Cinque minuti., Concorso a Tema: Maggio 2023

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view post Posted on 4/5/2023, 10:05
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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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patternpic«Tu sei proprio un privilegiato, lo sai?» La voce di Svenjamin ricordava il suono delle onde del laghetto artificiale di Hyde Park, tra l'altro non molto distante dallo spiazzo verde in cui lui e Camillo si erano messi a fare un picnic. Ogni parola era il tocco dell'acqua che accarezzava la riva, il fruscio scostante di quello specchio cristallino di fattura umana piazzato a scherno nel bel mezzo della natura, mosso dai soffi di vento e sballottato dalle piccole imbarcazioni di chi lo usava per praticare sport acquatici in quella deliziosa giornata primaverile. Se ascoltava con attenzione, tra il tumulto sommesso provocato dalla folla e dalle sue attività, poteva sentirlo chiaramente. Non Svenjamin. A cinquanta centimetri di distanza, se doveva concentrarsi per poterlo sentire, sarebbe riuscito tranquillamente a far domanda di indennità. Non era cosí sordo. Parlo proprio del laghetto.
È naturale chiedersi a cosa serva questa premessa, arrivati a questo punto della lettura. Ebbene, ve ne parlo perché fu un pensiero che colse l'olandese impreparato e che gli diede qualche grattacapo dentro il quale perdersi. Jam – così lo chiamava – non era stato un mendicante per tutta la vita e per quanto strano fosse il suo modo di esprimersi alle volte, la sua dizione era sempre impeccabile. Fu un cambiamento graduale nella conversazione, che era partita decentemente, svelando il colpo di scena quando ormai non si poteva piú ignorarlo. Non ci diede subito peso.
«Lo so bene, non serve che me lo ricordi». Breendbergh alzò l'hamburger mezzo masticato come a voler tirare una stoccata: quando passava per i fast food di zona, condivideva sempre le gioie dei grassi saturi e di un pasto piú o meno caldo con lui. Gesto che gli risultò un po' macchinoso a dire il vero, l'altro non era un ingrato e a Camillo che lo fosse o meno non importava granché. In piú non era il tipo che rinfacciava le piccole cose. Fu strano, sì.
«Sciocco, non parlo di soldi». Onde che riecheggiavano sincopate, quasi singhiozzi. Camillo a quel punto volse lo sguardo verso l'uomo e lo vide tirar su dal naso una striscia di muco che pareva bava di lumaca. Gli occhi gonfi come un piranha, sclere rosa e rami di sorbo rossi.
«Inferno di sangue, che ti sei fatto?» La domanda risultò piú spontanea ed ingenua di quanto dovuto. Di gente conciata come lui ne aveva vista parecchia, nei bagni sudici dei locali e di qualche stazione della Scozia. In Scozia, andava di moda l'overdose con la cornice ferroviaria a rendere il tutto un po' piú stimolante, a quanto pareva.
Svenjamin s'infuriò, lo si poteva capire dalla faccia; ogni muscolo contratto, le labbra serrate, lo sguardo come un fucile a canne mozze ed il fumo che sfuggiva piano dai tubi di metallo. Pure la barba ispida sembrava si fosse incazzata, un po' come quando i gatti rizzavano il pelo. Stette zitto qualche istante, poi si sfogò: «Una bella pera, dritta in vena, nel momento in cui ti sei voltato, vagabondo in chissà quale viaggio mentale tutto tuo».
Ma di siringhe in vista non ce n'erano, solo i rispettivi sacchi di carta marrone ancora pieni a metà di leccornie profumate.
«Non fare il minchia, tu hai tutta l'aria di uno che non ha usato le protezioni l'ultima volta che si è dato alla pazza gioia». Lo incalzò. Metabolizzata la sua condizione, gli venne spontaneo pigliarlo per i fondelli. Alludeva, neanche a dirlo, a qualche malattia venerea e ad ipotetiche reazioni immunitarie in corso d'opera.
«L'unica protezione di cui ho bisogno è da te, brutto demonio». A quel punto Jam biascicò furibondo, tirando fuori il crocifisso che teneva al collo da sotto il tessuto logoro della maglia. Lo puntò verso Camillo, come a volerlo esorcizzare e lui scoppiò a ridere.
«Guarda che le allergie sono una cosa seria, la primavera non è clemente, specialmente con chi non ha un tetto sopra la testa». Spiegò l'uomo, ancora offeso per la mancanza di sensibilità mostrata dal giovanotto.
«E come fai, scusa?» A quel punto lo sguardo curioso del Tassorosso fece capolino dalle lenti scure. Intanto gli passò un pacco di fazzoletti, fresco di zaino.
«Sarà pure uno stereotipo, ma campare sotto i ponti ha i suoi perché. Ad esempio non mi devo cuccare i pollini e le altre apocalissi che Maggio mi scatena contro». Si sforzò di spiegare, prima di soffiarsi il naso e liberare le vie aeree.
«Mh, strano, eppure cinque minuti fa mi sembravi sano». Gli rispose, indelicato come solo lui sapeva essere.
«Cinque minuti, hai detto bene. Questa è l'autonomia che ho in mezzo alla natura selvaggia. È una condanna che andrà avanti fino ad Ottobre, se mi va bene». Già che aveva spurgato i liquidi sinusali, la sua voce riacquisí una parvenza di normalità.
«Lasciami dire che sei un po' stronzo però. Se me lo dicevi prima ci piazzavamo su qualche muretto e scampavi alla peste. Vuoi che ci spostiamo?» Gliela buttò lí con naturalezza, poi azzannò il suo hamburger e ne strappò un boccone. La salsa gli sporcò una guancia.
«Che vuoi che ti dica? Hai ragione, ma hai proposto tu il parco. Comunque no, non mi va, è una questione di principio, capisci? Ormai il danno è bello che fatto». Spiegò, rigido, severo, piú con se stesso che con Camillo. Non lo capiva.
«Come preferisci allora, so già che incisione fare sulla tua lapide: "Stroncato dal polline". Niente di piú e niente di meno, un monito per chi verrà dopo di te».
A quel punto il clochard tirò un sorso di sprite a pieni polmoni.
«Fai tanto lo spiritoso, fallo finché sei giovane. A me questa piaga ha colpito che avevo vent'anni o poco piú. Ne riparliamo quando ti crescerà la barba. Tu sei allergico a qualcosa?» La domanda lasciò Breendbergh a riflettere. Gli sembrava una stupidaggine, sparata cosí tanto per mettergli la strizza – povero ingenuo. Non concepiva come un'allergia si potesse sviluppare da adulti, ma quelle cose andavano e venivano, come un po' tutto nella vita, del resto. Non ci dette molto peso.
«Niente di niente, zero. Ma ora che mi ci fai pensare a volte credo di essere io l'allergene». Una confessione a cuor leggero, gettata all'aria come si lanciava un frisbee, mentre si puliva la guancia con la carta ruvida del fast food, neanche avesse voluto abradere via la macchia insieme a tutta la pelle rosea, che già aveva conosciuto il tocco delicato della schiuma bianca e quello affilato della lametta.
«Cosa stai farneticando?». Domandò l'altro con curiosità. Gli era sempre piaciuto sentire le storie di Camillo, le sue avventure strampalate ai limiti tra realtà e fantasia. Le ragazze, le fughe rocambolesche da questa o quell'altra combriccola di malintenzionati, le feste e quella sua scuola per ricchi piena di sagome. Chiacchiere "da bar", perlopiú. Mai si era ritrovato ad affrontare discorsi seri. Si chiedeva spesso che tarli avesse in testa quel marmocchio; sicuramente – ormai se n'era fatto un'idea – non era un tipo a posto.
«Penso che le persone siano allergiche a me, va tutto bene all'inizio, poi pian piano gli leggo in faccia che vorrebbero solo scappare. È una cosa un po' strana, non saprei come spiegartela bene. Ti faccio un esempio, cosí, tanto per. Nel mio liceo c'era questo tale in stanza con me, Horus-».
Venne interrotto. «Horace?»
«Horus, i suoi devono essere egiziani o qualcosa del genere».
«Scusa, ma come fai a dare a tuo figlio il nome di una divinità? A me non è che capita tutti i giorni di incontrare tale Jesus Smith, Evans, Brown, Taylor, Robinson, Edwards-». e man mano che la sfilza di cognomi veniva sviscerata, la voce di Jam si faceva sempre piú nasale.
«Sei un elenco telefonico?».
«Ero di sportello al municipio una volta».
Ci fu un momento di silenzio, uno scambio di sguardi durante il banchetto – entrambi ne approfittarono per consumare cibo e bevande – che fu piú eloquente di un saggio di filosofia. E non starò nemmeno qui a sciorinarlo, speculare su tutti i se e ma scambiati per via non verbale. Quel che vi basta sapere è che sia l'uno che l'altro ebbero tutta una conversazione, come due telepati le cui menti avevano formato una sorta di ponte per scambiarsi idee e nozioni varie.
«Vabbé, insomma, ci stava questo mio amico qua, ce l'avevo pure in dormitorio con me, pensa quanto gli era andata male. Per i convenevoli o per dire due stupidaggini andava tutto alla grande, ma mi rendevo conto che al progredire della conversazione, progrediva anche il suo malessere psicofisico». Esagerò un po', in realtà non era sempre cosí, ma il piú delle volte percepiva il disagio che il dover avere a che fare con lui gli procurava. Nulla di trascendentale, il Fragolino non si era mai tagliato i polsi per colpa di Camillo, ma un po' come un'allergia il tormento diveniva via via più evidente. In proporzione diretta alle boiate con cui lo bombardava, lo vedeva come gonfiarsi: le guance fredde si contraevano e le palpebre si facevano pesanti. Aggiungiamoci qualche tic involontario ed il gioco era fatto. Il segnale chiaro. La sua presenza gli donava carezze d'ortica, un prurito all'anima che non poteva essere grattato in alcun modo.
«E che fine ha fatto questo tuo amico? Ha cambiato stanza?» Una soffiata di muco sul fazzoletto aveva preceduto le parole del senza-fissa-dimora e la sua voce risuonò cristallina. Seppur noioso, al pari di altri racconti, il barbone pareva piú intrigato del solito.
«No, si è fatto tutto il calvario fino al diploma. È che poi non l'ho piú sentito, non un messaggio, un'alzata di cornetta, non una lettera. Era uno all'antica, gli piacevano queste cose. Ad ogni modo, conoscendolo le opzioni sono due, tre se vogliamo essere pessimisti: o è in galera, o se lo son preso gli angeli, o era allergico a me e per lui andarsene è stato un po' come per te evitare i luoghi verdi e pollini vari. E non è l'unico, ma è sicuramente il primo che mi è venuto in mente».
Concluse cosí, per poi dare il colpo di grazia all'hamburger.
«Sai, ora che entriamo nell'argomento è così anche per me. Ti sopporto i primi cinque minuti, poi mi viene voglia di abbatterti, mano sul cuore». Svenjamin scoprì le carte, mentre si rifaceva sulle patate fritte come se non avesse appena sganciato un fungo atomico, alimentando la paranoia del Tassorosso. In tutta risposta, gli riservò un'osservazione profonda quanto bastava. Due badilate alla superficie che non toccavano veramente il fondo e non scovavano tesori, come avrebbe detto suo nonno.
«Beh, almeno tu sei stato onesto. Pensa tenertelo dentro per anni, convivere con quest'allergia. Immagino sia dura». Ennesima constatazione a sangue freddo.
Jam a quel punto gli puntò contro una patatina mezza maciullata, stanghetta dorata con cui iniziò a tracciare schemi per aria con foga, neanche avesse dovuto spiegargli una strategia complessa per vincere la coppa del mondo di quidditch. Neanche sapeva cosa fosse, tifava per il Liverpool.
«Cinque sono i minuti che ti ci vogliono per passare dall'essere un ragazzo per bene allo sparare una marea di puttanate, una dietro l'altra. All'inizio è anche simpatico, ma la tua ironia si fa via via piú sottile, man mano che il tempo scorre, tanto che non si capisce piú dove finisci tu e dove inizia il personaggio. Poi prendi tutti per il culo, non rispetti niente e nessuno, sei una persona con cui è difficile avere a che fare».
L'accusa era grave, mollata sul collo del ragazzino come una ghigliottina, senza processo, né sentenza. Era la chiara manifestazione di un quadro che nel tempo si era arricchito talmente tanto di dettagli da aver tutto ben delineato. Fin troppo. L'opera di un autore che imponeva la sua visione e non dava modo a chi osservava il dipinto di interpretarlo liberamente.
«Sono fatto cosí, che vuoi farci? Mi piace divertirmi, mi piace strappare qualche sorriso, mi piace buttare tutto in caciara, perché altrimenti m'annoio e francamente non sopporto di annoiarmi». Al che Camillo si chiuse sulla difensiva, come se cosí facendo avesse potuto scampare alla sua esecuzione. Il boia era d'un altro avviso: il marchingegno era stato messo in moto e non v'era modo di fermarlo. Zac. Un taglio netto e via con la testa nella cesta.
«Tu sei allergico a te stesso, è il vero te che non sopporti. Quello con cui si può parlare del piú e del meno e con cui si possono fare discorsi seri senza doverli riempire a forza di stupidaggini. Fossi stato Horazio o come diamine si chiama il tuo amico nemmeno io mi sarei scomodato per mandare una lettera al tuo personaggio. A Camillo invece ne avrei mandate parecchie, sai?»
Breendbergh a quel punto si alzò e raccolse la sua immondizia, un po' come cercava di raccogliere i pezzi di un'esistenza fatta a brandelli. «Tu non sai niente di me, mi chiedo come possa uscirtene con certe stronzate». Gli rispose caustico, siderale. Fece per piantarlo lì e girare i tacchi, con una smorfia piatta a strizzargli il volto. Si domandava se gli fregasse davvero qualcosa di quello che pensava l'uomo, ma dentro di sé sapeva che tutte le scorpacciate in sua compagnia dovevano pure valer qualcosa. Rimaneva il dubbio su quanto peso potesse dare alle sue parole. Il loro rapporto, fino a quel momento, non era mai andato oltre le già citate storielle "da bar". Aprirsi con lui fu allo stesso tempo errore ingenuo e colpo di fortuna. Quella era roba pesante. Roba che in un modo o nell'altro ti cambiava la prospettiva.
«Perché ti ho visto in faccia, finalmente, e preferisco la tua faccia alla maschera che metti sempre su quando blateri scemenze».
Fu allora che l'olandese si voltò per andarsene. Non aveva piú intenzione di starlo a sentire.
«Vai al diavolo, Jam e ci si vede domenica prossima, sempre che non ci resti secco impollinato». Lo salutò cosí, muovendosi sul sentiero che portava fuori da Hyde Park.
«Vai tu al diavolo, Camillo. Alla settimana prossima allora! Kensignton, solita panchina?» Uno starnuto. Svenjamin, sghignazzò e fu in quel momento che comparve nuovamente il sorriso sulle labbra dell'olandese.
«Solita panchina». Poi si congedò, pronto a rimuginare una settimana intera sulla conversazione appena avvenuta col clochard. Dargli retta, non dargliela, questo era il dilemma. Sicuramente le occasioni di approfondire la questione non sarebbero mancate, a patto che davvero non c'avesse lasciato le penne, gonfio com'era.

 
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