Cri cri cri cri. Tramonta il dì., Concorso a tema: [Aprile 2023]

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view post Posted on 26/4/2023, 20:40
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["..è la sola presenza del “Tu”, di “Altro”, di un “Non-Io” che fa sì che si possa riconoscere e quindi definire e delimitare un “Io”.. - ..attraverso l’assioma base per cui “Se tu.. allora io”.

..l’assenza di modelli di riferimento e confronto, regole e confini, l’assenza di un “Altro” grazie al quale non solo poter riconoscere, definire e delimitare un “Io” ma anche saperlo muovere di conseguenza, con una coerenza e costanza di base necessarie allo stato medio tipico di benessere della natura umana –

.. l’assenza .. comporta svariate conseguenze nell’infante: …e, tra le altre, un’importante disregolazione emotiva. Il bambino potrà risultare ipo o iper reagente a stimoli di natura diversa e, una volta attivato, non saprà definire le proprie emozioni, distinguerle, né tanto meno accoglierle e regolarle adeguatamente rispetto agli stimoli proposti.

Sommando queste disregolazioni – o dinamiche emozionali di natura caotica – ad una mente razionale non ancora completamente sviluppata, tanto più per le assenze sopra menzionate, ciò che si otterrà sarà..”
]

* * *



I fili d’erba le solleticavano la pelle delle gambe mentre i piedini nudi scalciavano l’aria.
Sdraiata a pancia in giù nel bel mezzo del vasto giardino del Walker Manor, una piccola e biondissima Adeline leggeva un librone pesante quasi quanto lei.
Era una calda giornata di Luglio e la bimba aveva indossato un’ampia camicia a maniche lunghe – forse appartenuta ed abbandonata lì da uno dei tanti, e solitamente molto scortesi, ospiti di sua zia – ma l’aveva lavata tutta da sola e aveva pazientemente aspettato che asciugasse al sole, le era piaciuto troppo il motivo a righe sottili, di un bel azzurro pastello, per aspettare un giorno in più – figurarsi una stagione ancora – prima di indossarla.
I lunghissimi capelli biondi – ancora mai tagliati sin dalla nascita – sembravano centinaia di morbidi fili dorati che scendevano a cascatelle lungo le spalle, la schiena, le braccine attorno alle quali erano ampiamente arrotolate le larghe maniche della camicia, sino a spandersi in pozze d’oro brillante contro il verde vivido dell’erba.
Era un libro interessante, per quanto ne comprendesse appena la metà del testo, sulla mitologia norrena – sino a che un grillo era saltato tranquillamente sulle pagine ingiallite.
Lo sguardo bicromatico era saettato sulla piccola creaturina: aveva chiuso prima l’occhione azzurro, poi quello verde, per osservare i dettagli dell’animale da prospettive leggermente diverse.
Una manina si era chiusa silenziosamente a coppa, aveva iniziato a spostarsi strisciando lungo il terreno e.. l’insetto era saltato via.
Un piccolo cruccio si era formato tra i lineamenti infantili della streghetta.
Gli occhi di bosco e di mare avevano seguito il grillo sul terreno, lei aveva preso una piccola spinta per allungarsi e – niente, di nuovo.
Si era accucciata, come una piccola ranocchietta.
Aveva tirato ancora più su le maniche – con scarsi risultati – aveva soffiato via qualche capello spettinato davanti al visino: nuovo salto e..

Rientrò a casa che stava piangendo.
Aveva catturato il piccolo animaletto ma si era sbilanciata troppo dopo il salto: era morto, sotto il peso delle sue mani.
Adesso, disperata, terrorizzata, pesanti lacrime bollenti le solcavano il visino contratto dal dolore: era colpa sua, era tutta colpa sua.
Quell’animaletto era morto per colpa sua.
Ne sentiva le zampine inermi tra le dita tiepide - l’immobilità, aliena negli esseri viventi, estranea al concetto di vita stessa, la terrorizzava a tal punto da nausearla: era morto per colpa sua.
Morto per colpa sua.

Quell’idea, neanche espressa in un pensiero logico/coerente, le rimbombava nel costato e le stringeva dolorosamente il piccolo muscolo cardiaco.
Era colpa sua.
Morivano tutti per colpa sua.
Ed era sola perché morivano tutti per colpa sua - e avevano ragione - ma chi, chi moriva o chi la abbandonava? - forse tutti, tranne lei.
Sua mamma era morta per colpa sua.
Suo papà era scomparso, poteva anche non essere morto, ma la colpa di chi era?
Chi non era stata sufficientemente amabile, giusta, innocente, brava, bella, buona, chi non era stata sufficiente perché lui non scappasse via?
Quel tanto, quel minimo perché anche sua zia non l’abbandonasse?
Lei portava colpe morte.
Portava dolore, portava agonizzante vuoto.
Era colpa sua.
Era lei.
Lei portava morte colpe.
Portava entrambe le cose.
Portava il male - o era il male a portare lei.
Entrambe le cose.

Aveva posato con delicatezza l’animaletto sul vasto letto sfatto della sua camera.
Che era poi la vecchia camera di sua madre.
L’animo morboso, vendicativo accogliente della zia aveva stabilito permesso che sua nipote crescesse tra quelle quattro mura che avevano visto nascere, crescere e poi morire dissanguata, esanime anche la madre.
Anche perché in fondo chi portava morte, la morte si meritava – e lei sarà stata solo una bambina, ma quale genere di bambina causava tutto questo?
Adeline lo sapeva. Lo aveva letto in un sacco di libri.
I cattivi portavano morte. I cattivi portavano dispiaceri e dolori agli innocenti.
Proprio come lei.
E i cattivi alla fine.. morivano sempre – di solito per mano di un eroe innocente ma valoroso.
I grilli potevano essere anche valorosi oltre che innocenti?
Sicuramente sì.
Un sacco di libri spiegavano anche questo, parlavano del coraggio e dell’innocenza, della purezza degli animali.
E della cattiveria, della malvagità insita dell’uomo.
La cattiveria, la malvagità insita di Adeline.

Non riusciva a smettere di piangere.
Si strofinava via le lacrime e i goccioloni dal naso con le maniche della camicia - ma quelle non smettevano di scendere - l’aveva ucciso, l’aveva ucciso, era un’assassina - lui era un piccolo insettino innocente e lei, lei era riuscita ad uccidere persino lui – perché lei – che cosa aveva che non – cosa aveva che non andava - cosa - perché - era cattiva, lo sapeva, c’era qualcosa che non andava in lei, era solo cattiva, era malvagia, era nera, era brutta - e in fondo allora, tutta questa solitudine, tutto questo silenzio, questo vuoto, tutte queste persone che la lasciavano, questa vita che la abbandonava.. forse se lo meritava, se lo meritava davvero.
Lei era la cattiva.

Aveva ripreso l’animaletto tra le mani, era corsa di nuovo fuori in giardino.
Lo aveva lasciato tra l’erba fresca, immaginando che piccoli grilli suoi familiari arrivassero a breve per fargli un piccolo funerale di grilli.
Sapevano piangere, i grilli?
Probabilmente sì.
Non poteva avere persino la pretesa crudele di lasciare intrappolato quel corpicino innocente nel suo nero castello di cattiva, questo no – anche questo proprio no.
Una volta tornata in casa aveva serrato porte e finestre, si era rinchiusa com’era giusto che fosse.
Si era raggomitolata in un angolo di una stanza completamente a caso – si assomigliavano tutte alla fine – premendo con forza i palmi sugli occhi.
La tristezza, l’orrore per la morte, il senso di colpa erano diventati troppo.
La rabbia – salvifica nel suo essere cieca, senza un perché, senza un vero inizio ed una vera fine, indistinta e indiscriminante, senza pensieri e senza motivi, senza consapevolezze.. – poco dopo, trascinò via ogni lacrima.


Il giorno seguente, sotto raggi tanto abbaglianti da ferire lo sguardo, Adeline era tornata in giardino solo per qualche minuto, giusto il tempo di recuperare il suo libro sulla mitologia del Nord, il visino mesto di freddo pentimento e rigida consapevolezza – giusto perché il popolo degli innocenti sapesse adesso, che lei sapeva che lei era cosciente di sé, ora.
Aveva indosso una vecchia t shirt nera, quella camicia con le righine azzurre non se la meritava.
Aveva letto ancora, si era informata.
Se c’erano i sintomi,
“Sintomo: In medicina, manifestazione di uno stato patologico, avvertita soggettivamente dal malato (distinto dal segno, rilevabile dal medico all'esame obiettivo)” (aveva letto anche questo, aveva imparato parole difficili quella notte) - e i sintomi c’erano tutti: dolore cronico, sofferenza, morte per letteralmente chiunque la circondasse, isolamento necessario - c’era anche un perché, c’era una diagnosi,
- ”Diagnosi: In medicina, la diagnosi è il processo attraverso il quale si determina una patologia partendo dai sintomi e segni del paziente”:

Lei era una portatrice sana del male.



- Trattamento - ”Trattamento: si intende qualsiasi intervento terapeutico o diagnostico da praticare sul corpo di un paziente.”: isolamento autoindotto in prevenzione di ulteriori potenziali contagi e/o esiti dolorifici e/o mortiferi.
- Prognosi – “Prognosi: Previsione sul decorso e soprattutto sull'esito di un determinato quadro clinico.”: morte. Giusta.
 
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