| open road — to find your silver lining Arcano Maggiore — Il Matto Il Folle, il Misero, il Vagabondo ─ è la Carta forse più astratta dei tarocchi. Indugia verso l'ambivalenza. Il Matto è un'identità indistinta: abiti dimessi, un bastone, un fagotto all'estremità ultima, un fiore bianco nella mano sinistra. Gioca il contrasto del tempo, il sole splende in alto, il passo conduce al precipizio in basso. Guarda lontano, eppure è prossimo alla caduta. Lo scorta una creatura diafana, talvolta un cane, altre un coccodrillo albino. Il Matto invita al cambiamento, vinto dall'oblio dei sensi. I tarocchi, tra le mie mani, sono profanati. Mi accorgo di come i bordi siano consumati dalle intemperie del tempo, così come dalla prigionia dei taschini cui sono stati a lungo relegati: la patina dorata, ora, brilla come in riflesso opaco, e perfino le simbologie occulte si svelano più concrete. Carte antiche, queste, che oggi passerebbero per giochi comuni, un guizzo di fantasia di chi cerca divertimento. Hanno visto molto, gli Arcani. Come segugi, mi hanno affiancato passo dopo passo ─ l'Angelo, la Forza, il Sole. Potrei sviscerare i segreti che mi hanno saputo sussurrare all'orecchio, le tele d'ombra che hanno annunciato in magnificenza, e in orrore. Colori, tinte pastello, sogni d'infanzia, le Carte sono infide, poiché all'apparenza vinte d'incanto. Eppure, pochi altri manufatti trattengono un potere tanto disarmante, e un pericolo che tuttora mi spezza il respiro. Ricordo l'esordio ─ l'incontro d'apertura, il nostro intreccio. Timothy, inconsapevole, vi giocava come privo d'ogni preoccupazione, l'ultimo dono di un affetto lontano. Avrebbero mai potuto fargli del male? Ad oggi, lo ammetto, è una domanda che mi perseguita. Mi pento di aver consunto l'ordine principale, l'equilibrio che pallidamente poteva governare la voce comune. Il mazzo, ora, consente il peccato: non è completo, non più. Talvolta ho come l'impressione che le mie letture, di notte, siano illusorie, oramai soltanto fasulle; è la consapevolezza di aver minacciato gli Arcani Maggiori, di aver voluto predestinarmi il dramma futuro. Se potessi tornare indietro, non commetterei lo stesso errore: i tarocchi mi appartengono, ho sbagliato a privarmi anche solo d'uno di loro. Non mi sorprende, allora, l'ultima rivelazione. Oltre le vetrate, il crepuscolo è un miraggio, s'intrappola e s'addolcisce di pari modo tra giorno e sera. Sono in solitudine, di nuovo. Il dormitorio, stasera, è libero: molti sono a cena, altri in biblioteca. I tarocchi, di fronte, sibilano contro il presente, e vestono gocce di luce che non afferro pienamente. Stringo un calice di vino nella mano destra, una carezza elegante di pelle e di vetro. Basta una pressione, che invano reputo leggera, a spezzarne lo stelo. Il tremito coinvolge l'intero bicchiere, si ripercuote in una stanza altrimenti silenziosa; è un colpo di frusta, un frammento dietro l'altro. La carne sanguina, le venature diafane s'accentuano alla ferita. A stento comprendo d'aver trattenuto il respiro, di aver sentito il brivido dell'attesa risalire lungo il petto. Inspiro, veloce. Oltre le schegge argentee del calice, le mani ─ macchiate, infine libere ─ recuperano l'ultima carta dei tarocchi. Stille vermiglie vi bagnano gli angoli, una goccia vi scivola verso il centro. C'è una figura indistinta, vestita di stracci. Ha gli occhi dispersi al sole, il volto verso il cielo; eppure, mi ricorda un acrobata d'altri tempi, un giocoliere. Ha un bastone, un passo leggero, come chi non s'ancora alla terra. Il precipizio, poco oltre, è una minaccia. O forse... una promessa. Il Matto, ora, è chiuso nel palmo della mia mano; vi premo forte, sangue, carne, vetro. Non c'è più, mi dico. Ma tremo ancora, un'ora dopo. Sono al terzo piano, di fronte l'Ufficio della Professoressa White. Ho un incontro importante oltre la porta, eppure mi prendo pochi istanti soltanto per me. Ho gli occhi vigili, a dispetto dell'ultima lettura. La divisa scolastica, la cravatta bene annodata al collo, la borsa lungo la spalla, tutto è ordinato. Voglio presentarmi al meglio, soprattutto per l'affetto che mi lega all'altra persona. Quando sollevo la mano destra per bussare all'ingresso, mi accorgo di una coincidenza che chiude un cerchio: al mio primo incontro con Jolene White avevo le nocche spezzate, ora una fascia di garza stringe le stesse con dolcezza.
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