Negli ultimi due anni, ho imparato che lo champagne ha un sapore specifico. Sa di denaro. Di galeoni tintinnanti. Di infinite possibilità e di ostentazione.
Regalo un sorriso alla serata, osservando la performance in corso sul palco senza riuscire a fermare il mio corpo. Il ritmo scorre sulla mia pelle in una carezza ammaliante, si mescola alla frizzante ebrezza alcolica e mi colma a un livello che la sobrietà non saprebbe mai darmi. Così, lo lascio muoversi a tempo. La spalla nuda, esposta sopra il vestito rosso di paiettes cucito sulla mia pelle per non lasciare nulla all’immaginazione, si alza e si abbassa. Il collo si abbandona all’indietro, lasciando ondeggiare libera la cascata d’argento.
L’aria dei primi di gennaio, nel locale sotterraneo di Londra dove le performer si stanno esibendo in uno degli spettacoli di burlesque più sensazionali che i miei occhi abbiano mai visto, m’inebria. D’un tratto, la malinconia delle vacanze di Natale è stata spazzata via dalla sensualità morbida dei fianchi della ballerina mulatta che tanto desidererei premere contro uno dei pannelli del palco, anche a tende aperte se la cosa dovesse far piacere a qualche voyeur.
Incapace di staccare gli occhi da lei, non mi accorgo della figura che mi si avvicina finché il sussurro non raggiunge le mie orecchie:
«Posso offrirtene un altro?»Volto appena il capo nella direzione da cui proviene la voce per scoprire che il mio interlocutore è una giovane dai lineamenti androgini. Non è particolarmente alta; anzi, a occhio e croce direi che sarebbe più bassa di me anche se per slanciarmi non avessi attinto alle scarpe dal centimetraggio più alto del mio arsenale.
«Certo» concedo, lasciandomi scivolare sul divanetto in pelle nera che ho occupato fino a pochi minuti prima. Con la schiena poggiata al bracciolo e le gambe allungate sui cuscini, osservo la giovane con un ghigno curioso sulle labbra.
«Rose» mi presento… più o meno.
Lei —o lui— si lascia andare a una risata.
«Mi sembra perfetto» commenta e indica il mio abbigliamento. Abbozzo una smorfia che vorrebbe essere divertita, ma in realtà trovo scontato il suo tentativo di risultare brillante. Di approcci così ne ho visti tantissimi.
«Kyle».
Un lui, dunque.
«Cosa ti porta qui?» domando e accavallo le gambe nude.
«Be’, oltre alla vista, intendo!»Kyle sorride. Un rossore virginale gli soffonde le guance, come se lo avessi messo in imbarazzo con la mia schiettezza. Socchiudo gli occhi per studiarlo. Non può essere minorenne, a meno che non abbia falsificato i documenti. Se anche lo fosse, mi dico che non sarebbero fatti miei. Certo, non potrei neppure fargli credere di avere una chance…
Intanto, la musica continua a stordirci; a infonderci il desiderio di impazzire, di abbandonare ogni freno inibitorio.
«Sono il fratello di una delle ballerine.»Cazzo! È sicuramente minorenne, realizzo con uno sgomento ingiustificato. Non ho forse detto che me l'aspettavo?
Non voglio rovinargli la serata. Non come avrebbero fatto a me. Non con l’insensibilità che altri mi hanno usato. In fondo, prima o poi toccherà anche a lui fare delle esperienze. Magari non stasera e non con me —Dio, lo traumatizzerei!—, ma succederà.
«Qual è?» chiedo e lo osservo tirare un sospiro di sollievo.
Probabilmente, il timore di vedersi scacciare in malo modo deve averlo sfiorato per più di un istante nel tempo che ho impiegato a elaborare le mie riflessioni.
«La ragazza al centro con il cappello di piume di Fwooper arancioni» fa e mi indica una fanciulla dai capelli rossi come i suoi, intenta a schiaffeggiarsi una natica.
«È single?» chiedo. È il modo più gentile che conosca per fargli capire che non c’è trippa per gatti. La gentilezza più grande che possa fargli, oltre a non cacciarlo come avesse la peste, è non illuderlo di poter avere qualcosa che in realtà gli è preclusa.
«E quella ballerina mulatta con i capelli afro? Sai per caso come si chiama?»Un velo di delusione passa sul suo viso, adombrandolo. Se non fosse per i bicchieri di champagne bevuti e per la polvere di fata consumata, non sopporterei di esserne stata la causa per il fatto di rivedere così tanto di me in lui. L’immagine di Christopher Channing balena nella mia mente per un attimo.
«Si chiama Dalila…» tentenna, a disagio. Non vuole più stare qui con me. Si sente di troppo, non voluto, sciocco anche solo per averci pensato. Nonostante i miei buoni propositi, non sono riuscita a proteggerlo dalle sue insicurezze.
«Ora devo andare. A breve lo spettacolo dovrebbe finire e mia sorella si aspetta che la raggiunga in camerino. È stato un piacere conoscerti, Rose».
Il suo congedo è frettoloso ma per questo non meno cordiale. Ricambio la sua cortesia e mi scordo presto di lui —una conversazione come un'altra all'interno di un locale. Di lui, non di Dalila.
Fermo un cameriere e prendo un altro bicchiere di champagne. Lo trangugio in un unico fiato. La testa vortica in uno stato di abbandono quando chiudo gli occhi e concedo alla musica di entrare e frastornarmi. Sorrido, le labbra tumide per la patina lasciata dall’alcol. L’abito rosso raccoglie le luci dell’ambiente e le rimanda indietro in un gioco seducente che rimarca la rotondità dei miei seni.
La Londra notturna mi appartiene, rifletto mossa da un senso di onnipotenza che gli alti e i bassi della canzone in sottofondo acuiscono.
E lo credo davvero. Sotto la suola delle scarpe cremisi, la città e i suoi sporchi segreti non possono sfuggirmi. Non perché io stia troppo in alto per non averne il controllo, ma perché sono scesa così in basso da farli miei.
Emetto un lungo sospiro e schiudo le palpebre sul soffitto di luci colorate. Non sono mai stata una brava bambina agli occhi degli altri. Adesso, sono io a scegliere di non essere una brava ragazza.
You can’t keep a good girl down