La voce di Nieve esplose in un vero e proprio ruggito, come se finalmente una valvola di sfogo si fosse aperta lasciando fuoriuscire tutto il suo risentimento. Non aveva idea di che cosa fosse accaduto tra lei e Grimilde, ma sapeva che sebbene il loro rapporto non fosse sempre stato idilliaco, entrambe avevano più o meno cercato di farlo funzionare. Lo aveva visto tra Nieve e la donna che l’aveva consapevolmente accolta come una figlia di sangue e lo aveva visto accadere a se stessa, quando Leanne non faceva altro che criticare ogni sua decisione e azzardo. Solo che, a differenza di sua madre, Grimilde pareva aver prima sfiorato e poi premuto con forza tasti che non dovevano nemmeno essere presi in considerazione. Come se, dopotutto, Grimilde non avesse conosciuto affatto Nieve.
Era confusa, le sopracciglia corrucciate non potevano lasciare spazio al dubbio, e non sapeva che cosa dire o come farlo. Restava immobile, lasciando che l’onda di energia negativa emanata da Nieve, col corpo e con la voce, andasse affievolendosi, finché la quiete non fosse tornata e quel momento, attualmente in pausa, non avesse dato spazio a quello successivo. Le sembrava di essere bloccata in uno spazio-tempo infinito dove nulla si muoveva, eccetto il suo cuore che batteva a raffica per la sorpresa e lo spavento, e ogni parola le pareva superflua.
Le scavava una voragine nel petto vederla rannicchiarsi in se stessa davanti al camino, come se il calore del fuoco acceso raggiungesse e si fermasse alla sua pelle diafana. Non aveva sbagliato ad eguagliarla ad un Thestral: la
sua Nieve era morta, ma perché? Come? Quando?
Voleva delle risposte, le pretendeva e ne aveva bisogno come si ha bisogno d’aria per respirare. E al posto delle parole c’era solo il silenzio.
«
Non dire…» stava per contraddirla, come aveva fatto altrettante volte in passato, ma le parole le erano morte in gola al sentirla parlare di crimini e punizioni. Ora che non la stava nemmeno guardando un sorriso amaro le aveva distorto la linea sottile delle labbra altrimente strette tra loro.
«
L’unico crimine è avermi esclusa da tutto.» mormorò, sedendosi sulla prima sedia a disposizione. Era stanca di sentirla parlare così, come se il mondo ce l’avesse con lei e lei sola. Se in quei due anni era accaduto qualcosa di così grave perché non dirglielo? Forse un po’ di onestà avrebbe fatto bene ad entrambe.
Eppure, la chiarezza era una merce rara e pericolosa. Poteva spianare la strada o erigervi ostacoli insormontabili e nulla, nel secondo caso, avrebbe potuto risolvere la situazione. A quel punto, ogni cosa sarebbe stata perduta, ogni passo falso solo l’ultimo di una lunga serie. Thalia sapeva che, se avesse pronunciato quanto le frullava nella testa in quel momento, sarebbe finito tutto. Nieve era come una pozione lasciata cuocere troppo a lungo sul fuoco, gli effetti incalcolabili, e lei il maldestro che l’aveva lasciata sola troppo a lungo.
«
Quindi sono nulla?»
La sua voce era come un respiro soffocato, mentre le mani coprivano il suo volto e rendevano impossibile a Nieve comprendere la forma di quelle parole ed il loro peso. Avrebbe avuto senso, considerato quanto avvenuto fino a quel momento. Il silenzio, il suo fingere di essere tornata ad Hogwarts come la figliol prodiga affidandosi alla clemenza e alla curiosità degli altri, con la spavalderia con la quale l’aveva affrontata quella stessa mattina. Era ovvio che fosse andata oltre: il passato è passato per un’ottima ragione.
Il capo chino e coperto dai palmi era solo una delle tante declinazioni assunte dallo sconforto che la colse. Poi, così come Nieve aveva saputo confonderla, riuscì anche a zittirla.
Astaroth Morgenstern era morta.
Per lei, che di quella donna serbava il minimo ricordo necessario a far riaffiorare la sua fisionomia alla mente, quella era un’informazione di secondaria importanza; per Nieve, però, significava aver perso una parte di se stessa. Sapeva che la donna le era stata accanto, come mentore ancor prima di essere una sua docente, e le aveva sempre sconsigliato di avvicinarsi a lei, se non altro per questioni di mera professionalità. Le aveva suggerito di non sbandierare ai quattro venti, come invece aveva fatto con lei, del suo rapporto privilegiato con l’ex Docente di Divinazione e di fare attenzione, poiché nessuno, nemmeno lei, poteva sapere dove sarebbero potute arrivare le conseguenze.
Ricordava piuttosto chiaramente le discussioni che l’argomento Astaroth aveva portato tra loro, come una specie di malattia che colpisca a fondo e brutalmente. Era diventato quasi un ostacolo - così l’aveva percepita Thalia - tra lei e la sua migliore amica. Sapere che fosse morta, per lei, non era importante. Per Nieve doveva essere stato tremendo.
Eppure, aveva tratto profitto da quella dipartita assurda ed improvvisa: una villa, per lei che era nata senza avere nemmeno di che coprirsi e sostentarsi, doveva essere sembrato un sogno e una dannazione insieme. Come darle torto?
Immagazzinava le informazioni che Nieve le stava fornendo con la passività data dallo sconcerto, cercando di trovare la quadra senza avere tutti i dati necessari. E poi la chiosa finale: Grimilde le aveva cancellato i ricordi. Ciò che di più prezioso un essere umano possa avere.
Le grida di Primrose Moran le riecheggiarono nella mente, e si costrinse ad abbassare le mani sulle labbra che, scoprì, erano schiuse per il naturale stupore. Non era stata meglio di Grimilde in questo, dunque come poteva giudicarla? Sarebbe stato troppo facile se le avesse detto quello che voleva sentirsi dire e non sarebbe stato nemmeno giusto, perché la magia era un'arma a doppio taglio e l’onestà veniva pagata a caro prezzo.
Nonostante questo, se al principio il primo istinto era stato quello di alzarsi e coprire quel metro e mezzo a separarle per cingerla in un abbraccio che le desse conforto, quando i suoi occhi finalmente la presero in considerazione la vide: la tristezza, il vuoto dentro e fuori, il nulla a cui aveva accennato poco prima. Una voragine in cui perdersi. E Nieve lo era: persa in un oceano di dolore e rancore, forse impossibile da navigare.
Si schiarì la voce, prima di parlare, e lo fece con l’intenzione di trovare la forza per non lasciarsi andare allo sconforto. «
Quello che mi ferisce è che...» si morse il labbro inferiore, mentre gli occhi si inumidivano fastidiosamente «
...che pensi di non avere più niente.»
Avrebbe voluto andare via, scappare da quell’incontro cercato contro ogni logica e razionalità, ma i piedi se ne restavano piantati a terra, come se niente potesse smuoverla.
Portò l’indice al petto, picchiettandolo in silenzio, sentendo dentro di sé tutto quello che non si era concessa di sentire in quell’intervallo interminabile di tempo. Abbandono, frustrazione, incomprensione… tutto ciò che in quei due anni si era accumulato, una catasta di emozioni e sentimenti pronti ad essere stivati come ninnoli e suppellettili antiquati senza curarsi di quanto spazio potesse rimanere nella soffitta; la parte peggiore era scoprire che non c’era più spazio per la comprensione, per quella voglia di sapere ascoltare senza riserve, il proposito di non giudicare mai prima di aver capito tutta la storia. Nessuno si era proposto di farlo con lei o
per lei. Solo adesso ne capiva la vera ragione.
«
Io non valgo abbastanza per te. Se tu non vali niente, allora niente e nessuno vale abbastanza. E io sono parte di quella categoria, non è vero? Io non sono importante. Non quanto lei.»
Pronunciò l’ultima parola con un velo di rancore e si aspettò che Nieve scattasse come una molla, ma non le importava: aveva atteso due anni per conoscere le risposte alle sue domande e adesso che le aveva voleva togliersi un macigno dal petto. Voleva essere libera. Libera di provare tutte le emozioni che aveva soffocato con il bisogno di trovare un modo per andare avanti.
«
Se lei era così importante e soffri per averla lasciata sola a morire… che cosa dice di me e te questo? Chi sono io? Che valore ho per te? Perché…» strinse le dita in un pugno, serrò il maglione tra loro con una forza che le fece sbiancare le nocche e tacque per un momento. Se Nieve avesse osato interromperla l’avrebbe incenerita. Se fosse morta lei, Nieve si sarebbe ridotta così? Se lo chiese, stupidamente, ricalcando un disegno infantile che non le faceva affatto onore. Eppure, per quanto fosse assurdo mettere a confronto se stessa con il fantasma di un affetto passato, era proprio questo che voleva: capire perché, alla fine della storia, dovesse sempre essere lei a rinunciare a qualcosa o a qualcuno.
Ormai non nascondeva più la sofferenza, le lacrime scendevano giù incorniciandole le guance.
«
Sei il mio sangue fuori dal mio corpo» citò con voce rotta le ultime parole che si erano dette, prima di lasciarsi alla stazione di King’s Cross, due natali prima, e quelle parole le si annodarono doloramente nella gola. Faceva male scoprire quanto una menzogna fosse difficile da digerire e capì, per la prima volta, come dovesse essersi sentito Mike. Quando la verità era un velo sottile pronto a scoperchiare le menzogne, sostenuto dalla barcollante struttura di illusioni pure e semplici.
«
Ero il tuo baricentro, me lo dicevi sempre, perché figuriamoci...! Ho una bussola morale invidiabile! Non sbaglio mai, scelgo sempre bene e non so nemmeno che cosa voglia dire soffrire per qualcuno!» le sputò addosso tutta la rabbia e il risentimento come mai aveva osato fare, infischiandosene per la prima volta se il suo dolore - quello di Nieve - veniva messo al secondo posto.
«
Quando te ne sei andata ho smesso di essere me e sono diventata te. Incurante delle regole e dei privilegi, la morale nel cassetto e… adesso ho capito molte cose.»
Nieve aveva bilanciato per così tanto tempo le parti più oscure di se stessa da aver contagiato anche le sue: non aveva bisogno di eccedere, poichè la Grifondoro era il suo promemoria ricorrente di che cosa potesse accadere se solo si fosse permessa di lasciarsi andare. Conoscere Lucas, un
Mangiamorte, nel periodo di più grande fragilità era stato solo il principio di una serie di eventi di cui si sarebbe pentita. Eppure, non poteva più tornare sui propri passi, non quando la porta sul baratro era rimasta spalancata tanto a lungo. La bussola morale aveva finito per impazzire, non più soggetta alla scelta tra giusto e sbagliato, ma pronta a valutare il male se - alla fine - poteva portare ad un briciolo di bene. «
Mentre non c’eri mi sono legata ad una persona sbagliata per me, perché cercavo comprensione e condivisione là dove speravo di trovarla. Ero nella merda, Nieve, e tu non c’eri. E non hai idea di dove sia arrivata senza di te.»
Le lacrime si erano ormai asciugate, la voce era tornata alla sua integrità originaria e il suo respiro, finalmente, era regolare. Aveva alzato la voce, le aveva puntato un dito contro, si era scavata dentro per tirare fuori tutte le più piccole cose rimaste impigliate; avrebbe potuto fare di più, ma era sfinita.
Stanca di essere messa da parte.
Esasperata dal suo silenzio.
Mortificata per non aver saputo andare avanti come avrebbe dovuto.