A good girl, Privata | Linguaggio esplicito

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view post Posted on 31/1/2023, 21:52
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Negli ultimi due anni, ho imparato che lo champagne ha un sapore specifico. Sa di denaro. Di galeoni tintinnanti. Di infinite possibilità e di ostentazione.
Regalo un sorriso alla serata, osservando la performance in corso sul palco senza riuscire a fermare il mio corpo. Il ritmo scorre sulla mia pelle in una carezza ammaliante, si mescola alla frizzante ebrezza alcolica e mi colma a un livello che la sobrietà non saprebbe mai darmi. Così, lo lascio muoversi a tempo. La spalla nuda, esposta sopra il vestito rosso di paiettes cucito sulla mia pelle per non lasciare nulla all’immaginazione, si alza e si abbassa. Il collo si abbandona all’indietro, lasciando ondeggiare libera la cascata d’argento.
L’aria dei primi di gennaio, nel locale sotterraneo di Londra dove le performer si stanno esibendo in uno degli spettacoli di burlesque più sensazionali che i miei occhi abbiano mai visto, m’inebria. D’un tratto, la malinconia delle vacanze di Natale è stata spazzata via dalla sensualità morbida dei fianchi della ballerina mulatta che tanto desidererei premere contro uno dei pannelli del palco, anche a tende aperte se la cosa dovesse far piacere a qualche voyeur.
Incapace di staccare gli occhi da lei, non mi accorgo della figura che mi si avvicina finché il sussurro non raggiunge le mie orecchie: «Posso offrirtene un altro?»
Volto appena il capo nella direzione da cui proviene la voce per scoprire che il mio interlocutore è una giovane dai lineamenti androgini. Non è particolarmente alta; anzi, a occhio e croce direi che sarebbe più bassa di me anche se per slanciarmi non avessi attinto alle scarpe dal centimetraggio più alto del mio arsenale.
«Certo» concedo, lasciandomi scivolare sul divanetto in pelle nera che ho occupato fino a pochi minuti prima. Con la schiena poggiata al bracciolo e le gambe allungate sui cuscini, osservo la giovane con un ghigno curioso sulle labbra. «Rose» mi presento… più o meno.
Lei —o lui— si lascia andare a una risata. «Mi sembra perfetto» commenta e indica il mio abbigliamento. Abbozzo una smorfia che vorrebbe essere divertita, ma in realtà trovo scontato il suo tentativo di risultare brillante. Di approcci così ne ho visti tantissimi. «Kyle».
Un lui, dunque. «Cosa ti porta qui?» domando e accavallo le gambe nude. «Be’, oltre alla vista, intendo!»
Kyle sorride. Un rossore virginale gli soffonde le guance, come se lo avessi messo in imbarazzo con la mia schiettezza. Socchiudo gli occhi per studiarlo. Non può essere minorenne, a meno che non abbia falsificato i documenti. Se anche lo fosse, mi dico che non sarebbero fatti miei. Certo, non potrei neppure fargli credere di avere una chance…
Intanto, la musica continua a stordirci; a infonderci il desiderio di impazzire, di abbandonare ogni freno inibitorio.
«Sono il fratello di una delle ballerine.»
Cazzo! È sicuramente minorenne, realizzo con uno sgomento ingiustificato. Non ho forse detto che me l'aspettavo?
Non voglio rovinargli la serata. Non come avrebbero fatto a me. Non con l’insensibilità che altri mi hanno usato. In fondo, prima o poi toccherà anche a lui fare delle esperienze. Magari non stasera e non con me —Dio, lo traumatizzerei!—, ma succederà.
«Qual è?» chiedo e lo osservo tirare un sospiro di sollievo.
Probabilmente, il timore di vedersi scacciare in malo modo deve averlo sfiorato per più di un istante nel tempo che ho impiegato a elaborare le mie riflessioni.
«La ragazza al centro con il cappello di piume di Fwooper arancioni» fa e mi indica una fanciulla dai capelli rossi come i suoi, intenta a schiaffeggiarsi una natica.
«È single?» chiedo. È il modo più gentile che conosca per fargli capire che non c’è trippa per gatti. La gentilezza più grande che possa fargli, oltre a non cacciarlo come avesse la peste, è non illuderlo di poter avere qualcosa che in realtà gli è preclusa. «E quella ballerina mulatta con i capelli afro? Sai per caso come si chiama?»
Un velo di delusione passa sul suo viso, adombrandolo. Se non fosse per i bicchieri di champagne bevuti e per la polvere di fata consumata, non sopporterei di esserne stata la causa per il fatto di rivedere così tanto di me in lui. L’immagine di Christopher Channing balena nella mia mente per un attimo.
«Si chiama Dalila…» tentenna, a disagio. Non vuole più stare qui con me. Si sente di troppo, non voluto, sciocco anche solo per averci pensato. Nonostante i miei buoni propositi, non sono riuscita a proteggerlo dalle sue insicurezze. «Ora devo andare. A breve lo spettacolo dovrebbe finire e mia sorella si aspetta che la raggiunga in camerino. È stato un piacere conoscerti, Rose».
Il suo congedo è frettoloso ma per questo non meno cordiale. Ricambio la sua cortesia e mi scordo presto di lui —una conversazione come un'altra all'interno di un locale. Di lui, non di Dalila.
Fermo un cameriere e prendo un altro bicchiere di champagne. Lo trangugio in un unico fiato. La testa vortica in uno stato di abbandono quando chiudo gli occhi e concedo alla musica di entrare e frastornarmi. Sorrido, le labbra tumide per la patina lasciata dall’alcol. L’abito rosso raccoglie le luci dell’ambiente e le rimanda indietro in un gioco seducente che rimarca la rotondità dei miei seni.
La Londra notturna mi appartiene, rifletto mossa da un senso di onnipotenza che gli alti e i bassi della canzone in sottofondo acuiscono.
E lo credo davvero. Sotto la suola delle scarpe cremisi, la città e i suoi sporchi segreti non possono sfuggirmi. Non perché io stia troppo in alto per non averne il controllo, ma perché sono scesa così in basso da farli miei.
Emetto un lungo sospiro e schiudo le palpebre sul soffitto di luci colorate. Non sono mai stata una brava bambina agli occhi degli altri. Adesso, sono io a scegliere di non essere una brava ragazza.

You can’t keep a good girl down


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Edited by ~ Nieve Rigos - 4/2/2023, 15:10
 
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Una serata sobria, le avevano detto.
Nulla di che, una cosuccia per festeggiare il tuo nuovo lavoro. Una cena, ecco, una cosa da nulla.
Mary lo aveva capito da subito che c’era qualcosa sotto: da come Katie aveva voluto scegliere lei stessa i suoi vestiti, truccarla a dovere e «non dimenticare i tacchi, Mary». Lo aveva capito da come Joshua e Randall avevano insistito si andasse a mangiare un boccone fuori, un nuovo locale, una cosa super costosa ma ne valeva la mena, avevano detto.
Mary si era mostrata partecipe, ingenua, aveva dato loro man forte tenendo per sé i suoi dubbi. La voleva anche lei una serata tranquilla, una serata diversa, divertente. Aveva ancora vent’anni ma il peso della sua vita delle volte la faceva apparire più matura, fin troppo qualcuno poteva dire.
Aveva detto sì, allora: alla prima bottiglia di vino, alla seconda, aveva detto di sì al whisky incendiario e sì a qualche shot di liquore – che a quel punto nessuno sapeva che fosse.
E, brilla – forse ubriaca – aveva detto sì alla proposta di andare a ballare. Aveva sbottonato la giacca e aveva detto sì.

Faceva caldo. Nonostante fosse quasi nuda, il seno retto all’insù dalla canotta stretta, aveva caldo. Non era il caldo della temperatura, era più ciò che aveva dentro. Messo piede nel locale, l’atmosfera pareva inebriarla: le luci soffuse, le ballerine sul palco, la piccola folla appena sotto ad osservarle curiosi. Ma non era curiosità la loro e neanche quella di Mary: sentiva il desiderio pervaderle il petto, raggiungerla tra le gambe. Gli occhi umidi osservavano i movimenti delle ballerine, incantati. Con la difficoltà di mettere a fuoco i loro volti, Mary preferì concentrarsi sui corpi: i movimenti, le loro curve, era intossicante. Aveva voglia, voleva tutto. Voleva tutte. Aveva smesso di sentirsi così per un po’, troppo concentrata a raccogliere le briciole della sua vita sparse per Londra. Ma in quel momento era tutto così tanto, per lei, che le prudevano le mani, che le sudava il corpo. Tolse la giacca, buttandola da qualche parte alle sue spalle.
Katie la raggiunse con un bicchiere di champagne. Un brindisi, l’ennesimo: calici al centro, all’insù e poi giù, giù per la gola. Era frizzante, era dolce. Le sue labbra umide vennero raggiunte dalla lingua, tolse tutti i residui di alcool. «Andiamo a ballare.» disse, prendendo per mano qualcuno senza sapere chi fosse davvero. «Balliamo» a sé stessa, divertiamoci ora che possiamo.
Il suo corpo si muoveva contro quello di qualcuno, Joshua o Randall a ben dire dalla presenza che percepiva. Non le importava: aveva bisogno di sentire e per una sera, sentirsi desiderata. Chiuse gli occhi, le mani tra i capelli, il corpo stretto tra quello di altri, troppi. Poi, abbassò lo sguardo giusto un attimo, mise a fuoco qualcuno. Leccò le labbra automaticamente, in previsione di qualcosa. Seguì la linea del corpo: dai capelli quasi bianchi a scendere in giù verso le spalle scoperte. Il vestito rosso stringeva a modo tutte le sue forme. Di spalle, non poteva notare Mary guardarla, non poteva notare le labbra schiuse della ex grifondoro e non poteva notare il suo corpo muoversi all’unisono con quello di Randall, il suo braccio sulla spalla dell’uomo mente i suoi occhi erano puntati alla figura vestita di rosso. Non poteva notarlo, se solo non si fosse girata.
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Edited by Héloïse - 2/2/2023, 10:14
 
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view post Posted on 5/2/2023, 21:46
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Un acervo di corpi che si sfiorano in un moto asincrono, nel quale il mio scivola con cupidigia alla ricerca di contatto, trovando presto soddisfazione. Siamo una sola persona che danza allo scopo di placare il proprio bisogno di umanità nel tocco casuale, febbrile con uno sconosciuto. Un unico respiro caldo e bramoso che non ha bisogno di chiedere per avere.
Le mie dita curiose accarezzano fianchi che non mi appartengono ma che desidererei fare miei, braccia nude nelle quali perdermi, volti senza un’identità mossi dal desiderio di un bacio. Ho il fiato corto per la voluttà, ora che il ritmo e la frenesia delle ballerine si è trasmessa ai noialtri e sono entrata nella mischia per confondermi con chi come me ha lasciato fuori dall’ingresso il diritto di mantenere il senno.
Convocata dalla dea Lussuria in persona, mi nutro dei bisogni degli altri e li rimetto in gioco sotto forma di bramosia. Il modo in cui mi avvicino alla preda è sinuoso, letale. Una blandizie quasi impercettibile sulla pelle per chiedere il permesso, una risata —bassa ma non troppo perché possa essere udita— al momento della concessione, poi la sensazione del mio fiato sul collo ad un soffio dall’epidermide e la sfiancante impressione che quella distanza non riesca mai ad essere colmata, per quanto il mio corpo possa curvarsi e pronunciare promesse indicibili.
Quando mi allontano, lascio dietro di me una scia di frustrazione che accresce il livello del mio desiderio. Voglio arrivare in alto —molto in alto—, prima di lasciarmi cadere oltre il baratro delizioso del piacere. Più è elevata la posizione del mio piedistallo, maggiore sarà il capitombolo e il senso di libertà al quale soccombere. Com’è indomita l’aria che s’insinua tra le ali di un rapace e gli consente di conoscere il sapore del vento.
I capelli d’argento mi seguono lungo il percorso, mentre sguscio oltre il braccio tatuato di un ragazzo e gli lancio un sorriso malizioso. Non riesco a cogliere la sua risposta, ché sono già passata avanti e i miei polpastrelli blandiscono con leggerezza il tessuto in pizzo bianco che avvolge il busto di una ragazza voltata di spalle. Non ne scorgo i lineamenti, ma riesco a coglierne l’odore. È lo stesso della platea della quale siamo parte —un miscuglio di smania e inappagamento—, solo con una nota di dolcezza di fondo che mi racconta di lei.
Se sapessi di chi si tratta, buona parte della mia allegria svanirebbe? O l’alcol, la gioia del ritrovamento e le sostanze che ho inalato renderebbero il momento catartico? Non so dare una risposta a queste domande, perché procedo sul binario dell’inconsapevolezza. Intanto, mi beo della vicinanza provocatoria con le sue braccia e con la sua schiena che non oso sfiorare.
C’è stato un tempo in cui i misteri della seduzione e del sesso mi risultavano incomprensibili. Innocente e convinta di non poter accedere a un regno destinato soltanto a chi avesse avuto la fortuna di nascere con certe doti, guardavo Astaroth con un’adorazione simile all’idolatria. Il potere della sua sensualità era sconvolgente, malinconico e irresistibile proprio nei suoi contrasti. Non avrei mai potuto competere con lei, è stato subito ovvio.
Poi, con la pazienza che l’ha sempre contraddistinta, la sua guida mi ha condotta alla scoperta della verità nella sua veste più banale: non esiste una sensualità soltanto alla quale aspirare. La capacità di insinuarsi tra i pensieri, prima ancora che nei desideri, di una persona sta nel conoscersi abbastanza da desiderare più di quanto si voglia essere desiderati.
“È l’alone di concupiscenza che ci ammanta a trascinare nel solco della perdizione chiunque incontri il nostro cammino.”
Il mio, ho imparato nel tempo, non conosce pudicizia o meccanismi affettati da principesse rinchiuse in freddi castelli di altezzosa e imparagonabile bellezza. Trascende le buone maniere, lo sforzo comune di apparire come si conviene.
È il richiamo impietoso del vampiro con il suo succube.
Un suono roco abbandona le mie labbra allo scopo di raggiungere l’orecchio della giovane che mi sta davanti. Le accarezzo con studiata casualità la mano, quasi che ballando la gravità mi avesse impedito di fare diversamente. Dunque, compio un mezzo passo indietro, già pronta a lasciarla andare…

©Mistake (layout e codice) ©petrichor. (grafica)


Edited by ~ Nieve Rigos - 6/2/2023, 08:51
 
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view post Posted on 8/3/2023, 10:55
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«Sei bellissima.»
Le aveva detto Randall. Bellissima. Mary distolse lo sguardo dalla figura dai capelli bianchi, poggiandola con riserbo sull’uomo davanti a lei. Randall, che dalle labbra di Mary pendeva, che aspettava quasi senza respirare una sua parola, un suo movimento, un indizio qualsiasi che gli avrebbe dato la possibilità di gettarsi in avanti e reclamare ciò che non era suo e non lo sarebbe mai stato. Ciò che era di Oliver, di diritto, d’amore.
Sei bellissima, comunque, l’aveva sentita troppe volte. L’aveva sentito da voci mature ed infantili; l’aveva sentito dai suoi genitori con dolcezza, l’aveva sentito rivolto a lei per strada, con volgarità. Lo aveva detto Oliver e ci aveva creduto, si era sentita bella, bellissima. A sentirlo dire da Randall, a leggere sul suo volto la convinzione, Mary non provò nulla.
E non provò nulla quando le sue mani, sui fianchi, si muovevano verso l’alto con intenzione, nel tentativo di raggiungere qualcosa che Mary non voleva toccasse.
Forse pensò, se per una volta mi lascio andare. Non con lui, però.
Mise le sue mani su quelle dell’uomo, le abbassò nuovamente verso i fianchi senza però distogliere lo sguardo. Voleva essere seducente, voleva fargli credere di avere una possibilità. Voleva comandare lei, quella sera.

«Abbiamo un ospite.» le aveva sussurrato Randall all’orecchio, avvicinandosi più di quanto l’ex grifondoro voleva. Mary con la coda dell’occhio colse soltanto un veloce movimento di capelli. Bianchi, come aveva apprezzato poco fa. Sorrise maliziosa, mentre con un solo passo allontanò il suo corpo da quello dell’uomo e si avvicinò di conseguenza a quello alle sue spalle. Un gioco, una danza, l’attenzione ai dettagli. Non voleva darsi via facilmente, voleva essere desiderata, pensò che con quel corpo ne avesse il diritto. Temeva però di non essere brava, temeva di volere tutto subito. La mano della ragazza le toccò il fianco con leggerezza, troppa. Realizzò immediatamente, da quella semplice carezza, che lei voleva essere presa. Voleva comandare lei, certo ma voleva essere anche ubbidiente. Una serie di contraddizioni che avevano poco senso anche nella sua testa. Ma quella sera, in quel luogo, vi era poco da ragionare.
Fece un altro passo indietro cercando il contatto della sua schiena con il seno dell’altra, ma non trovò nulla. Sfuggiva, eppure Mary sentiva sul naso i rimasugli della sua essenza, della dolcezza di un profumo che può appartenere solo al genere femminile.
Chiuse gli occhi ed accettò con piacere la sua voce sul collo, un suono che non significava nulla eppure era tutto. Poi, mosse leggermente la mano destra al contatto con quella dell’altra. Le stava sfuggendo e lo impedì. Chiuse la mano destra intorno al polso dell’altra: la presa era leggera, vi si poteva liberare con facilità. La mano di Mary era calda ma non sudata. *Con un movimento che le parve fluido, tirò a sé il braccio di Nieve con non troppa forza, sostituendo la mano destra alla sinistra e accompagnando il tutto con un passo necessario affinché fosse lei a trovarsi dietro l’altra. Un movimento così veloce che non diede modo a Mary di guardare in volto l’altra, ma soltanto ritrovarsi con i suoi capelli bianchi a pizzicarle il volto. Lasciò la presa del polso, portando con delicatezza la mano sinistra sul fianco di Nieve, la destra a spostarle i capelli da un lato quel tanto che bastava per avvicinarsi al suo orecchio. «Non mi piacciono i giochi.» le sussurrò in un tono di voce ricoperto di desiderio, così lontano dalla persona che era. Inspirò, accogliendo con piacere quel profumo. Un gioco che sarebbe durato fin quando la ragazza non si fosse voltata. A quel punto, che persona sarebbe diventata Mary?
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*Nella mia testa il movimento ha senso, ma penso che a trascriverlo non si capisca nulla. Se non ti è chiaro dimmi e ti faccio un mega audio.
Ovviamente, perdonami per il ritardo.
 
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view post Posted on 30/3/2023, 19:16
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Rimango, con piacere. Un ricciolo di compiacimento risale la superficie della mia bocca, addolcendo i picchi bramosi dell’arco di Cupido. Se lei vuole che resti, glielo concederò perché la sensazione del suo pizzo sotto i polpastrelli ha solleticato il desiderio accovacciato sulla mia pelle, facendolo correre lungo la spina dorsale e giù fino alle curve dove il desiderio diventa più dolce —liquido ed entropico.
La risata che lascia le mie labbra è pericolosa, la naturale conseguenza della scelta della mia accompagnatrice. Sta giocando un gioco che può condurla costretta contro una parete a gemere in preda alla follia con il collo incurvato e il capo gettato all’indietro. Invocherà le sue divinità, se dovesse averne, e le scongiurerà di perdonarla per aver sostituito il loro nome con il mio. Pregherà me di non smettere e insieme di fermarmi, incapace di sopportare un godimento la cui intensità gioca sul confine con il dolore.
Un annuncio dal palco precede la materializzazione di una serie di maschere sul locale. Piano, le vediamo calarsi dal soffitto e levitare con gentilezza a disposizione dei clienti. Una di esse —rubizza come il sangue venoso— si deposita con garbo sul mio naso e aderisce al profilo del mio viso. Approfittando del momento, poso con fermezza la mano attorno al braccio della giovane e compio una piroetta. Non ho fretta, anzi. Mi prendo il tempo necessario affinché il mio corpo corra con lentezza sull'epidermide della sconosciuta. Voglio che impari a conoscerlo e che capisca che i giochetti sono per le figlie di papà. A lei, stasera, è capitata un’orfana —se per fortuna o sfortuna è ancora da determinare.
Umetto le labbra, dunque le regalo un sorriso. Le iridi bianche si fissano nelle sue, la bocca schiusa. C’è un’intensità indecifrabile nel modo in cui sto valutando la situazione, le braccia molli lungo i fianchi fasciati dall’abito aderente. Attorno a noi la folla si agita, la musica fluisce e i colori impazzano. Delle titubanze iniziali non è rimasto che il ricordo. Non c’è più nessuno che non si stia toccando, o baciando, o parlando con uno sconosciuto, o che non abbia sfacciatamente tentato un approccio con qualcuno.
Io rimango ferma, l’espressione pensosa, la mascella contratta, gli occhi dardeggianti. Voglio consumarla —consumarci— con l’attesa. Voglio sentire ogni particella del mio corpo impazzire, la mia mente tuonare dell’unico ordine impartito dalle connessioni neurali, le mie estremità subire gli spasmi del movimento trattenuto.
Più alto il piedistallo, più dolce la caduta, penso mentre un cappa di brividi ammanta ciò che rimane delle mie spalle nude.
Le mie mani scattano in direzione della ragazza, le cingono il viso —pelle su pelle— e io mi tendo verso di lei. È il richiamo della gravità, l’inesplicabile potere della chimica tra esseri umani che trascende la spiegazione di magia e raziocinio. Le mie labbra impattano sulle sue con prepotenza, senza chiedere permesso. Respiro sulla sua bocca, un atto di liberazione che è soltanto agli albori. Mi distacco quel tanto che basta a ricercarla una seconda volta con immutata brama. La mano destra scivola dietro la nuca per avvicinarla a me, quasi che il contatto non fosse abbastanza. Premo il mio corpo contro il suo per farle presente che spazio per i giochetti non ho intenzione di lasciarne —non tra di noi, almeno.
La cattiva ragazza che è in me, inappagata, domanda di più. Mi chiede di spingerla indietro, di trascinarla via dalla folla, di prenderla per mano e cercare un angolo appartato, ma non troppo, vicino agli spogliatoi. Del resto, a me non dispiacerebbe poi così tanto essere vista, no? Con saggezza, però, ricordo a me stessa che il piacere non va affrettato, altrimenti rischi di non goderti il sapore.

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Edited by ~ Nieve Rigos - 5/4/2023, 14:25
 
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view post Posted on 17/7/2023, 13:29
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Fingo di non sapere quello che sta succedendo.
Fingo perché è più facile per me pretendere che stia succedendo tutto per caso, tutto all’improvviso, al di là delle mie capacità di rifiutare.
Fingo sia per colpa – o per grazia – dell’alcool, fingo che mi abbia assuefatto a tal punto dal non essere capace di dire di no.
Fingo perché la realtà delle mie azioni fa male, ma lascio che sia un dolore che posso affrontare domani.
Fingo perché ho vent’anni, per dio, e dovrei smetterla di avere il peso del mondo sulle spalle, di mettermelo da sola. Ho vent’anni, una bellissima ragazza tra le braccia, il suo profumo che mi pervade le narici, i suoi occhi che mi penetrano in un modo che tocca prima il mio stomaco, poi le mie gambe. Tremo perché percepisco che mi desidera e mi ricompongo solo quando realizzo che anche io la voglio.
E smetto di fingere.
Smetto di fingere e smetto di pensare a tutto ciò che non sia il suo corpo sul mio, il palmo della sua mano nella mia mentre esegue un giro intorno a sé stessa. Godo di ogni attimo, guardo il suo corpo da ogni angolazione possibile. Non sento nulla, non vedo nessuno e percepisco la maschera bianco panna sul mio viso solo quando è già successo, quando il mio volto è stato già nascosto.
Un suono gutturale si incastra nella mia gola, schiudo le labbra per lasciare che uno sbuffo d’aria ne esca fuori.
Mi sorride e penso sia bellissima. Non vedo altro che la sua figura, i suoi denti appena accennati, i suoi occhi che nella penombra non riconosco, le braccia lungo i fianchi. E mi sento d’improvviso predatore quando so di essere invece preda. Sento di analizzare lei e altrettanto sta succedendo dalla sua parte.
Porto entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni, lascio che il mio sguardo le percorra tutto il corpo, dalla testa ai piedi. Mi prendo ogni secondo possibile, voglio che lei sappia che la sto guardando. Voglio che lei sappia ciò che voglio succeda stanotte. Non lo faccio consapevolmente, ma la mia lingua bagna le labbra in un gesto rapido, un gesto che preannuncia l’azione.
Eppure, non sono io la prima a muoversi.
Le sue mani sono fredde sul mio viso ma non ho tempo di analizzare il brivido che mi percorre la schiena che le sue labbra impattano con le mie. Non trovo in me la forza di reagire, i miei occhi ancora sbarrati.
È da quando ho incrociato il suo sguardo che non aspetto altro, eppure ora sono immobile. Si distacca da me, ho un attimo per guardare il suo volto ad un centimetro dal mio, i suoi occhi chiusi, il contorno delle sue labbra umide.
Qualcosa in me si smuove, allora e me ne rendo conto solo quando entrambe le mie mani cingono i suoi fianchi. Quando la sua bocca ritorna sulla mia, l’accetto volentieri. Il suo seno sul mio mi provoca un’umidità che da troppo mancava al mio corpo. Respiro sulle sue labbra e con forza le schiudo, la mia lingua che prima si scontra con i suoi denti, poi cerca un accesso con più forza. Inclino la testa, lascio che la mano destra raggiunga la sua guancia. Il mio tocco è leggero paragonato a quello della mia lingua, al mio respiro affannato nella sua bocca. Voglio essere io a dettare i tempi penso, e perciò allontano le mie labbra. Il mio naso sul suo, gli occhi chiusi e il respiro pesante. Ma non ce la faccio, non riesco a fermarmi. La mano sinistra stringe il suo fianco, la mia bocca ritorna sulla sua e affondo i miei denti nel suo labbro inferiore. Non penso di farle male, ma in verità non riesco a rendermi conto di nulla che non sia la sua figura sulla mia.
Vorrei toccarla ovunque, lasciare che la mia lingua e le mie mani navighino ovunque sul suo corpo. La realizzazione mi spiazza e mi fermo d’improvviso, allontano il volto dal suo, le mani con sicurezza sul suo corpo e volto. La guardo, allora, aspetto che ricambi lo sguardo. Voglio chiederle dove andare, voglio sapere se lei vuole quello che voglio io, subito, senza pensare ad altro.

La voce mi si ferma in gola.
Non posso fare altro che ammirarla, il verde dei miei occhi scomparso, restano solo le pupille dilatate, il mio sguardo che si alterna tra i suoi occhi e le sue labbra, il respiro affannato, le labbra arrossate e bagnate.
Voglio sentirla urlare il mio nome, ma non so neanche il suo.
Mi chiedo se sia importante quando in realtà voglio solo inginocchiarmi a lei e prendere tutto ciò che posso.
Code • Oliver



Scusami l'attesa e scusami il post un po' meh, vediamo se riesco a tornare. :flower:
 
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La carne è debole e io mi perdo in ogni eccesso di fragilità. Ho conosciuto forme di piacere terribili e insieme talmente alte da sfiorare l’indicibile. E dalla tenerezza vogliosa della carne dipendo perché è in essa che mi disfaccio, dominatrice e schiava —Nieve e Astaroth.
La accolgo di buon grado, appagata. Le carezze che le dedico, superando il confine pudico delle sue labbra, danzano con il suo piacere fino a scuoterlo. Le mie mani scorrono sul suo corpo. Oltre le clavicole, mi accoglie il pizzo delicato e il ciondolo che gioca sulle curve aggraziate dei suoi seni. Non è che l’indugio di un momento, la provocazione studiata dei polpastrelli pronti a saggiare la sommità della collina dove sanno di trovare risposta alle sollecitazioni del furore. Dunque proseguo, lasciandomi guidare dai supporti del corpetto. Quando trovo la cintura, mi separo dalla sua bocca con uno schiocco e sorrido. Lei mi prende le labbra, morde e io la lascio fare.
La guardo. Le ciglia tremano ad ogni palpito, gli occhi adesso scuri attraverso la protezione della maschera di fuoco. Il rossetto sfora i margini, lasciando sulla pelle la traccia dei nostri baci. Gioco con la fibbia. Il sorriso scaltro sulla mia bocca preannuncia conquiste. Le mie mani non si fermeranno e, quando avranno oltrepassato il bordo che segna l’inizio della fine, non le concederò più la pace. Voglio che lo sappia.
Scosto la mano —il tormento viene con l’insoddisfazione— e prendo la sua. La guido attraverso la folla, che s’impone sul mio corpo come un unico essere capace di assorbirmi. Chiudo gli occhi e sospiro. Ho bisogno di questo per tacitare le voci nella mia testa; per placare la sensazione di vuoto che mi porto dentro e che minaccia di divorarmi ogni istante della mia miserabile vita.
Aborrire lo spirito in favore della carne.
Sfiliamo oltre i camerieri, gli spettatori divertiti dalle danze sul palco e tentati dalla sensualità della mischia, i sognatori incapaci di nascondere il desiderio sotto la protezione dei tavoli. Le sue dita sono calde; ristorano le mie. La conduco su per una scalinata ricoperta di velluto. Il rumore della musica comincia ad attutirsi fin quasi a scomparire. Tende e sospiri sulla sommità dei gradini: piccoli salotti pensati per i clienti più danarosi. L’uomo addetto all’assegnazione dei privè mi guarda. Mi indica uno spazio vuoto e io lo ringrazio con un cenno del capo.
Scosto le tenda, la lascio passare, poi la spingo di malagrazia sul divano. Non so se questo posto le si addica, se sia una signorina perbene e preferisca una suite imperiale con un letto cosparso di petali, champagne su un tavolino di legno pregiato e frutta fresca d’accompagnamento. Mentre mi mordo il labbro inferiore e la osservo a distanza di qualche passo per godermi lo spettacolo, trattengo a stento una risata. Sarebbe una bella sorpresa scoprirla indignata per il trattamento che ho intenzione di riservarle.

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C’è questa vocina che sento: si confonde con la musica, con le vibrazioni delle casse, con i salti delle persone, con i respiri bagnati nell’aria. Questa voce che mi dice fermati Mary, fermati ora. La sento nelle orecchie, mi scombussola. Si mischia con il mio respiro, con il sudore che mi pizzica il collo. Ho i brividi che mi percorrono le braccia e non ho più la giacca a proteggermi. Non provo nulla che non sia estremo piacere, voglia nel sul senso più carnale. Ho di fronte a me una ragazza che non conosco, di cui non mi può benché minimo importare il nome ma cui corpo voglio studiare così meticolosamente da poterlo riconoscere tra mille. Di lei non m’importa nulla e dei suoi sentimenti non voglio neanche sentir parlare. È forse questa la cosa che mi terrorizza: la mancanza di qualsiasi forma di interesse ed empatia verso la persona che ho di fronte. Perché non sono io quella nel mio corpo. Non sono io nel momento in cui, dentro di me, rispondo con un vaffanculo alla vocina che mi disturba.
Sento la sua mano scorrere sulla mia figura, sfiorarmi con una leggerezza che non ha nulla a che vedere con timidezza o riserbo, no. Lei vuole provocarmi, vuole istigare in me sensazioni che non sa sono già completamente ben presenti. Seguo con gli occhi la sua mano sulla cintura e sorrido in un modo che non lascia intendere altro che soddisfazione. Perché ti piaccio e mi vuoi nella stessa misura con cui io voglio te. E sì, quanto mi dà gusto questa consapevolezza, quanto mi dà gioia. Quanto mi inumidisce questa verità.

La sua mano è fredda nella mia e il contrasto che dovrebbe portarmi alla realtà non fa altro che accrescere la mia eccitazione. Mi è quasi scomodo camminare per quanto il mio corpo è pronto. Stringo la sua mano e lascio che sia lei a portarmi in un luogo più discreto. Penso di dovermi girare ad avvertire i miei amici ma il mio interesse verso loro è così poco che sfiora l’imbarazzante. Attraversiamo persone, saliamo scale. La musica ora è un sottofondo quasi piacevole ma mi spaventa non poterla usare come protezione per il mio respiro ansimante.
Non mi dà tempo di pensare, questa ragazza, che finisco spinta sul divano. Non so dove sono, non mi guardo neanche intorno perché i miei occhi sono sul suo corpo, sulle sue gambe. Catapultata nell’epoca vittoriana dove anche solo le sue caviglie mi eccitano. Mi mordo le labbra, percorro con lo sguardo il suo corpo dal basso verso l’alto. Arrivo ai suoi occhi e mantengo il suo sguardo quando le mie mani raggiungono la cinta. La slaccio con estrema precisione, non c’è orecchio umano che possa percepire l’esatto momento in cui la fibbia si allontana dal cinturino, ma i suoi occhi non possono non notare il momento in cui apro l’unico bottone dei miei pantaloni. Le sorrido e allungo una mano verso di lei. Quasi completamente stesa sul divano, aspetto che venga a riscaldarmi con una coperta, a farmi urlare come una cantante.
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view post Posted on 20/11/2023, 16:19
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entropia.

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Il suono della fibbia scalzata riverbera nelle mie orecchie, generando un tremore che s’incunea nelle acque torbide del mio piacere. Sei alla mia mercé, bella, riscaldata dal tocco che non puoi ancora sentire ma verso il quale t’incurvi. Sei irridente, non ti preoccupa la morale, schernisci il buoncostume. Per questo mi piaci e mi ritrovo incapace di attendere oltre.
Quando la tua mano afferra la mia, ti sorrido — le iridi ridotte a una striscia di terra contesa dal desiderio e dalla sua mattìa. Piazzo un ginocchio sul divano, tra le tue gambe, e una mano sullo schienale del divanetto. La criniera d’argento scivola sulle mie spalle, ti sfiora una guancia, t’ingabbia e nasconde al mondo esterno. Non esiste altro che lo spazio tra i nostri volti; il respiro affannoso che abbandona le tue labbra.
Mi chino sulla tua bocca. La provoco in un estenuante gioco di tocchi leggeri. Sfioro la punta del naso con la tua. Mi concedo un sospiro lento, di quelli che trattengono e tacciono senza sapersi celare. Vorrei baciarti, profanare la tua bocca e farla mia, ma il piacere va evocato; poi corteggiato; infine appagato.
Fuggo via, tracciando un sentiero di provocazioni che marchia la tua pelle. I miei attacchi sono pacati, languidi. Intrappolo la tua pelle tra i denti, poi la lenisco con la lingua. Suggo. Il tuo collo è un terreno fertile, che cede alle mie carezze senza opporre resistenza. E così il tuo petto di velluto, che conquisto impietosa, senza fretta, mentre una mano ti arpiona il fianco e ti spinge contro di me — che sono scesa a patti con la pazienza e un bisogno ruggente al quale non è possibile resistere. Mi chiami, Veela a lungo perduta, ora ritrovata e preda delle mie voglie. E io rispondo.
Sfioro il margine del corpetto, là dove trattiene appena i frutti della tua bellezza. Mordo ancora, stavolta più forte. Mi hai chiesto udienza, sfacciatamente, e io te la concedo. Allora, più in basso, oltrepasso la linea del tessuto che avvolge il tuo pudore ma non sa proteggerlo dal mio languore. Tocco corde sensibili, pacata e insieme irrispettosa. Ti suono con i polpastrelli come si farebbe con una chitarra ben accordata. La senti la sinfonia che emana da te, da me, dal nostro fortuito incontro, dalle mie dita curiose che non sanno perdonare?
Abbandono la distesa di pizzi che ho attaccato con ferocia e che adesso non ha più alcun potere sui tuoi seni. Li osservo, esposti al mio sguardo, e li blandisco con finta cautela, prima di dismettere i panni dell’amante rispettosa. Li faccio miei — spietata, affamata, insaziabile. Oltre il monte di Venere, si consuma il tenue vilipendio della tua frenesia.
Mi scappa una risata bassa di fronte al rossore di una pelle martoriata. È ancora presto, è ancora poco. Così, risalgo e stavolta, irriverente, mi avvicino alle tue labbra e fingo la richiesta di un permesso che mi hai già concesso.
Canta per me, sirena…

©Mistake (layout e codice) ©petrichor. (grafica)
 
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