Strike First, Strike Hard, No Mercy, TW: linguaggio esplicito

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view post Posted on 31/7/2023, 16:13
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entropia.

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w5Lpd6X
I want to satisfy the
undisclosed desires in your heart
Non puoi lasciare la paglia vicino al fuoco e aspettarti che l’incendio non divampi. E io e te abbiamo giocato ad appiccare tanti piccoli roghi in cerchio senza curarci dell’eventualità che si unissero, dando vita a un’unica fiammata di devastanti proporzioni.
Ad essere sincera, non mi sarei aspettata questo esito. Non ti ho mai visto nell’ottica di un amante o, per tornare ai tempi della scuola, di un fidanzatino. Allora eri Horus, il buffo ragazzo che avevo preso a scopettate in faccia e che volevo inspiegabilmente nella mia vita. Nell’ubriachezza, devo aver avuto qualche illuminazione sul fatto che non fossi proprio malaccio, ma eri Horus e tanto bastava a eliminare ogni forma di tensione. Da quando ci siamo rincontrati, invece, che margine ho avuto se non quello di respingerti e odiarti? Per me, la tua faccia è stata terreno per pugni ben assestati, lo stomaco sfondo per colpi (mancati) di casco, le gambe piste di atterraggio per cocci di ceramica.
Eppure so che, se lo raccontassi in giro, non mi crederebbe nessuno. Vedendoti, o mi darebbero della rincoglionita o mi direbbero che non ho fatto altro che mentire a me stessa per anni. Pensa se dicessi loro che ho baciato Vagnard Von Kraus? Tu lo sai? Mi baceresti ancora, sapendolo?
Il frammento di un istante scorre tra l’attimo in cui le mie labbra si schiudono sulle tue e il successivo in cui tu le raggiungi. Libero un sospiro languido, mentre suggello l’incontro lascivo con la tua bocca —che è solo il preludio di un intrecciarsi di corde, carni e licenziosità— annodando le tue ciocche tra le mie dita. Quando ti distacchi da me e i nostri occhi s’incontrano, trovo nell’argento lo specchio dell’urgenza che mi impedisce la stasi; che mi induce a protendermi verso di te finché ogni parte del mio corpo non accarezza il tuo; che porta la mano tra i tuoi capelli a scivolare sinuosamente fino alla spalla opposta per agganciarti a me.
Vedo la proiezione di me scendere le scale con la bacchetta tra le mani, l’espressione iraconda e delusa. Sta attraversando le strade di Londra fino al Black Skull. È turbata, profondamente. Per questo, ordina una Grappa Spettrale doppia e la beve con troppa avidità. Poi, chiede all’elfo di farla entrare nel casinò nascosto dove ha intenzione di giocare d’azzardo. Ho la sensazione che rimarrà lì dentro per tanto tempo, così tanto da perdere il conto delle ore; da ritrovarsi l’indomani mattina con la maglia velata leggermente strappata e i capelli arruffati. Non il migliore dei suoi aspetti per tornare a Hogwarts, ma di sicuro il perfetto mal di testa per non pensare.
Invece sono qui, con i fianchi stretti tra le tue mani e la bocca sulla tua in una ricerca che non conosce posa. La mano libera ti afferra il mento. Voglio tenerti fermo intanto che ti prendo il labbro inferiore tra i denti e suggo, il corpo che si appiattisce contro il tuo in una richiesta incessante —ancora, di più, di più, ancora. Lo tiro verso di me. Stavolta non stringo. Lo rilascio piano. Mi scappa una risata bassa, accennata. Poi mi avvicino alla ferita che svetta vivida come una falce di luna rossa e le lascio una carezza leziosa, poi un bacio, infine un’altra carezza.
Mi sento libera in questo momento. Libera come se corressi nelle foreste sconfinate delle quali sento la mancanza; quelle dove fa freddo, freddissimo, e mi sento mia. Non c’è emozione tra noi. Nessun banale sentimentalismo. Niente che riguardi il passato, il presente, il futuro. Non esistono aspettative. L’unica cosa che riesco a percepire sono i punti di contatto tra i nostri corpi e le sensazioni che da essi si irradiano —il turbamento che risale il sentiero dirupato che non abbiamo smesso un istante di dissestare.
Indietreggio, seguendo la scia dei tuoi bisogni, e libero il tuo volto. Le mie spalle tornano contro la porta. La mia coscia si alza, ti accoglie. Tu ti avvicini. Segue un impatto e il mio respiro si sospende. Chiudo gli occhi, in apnea, e mi mordo il labbro inferiore. Una mollezza liquida scivola sul mio corpo, concentrandosi nel punto il cui la collisione ha avuto luogo. Il braccio che avvolge le tue spalle si contrae, la mano stringe il tessuto della maglia. Il mio bacino asseconda il movimento, protendendosi verso il tuo.
Sono di nuovo alla tua mercé, ma stavolta ti lascio fare perché desidero che le tue mani mi tocchino, che la tua bocca mi saggi, che il tuo respiro si franga sulle coste del mio piacere e che la sua schiuma si aggrappi ai granelli dorati della tua spiaggia incandescente.
È impossibile contenere gli effetti di un disastro naturale. Così, le foreste bruciano e i ghiacciai si sciolgono. A contatto, caldo su freddo, io e te fiammeggiamo —di collera, frustrazione, di desiderio.
Mi sporgo verso di te e ti bacio ancora come se da questo bacio dipendesse la vita dell'intera popolazione magica. Le tue labbra mi appartengono. Le racchiudo, le sfioro, le umetto, le mordo. La tua bocca mi appartiene e mi ci perdo, mentre amplio l'arco disegnato dalla coscia per avvicinarti di più a me. Poi, mi distacco.
Cerco il tuo collo e i denti affondano nella carne. Non ti uso la crudeltà che ho ricevuto pochi minuti fa, la stessa che fa pizzicare la pelle vicino la mia carotide. Il tocco è deciso ma non violento; e ad ogni attacco la lingua si sostituisce con le sue moine, lambendo la pelle aggredita. La scia è imperdonabile: dalla base del collo raggiunge il pomo d’Adamo.
Voglio sentirle, le sensazioni che stai provando. Ogni spasimo, ogni vibrazione di frenesia, ogni scatto ferino dipartirsi dal cuore di muscoli e sangue che batte oltre la carcassa di ferro, acciaio e sopravvivenza che indossi. Dammi la bestia, se devi. Incontrerai la mia. Non c’è più bisogno di pensare. È questo che mi dico da più di due anni, quando cedo alla lussuria e abbandono il mio corpo per non sentire più nulla all’infuori dei suoi confini. È questo che mi dico mentre mi avvento su di te.
La mano libera raggiunge il bordo della tua maglia, lo scosta, s’insinua sulla pelle nuda. Le dita fredde risalgono la tua schiena rovente come zampe di ragno —veloci, leggere. Raggiungono lo spazio tra le scapole, vi conficcano le unghie, impietose. E i miei denti tornano a ricercare la tua carne, là dove il collo curva verso la spalla. Un vampiro con il suo Succubo nel calvario della dannazione. Ma chi lo è di chi, quando entrambi abbiamo bevuto il sangue dell’altro? Le unghie calano lungo la tua schiena, tracciando solchi rossi che seguono la linea della spina dorsale.
Eccola, la rabbia che ancora ti serbo; il rancore per l’ultimo attacco; il risentimento per avermi ingabbiata neanche fossi un animaletto da compagnia da ammansire e poi mostrare agli amici, raccontando la storia del come si è riusciti a domarlo. Vaffanculo, Sekhmeth.
Ti libero dall’attacco della mia bocca. Mi faccio indietro col capo, cercando il tuo sguardo. Ora riesco a vederlo, tutto ciò che ho ignorato per anni e che adesso fa tremare le mie carni solo a guardarti. Sento l’incoerenza dietro i “non ti fotterei nemmeno se mi pagassero” e “tranquillo, penso che tu voglia portarmi a letto quanto io voglio portare a letto te. Non c'è pericolo!”.
Ho il respiro corto, gli zigomi imporporati e le labbra rosse per le poche gocce di sangue stillate quando mi sono spinta a stuzzicare la ferita che porta la mia firma. Ti cingo ancora con un braccio. L’altra mano indugia, fintamente pudica, sul retro dei tuoi pantaloni; ne solletica l’orlo. Il mio corpo disegna un arco che sfida il concetto stesso di spazio, lo annulla.
L’inferno brucia meno se ti stringi a uno dei suoi angeli, Sekhmeth.

i will win, not immediately but definitively
 
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