavano in questo lavoro certosino.
Un esausto silenzio nella sua mente, i rumori ovattati dei suoi vicini di casa fecero capire a Londra di essere tornata davvero da sola - o meglio - al sicuro.
Sapeva che così come il tempo, la natura, la vita stessa, Risacca sarebbe tornata.
Perché alla fine era parte di lei.
Sino ad allora però..
Adeline si rialzò piano, cauta, le poche energie in corpo impegnate a ricostruire meticolosamente le sue barriere protettive.
Si sarebbe preparata un thè caldo e dopo sarebbe tornata a lavoro, un turno in più di notte l’avrebbe aiutata.
Afferrò la bacchetta con la mancina e lanciò distrattamente un Evanesco sul portagioie, senza neanche rivolgergli un vero sguardo.
Magari il thè se lo sarebbe fatto alla pesca, o arancia e cannella.
Anzi, no.
..Meglio frutti rossi.
 
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